la responsabilità dei genitori a norma dell’art. 2048 c.c. configura una forma di responsabilità diretta, per fatto proprio, cioè per non avere, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso, ed è fondata sulla colpa dei genitori, peraltro presunta. Inquadrata la responsabilità ex art. 2048 come ipotesi di responsabilità diretta dei genitori per il fatto illecito commesso dai figli minori, si comprende perché, ai fini della sua concreta applicazione, non è sufficiente la semplice commissione del detto illecito, ma è altresì necessaria una condotta direttamente ascrivibile ai medesimi, che si caratterizzi per la violazione dei precetti di cui all’art. 147 c.c., e rispetto alla quale, in seno alla struttura dualistica dell’illecito, lo stesso fatto del minore, nella sua globalità, rappresenta il correlato evento giuridicamente rilevante. Di tale responsabilità, configurabile soltanto a titolo di colpa (poiché, in caso di condotta dolosa, le conseguenze, penali e civili, risulterebbero diversamente disciplinate, ex art. 111 e 185 c.p.), può legittimamente predicarsi la sussistenza, diversamente da quanto previsto, in via generale, dall’art. 2043 c.c., solo in presenza di una forma di colpa cd. specifica, non essendo, all’uopo, sufficiente una colpa soltanto generica, attesa anche la previsione di una “praesumptio iuris tantum” della sua esistenza, così che il genitore potrà dirsi liberato soltanto attraverso la positiva dimostrazione di una rigorosa osservanza dei precetti di cui al menzionato art. 147 c.c. Ai sensi dell’art. 147 c.c., infatti, sui genitori incombe l’obbligo non solo di mantenere, ma anche di istruire e di educare i figli, esercitando quindi su di questi la necessaria vigilanza.

Tribunale Rieti, civile Sentenza 13 aprile 2019, n. 312

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI RIETI

SEZIONE CIVILE

Il Giudice, in persona del dott. Raffaello Scarpato, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile iscritto al n. 2505/2013 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all’udienza del 25.09.2018 e promosso da:

(…) e (…), con il patrocinio dell’avv. Alessandro Papadia, che li rappresenta e difende come da mandato in atti

ATTORI

contro

(…) e (…), rappresentati e difesi dall’Avv. Lu.Ch., che li rappresenta e difende come da mandato in atti

CONVENUTI

FATTO E DIRITTO

con atto di citazione, notificato in data 17.12.2013, (…) e (…), in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul minore (…), convenivano in giudizio (…) e (…) in proprio e nella qualità di genitori e legali rappresentanti del minore (…).

Esponevano gli attori che in data 17.07.2011, presso la loro abitazione, (…), correndo, urtava lo sgabello su cui era seduto (…), facendolo cadere per terra e che a seguito della caduta il minore riportava lesioni fisiche trattate chirurgicamente presso l’Ospedale Bambino Gesù di Roma con esiti permanenti valutati in termini di danno biologico nella misura del 14% di IP e 40 gg. di ITT, 20 gg. di ITP al 50% e gg. 20 di ITP al 25% come da perizia allegata in atti; Ciò posto gli attori asserivano che la rovinosa caduta era da imputare alla responsabilità diretta del minore (…), il quale con la sua condotta aveva cagionato la caduta del bambino, nonché a una concorrente responsabilità dei genitori (ex art. 2048 c.c. ovvero ex art. 2047 c.c.) i quali avevano omesso qualsivoglia precauzione e o vigilanza al fine di evitare il sinistro.

