la condotta dell’avvocato deve considerarsi imperita e va quindi affermata la sua responsabilità allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito “ex ante” e non “ex post”, sulla base dell’esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni ripetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità – in astratto o con riferimento al caso concreto – tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente.

 

Tribunale Milano, Sezione 1 civile Sentenza 25 giugno 2018, n. 7038

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Orietta Stefania Micciche’ ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 6404/2015 R.G. promossa da:

(…) (C.E. (…)) con il patrocinio degli avv. VI.FR. e AL.VA. e con elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. Va.Al. in Milano, Via (…)

ATTRICE

contro:

(…), (C.F. (…)) con il patrocinio di sé medesimo e dell’avv. CO.AL. e con elezione di domicilio presso il proprio studio in Milano, Viale (…)

CONVENUTO

nonché contro:

(…) S.P.A. (P.I. (…)) con il patrocinio dell’avv. AN.SE. e con elezione di domicilio presso lo studio dell’avv. An.Se. in Milano, Via (…);

TERZA CHIAMATA

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) ha convenuto in giudizio l’avv. (…) e, deducendo l’inadempimento di questi nell’espletamento del mandato assunto, ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni.

In particolare, l’attrice ha affermato:

– di aver conferito nel luglio 2013 all’avv. (…) l’incarico di rappresentarla nel procedimento di reclamo avverso il provvedimento del Giudice Tutelare del Tribunale di Monza che aveva nominato amministratore di sostegno di sua madre una figura esterna alla famiglia;

– che l’avv. (…), con atto di reclamo del 22.7.2013, aveva adito la Corte d’Appello di Milano chiedendo parziale modifica del decreto emesso dal Tribunale di Monza in funzione del Giudice Tutelare” di nominare quale amministratore di sostegno (…) in luogo della professionista designata, “rimanendo inalterato il provvedimento nella parte in cui determina i poteri e le attribuzioni dell’amministratore”;

– che la Corte d’Appello di Milano, con decreto del 4.3.2013, aveva dichiarato inammissibile il reclamo, ritenendo la competenza del Tribunale in composizione collegiale, e aveva condannato la reclamante (…) al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 1.500,00.

L’attrice ha censurato la condotta professionale del convenuto sia per l’erronea individuazione del giudice competente del reclamo, sia per la scelta di proporre concretamente un reclamo che appariva privo di possibilità di successo a causa dell’alta conflittualità esistente tra i figli della beneficiaria.

Ha chiesto che il convenuto fosse condannato a risarcirle i danni subiti in conseguenza della negligenza professionale, quantificati nella somma di Euro 5.652,56, comprensiva dell’importo versato a titolo di compenso professionale (Euro 3.749,36) e della somma corrisposta in esecuzione della decisione della Corte d’Appello (Euro 1.903,20).

Si è costituito in giudizio (…), il quale ha contestato integralmente quanto sostenuto dall’attrice. In via preliminare ha eccepito l’erronea qualificazione della domanda risarcitoria e nel merito ha affermato:

– che in sede di valutazione in ordine alla proposizione del reclamo l’attrice aveva sviluppato validi argomenti, sostenendo che la madre di (…) nutriva una preferenza per la figlia;

– che aveva compiutamente informato (…) della complessità della vicenda e che, nonostante questo, ella aveva insistito sulla proposizione del reclamo;

– che l’odierna attrice due settimane prima dell’udienza di discussione gli aveva revocato il mandato senza addurre motivazioni;

– che solo successivamente, accedendo alla comparsa di costituzione depositata dai reclamati, aveva appreso di aver ricevuto da (…) informazioni incomplete ed errate e in particolare di non essere stato reso edotto dell’esistenza di un accordo tra tutti i fratelli avente a oggetto la nomina di un amministratore di sostegno estraneo alla famiglia.

Ha lamentato che la condotta tenuta dalla cliente gli aveva di fatto impedito di svolgere concretamente in udienza le argomentazioni sviluppate nell’atto di reclamo, così compromettendo il buon esito del giudizio. Ha comunque sostenuto la correttezza della propria opera, osservando tra l’atro che la scelta di adire in sede di reclamo la Corte d’Appello doveva al più considerarsi un errore scusabile tenuto conto della giurisprudenza della Suprema Corte e del fatto che la Corte d’Appello aveva ritenuto inammissibile il reclamo solo in base a una diversa interpretazione dell’art. 720 bis c.p.c. e non per manifesta contrarietà della scelta adottata rispetto alla disposizione normativa.

