mancando del tutto l’allegazione circa il gradino sul quale l’attore sarebbe scivolato, resta generica la stessa domanda dell’attore perché non è compiutamente descritta la dinamica dell’incidente, non potendo, di conseguenza neanche essere ammesse prove testimoniali su fatti allegati solo in modo generico. Ciò è dirimente per escludere la responsabilità del convenuto sia ai sensi dell’art. 2051 c.c. che ai sensi dell’art. 2043 c.c., norma pure invocata dall’attore.

Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo: La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade

Tribunale Udine, civile Sentenza 2 ottobre 2018, n. 1165

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE DI UDINE

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Udine, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Alessia Bisceglia, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. R.G. 3999/16 Promossa da:

D’A.MA. (…), rappresentato e difeso dall’avv. Da.Be.

– attore –

contro

COMUNE DI TORVISCOSA (…), in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Fe.Ga.

– convenuto –

e

contro

UN. S.p.A. (…) in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Ma.Pa.

– terza chiamata –

Oggetto: risarcimento danni

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. D’A.Ma. conveniva in giudizio il Comune di Torviscosa, sostanzialmente, per sentirne pronunciare la condanna al pagamento della somma di Euro 5.496,69, dovuta, in tesi attorea, ex artt. 2051 e 2043 c.c., dalla P.A. convenuta quale responsabile della caduta dell’attore, avvenuta in data 17.09.06. Allegava, in particolare, l’attore che in data 17.09.06 era presente ad una manifestazione sportiva presso l’impianto sportivo del Comune di Torviscosa “….dove, mentre scendeva lungo una scalinata perimetrale degli spalti, giunto su un gradino bagnato scivolava, tentava prontamente di afferrare il corrimano ma non riusciva ad esercitare un’adeguata presa a causa dell’impossibilità effettiva di stringere il corrimano e per questo cadeva e riportava un trauma al bacino…”.

Si costituiva in giudizio il Comune di Torviscosa, contestando le deduzioni attoree ed, in particolare, rappresentando l’incompatibilità tra quanto affermato dallo stesso D’A.Ma. nel corso del precedente giudizio ex art. 696 bis c.p.c. e quanto affermato nel presente giudizio ed eccependo l’assenza di pericolosità della cosa, l’insussistenza di un nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, la sussistenza del caso fortuito, l’erronea quantificazione dell’eventuale danno astrattamente riconoscibile, nonché l’infondatezza della richiesta di interessi e rivalutazione monetaria. In ogni caso, il Comune convenuto chiedeva ed otteneva l’autorizzazione a chiamare in giudizio la compagnia Assicurativa Un. S.p.A. al fine di ottenere la manleva in caso di condanna.

All’udienza dd. 11.05.17, il Giudice proponeva alle parti costituite (attore e convenuto) di conciliare la causa mediante il pagamento a favore dell’attore della somma di Euro 2.000,00 e la compensazione delle spese, rinviando all’udienza del 26.06.2017 per verificare l’accoglimento della proposta.

Con atto del 22.06.17 si costituiva in giudizio anche Un. S.p.A. associandosi alle difese del Comune di Torviscosa e, in subordine, eccependo l’insussistenza e/o l’inoperatività della polizza azionata.

All’udienza del 26.06.17 il Comune di Torviscosa e la compagnia assicuratrice terza chiamata dichiaravano la disponibilità ad aderire alla proposta conciliativa formulata dal Giudice, mentre parte attrice dichiarava di ritenerla insufficiente e, quindi, e chiedeva l’assegnazione dei termini ex art. 183 c. 6 c.p.c.

Quindi, il Giudice, su richiesta dell’attore, assegnava alle parti i termini per le memorie ex art. 183 c. 6 c.p.c. e fissava l’udienza per la decisione istruttoria al 06.11.17.

Poi, acquisito il fascicolo di ATP R.G. 5956/11 del Tribunale di Udine e ritenuta la causa matura per la decisione, all’udienza del 19.03.18, le parti precisavano le conclusioni e, concessi i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, all’esito la causa era trattenuta in decisione.

2. Così brevemente riassunto il motivo del contendere e lo svolgimento del processo e richiamato il principio della d.c. ragione più liquida (Cass. 12002/14), ritiene il Giudicante che la domanda attorea debba essere rigettata per le ragioni che di seguito si espongono.

Sostanzialmente non contestata tra le parti è la circostanza che il Comune di Torviscosa esercitava sull’impianto sportivo di cui si tratta un potere di custodia.

La fattispecie oggetto di causa trova, allora, corretto inquadramento giuridico nell’ambito della previsione di cui all’art. 2051 c.c.

Sulla disposizione di cui all’art. 2051 c.c., regolante l’ipotesi del danno cagionato da cose in custodia, sono conosciute le contrastanti interpretazioni fomite, specie in passato, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.

