Responsabilità dell’avvocato per aver instaurato una causa quando i termini di prescrizione erano decorsi.

Sebbene l’obbligazione contratta dall’avvocato nell’esercizio della propria attività sia un’obbligazione di mezzi e non di risultato, l’accertamento di un’eventuale prescrizione è da considerare dall’esercente la professione legale adempimento rutinario, preliminare già all’iniziale sommaria disamina degli elementi essenziali della questione affidatagli.
Ne consegue che la mancata percezione di una situazione di prescrizione costituisce un’ipotesi di ignoranza di istituti elementari ovvero di incuria o di imperizia, suscettibile di configurare la responsabilità del professionista per inadempimento dell’obbligazione assunta.
Nei casi aventi ad oggetto la prescrizione non rilevata dal professionista o non adeguatamente trattata con il cliente, il professionista, infatti, deve porre in grado il cliente di decidere consapevolmente, sulla base di una adeguata valutazione di tutti gli elementi favorevoli ed anche di quelli eventualmente contrari ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi connessi all’attività richiesta al professionista medesimo.

 

 

Tribunale Roma, Sezione 13 civile Sentenza 21 marzo 2018, n. 6026

Data udienza 20 marzo 2018

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA

TREDICESIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, in persona della Dott.ssa Annalisa Chiarenza, nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 50088 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014, posta in deliberazione all’udienza di precisazione delle conclusioni del 7.11.2017 e vertente

TRA

(…), elettivamente domiciliato in Roma, Via (…), presso lo studio dell’Avv. St.Vi., che lo rapp.ta e difende giusta procura in atti

ATTORE

E

Avv. (…), elettivamente domiciliato in Roma, Via (…), presso lo studio dell’Avv. Lu.Fe., che lo rappresenta e difende giusta procura in atti

CONVENUTO

Oggetto: responsabilità professionale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il presente giudizio è stato instaurato dall’attore onde sentire accertare e dichiarare che la sentenza del 23 agosto 2012, n. 16608 del 23 agosto 2012, pubblicata il 19 settembre 2012, dal Tribunale civile di Roma, con cui è stata rigettata la domanda risarcitoria proposta dal (…) nei confronti della (…) e del Condominio di Via (…), 60 “è stata determinata dal mancato rispetto dei termini decadenziali e che detto fatto è ascrivibile a responsabilità professionale dell’Avv. (…) e, per l’effetto, condannarlo alla restituzione delle spese sostenute per il giudizio patrocinato dall’Avv. (…), nonché al risarcimento del danno patrimoniale subito in conseguenza della soccombenza processuale di quel giudizio nel quale svolse la sua opera l’Avv. (…) pari ad Euro 905,53 e del danno non patrimoniale da perdita di chance quantificabile in via equitativa in Euro 4.200”.

Si è costituito l’avv. (…) esponendo quanto segue. La (…) S.r.l., in qualità di superficiaria, aveva realizzato in R., Via A. da G., 60, un parcheggio interrato, costituito da un’autorimessa per vetture posta su due livelli, ed in data 26 giugno 2000 aveva venduto al (…) per atto rogato dal Notaio I., il diritto di superficie sul locale box sito in R., Via A. da G., 60, al piano primo seminterrato, distinto con il numero interno 4. Trascorsi soltanto alcuni mesi dalla consegna dei suddetti locali, i sigg.ri (…) e (…) (il primo, unico contraddittore nel presente giudizio) avevano notato anomale macchie di umidità formatesi sui soffitti dei box appena acquistati, prontamente denunciate. Quanto al (…), a seguito di sopralluogo del 18.7.2000, la (…) aveva riconosciuto la propria responsabilità dei danni accollandosi la riparazione sul soffitto e concedendo medio termine al (…) l’uso del box 97. Tale utilizzo si era protratto sino al marzo 2001. Sussistendo le infiltrazioni già denunciate, in data 9 aprile 2001 il (…) aveva contestato – a ministero dell’Avv. (…) – alla (…) S.r.l. i vizi dell’opera e le innumerevoli infiltrazioni. Ad ogni modo, anche tale seconda contestazione si era conclusa nel mese di maggio 2001 con la riconsegna del box n. 97 e con una sistemazione parziale del box n. 4, il tutto mediante sottoscrizione di un verbale ove le parti avevano precisato:

“Il sig. (…) preso atto che gli interventi richiesti dallo stesso il giorno 3 maggio 2001, costituiti dalla stuccatura dell’intero soffitto, verniciatura del soffitto, sostituzione della rete di areazione, sistemazione della basculante e riallocazione punto luce nonché saldatura della griglia di areazione si dichiara soddisfatto delle attuali condizioni del box 4. La (…) dichiara di aver effettuato tali interventi, senza che ciò rappresenti riconoscimento di responsabilità, ai soli fini di una bonaria soluzione…”

Peraltro la (…) aveva riconosciuto la propria responsabilità per i danni causati alla vettura del (…) versando, il 28 maggio 2001, la somma pari ad Euro 353.400 quale rimborso del danno causato alla vettura del medesimo. Nonostante tale intervento di ripristino, il (…) al rientro delle ferie estive 2002 aveva riscontrato forti infiltrazioni di acqua, umidità sugli intonaci e, stranamente, una innumerevole serie di fori sui solai e sulle travi portanti la struttura, sulle proprietà esclusive e comuni.

Prontamente, stupito dell’origine dei fori e della formazione di altre infiltrazioni, aveva incaricato un tecnico di parte (il Geom. A.C.), il quale, con perizia del 20 settembre 2002, aveva evidenziato che “le infiltrazioni risultavano essere peggiorate sia all’interno del box che nelle parti esterne comuni, al punto che la ditta costruttrice era dovuta intervenire, finanche con buchi nei solai per far defluire l’acqua e, cosa molto grave, esternamente (sul lato dell’intercapedine) era intervenuta sulle travi con fori di circa cm 50 x50 scoprendo i ferri delle travi e indebolendo le stesse. La gravità delle infiltrazioni e l’insuccesso dei rimedi adottati dalla (…) presentava all’attualità un quadro sconcertante sotto il profilo dei vizi di costruzione; e da ultimo – stante la presenza dei predetti fori – per far defluire l’acqua erano stati sistemati pezzi di guaina sui fori in modo da non far penetrare l’acqua nelle pareti esterne. Il perito aveva concluso che l’acqua che si infiltrava nei solai non era acqua piovana (come confermava la stessa società) ma acqua di rubinetto. La consapevolezza di tale conclusione derivava dal fatto: a) che le infiltrazioni si riscontravano al di sotto dei pozzetti di raccolta delle acque dei box del mercato al piano terra; b) che gli scarichi dei servizi scolavano nell’invaso posto sopra i (…) dei signori (…) e (…); c) che l’acqua piovana non forma calcare mentre l’acqua delle infiltrazioni era ad altissimo contenuto di calcare come si evinceva dai residui lasciati sia sulle pareti, sia sulla terra che sulle auto”. Ed ancora il tecnico evidenziava che la soluzione al problema delle infiltrazioni non era risolvibile “attraverso interventi conservativi (stuccature, verniciature e fori di scolo) apportati dalla società costruttrice, le quali necessitavano invece di un radicale intervento al piano terra, con smantellamento del pavimento e dei massetti fino al livello degli impianti di raccolta delle acque bianche, e con la messa in opera di una efficace guaina di isolamento del solaio e nuova sistemazione degli scarichi acque dei box del mercato e acque piovane, salvo poi la ricostruzione di nuova pavimentazione”.

Con lettera del 20 settembre 2002 l’Avv. (…) tornava a denunciare i vizi di costruzione dell’opera.

Con atto di citazione del 21 giugno 2004 notificato alle controparti i successivi 6 e 9 luglio 2004, l’Avv. (…) incardinava il giudizio nei confronti dell’appaltatore e del Condominio di Via A. da G., 60. “(…) ciò, la (…) S.r.l., pur accollandosi la responsabilità dell’accaduto, disconosceva capziosamente e con grande abilità qualsiasi responsabilità sulla produzione dei danni da infiltrazioni di acqua, il tutto sul presupposto che la formazione e l’infiltrazione d’acqua” fosse a causa di fenomeni metereologici e di condensa.