Ciò posto gli attori rassegnavano le seguenti conclusioni:

“accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2043 cc del Sig. (…) nella causazione del sinistro occorso al minore (…) in data 17.07.2011, alle ore 10,45 circa, presso l’abitazione di (…) e (…), nonché accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2048 cc. di (…) e (…), quali genitori di (…) e per l’effetto condannare i convenuti in proprio e nella loro qualità di genitori e legali rappresentanti di (…) al risarcimento di tutti i danni subiti dal minore (…) e di cui alla specifica delle singole voci descritte in premessa, nella misura che verranno accertati e quantificati in corso di causa a mezzo perizia medico legale e/o equo apprezzamento del giudice, oltre al pagamento delle spese mediche pari ad Euro 1.500,00 rivalutazione monetaria ed interessi dal dovuto fino all’effettivo soddisfo, nonché condannare i convenuti, in solido fra loro, al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dai sigg.ri (…) e (…) da liquidarsi in via equitativa;

in subordine accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2043 c.c. del minore (…) c.c. nella causazione del sinistro occorso al minore (…), in data 17.07.2011, alle ore 10,45 circa, presso l’abitazione di essi attori, e per l’effetto condannare i convenuti in solido tra loro ex art. 2047 c.c., quali genitori del sig. (…) al risarcimento di tutti i danni subiti dal minore (…) e di cui alla specifica delle singole voci descritte in premessa, nella misura che verranno accertati e quantificati in corso di causa a mezzo perizia medico legale e/o equo apprezzamento del giudice, oltre al pagamento delle spese mediche pari ad Euro 1.500,00 rivalutazione monetaria ed interessi dal dovuto fino all’effettivo soddisfo, nonché condannare i convenuti, in solido fra loro, al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dai sigg.ri (…) e (…) da liquidarsi in via equitativa; con vittorio di spese e compensi di giudizio, oltre IVA e CPA come per legge, da distrarsi a favore del procuratore dichiaratosi antistatario”.

All’udienza del 18.11.2014 il giudice pro tempore assegnatario del fascicolo dichiarava la contumacia dei convenuti, i quali tuttavia si costituivano successivamente, opponendosi alle richieste attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto, eccependo in particolare la nullità della domanda per incertezza della causa petendi, sostenendo peraltro che il sinistro si era verificato per una causa del tutto fortuita e non imputabile né al minore G., né ai di lui genitori, ma semmai allo stesso danneggiato ed agli stessi attori per omessa vigilanza.

Inoltre, i convenuti si opponevano alle richieste risarcitorie formulate dagli attori in quanto eccessive in tema di quantum del danno biologico e prive di riscontro con riferimento al lamentato danno morale, esistenziale ed alla lesione della capacità lavorativa generale specifica.

Ciò posto, i convenuti rassegnavano le seguenti conclusioni:

” 1) – In via preliminare ed assorbente per le ragioni esposte in premessa dichiarare nulla la domanda formulata da essi attori;

2) – nel merito, rigettare, comunque, le pretese avanzate dagli attori in proprio e nelle qualità di genitori e legali rappresentanti del minore (…) nei confronti dei Sigg.ri . (…) e (…) in quanto del tutto infondate in fatto e in diritto;

3) in linea gradata accertato e dichiarato che l’ evento di cui è causa si è verificato per caso fortuito e comunque per colpa esclusiva del minore (…) e /o dei genitori di quest’ultimo, (…) e (…), responsabili in proprio e/o quali rappresentanti legali del figlio minore, per l’effetto rigettare le domande tutte formulate da essi attori;

4) in linea ancor più gradata accertato e dichiarato che l’ evento di cui è causa si è verificato per colpa prevalente ovvero concorrente del minore (…) e /o dei genitori di quest’ultimo, (…) e (…), responsabili in proprio e/o quali rappresentanti legali del figlio minore, per l’effetto ridurre comunque le pretese risarcitorie in base al grado di concorso di colpa che verrà accertato e, comunque, ridurre le stesse a più equa misura”.

La causa veniva istruita e venivano ammesse le prove per interpello dei convenuti, i quali tuttavia non si presentavano all’udienza fissata per rendere l’interrogatorio formale. In particolare, all’udienza del 11.10.2016 il procuratore dei convenuti esibiva dichiarazione della sola (…), la quale esponeva di non potersi recare in udienza per questioni lavorative. Veniva inoltre disposta CTU medico legale in relazione ai fatti di causa e nominato ausiliario del giudice la Dottoressa A.D., la quale depositava la propria relazione peritale in data 22.03.2017. Esaurita la fase istruttoria la causa veniva quindi trattenuta per la decisone.

