la rinuncia all’impugnazione da parte dell’appellante equivale a rinuncia all’azione e pertanto non necessita, a differenza della rinuncia agli atti, di accettazione da parte dell’appellato; anche ad essa si applica tuttavia la regola dell’articolo 306 c.p.c., comma 4, secondo cui il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, con esclusione di qualunque potere del giudice di totale o parziale compensazione.

Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Sentenza|30 maggio 2019| n. 14780

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29172-2017 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 2163/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 09/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/03/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI ANNA MARIA che ha concluso in via principale per l’improcedibilita’ del ricorso in subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) anche in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) e (OMISSIS), con atto di citazione del 7.7.2004, hanno citato in giudizio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), assumendo che, con atto di vendita del 5.3.2002, (OMISSIS) aveva ceduto ai (OMISSIS) una quota di immobili rurali per sottrarsi al debito che lo stesso (OMISSIS) aveva nei confronti della figlia (OMISSIS) e del genero (OMISSIS).

I due attori chiedevano dunque la revocatoria dell’alienazione immobiliare, e conseguentemente la pronuncia di inefficacia nei loro confronti, convinti del fatto che i due (OMISSIS), acquirenti dell’immobile, fossero consapevoli della elusivita’ dell’alienazione.

Il Tribunale di Bassano del Grappa rigettava la domanda ritenendo difettare la prova dell’intento fraudolento, posto che l’atto era stato stipulato in adempimento di un preliminare del 1994.

Nelle more dell’appello, decedeva (OMISSIS), e la causa era riassunta nei confronti degli altri suoi eredi, uno dei quali (OMISSIS), rinunciava all’eredita’, cosi che nei suoi confronti veniva considerata cessata la materia del contendere.

La Corte di appello rigettava per il resto il gravame, non ravvisando ragioni ulteriori e valide a smentita della tesi di primo grado sulla non elusivita’ della vendita, ed in piu’ riteneva che, avendo, nel frattempo, la (OMISSIS) accettato tacitamente l’eredita’ del padre, il rapporto di debito e credito che stava alla base della revocatoria si era estinto per confusione.

Avverso tale decisione ricorrono i due originari attori con quattro motivi di ricorso che denunciano sia violazione di legge sull’intento fraudolento che sulla avvenuta accettazione di eredita’, nonche’ sulla condanna alle spese nei confronti dell’appellato in riassunzione che ha poi rinunciato alla eredita’.

V’e’ costituzione degli intimati, con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I ricorrenti sono due, la figlia del convenuto (poi defunto) (OMISSIS), ed il marito di questa, genero dunque del convenuto, (OMISSIS).

La Corte di appello ha deciso rispetto all’uno in modo diverso che rispetto all’altro.

Infatti, quanto ad (OMISSIS), la corte di merito ha ritenuto che, avendo questa tacitamente accettato l’eredita’, non avendo fatto tempestivamente l’inventario, ed essendo tardivamente allegata la successiva rinuncia, v’e’ stata cessazione della materia del contendere, per confusione del credito vantato verso il de cuius, con il debito di quest’ultimo verso l’erede.

Invece, quanto a (OMISSIS), il marito, la corte ha ribadito le ragioni del primo grado circa sia la tardivita’ della domanda di nullita’ della procura a vendere (che il defunto (OMISSIS) aveva rilasciato ad uno degli stessi acquirenti), sia per difetto della finalita’ elusiva della vendita, che costituiva l’esecuzione specifica di un obbligo di contrarre assunto nel 1994, e che si e’ attuato nel 2002, prima che sorgesse il credito per la cui tutela i due attori hanno agito.

2.- Va tuttavia osservato che, pur essendo le ragioni della decisione diverse per ciascuno dei due ricorrenti, l’esclusione della natura fraudolenta della vendita, fatta rispetto ad uno non puo’ che valere per l’altro.

Cio’ si dice a premessa del fatto che l’esame dei motivi che i ricorrenti fanno per contestare questo capo di sentenza, comporta assorbimento di quelli sulla avvenuta estinzione del debito per confusione.

Il che significa che si possono esaminare i motivi terzo e quarto per primi. Con essi i ricorrenti denunciano violazione dell’articolo 112 c.p.c. e degli articoli 2901, 2907 e 2908 c.c..

Ritengono che la corte di merito e’ andata oltre quanto richiesto, quando ha ritenuto inammissibile la questione della nullita’ della procura a vendere che (OMISSIS) ha rilasciato ad uno degli acquirenti.

Secondo i ricorrenti, non si e’ trattato di una autonoma domanda (e quindi come tale passibile di essere giudicata inammissibile), ma di un argomento a sostegno della fraudolenza della operazione. In sostanza, la nullita’ della procura era indizio della elusivita’ e dell’intento fraudolento.