Il giudizio si era concluso con il rigetto della domanda attrice, perchè proposta oltre il termine decadenziale di un anno dalla conoscenza dei vizi, identificata dal Giudice nella data della perizia del 20 settembre 2002 sottoscritta dal Geom- S.. L’Avv. (…), all’esito della sentenza, chiamava il proprio assistito prospettando che in virtù della sentenza della Cassazione n. 15283/2005 il Tribunale avrebbe errato nel ritenere decaduto il termine per proporre l’azione ex art. 1669 c.c. Tuttavia, non vi era stata alcuna assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera ritenuta viziata. Anzi, proprio la sentenza prodotta dall’Avv. (…) affermava che per poter dar luogo ad un’obbligazione soggetta al termine decennale, da parte dell’appaltatore doveva esserci non solo un espresso riconoscimento di responsabilità, ma anche l’assunzione di una nuova e distinta obbligazione di emendare l’opera. Diversamente, il semplice riconoscimento di vizi e difformità dell’opera non dà luogo ad alcuna obbligazione e pertanto decorrono i termini brevi previsti per il contratto di appalto. In ogni caso, la responsabilità dell’Avv. (…) doveva essere rinvenuta nella circostanza fondamentale che lo stesso avesse coltivato la causa civile quando erano ampiamente decorsi i termini decadenziali, mentre sarebbe stato suo dovere agire tempestivamente nell’interesse dell’odierno attore, oppure una volta maturato il termine decadenziale desistere dall’incardinare la lite Chiedeva pertanto l’attore condannarsi il convenuto alla rifusione delle spese anticipate di Euro 1.000,00 per il giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Roma con cui era stata rigettata la domanda risarcitoria proposta nei confronti della (…) S.r.l. nonché al risarcimento del danno patrimoniale subito di Euro 905,53 quali costi stimati dal CTU per la remissione in pristino del suo box, oltre ad Euro 4.200,00 a titolo non patrimoniale “da perdita di chance”.

L’Avv. (…) rappresentava che il precedente giudizio era stato radicato fondamentalmente sui seguenti elementi:

a) applicabilità della fattispecie dell’art. 1669 c.c. (vizi e difetti di costruzione);

b) sussistenza (e permanenza) del danno dovuto a continue infiltrazioni di acqua, anche per effetto dei fori praticati dalla (…) S.r.l.;

c) c) precedente riconoscimento di responsabilità da parte della (…) S.r.l. mediante (i) sostituzione di box, (ii) riparazione del box (ben due volte) e (iii) risarcimento del danno alla vettura;

d) reiterazione della condotta della (…) S.r.l. mediante effettuazione di fori permanenti praticati sul solaio dei box e sugli alveoli dei solai dei box;

e) richiesta danni anche per le continue infiltrazioni di acqua.

In tal modo i signori (…) e (…), a ministero dell’Avv. (…), avevano notificato alla (…) S.r.l. ed al Condominio di Via A. da G., 60 una citazione con la quale venivano rassegnate le seguenti conclusioni:

1) accertare e dichiarare la responsabilità della (…) S.r.l., in Roma, in persona del legale rappresentante p.t. Arch. G.N., corrente in R., Via A. da G., 64/H, nella produzione dei danni, nei confronti dei signori (…) e (…), ai sensi e per gli effetti dell’art. 1669 c.c.;

2) accertare e dichiarare la responsabilità della (…) S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., corrente in R., Via (…), in qualità di amm.re del Condominio di Via (…), 60, in persona del suo amm.re p.t., per il generale obbligo di custodia e di manutenzione delle parti e degli impianti comuni dell’autorimessa di Via A. da G.. 60 nei confronti dei signori (…) e (…), ai sensi e per gli effetti degli artt. 2051 e 2043 c.c.;