La domanda è fondata e va accolta nei seguenti limiti.

Gli attori hanno dedotto che in data 17.07.2011 il figlio dei convenuti (…), correndo all’interno dell’abitazione dei primi, urtava lo sgabello su cui era seduto (…), il quale cadeva per terra riportando un trauma al gomito sinistro, con le conseguenze pregiudizievoli specificate in atti. Pertanto, gli attori hanno invocato la responsabilità ex art. 2043 c.c. di (…) nella causazione del sinistro occorso a (…) in data 17.07.2011 e la responsabilità ex art. 2048 c.c. (ed in via subordinata ex art. 2047 c.c.) dei convenuti, in qualità di genitori di (…).

Va premesso che il fatto storico oggetto di causa deve ritenersi provato secondo la ricostruzione sostenuta dagli attori, non avendo la parte convenuta contestato la dinamica del sinistro, ma essendosi la stessa limitata a sostenere che la caduta del danneggiato dallo sgabello non poteva ritenersi imputabile a fatto colposo di (…), ma che il sinistro si era verificato per un caso fortuito e, dunque, per causa non imputabile al danneggiate.

Peraltro, in corso di causa è stata prodotta scrittura sottoscritta da (…), non disconosciuta dai convenuti, che ricostruisce il fatto storico in conformità alle asserzioni attoree; inoltre, i convenuti non si sono presentati, senza che ricorresse alcun giustificato motivo, all’interrogatorio formale vertente proprio sulla dinamica del sinistro ed infine, dalla CTU depositata in atti, è emerso che tra l’evento traumatico in questione e gli esiti evidenziati nel corso dell’accertamento peritale medico legale vi è nesso di causalità.

Ciò posto in punto di fatto, venendo all’ inquadramento giuridico della fattispecie, va rilevato che trova applicazione al caso di specie l’art. 2043 c.c. con riferimento alla condotta del danneggiante (…) e l’art. 2048 c.c. quanto alla responsabilità dei genitori di questi, odierni convenuti.

Va premesso che la responsabilità del genitore, per il danno cagionato da fatto illecito del figlio minore, trova fondamento, a seconda che il minore sia o meno capace di intendere e volere al momento del fatto, rispettivamente nell’art. 2048 c.c., in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di educazione ovvero nell’art. 2047 c.c., in relazione ad una presunzione iuris tantum di difetto di sorveglianza e di vigilanza. Le indicate ipotesi di responsabilità presunta pertanto, sono alternative – e non concorrenti – tra loro, in dipendenza dell’accertamento, in concreto, dell’esistenza di quella capacità (Cassazione civile sez. III, 25/03/1997, n.2606).

Orbene, è evidente che la questione attinente all’applicazione dell’art. 2047 c.c., ovvero dell’art. 2048 c.c., ruota intorno alla possibilità di riconoscere in capo al minore danneggiante la capacità di intendere e di volere di cui all’art. 2046 c.c. e, con essa, il presupposto per l’imputazione della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c..

A norma dell’art. 2046 c.c., compete al giudice civile accertare caso per caso, se, in relazione all’età, allo sviluppo psico-fisico, alle modalità del fatto o ad altre ragioni, debba escludersi o meno la capacità di intendere o di volere del minore danneggiante.

Come affermato dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 2425/1975), in tema di imputabilità del fatto dannoso opera, nel campo civile, un sistema diverso ed autonomo rispetto a quello previsto dal legislatore per l’imputabilità nel campo penale, laddove è la stessa legge che fissa le cause che la escludono, mentre, a norma dell’art. 2046 c.c., compete al giudice civile accertare caso per caso, se, in relazione all’età, allo sviluppo fisico-psichico, alle modalità del fatto o ad altre ragioni, debba escludersi o meno la capacità di intendere o di volere.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato che per affermare o escludere la capacità di intendere e di volere di un minore d’età, autore di un fatto illecito, il giudice di merito non è tenuto a compiere una indagine tecnica di tipo psicologico quando le modalità del fatto e l’età del minore siano tali da autorizzare una conclusione in un senso o nell’altro (Cassazione civile sez. III, 19/11/2010, n.23464).