Ha chiesto, dunque, il rigetto delle domande attoree e l’autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia assicurativa (…) al fine di essere garantito in caso di accoglimento delle domande avversarie.

In seguito a chiamata in causa si è costituita in giudizio (…) S.p.A., la quale ha eccepito i limiti di polizza e l’inoperatività della stessa in relazione alle restituzioni. Nel merito ha rilevato l’assenza di profili di responsabilità professionale del convenuto.

Ha quindi chiesto, in via principale, il rigetto delle domande attoree e conseguentemente di quelle formulate nei confronti della compagnia e, in via subordinata, nell’ipotesi di accertamento della responsabilità professionale del convenuto e di sua condanna al risarcimento dei danni in favore dell’attrice, il rigetto della domanda di garanzia per la parte relativa alla restituzione dei compensi professionali.

1. Non pare superfluo rammentare che le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale – in particolare dell’avvocato – sono qualificabili, di regola, come obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera a favore del cliente per raggiungere il risultato desiderato, ma non anche a conseguirlo.

Ne consegue che l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non può essere desunto ipso facto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, bensì deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale e in particolare al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, secondo comma cod. civ. da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata, cosicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che la condotta dell’avvocato deve considerarsi imperita e va quindi affermata la sua responsabilità “allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito “ex ante” e non “ex post”, sulla base dell’esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni ripetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità – in astratto o con riferimento al caso concreto – tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente” (Cass. n. 11906/2016).

Nel caso di specie l’attrice ha addebitato al convenuto di aver errato l’individuazione del giudice competente e di aver proposto un reclamo privo di realistiche possibilità di accoglimento, causandole così un danno patrimoniale consistente nella somma corrisposta in esecuzione della decisione di inammissibilità del reclamo della Corte d’Appello e nella somma versata anticipatamente al convenuto a titolo di compenso professionale.

2. Quanto al primo addebito occorre rammentare che l’art. 720 bis c.p.c. – che disciplina i procedimenti e i provvedimenti in materia di amministratore di sostegno – prevede al secondo comma che contro il decreto del giudice tutelare sia ammesso il reclamo alla corte d’appello a norma dell’art. 739 c.p.c.

L’art. 739 c.p.c., norma generale in materia di reclamo dei decreti del giudice tutelare, prevede la reclamabilità di tali provvedimenti con ricorso al Tribunale.

A fronte di questo scarso coordinamento tra le norme, la Suprema Corte – considerando l’ammissibilità ex art. 720 bis co. 3 c.p.c. del ricorso per cassazione – ha chiarito che la previsione dell’art. 720 bis co. 2 c.p.c. va riferita ai soli provvedimenti aventi carattere decisorio – ovvero i provvedimenti che dispongono l’apertura e la chiusura della procedura di amministrazione -, poiché assimilabili per loro natura alle sentenze emesse in materia di inabilitazione e interdizione e non anche a quelli aventi natura gestoria.

Con sentenza n. 18634/12 la Cassazione – esaminando il provvedimento della Corte d’appello che aveva dichiarato l’inammissibilità del reclamo proposto avverso il decreto del giudice tutelare che aveva rigettato l’istanza di nomina di un amministratore di sostegno – ha affermato che “L’art: 720 bis, secondo comma, cod. proc. civ., nel disciplinare il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, prevede espressamente che il reclamo contro il decreto, con cui il giudice tutelare si pronuncia in ordine alla relativa istanza, sia proposto non dinanzi al tribunale, bensì alla corte d’appello, disposizione che, pertanto, prevale, avendo carattere speciale, su quella generale risultante dagli artt. 739 cod. proc. civ. e 45 disp. att. c.c.”.

In tale contesto di obiettiva ambiguità normativa e tenuto conto della più recente pronuncia a disposizione all’epoca del professionista – che aveva indicato nella Corte d’Appello il giudice competente in caso di reclamo al provvedimento sulla nomina dell’amministratore di sostegno -, deve concludersi che nel 2013, quando il convenuto propose il reclamo avverso il provvedimento di nomina di amministratore di sostegno, residuasse un obiettivo margine di opinabilità sul giudice competente per il reclamo.