3) in via principale, in accoglimento della domanda, dichiarare l’esistenza del vizio denunciato e per l’effetto dichiarare la (…) S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., responsabile dei danni, nei confronti della signora (…), e per l’effetto condannarla al pagamento del risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dall’istante, comprensivo dei pregiudizi arrecati al (…) dell’esponente nella misura che verrà stabilita dalla disponenda CTU o di quell’altra somma maggiore o minore ritenuta equa o di giustizia, oltre la rivalutazione degli interessi della mora, o comunque dalla domanda al saldo, con vittoria di spese ed onorari;

4) in via principale, in accoglimento della domanda, dichiarare l’esistenza del vizio denunciato e per l’effetto dichiarare la (…) S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., responsabile dei danni, nei confronti del sig. (…), ai sensi e per gli effetti dell’art. 1669 c.c. e, per l’effetto, condannarla al pagamento del risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dall’istante, comprensivo dei pregiudizi arrecati al (…) dell’esponente nella misura che verrà stabilita nella disponenda CTU o di quell’altra somma maggiore o minore ritenuta equa e di giustizia, oltre la rivalutazione degli interessi dalla mora, o comunque dalla domanda al saldo, con vittoria di spese e di onorari;

5) in via principale, in accoglimento della domanda, dichiarare l’esistenza del vizio denunciato e per l’effetto dichiarare la (…) S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., responsabile dei danni, nei confronti della sig.ra (…) e del sig. (…), ai sensi e per gli effetti degli artt. 2043 e 2051 c.c., e per l’effetto condannarla al pagamento del risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dagli istanti, comprensivi dei pregiudizi arrecati ai (…) degli esponenti nella misura che sarebbe stata stabilita dalla disponenda CTU o di quell’altra somma maggiore o minore ritenuta equa e di giustizia, oltre la rivalutazione degli interessi dalla mora, o comunque dalla domanda al saldo, con vittoria di spese ed onorari;

6) condannare in solido la (…) S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t. ed il Condominio di Via (…), 60 in persona dell’amm.re p.t. al risarcimento dei medesimi danni tutti subiti dagli esponenti e quantificati in via equitativa.

L’Avv. (…) deduceva la propria assoluta carenza di responsabilità. Quanto al compenso del quale si richiedeva la restituzione opponeva che la somma corrisposta dagli originari attori ammontava cumulativamente ad Euro 1.000,00 (Euro 500,00 cadauno) a titolo di spese vive (in ogni caso, la somma non era stata corrisposta per intero, bensì solo in quota parte (Euro 500,00). Non comprendeva la restituzione delle spese vive, allorquando egli non aveva percepito il compenso maturato (stimato prudenzialmente in Euro 4.948,32 per singolo attore). In buona sostanza, la domanda svolta a titolo di restituzione del compenso percepito non poteva trovare ingresso, posto che l’Avv. (…) anche per il rapporto con il nipote dell’odierno attore, (…), non aveva avanzato pretese a titolo di compenso professionale. Svolte dette premesse, rilevava che nell’odierna fattispecie non si contesta la condotta inadempiente e/o manchevole del professionista (per omessa notifica, omessa citazione del teste, assenza alla udienza, omessa precisazione delle conclusioni, omesso deposito di un atto ecc.) ma ciò che veniva in rilievo in questa sede era la scelta di aver radicato un giudizio (anziché dissuaso i clienti) mediante notifica dell’atto di citazione il 5 luglio 2004, data successiva, ad avviso del Tribunale, allo spirare del termine annuale fissato dall’art. 1669 c.c. In merito alla sentenza, evidenziava il professionista convenuto che non vi era stata alcuna condanna, ma un rigetto della domanda; osservava che l’istruttoria svolta nel precedente giudizio aveva confermato – in termini puntuali – che il box del (…) sin dal 2000, oltre ad aver subito danni, era stato interessato da continue infiltrazioni e gocciolamenti. Ribadendo quanto già affermato nelle repliche ex art. 190 c.p.c. depositate il 28 giugno 2012 rammentava che la sussistenza dei vizi dell’edificio in questione era stata riconosciuta sin dal 2001 dalla (…) S.r.l. tanto da portare la stessa ad effettuare degli interventi di ripristino/riparazione e finanche a risarcire (più volte) gli attori dei danni subiti dalle vetture. Nelle repliche ex art. 190 c.p.c. l’Avv. (…) aveva avuto modo di chiarire tale aspetto citando alcune pronunce giurisprudenziali che affermavano la legittimità e correttezza dell’azione promossa in ossequio al seguente principio: “il riconoscimento da parte del venditore dei vizi della cosa alienata, che può avvenire anche per facta concludentia quale l’esecuzione delle riparazioni…determina la costituzione di un’obbligazione che essendo oggettivamente nuova ed autonoma rispetto a quella originaria di garanzia, è sempre svincolata, indipendentemente dalla volontà delle parti, dai termini di decadenza e prescrizione fissati dall’art. 1495 c.c. ed è invece soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale (citando in proposito Cass. 2010/7301 e Cass. 15283/2005).