Ebbene, ritiene questo giudice che nel caso di specie debba riconoscersi in capo a (…) la capacità di intendere e di volere al momento del fatto e ciò in ragione dell’età di tredici anni del minore ed in quanto non risultano allegati agli atti di causa elementi tali da dover escludere il normale sviluppo psicofisico dello stesso, che possano far escludere la capacità di orientarsi in maniera consapevole e di comportarsi in maniera idonea ad evitare di arrecare danno a terzi.

Ciò posto, il minore (…) va ritenuto capace di intendere e di volere ed il fatto da questi posto in essere deve peraltro essere ritenuto un fatto colposo, che ha cagionato a (…) un danno ingiusto, con piena applicazione dell’art. 2043 c.c., del quale ricorrono tutti gli elementi, avendo il danneggiato provato: il danno evento; il nesso di causalità tra il comportamento addebitato al danneggiante e il fatto dannoso; il danno ingiusto, inteso come fatto dannoso lesivo di una posizione o di un interesse tutelati dall’ordinamento; la colpa del danneggiante, intesa come obiettiva assenza di prudenza, al cui rispetto il soggetto deve improntare la propria condotta anche nei rapporti della vita comune di relazione (Cass. n. 18304/2014).

Tanto premesso deve ulteriormente rilevarsi che in caso di fatto illecito commesso da un minore, la responsabilità dell’autore materiale dell’evento dannoso trova il proprio titolo nell’art. 2043 c.c., mentre quella dei genitori del minore deve essere ricondotta nell’alveo applicativo dell’art. 2048 c.c., che, in deroga alla regola generale di cui all’art. 2043 c.c., prevede, secondo la giurisprudenza più recente, una forma di responsabilità presunta.

Va premesso che la responsabilità dei genitori a norma dell’art. 2048 c.c. configura una forma di responsabilità diretta, per fatto proprio, cioè per non avere, con idoneo comportamento, impedito il fatto dannoso, ed è fondata sulla colpa dei genitori, peraltro presunta (Cass. n. 20322/2005).

Inquadrata la responsabilità ex art. 2048 come ipotesi di responsabilità diretta dei genitori per il fatto illecito commesso dai figli minori, si comprende perché, ai fini della sua concreta applicazione, non è sufficiente la semplice commissione del detto illecito, ma è altresì necessaria una condotta direttamente ascrivibile ai medesimi, che si caratterizzi per la violazione dei precetti di cui all’art. 147 c.c., e rispetto alla quale, in seno alla struttura dualistica dell’illecito, lo stesso fatto del minore, nella sua globalità, rappresenta il correlato evento giuridicamente rilevante. Di tale responsabilità, configurabile soltanto a titolo di colpa (poiché, in caso di condotta dolosa, le conseguenze, penali e civili, risulterebbero diversamente disciplinate, ex art. 111 e 185 c.p.), può legittimamente predicarsi la sussistenza, diversamente da quanto previsto, in via generale, dall’art. 2043 c.c., solo in presenza di una forma di colpa cd. specifica, non essendo, all’uopo, sufficiente una colpa soltanto generica, attesa anche la previsione di una “praesumptio iuris tantum” della sua esistenza, così che il genitore potrà dirsi liberato soltanto attraverso la positiva dimostrazione di una rigorosa osservanza dei precetti di cui al menzionato art. 147 c.c. (Cass. n. 9815/1997; C4945/1997; Cass. n. 5957/2000).

Ai sensi dell’art. 147 c.c., infatti, sui genitori incombe l’obbligo non solo di mantenere, ma anche di istruire e di educare i figli, esercitando quindi su di questi la necessaria vigilanza.

Conseguenza di tali premesse è il peculiare atteggiarsi del riparto dell’onere probatorio nei giudizi di responsabilità ex art. 2048 c.c., ben compendiato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato che sul danneggiato incombe solo l’onere di provare che il fatto illecito sia stato commesso dal minore ed il danno subito, mentre i genitori, per sottrarsi alla presunzione di responsabilità a loro carico, devono provare di non avere potuto impedire il fatto, intendendosi tale onere probatorio come onere di fornire la positiva dimostrazione dell’osservanza dei precetti imposti dall’art. 147 c.c. relativo ai doveri verso i figli, tra i quali quello di educare la prole (Cass. n. 15149/2004).