Ai fini che qui più rilevano, vale rammentare brevemente, quanto alla reale natura della responsabilità delineata dall’art. 2051 c.c., come si siano confrontate due distinte concezioni teoriche. Taluni, infatti, hanno sostenuto che la norma di cui trattasi regolerebbe un’ipotesi di colpa presunta. Altri, invece, hanno obiettato che il medesimo articolo dovrebbe essere letto come un tipico caso di responsabilità oggettiva.

Sono evidenti, allora, le immediate ricadute sul piano della ripartizione degli oneri probatori derivanti dalla scelta dell’una o dell’altra soluzione interpretativa, anche con riferimento al significato da attribuire al concetto di “caso fortuito”.

Premesso, infatti, che sul danneggiato incomberà pur sempre l’onere di dimostrare lo specifico nesso causale tra la cosa ed il danno lamentato, è chiaro che ove si acceda alla lettura della fattispecie in termini di presunzione di colpa, il custode potrà andare esente da responsabilità anche dimostrando di essersi scrupolosamente attenuto ai propri doveri di controllo, dando così evidenza della propria mancanza di colpa nella verificazione del sinistro all’interno di un giudizio di diligenza (id est, l’avere preso tutte le misure idonee) destinato a risolversi, in pratica, sul piano del raffronto tra lo sforzo dovuto nel caso concreto e la condotta – non rimproverabile – comunque mantenuta (cfr. Cass. 3651/06); per quanti, invece, ritengono che l’art. 2051 c.c. regoli un’ipotesi di responsabilità oggettiva, è altrettanto chiaro come risulti del tutto privo di rilevanza allegare il fatto che il custode abbia tenuto un contegno conforme ai suoi doveri di diligenza e di sorveglianza, dovendo egli provare, piuttosto, che il danno è derivato da caso fortuito, ovvero da quel fattore – naturale od umano – capace di interrompere il nesso causale tra la res e l’evento dannoso (cfr. Cass. 28811/08). Detto caso fortuito, in altri termini, appare configurabile nell’ambito di quelle situazioni di pericolo provocate dagli stessi utenti della res ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (cfr. Cass. 15720/11).

Ciò posto, in ossequio a più recente interpretazione giurisprudenziale in materia (cfr. Cass. 2660/13, 6306/13 e 9726/13) ed attenendosi ad una doverosa interpretazione letterale del testo dell’art. 2051 c.c., del tutto lineare nella sua formulazione, specialmente se confrontato con il diverso tenore di fattispecie contermini (v., ad esempio, l’art. 2050 cod. civ., dove all’esercente attività pericolose è imposta, invece, la “prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”), pare dunque inevitabile, allo stato, privilegiare l’opzione esegetica di quanti sostengono la tesi della natura oggettiva della responsabilità di cui trattasi.

In particolare, in Cass. 9726/13 si legge che: “……… tale tipo di responsabilità è esclusa soltanto dal caso fortuito, fattore che attiene, non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile, non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità, a nulla, viceversa, rilevando che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell’inizio del rapporto di custodia (fra le varie Cass. 19.5.2011 n. 11016; Cass. 12.11.2009 n. 23939; Cass. 19.2.2008 n. 4279; Cass. 10.3.2005 n. 5326). Solo il fatto della cosa è rilevante, e non il fatto dell’uomo. La responsabilità si fonda sul mero rapporto di custodia e solo tale stato di fatto, e non l’obbligo di custodia, può assumere rilievo nella specie.

Il profilo del comportamento del responsabile è di per sé estraneo alla struttura della normativa; né può esservi reintrodotto attraverso la figura della presunzione di colpa per mancata diligenza nella custodia, poiché il solo limite previsto dalla norma in esame è l’esistenza del caso fortuito ed, in genere, si esclude che il limite del fortuito si identifichi con l’assenza di colpa. Va, quindi, affermata la natura oggettiva della responsabilità per danno di cose in custodia (v. per tutte Cass. 4.12.2012 n. 21727; Cass. 19.2.2008 n. 4279). Solo il fortuito esclude la responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c..

Esso va inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (Cass. 13.12.2012 n. 22898; Cass. 22.3.2011 n. 6529; Cass. 24.2.2011 n. 4476; Cass. 7.4.2010 n. 8229). Poiché la responsabilità si fonda, non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione (di custodia) intercorrente tra lo stesso e la cosa dannosa, e poiché il limite della responsabilità risiede nell’intervento di un fattore (il caso fortuito), che attiene, non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito attiene al profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all’elemento esterno, anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.