Restava comunque fermo tale principio ed era stato ribadito dalla Giurisprudenza successiva che “il riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera e l’assunzione dell’impegno a eliminarli da parte dell’appaltatore implicano non soltanto l’accettazione delle contestazioni e la rinuncia a far valere l’esonero della garanzia previsto dall’art. 1667 c.c., ma determinano altresì l’assunzione di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa e autonoma rispetto a quella originaria, che non necessita di alcuna accettazione formale della controparte, cui attribuisce il medesimo diritto di agire per vizi ormai ex adverso riconosciuti e, quindi, svincolati dal termine decadenziale e soggetto solo al termine prescrizionale ordinario (Cass. Civ. Sez. II, sent. n. 1240 del 27 gennaio 2012).

Ciò premesso, la pronunzia, la quale non costituiva altro se non una regolare applicazione di un consolidato orientamento (cfr. ex multis, Cass. civ. sez. II 1997/10364), metteva a fuoco che la condotta dell’appaltatore che abbia riconosciuto l’esistenza dei vizi denunziati determina l’insorgenza di un diritto nuovo in capo all’appaltante, diritto che si prescriverebbe nel termine annuario decennale. Sulla base di tali decisioni si potrebbe “tranquillamente inferire che la denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati, in quanto la funzione della denunzia è quella d’informare l’appaltatore dell’esistenza di difformità o vizi; in questo caso non è necessario che il riconoscimento sia accompagnato dall’ammissione di responsabilità dell’appaltatore (cfr. Cass. 24.11.2008 n. 27498). In ogni caso, invocava la sussistenza, nella fattispecie, dei presupposti di cui all’art. 2236 c.c. che circoscrive la responsabilità dell’Avvocato solo ai casi di dolo o colpa grave, escludendola ogni qualvolta la prestazione professionale comporti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà. Peraltro, rilevava che il Tribunale, nel ritenere decorso il termine prescrizionale, avesse errato in quanto la domanda principalmente era rivolta all’accertamento del danno derivante dalle continue (ed ancora attuali, all’epoca dell’introduzioni del giudizio) infiltrazioni, ragion per cui risultava difficile parlare di prescrizione del diritto se il danno risultava essere ancora attuale. Opponeva infine la genericità dell’avversa domanda. Istruita documentalmente, la causa è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Giudice che la domanda debba essere accolta. Infatti, a pag. 4 dell’atto di citazione, lo stesso Avv. (…) affermava: “la (…) S.r.l. disconosceva capziosamente e con grande abilità qualsiasi responsabilità sulla produzione dei danni da infiltrazione di acqua, il tutto sul presupposto che la formazione e l’infiltrazione di acqua è causa di fenomeni metereologici e di condensa”. Per la giurisprudenza “incorre in responsabilità professionale l’avvocato che, nel valutare le chances di esito positivo dell’azione che il cliente intende proporre, omette di rilevare l’intervenuta prescrizione del diritto e di informare lo stesso circa la possibilità di una fondata eccezione in tal senso ad opera della controparte (Cassazione civile, sez. II, sentenza 14.11.2002 n. 16023).