E’ dunque necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la prova legislativamente predeterminata di non avere potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di avere impartito al figlio una buona educazione e di avere esercitato su di lui una vigilanza adeguata, i tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore (Cass. n. 20332/2005).

Sul punto è stato peraltro efficacemente rilevato che l’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore può essere ritenuta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 c.c. (Cass. n. 10357/2000; Cass. n. 20332/2005).

Tanto premesso, deve in ogni caso ulteriormente precisarsi che il dovere di vigilanza deve essere inteso in senso relativo e non assoluto, sicché non occorre affatto dimostrare una ininterrotta e personale presenza del genitore accanto al figlio minorenne, allorchè, avuto riguardo, da un canto, all’età del minore in relazione alla sua indole e al conveniente grado di educazione e di maturazione raggiunto, e, dall’altro, alle caratteristiche dell’ambiente in cui viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore stesso con la vita esterna alla famiglia, facendo ragionevolmente presumere che non siano fonte di pericolo per il predetto e per i terzi (Cass.30-10-1984 n.5564).

Orbene, nel caso in esame, gli attori hanno assolto il proprio onere probatorio, dimostrando il fatto illecito commesso dal minore ed il danno subito, mentre i convenuti non hanno fornito la prova liberatoria di non avere potuto impedire il fatto, su di essi incombente, non avendo gli stessi allegato alcun elemento né alcuna difesa utile a dimostrare di avere impartito al figlio una buona educazione e di avere esercitato su di esso una vigilanza adeguata.

La responsabilità di (…) e di (…) ex art. 2048 c.c. deve dunque ritenersi provata.

In punto di quantum debeatur va premesso, quanto ai danni risarcibili, che questo Tribunale condivide l’orientamento espresso dalle Sezioni unite n. 26972/2008, secondo cui il risarcimento del danno alla persona ha struttura bipolare, ossia di danno patrimoniale e non patrimoniale e che quest’ultimo comprende il danno biologico in senso stretto (inteso come lesione all’integrità psicofisica della persona), il danno morale come tradizionalmente inteso (inteso come sofferenza morale, non necessariamente transeunte, turbamento dello stato d’animo del danneggiato), nonché tutti quei pregiudizi diversi e ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto ovvero di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.

Danno biologico, morale, esistenziale integrano solo voci o profili di danno, con contenuto descrittivo, considerando che, attesa la natura e la funzione puramente risarcitoria della responsabilità aquiliana, deve essere liquidato tutto il danno, evitando la duplicazione dello stesso (cfr. sul principio dell’integralità del risarcimento e, tuttavia, del carattere unitario della liquidazione anche Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361; sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950, sez. III, sent. 20 novembre 2012, n. 20292).

L’ampia nozione di danno non patrimoniale desumibile dall’interpretazione costituzionalmente orientata dall’art. 2059 c.c. impone la considerazione di tutte le singole conseguenze pregiudizievoli (c.d. danno -conseguenza) derivanti dalla lesione dell’interesse ( danno -evento o danno ingiusto) e, pertanto, non solo le mere sofferenze psichiche che venivano in passato qualificate come danno morale c.d. soggettivo, ma anche le ripercussioni sull’esistenza delle persone, con riguardo al “non poter più fare”, ricondotte in passato sotto le categorie del danno biologico o del danno esistenziale.

Il principio secondo il quale vanno evitate con cura tutti i rischi di duplicazioni risarcitorie, ossia il rischio di risarcire due volte la stessa conseguenza pregiudizievole, ossia lo stesso danno , mediante l’espediente di definirlo in modo diverso (sul punto vedasi Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2011, n. 15373; Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2011, n. 14263) deve essere correttamente inteso ed infatti la Suprema Corte è ripetutamente tornata sul punto, chiarendo che “Il danno biologico, il danno morale ed il danno alla vita di relazione rispondono a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo, che può causare, nella vittima e nei suoi familiari, un danno medicalmente accertato, un dolore interiore e un’alterazione della vita quotidiana, sicché il giudice di merito deve valutare tutti gli aspetti della fattispecie dannosa, evitando duplicazioni, ma anche “vuoti” risarcitori” (Così Cass n. 19402 del 22/08/2013).