All’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo; il convenuto per liberarsi dovrà provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale. L’interruzione del nesso di causalità può essere anche l’effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, così da privare dell’efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito (Cass. 8.7.1998, n. 6640; Cass. 7 aprile 1988, n. 2737).

Un corollario di tale principio è la regola posta dall’art. 1227 c.c., comma 1, il quale, nello stesso tempo, da base normativa allo stesso, presupponendolo. La norma prevede la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del danneggiato. La regola di cui all’art. 1227 c.c., va inquadrata nell’ambito del rapporto causale ed è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (v. per tutte Cass. 4.12.2012 n. 21727; Cass. 8.2.2012 n. 1769; Cass. 21.7.2011 n. 15991).

La colpa, cui fa riferimento l’art. 1227 c.c., va intesa, non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all’art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato. La colpa di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, sussiste, non solo in ipotesi di violazione da parte del creditore – danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche nella violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica.

Se tanto avviene in caso di concorso del comportamento colposo del danneggiato nella produzione del danno, per eguale ragione il comportamento commissivo o omissivo colposo del danneggiato, che sia sufficiente da solo a determinare l’evento, esclude il rapporto di causalità delle cause precedenti. Nel caso in cui l’evento di danno sia da imputare esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno si verifica un’ipotesi di caso fortuito, che libera il custode dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.

Il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo, ovviamente, deve essere adeguato alla natura ed alla pericolosità della cosa, sicché tanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente dello stesso (costituente fattore esterno) nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, perciò, la responsabilità del custode…”.

Con attinenza alla fattispecie per cui è causa, si richiama anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui:

“…anche in una fattispecie nella quale trovava applicazione l’obbligo di custodia di cui all’art. 2051 c.c., con diverse e più gravi regole probatorie a carico del danneggiante, questa Corte ha evidenziato che all’obbligo suddetto “fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa”; sicché, quando “la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento” (sentenza 17 ottobre 2013, n. 23584; sul concetto di cosa come occasione dell’evento si veda pure la sentenza 5 dicembre 2008, n. 28811; v. pure la sentenza 26 maggio 2014, n. 11661)” (Cass. 4661/15).

Ebbene, ricostruito rimpianto normativo e giurisprudenziale di interesse, nel caso concreto, ritiene il Giudice che l’attore non abbia neppure allegato lo specifico gradino dove sarebbe scivolato (essendo suo onere – cfr. ex multis Cass. 11526/17 – propedeutico anche alla ammissione delle istanze istruttorie, peraltro anch’esse genericamente formulate dall’attore sul punto, cfr. atto di citazione e seconda memoria ex art. 183 c. 6 c.p.c.) e ciò a fronte della contestazione della ricostruzione delle modalità del fatto, effettuata sia dal Comune di Torviscosa che dalla Compagnia Assicurativa, rappresentandone la incompatibilità con pregresse ricostruzioni dell’incidente, effettuate dallo stesso attore, sulle quali si tornerà oltre.

L’indicazione dell’esatto gradino dove è avvenuta, asseritamente in tesi attorea, la scivolata era tanto più necessaria e fondamentale considerato che il CTU nell’ATP ha chiaramente rappresentato che i gradini dell’impianto sportivo di cui si tratta non sono tutti uguali tra loro e che solo alcuni di essi presentano delle criticità.

In particolare, il CTU in sede di ATP ha specificato che: la tribuna è costituita da 12 gradoni (incluso il primo in basso che ha un’altezza inferiore rispetto a quelli superiori); tali gradoni – ad eccezione del primo per quanto sopra detto che ha un’altezza di cm. 23,50 – hanno un’altezza di cm. 40 ed una larghezza e/o profondità di circa cm. 70; gli accessi agli spalti avvengono mediante 4 rampe di scale realizzate, ciascuna, con l’inserimento di una serie di gradini posti in essere in numero di due tra un gradone e l’altro; complessivamente, tenuto conto che anche il gradone è parte integrante delle scale medesime in quanto costituisce un’alzata e una pedana, il numero dei gradini che le compongono si concreta in n. 34 alzate e n. 35 pedate; i soli scalini costituiti da gradoni sono rivestiti da una lamiera striata risvoltata lungo lo spigolo dello scalino stesso e tale lamiera è scivolosa se bagnata; le alzate dei gradini, invece, presentano un’altezza variabile da un minimo di cm. 12,5 ad un massimo di cm. 16, eccezion fatta per il primo gradino in basso di accesso alle 4 scale che, come già detto, ha un’altezza di cm. 23,5; anche le pedate hanno dimensioni variabili da un minimo di cm. 22,5 ad un massimo di cm. 23,5 (cfr. pg. 5 e 6 della CTU dell’ATP).