Avuto riguardo, più in particolare, all’attività professionale dell’avvocato, l’inadempimento del professionista deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176 c.c., II comma, c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell’esercizio della propria attività, dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie.

La responsabilità dell’avvocato, pertanto, può trovare fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve, al dolo (a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave – circostanza che, nel caso che ci occupa, non trova una seppur minima applicazione -).

Sebbene l’obbligazione contratta dall’avvocato nell’esercizio della propria attività sia un’obbligazione di mezzi e non di risultato, l’accertamento di un’eventuale prescrizione è da considerare dall’esercente la professione legale adempimento rutinario, preliminare già all’iniziale sommaria disamina degli elementi essenziali della questione affidatagli.

Ne consegue che la mancata percezione di una situazione di prescrizione costituisce un’ipotesi di ignoranza di istituti elementari ovvero di incuria o di imperizia, suscettibile di configurare la responsabilità del professionista per inadempimento dell’obbligazione assunta (Cass. 1997, n. 7618).

Nei casi aventi ad oggetto la prescrizione non rilevata dal professionista o non adeguatamente trattata con il cliente, la Cassazione ha ritenuto che “il professionista, infatti, deve porre in grado il cliente di decidere consapevolmente, sulla base di una adeguata valutazione di tutti gli elementi favorevoli ed anche di quelli eventualmente contrari ragionevolmente prevedibili, se affrontare o meno i rischi connessi all’attività richiesta al professionista medesimo” cfr. Cass. 2004, 14597).

Nel caso di specie, come sopra rilevato, l’Avv. (…) era consapevole che non vi era nessun riconoscimento di responsabilità da parte della (…) S.r.l., e che non aveva ottenuto alcuna obbligazione a sanare i vizi di costruzione rilevati. L’Avv. (…), in esito alla sentenza del Tribunale di Roma n. 16608/12 chiamava il suo assistito prospettando che in virtù della sentenza della Cassazione 15283/2005 il Tribunale aveva errato nel ritenere decaduto il termine per proporre l’azione ex art. 1669 c.c. Tuttavia ciò non era vero in quanto non vi era stata alcuna assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera ritenuta viziata. Anzi proprio la sentenza de qua confermava che per poter dar luogo ad una obbligazione, soggetta al termine decennale, da parte dell’appaltatore, vi deve essere non solo un espresso riconoscimento di responsabilità, ma anche l’assunzione di una nuova e distinta obbligazione di emendare l’opera. Diversamente, il semplice riconoscimento dei vizi e le difformità dell’opera da parte dell’appaltatore non dà luogo ad alcuna obbligazione e pertanto decorrono i termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto.

Quindi la responsabilità dell’Avv. (…) deve essere individuata nell’aver instaurato una causa quando i termini di prescrizione erano ormai decorsi ovvero nel non aver dissuaso il cliente dal proporre l’azione a termini ormai decorsi.

Quanto al danno, questo può ritenersi provato quanto alla somma quantificata dal CTU nel giudizio n. 54868/2004 per la riparazione del box del (…), pari ad Euro 905,53 e nella somma inutilmente versata e provata entro i limiti di quanto riconosciuto dall’Avv. (…) di Euro 500,00. Nessuna prova è stata fornita in ordine al presunto danno da “perdita di chance” né per spese di perizia, non documentate. In definitiva, spetta all’attore la somma complessiva di Euro 1.405,53, non risultando provate le altre voci di danno.

Non può essere dichiarata la decadenza dell’Avv. (…) a percepire il compenso per il giudizio n. 54868/2004 non essendo stata formulata nella presente sede alcuna domanda, ma essendo stata preannunciata solamente riserva di agire per ottenere il relativo compenso.

Le spese di lite, attesi i rapporti intercorsi tra le parti, possono essere integralmente compensate.

La domanda ex art. 96 c.p.c. formulata da parte attrice nella memoria conclusionale non può essere presa in considerazione in quanto tardiva.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

accoglie, per quanto di ragione, la domanda, condanna l’Avv. (…) a corrispondere a (…) la somma di Euro 1.405,53, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma il 20 marzo 2018.

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2018.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.