Il motivo e’ chiaramente infondato.

Intanto, la richiesta di dichiarare nulla una procura costituisce domanda autonoma, ossia richiesta di una pronuncia su questione autonomamente suscettibile di giudicato.

E tuttavia, anche se cosi non fosse, non e’ di certo errata una pronuncia che, non essendovi alcuna dichiarazione di nullita’ dell’atto (la procura) lo ritiene valido e dunque lo ritiene idoneo a produrre l’effetto traslativo. E cosi ha fatto il giudice di merito.

Per contro, i ricorrenti, per addurre la nullita’ della procura quale indice di intento fraudolento, avrebbero dovuto ottenere prima la pronuncia di nullita’ dell’atto, o comunque dimostrare, incidenter tantum che lo fosse; in difetto di tale dimostrazione, la procura deve intendersi valida e dunque indicativa di una effettiva volonta’ di vendere. Ossia deve ritenersi che la corte di merito l’ha correttamente utilizzata come indizio della effettivita’ della vendita, e che solo la prova che fosse invece nulla, potrebbe invalidare tale giudizio.

Ma cio’ che rende il ricorso infondato e’ l’esame del quarto motivo.

I ricorrenti contestano in realta’ la ricostruzione in fatto, ossia la valutazione sia degli elementi in fatto che delle prove addotte, come effettuata dalla corte di merito, e propongono una diversa versione dei fatti, rispetto a quella accolta nei gradi di giudizio precedenti. In tal senso il motivo e’ inammissibile.

Ma, anche ad ammetterlo ammissibile, e’ infondato.

La corte di merito ha fatto buon uso delle presunzioni, a differenza di quanto contestato dai ricorrenti, considerando che v’era un contratto preliminare del 1994, e che nel 2001 i promissari avevano intentato azione per la sua esecuzione, addivenendo poi alla stipula dell’atto traslativo nel 2002. Invece, il credito dei ricorrenti, derivava da due sentenze emesse il 31.1.2003, e dunque successivamente alla stipula dell’atto traslativo.

A fronte di tale circostanza, la corte di merito ha ritenuto insufficiente l’allegazione dei ricorrenti volta ad affermare il carattere fraudolento di un atto precedente il sorgere del credito. E questa insufficienza e’ frutto di una valutazione delle prove, rimessa alla discrezionalita’ del giudice di merito, che puo’ essere oggetto di sindacato in sede di legittimita’ solo se si traduce in un errore percettivo, che cade sul contenuto di una prova, o nell’uso del tutto illegittimo del procedimento induttivo, punto, quest’ultimo, sul quale i ricorrenti non adducono elemento alcuno di censura.

4.- L’infondatezza delle censure nel merito, ossia relative alla elusivita’ della vendita, rende assorbito l’esame della legittimazione della (OMISSIS), che presuppone l’accertamento incidenter tantum della sua qualita’ di erede.

5.- Va infine rigettato il primo motivo di ricorso.

I ricorrenti si dolgono del fatto che la corte di merito, erroneamente interpretando gli articoli 91-96 c.p.c., ha posto le spese del giudizio a loro carico anche nei confronti di (OMISSIS), chiamato in causa in riassunzione, quale erede di (OMISSIS).

Costui, subito dopo la sua chiamata in giudizio, aveva rinunciato alla eredita’, circostanza che lo rendeva non piu’ legittimato passivamente.

I due ricorrenti hanno dunque rinunciato all’azione nei suoi confronti, ed essi ammettono di avere espressamente fatto una tale rinuncia (v. p. 4 del ricorso), anziche’ una mera presa d’atto del venire meno della qualita’ di erede, con conseguente domanda di cessazione della materia del contendere.

Avendo essi dunque espressamente rinunciato all’azione, e’ corretta la decisione del giudice di merito di porre le spese a loro carico, in quanto e’ regola che nel giudizio di appello, la rinuncia all’impugnazione da parte dell’appellante equivale a rinuncia all’azione e pertanto non necessita, a differenza della rinuncia agli atti, di accettazione da parte dell’appellato; anche ad essa si applica tuttavia la regola dell’articolo 306 c.p.c., comma 4, secondo cui il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, con esclusione di qualunque potere del giudice di totale o parziale compensazione (Cass. n. 5250/2018).

Il ricorso va pertanto respinto ma le spese, in ragione del fatto che il credito vantato dalla ricorrente e’ sorto dopo la cessione effettuata dal debitore, per cause non dipendenti dalla stessa ricorrente, possono compensarsi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensa le spese. Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.