Il CTU ha, quindi, concluso che solo il gradino iniziale di ciascuna delle 4 scale, partendo dal basso, presenta un’alzata di cm. 23,5, in contrasto con la normativa di settore, e che solo i gradini rivestiti di lamiera, peraltro solo se bagnati, hanno un grado di scivolosità alquanto accentuato (cfr. pg. 12 e 13 della CTU dell’ATP).

E’, pertanto, evidente che, mancando del tutto l’allegazione circa il gradino sul quale l’attore sarebbe scivolato, resta generica la stessa domanda dell’attore perché non è compiutamente descritta la dinamica dell’incidente, non potendo, di conseguenza neanche essere ammesse prove testimoniali su fatti allegati solo in modo generico.

Ciò è dirimente per escludere la responsabilità del convenuto sia ai sensi dell’art. 2051 c.c. che ai sensi dell’art. 2043 c.c., norma pure invocata dall’attore.

Benché si ritenga assorbente quanto precede, non può non sottolinearsi, peraltro, come anche la generica ricostruzione offerta dall’attore in atto di citazione (“….scendeva lungo una scalinata perimetrale degli spalti, giunto su un gradino bagnato scivolava, tentava prontamente di afferrare il corrimano ma non riusciva ad esercitare un’adeguata presa a causa dell’impossibilità effettiva di stringere il corrimano e per questo cadeva….”) risulta, comunque ed in ogni caso, sconfessata dalle stesse dichiarazioni dell’attore, antecedenti alla redazione dell’atto di citazione.

Invero, nella prima lettera che è stata spedita dall’attore al Comune di Torviscosa per richiedere il risarcimento dei danni di data 05.03.07 (cfr. doc. 2 attoreo), l’attore, a mezzo del suo difensore, ha specificamente individuato la causa della sua caduta nelle sole “ridotte dimensioni dei gradini”.

Altrettanto deve aver riferito l’attore al medico legale di parte, dott. Ro.Va., visto che questi nel suo elaborato dd. 31.05.07 ha specificato che l’attore era scivolato “su uno stretto gradino” (cfr. doc. 3 attoreo).

Anche nel ricorso per ATP dd. 09.11.11 l’odierno attore ha specificato a pg. 1 del ricorso che è caduto “a causa delle ridotte dimensioni dei gradini”. Peraltro, nel ricorso per ATP D’A.Ma. riferiva che stava scendendo in corrispondenza del decimo gradone; tale circostanza (fermo restando che neanche nel ricorso per ATP è stato indicato il gradino sul quale sarebbe scivolato, ma solo il gradone corrispondente a più gradini, cfr. CTU dell’ATP in atti come sopra già scritto) non è più stata riportata dall’attore nel successivo atto di citazione e non sembra affatto un caso, visto che il CTU nell’ATP ha individuato criticità nella dimensione dei soli gradini iniziali di ciascuna delle 4 scale, partendo dal basso (cfr. pg. 12 e 13 della CTU dell’ATP). Nel ricorso per ATP, inoltre, l’attore lamentava anche difetti del corrimano e scivolosità del pavimento che, tuttavia, da un lato, non poneva affatto in nesso di causalità con la sua caduta (espressamente attribuita, per quanto già detto, a pg. 1 del ricorso per ATP, solo alle ridotte dimensioni degli scalini) e che, dall’altro lato, introduceva in sede di ATP per la prima volta rispetto alla precedente versione dei fatti da lui offerta (cfr. doc. 2 e 3 attorei), guarda, anche qui, il caso solo dopo che la relazione peritale del p.i. Ri.Ma. dd. 10.11.08 aveva individuato anche la problematica del “corrimano” e della scivolosità del pavimento (cfr. doc. 12 attoreo).

3. Le spese di lite – liquidate in dispositivo (nei minimi attesa la semplicità della causa e dello svolgimento del processo), tenuto conto del quantum della domanda e della fondatezza della chiamata del terzo da parte del Comune convenuto, essendo stata data prova della copertura (cfr. doc. 1 e 4 di parte convenuta) – seguono la soccombenza come da generale norma.

P.Q.M.

Il Tribunale di Udine, in persona del Giudice dott.ssa Alessia Bisceglia, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così decide:

1. rigetta la domanda attorea;

2. condanna D’A.Ma. a rifondere al Comune di Torviscosa, in persona del legale rappresentante, le spese di causa del presente giudizio che vengono liquidate in Euro 2.097,50 per compensi del difensore, oltre a spese generali (15%), IVA e CNA come per legge;

3. condanna D’A.Ma. a rifondere a Un. S.P.A., in persona del legale rappresentante, le spese di causa del presente giudizio che vengono liquidate in Euro 2.097,50 per compensi del difensore, oltre a spese generali (15%), IVA e CNA come per legge.

Così deciso in Udine il 30 settembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 2 ottobre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.