Pertanto, nell’ambito della suddetta dicotomia danno non patrimoniale/danno patrimoniale può dirsi che la categoria del danno non patrimoniale può risultare composta da una somma di pregiudizi o “voci” risarcitorie che, benché non possano assurgere ad autonome categorie, devono essere tutte considerate ai fini della liquidazione integrale del danno.

Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce pur sempre danno conseguenza e come tale deve essere sempre allegato e provato.

La lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale “in re ipsa”, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, il quale va allegato e provato, anche attraverso presunzioni semplici e ciò sia nel caso in cui tale pregiudizio venga qualificato come danno morale, sia nel caso in cui venga qualificato come danno esistenziale (cfr., da ultimo, Cass. civile sez. III, 10/05/2018, n.11269).

Facendo applicazione degli esposti principi al caso di specie, occorre considerare, quanto al danno non patrimoniale, che con la C.T.U. medico legale espletata in corso di giudizio è stato accertato che la vittima, in conseguenza dell’infortunio per cui è causa, ha subito un danno biologico permanente (comprensivo anche del pregiudizio estetico determinato dall’esito cicatriziale e dal lieve dismorfismo dell’arto) nella misura del sette per cento (7%), da cui è derivato un periodo di inabilità temporanea assoluta di giorni quaranta (gg.40) ed un periodo di invalidità relativa al 50% di giorni venti (gg.20).

Ciò posto, il Tribunale ritiene di dover procedere al calcolo del danno non patrimoniale corrispondente alle valutazioni in punto di invalidità operate dal CTU adoperando il consolidato strumento delle Tabelle del tribunale di Milano, edizione 2018.

Sul punto si richiama il noto arresto della Corte di cassazione (Cass. 12408/2011) secondo il quale “la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell’integrità psico-fisica presuppone l’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto”.

Pertanto, con riferimento al danno non patrimoniale riferibile alla sfera fisiopsichica dell’infortunato, sulla scorta delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano (aggiornate all’anno 2018), il risarcimento del danno non patrimoniale spettante a (…) ammonta complessivamente ad Euro 20.264,00.

Detto importo, derivante dalla tabella dei valori monetari “medi” del Tribunale di Milano, esprime la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute, mediante il riferimento a valori corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini “standardizzabili” in quanto frequentemente ricorrenti, sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva.

L’importo citato non comprende, invece, l’ulteriore personalizzazione prevista dalle Tabelle milanesi, che individuano una ulteriore percentuale di aumento dei valori medi, da utilizzarsi solo laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato (cfr. i criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale dell’Osservatorio della giustizia civile di Milano, ed. 2018).

Detta ulteriore personalizzazione, pertanto, non può operare automaticamente, ma è subordinata ad una prova specifica che incombe sul danneggiato, il quale dovrà allegare elementi idonei a dimostrare una sofferenza, ovvero uno sconvolgimento delle abitudini di vita che trascendano l’id quod plerumque accidit in riferimento alle conseguenze pregiudizievoli del danno.

Nel caso di specie, la parte attrice non ha fornito alcun elemento da cui desumere, seppur in via presuntiva, l’esistenza e la consistenza di danni morali o “esistenziali” ulteriori rispetto a quelli già inglobati nell’importo derivate dall’applicazione dei valori “medi” delle tabelle, tali da determinare una personalizzazione ulteriore del danno biologico mediante le percentuali all’uopo predisposte, limitandosi invece ad affermazioni di principio sfornite da qualsiasi elemento di pratico riscontro.

Quanto al danno patrimoniale, spettano all’attore le spese mediche ritenute dal CTU connesse con l’evento traumatico subito e, in particolare, Euro 1.134,00, non essendo invece prospettabile alcuna spesa medica futura, come indicato dalla CTU in atti.