La scelta processuale adottata dal convenuto nel giudizio di reclamo dichiarato inammissibile dalla Corte d’Appello di Milano non può quindi ritenersi palesemente erronea ab origine, concretizzandosi essa in un’interpretazione della norma giustificata dal tenore letterale dell’art. 720 bis c.p.c. a stessa e in qualche modo avvalorato da indicazioni offerte della Suprema Corte.

In tale contesto non può ritenersi sussistente l’inadempimento del professionista, risultando la sua condotta conforme alla diligenza qualificata richiesta nell’espletamento dell’incarico dall’art. 1176 co. II c.c.

3. (…) ha altresì addebitato al convenuto di aver proposto reclamo in assenza di possibilità di ottenere un risultato a lei favorevole. L’attrice si è limitata a ricondurre questa ipotesi alla conflittualità esistente tra i figli della beneficiaria.

Va sottolineato che le parti non hanno ritenuto di depositare il provvedimento reclamato, impedendo così una più compiuta valutazione delle ragioni del reclamo.

Dalla lettura dell’atto di reclamo predisposto dall’avv. (…), si evince che il difensore, non trascurò la situazione di conflittualità presente tra i fratelli e sottopose all’attenzione del giudice del reclamo significativi elementi a favore della nomina di (…) quale amministratrice di sostegno della madre.

Nel quadro tratteggiato dall’avvocato, (…) emergeva come la figlia più prodiga nella cura dell’anziana madre e a questa legata da un forte e reciproco legame affettivo, mentre gli altri figli venivano descritti come disinteressati e inclini a delegare i compiti operativi concernenti l’assistenza della madre alla sorella, per la quale, dunque, la nomina ad amministratore di sostegno avrebbe rappresentato solo la formalizzazione di un ruolo già svolto spontaneamente nella vita quotidiana. Il difensore aveva altresì sottolineato che questo sarebbe stato il desiderio della madre che avrebbe preferito certamente la figlia a un’estranea.

Tali argomenti erano certamente degni di ulteriore attenzione da parte del giudice del reclamo e di essere valutati positivamente. Occorre in proposito tener presente che il criterio fondamentale che il giudice deve seguire nella scelta dell’amministratore di sostegno è quello che riguarda la cura e gli interessi della persona beneficiata, per il cui perseguimento gli è assicurata un’ampia facoltà di valutazione (cfr. Cass. n. 6861/2013).

In tale contesto e tenuto conto del margine di discrezionalità insita in una decisione quale quella che individua l’amministratore di sostegno, non può dirsi – con una valutazione ex ante – che l’avv. (…) abbia adottato una scelta difensiva chiaramente sbagliata o comunque del tutto priva di possibilità di accoglimento.

Neppure con riferimento alla scelta di proporre reclamo può dunque affermarsi che (…) abbia agito senza rispettare il parametro della diligenza qualificata richiesto dall’art. 1176 co. II c.c.

4. In definitiva va escluso che nell’adempimento del proprio incarico professionale l’avv. T. abbia agito in senso contrario alla diligenza del professionista e dunque che allo stesso possa essere addebitata la responsabilità con riferimento alle conseguenze della proposizione del reclamo.

Le domande risarcitorie formulate dall’attrice vanno quindi respinte in quanto infondate.

Atteso il rigetto delle domande attoree, non vi è la necessità di valutare la domanda di garanzia e quindi di esaminare le difese di (…) S.p.A., che comunque non ha contestato la sussistenza della garanzia assicurativa a favore dell’avv. (…).

5. Alla soccombenza segue la condanna dell’attrice alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, al convenuto e a (…) S.p.A., legittimamente chiamata in causa dallo stesso.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza, difesa, eccezione, deduzione disattesa:

– respinge le domande risarcitorie proposte da (…) nei confronti dell’avv. (…);

– condanna (…) a rifondere all’avv. (…) le spese del giudizio, liquidate – ex D.M. n. 55 del 2014 – in complessivi Euro 4.835,00 per compensi oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CPA

– condanna (…) a rifondere a (…) S.p.A. le spese del giudizio, liquidate – ex D.M. n. 55 del 2014 – in complessivi Euro 4.835,00 per compensi oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CPA.

Così deciso in Milano il 21 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.