Sugli importi, trattandosi di risarcimento del danno e, dunque, di debito di valore, sono riconosciuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.

In particolare, sulla somma dovuta a titolo di danno patrimoniale, liquidata in sostanza con riferimento all’epoca del fatto, spettano gli interessi legali e la rivalutazione dal giorno dell’illecito, vale a dire dal 17.07.2011, con gli interessi calcolati sulla stessa somma via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza.

Sulla somma dovuta a titolo di danno non patrimoniale, liquidata invece ai valori monetari attuali e già rivalutata ad oggi, spettano i soli interessi legali dal 17.07.2011 calcolati sulla sorte capitale svalutata a tale data e via via rivalutata anno per anno, il tutto secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza.

Non spetta l’invocato danno da perdita del rapporto familiare, che è stato chiesto in proprio dagli attori, richiamando una massima giurisprudenziale della Suprema Corte, ma che risulta nel caso di specie sfornito di qualsiasi evidenza probatoria. Sul punto, è sufficiente rilevare che il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi “in re ipsa”, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (cfr. tra le moltissime, Cassazione civile , sez. III , 13/05/2011 , n. 10527).

Non spetta, infine, l’invocato danno da riduzione della capacità lavorativa generica e specifica del minore.

Sul punto si precisa che il danno da incapacità lavorativa generica è un danno patrimoniale, in quanto ciò che rileva non è tanto la menomazione dell’integrità psico-fisica, risarcibile sotto la voce del danno biologico, ma la futura, diminuita capacità di produzione di reddito, concetto ontologicamente diverso dal primo.

Al fine della liquidazione del danno in argomento è necessario che sia provato in concreto che la vittima abbia perduto, almeno in parte, la capacità di guadagno o ne abbia subito, una sia pur minima compromissione, prova che nella specie è mancata perchè non offerta dagli attori né altrimenti emersa dall’istruttoria svolta in primo grado e non potendo il giudice procedere autonomamente ad accertare in via presuntiva la perdita patrimoniale occorsa alla vittima e procedere alla sua valutazione in via equitativa.

Ed infatti, nel caso di specie, seppure il CTU abbia precisato che “residuano postumi permanenti che si sostanziano in esiti algo-disfunzionali a carico del gomito sinistro con ectasia ossea del gomito e deviazione in valgismo dell’arto”, lo stesso ha quantificato il danno biologico da invalidità permanente in una percentuale oggettivamente ridotta (7%), dalla quale non può desumersi che in futuro il danneggiato percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’evento lesivo.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Vanno altresì poste definitivamente a carico delle parti convenute le spese di C.T.U.

P.Q.M.

il Tribunale di Rieti, definitivamente pronunziando sulla domanda in epigrafe, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede:

– dichiara la responsabilità di (…) ex art. 2043 c.c., nonché la responsabilità ex art. 2048 c.c., solidalmente, dei genitori di questi, (…) e (…), in ordine sinistro per cui è causa;

– condanna, (…) e (…), in qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale su (…) al pagamento in favore di (…), in giudizio in persona dei genitori (…) e (…), della somma di Euro 1.134,00, oltre interessi legali e rivalutazione dal 17.07.2011, con gli interessi calcolati sulla somma di Euro 1.134,00, via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza;

– condanna (…) e (…) in qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale su (…) al pagamento in favore di (…) in giudizio in persona dei genitori (…) e (…), della somma di Euro 20.264,00, oltre interessi legali calcolati sulla somma di Euro 20.264,00 svalutata al 17.07.2011 e via via rivalutata anno per anno, il tutto secondo gli indici Istat, fino alla data del deposito della presente sentenza;

– condanna (…) e (…) a rifondere all’attore le spese di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.890,00 per compensi, oltre spese generali e accessori come per legge ed in Euro 550,0 per diritti ed esborsi, da distrarsi a favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

– pone definitivamente a carico delle parti convenute in solido le spese di C.T.U.

Così deciso in Rieti il 12 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.