in tema di risarcimento del danno ambientale, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 97 del 2013, anche se riferiti a fatti anteriori alla data di applicabilita’ della direttiva comunitaria recepita da tale legge, e’ applicabile Decreto Legislativo n. 152 del 2006, nel testo modificato, da ultimo, dalla L. n. 97 cit., articolo 25, ai sensi del quale resta esclusa la risarcibilita’ per equivalente, dovendo il giudice individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa ivi prescritte e, per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione, determinarne il costo, in quanto solo quest’ultimo (ovvero il suo rimborso) potra’ essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti (Cass. 20 luglio 2016, n. 14935; 6 maggio 2015, n. 9012; 13 agosto 2015, n. 16806; 4 aprile 2017, n. 8662). Alla stregua di quanto affermato da questa Corte quindi, nel caso in cui l’adozione delle misure di riparazione risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalita’ prescritti, vanno determinati i costi delle attivita’ necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione, costo da rendere oggetto di condanna nei confronti del soggetto obbligato.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23195

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12495/2016 proposto da:

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, (OMISSIS) in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difeso per legge;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 920/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 08/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/06/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 18 novembre 2003 il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia (OMISSIS) s.p.a. chiedendo la condanna al risarcimento del danno ai sensi della L. n. 349 del 1986, articolo 18, nella misura di Euro 769.019,36 in relazione alla circostanza, per la quale era intervenuto anche giudizio penale nei confronti del legale rappresentante della societa’ conclusosi in relazione al reato ambientale con l’estinzione del reato per oblazione, della dismissione dei tetti in eternit (composto di amianto e calcestruzzo) di strutture di villaggio turistico, mediante frantumazione dei rifiuti e loro interramento mescolandoli con altri rifiuti. Il giudice adito rigetto’ la domanda. Proposto appello dall’Amministrazione con atto notificato in data 1 ottobre 2009, la Corte d’appello di Venezia con sentenza di data 8 aprile 2015 rigetto’ l’appello.

Osservo’ la corte territoriale, in relazione alla domanda risarcitoria per la quale doveva farsi applicazione della L. n. 349 del 1986, essendo priva di retroattivita’ la L. n. 152 del 2006, neanche con riferimento alla quantificazione del danno, che nel villaggio turistico si era verificato inquinamento ambientale a causa dell’interramento di rifiuti contenenti amianto (in relazione ai quali il giudice penale aveva escluso la pericolosita’) e che a seguito della bonifica del sito inquinato da parte della societa’ responsabile, a proprie spese, le analisi avevano rilevato l’inferiorita’ all’1% della concentrazione ponderale, valore corrispondente al limite di rilevabilita’ della metodica di analisi utilizzata, sicche’ non era possibile accertare il raggiungimento dell’obiettivo di cui al Decreto Ministeriale n. 471 del 1999, di una concentrazione massima nel suolo pari a 1000 mg./Kg.. Aggiunse che non poteva essere posta a carico della societa’ appellata l’eventuale inadeguatezza della metodica di analisi utilizzata e che dalle analisi effettuate risultava che il terreno era stato bonificato e che la concentrazione era sicuramente inferiore all’1% (il che non significava che fosse stata superata la concentrazione pari a 1000 mg./Kg.). Osservo’ inoltre che il danno ambientale lamentato dall’Amministrazione era conseguente all’interramento dei rifiuti, danno eliminato con la bonifica, e che nessun danno patrimoniale era residuato, mentre non vi era prova dell’esistenza di ulteriori pregiudizi economicamente valutabili (come risultava dalla relazione dell’APAT, non vi erano analisi effettuate sul particolato aerodisperso e su quello sedimentato al suolo, sicche’ non vi era la possibilita’ di quantificare il numero di fibre libere rilasciate nell’ambiente). Concluse nel senso che dell’ulteriore danno relativo al periodo fra l’inquinamento e la bonifica non era stata offerta alcuna prova, ma solo ipotesi (tanto piu’ che il materiale era stato interrato e non disperso) e che nessuna prova era stata offerta in relazione ad eventuali danni residuati alla rimessione in pristino.

Ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare sulla base di cinque motivi e resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a.. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., comma 2.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 17, articolo 2697 c.c., in relazione al Decreto Ministeriale n. 471 del 1999 (allegato 1, tabella 1, n. 93) ed alla L. n. 349 del 1986, articolo 18, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente che, dovendo la societa’ provare l’adempimento dell’obbligo di bonifica derivante dal Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 17, costituiva onere della stessa la prova del raggiungimento dell’obiettivo di bonifica fissato dal Decreto Ministeriale n. 471 del 1999 (che stabilisce una concentrazione massima nel suolo pari a 1000 mg./Kg., ovvero 0,1%), non valendo “l’eventuale inadeguatezza della metodica di analisi utilizzata” ad esonerare la societa’ da tale onere probatorio. Aggiunge che la societa’ intimata non ha fornito la prova di effettivo ripristino della situazione precedente.

Il motivo e’ fondato. Va premesso che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale e secondo l’orientamento di questa Corte, in tema di risarcimento del danno ambientale, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 97 del 2013, anche se riferiti a fatti anteriori alla data di applicabilita’ della direttiva comunitaria recepita da tale legge, e’ applicabile Decreto Legislativo n. 152 del 2006, nel testo modificato, da ultimo, dalla L. n. 97 cit., articolo 25, ai sensi del quale resta esclusa la risarcibilita’ per equivalente, dovendo il giudice individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa ivi prescritte e, per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione, determinarne il costo, in quanto solo quest’ultimo (ovvero il suo rimborso) potra’ essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti (Cass. 20 luglio 2016, n. 14935; 6 maggio 2015, n. 9012; 13 agosto 2015, n. 16806; 4 aprile 2017, n. 8662). Alla stregua di quanto affermato da questa Corte quindi, nel caso in cui l’adozione delle misure di riparazione risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalita’ prescritti, vanno determinati i costi delle attivita’ necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione, costo da rendere oggetto di condanna nei confronti del soggetto obbligato.

Le misure di riparazione costituiscono oggetto di un obbligo del soggetto danneggiante previsto dalla legge. E’ principio generale quello secondo cui la prova dell’adempimento dell’obbligo incombe sul soggetto tenuto all’adempimento (Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 13533). Il giudice di merito ha affermato che in base alla metodica di analisi utilizzata non e’ possibile accertare, in relazione alla bonifica del sito inquinato effettuata dal soggetto danneggiante, il raggiungimento dell’obiettivo di cui al Decreto Ministeriale n. 471 del 1999, di una concentrazione massima nel suolo pari a 1000 mg./Kg. e che tale mancato accertamento non puo’ essere posto a carico del soggetto danneggiante medesimo. In tal modo ha pero’ violato la regola dell’onere probatorio in base alla quale e’ onere dell’obbligato provare di avere eseguito in modo completo le misure di riparazione. A tale regola dovra’ attenersi il giudice di merito.

La deduzione di mancata prova della rimessione in pristino e’ inammissibile nella presente sede di legittimita’, attendo alla valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice di merito.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 e articolo 111 Cost., comma 6, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la sentenza era corredata da una motivazione apparente per avere fatto gravare sull’Amministrazione l’onere probatorio inesigibile dell’effettuazione nell’immediatezza dell’illecito smaltimento delle analisi sul particolato aereo-disperso e su quello sedimentato al suolo e per avere omesso di esaminare le numerose circostanze indiziarie addotte dall’Amministrazione, le quali inducevano a ritenere raggiunta la prova presuntiva.

Il motivo e’ in parte infondato ed in parte inammissibile. La censura consta di due sub-motivi, entrambi vertenti sul vizio di motivazione apparente. Con la prima censura si denuncia il carattere apparente della motivazione per avere la corte territoriale posto a carico dell’Amministrazione ricorrente l’onere di una prova inesigibile. La motivazione non e’ pero’ apparente per il sol fatto che sia stata posta a carico della parte una prova inesigibile. Tale circostanza puo’ eventualmente integrare una violazione della regola di riparto dell’onere probatorio, ma non la violazione processuale della carenza del requisito motivazionale. Il secondo sub-motivo e’ inammissibile perche’ si denuncia nella forma della violazione processuale per inesistenza del requisito motivazionale profili che attengono invero alla valutazione delle risultanze processuali di competenza del giudice di merito.

Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di fatti decisivi e controversi, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la parte ricorrente che la motivazione e’ incentrata solo sul fatto dell’interramento dell’amianto, mentre risulta omesso l’esame di ulteriori fatti decisivi che hanno determinato un vulnus all’ambiente ed in particolare: le modalita’ con cui e’ stato smaltito l’eternit (l’opera non e’ stata appaltata ad una ditta specializzata, ma e’ stata fatta eseguire da operai dipendenti dalla societa’, senza l’adozione di misure cautelari e con frantumazione del materiale senza alcuna precauzione, mediante il braccio della pala meccanica al fine di concentrarlo in uno spazio piu’ ristretto); il pessimo stato delle onduline di eternit non interrate, le quali sono state rinvenute in parte accatastate in un’area scoperta del villaggio turistico ed in parte a perdurante copertura dei tetti delle strutture abitative, presentando sbavature e presenza di muffa nella parte superiore che lasciavano presumere un rilascio di fibre di amianto nell’ambiente.

Il motivo e’ fondato. Risulta assolto l’onere processuale previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e relativo alla localizzazione processuale delle circostanze di fatto indicate nel motivo. Trattasi di circostanze decisive ai fini della valutazione del danno non limitato all’interramento e di cui il giudice di merito ha omesso l’esame. Nella valutazione delle risultanze processuali, giungendo ad un esito negativo per le ragioni dell’Amministrazione, risulta infatti pretermesso l’esame dei fatti storici indicati nel motivo.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., articoli 2727, 2729 e 2697 c.c., in relazione alla L. n. 349 del 1986, articolo 18, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente che, pur in assenza di analisi effettuate sul particolato aerodisperso e su quello sedimentato al suolo, dalle numerose circostanze evidenziate doveva desumersi in via presuntiva l’esistenza del danno conseguente all’interramento dei rifiuti.

Il motivo e’ inammissibile. L’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso alla presunzione semplice, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita’ e concordanza richiesti dalla legge, la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto sono riservati al giudice di merito e sono censurabili in sede di legittimita’ sotto il profilo del vizio di motivazione unitamente all’esistenza della base della presunzione e dei fatti noti, che fanno parte della struttura normativa della presunzione (Cass. 15 dicembre 2005, n. 27671; 6 agosto 2003, n. 11906). La denuncia non attiene ne’ al vizio di motivazione ne’ all’errore di sussunzione, ma ad un’inferenza presuntiva diversa da quella effettuata dal giudice di merito, risolvendosi in un diverso apprezzamento della questione di fatto (Cass. Sez. U. 24 gennaio 2018, n. 1785).

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli allegati G, H e I del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, allegato D parte IV del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, della decisione della Commissione UE 2000/532/CE del 3 maggio 2000 come modificata dalla decisione del Consiglio UE 2001/573/CE del 23 luglio 2001, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha affermato che il giudice penale aveva escluso la pericolosita’ dei rifiuti interrati e che tale affermazione, ove ritenuta ratio decidendi, non e’ condivisibile perche’, sebbene all’epoca della commissione dei fatti i materiali in questione non erano considerati pericolosi, con successiva decisione del Consiglio UE erano stati inclusi fra quelli pericolosi, sicche’ la pericolosita’ dei rifiuti in discorso doveva essere ritenuta quanto meno ai fini del giudizio civile. Aggiunge che comunque il materiale abbandonato e frantumato prima dell’interramento doveva ritenersi pericoloso.

Il motivo e’ inammissibile. La censura attiene ad un profilo che non integra la ratio decidendi, investendo l’esposizione dei fatti processuali ed in particolare la valutazione del giudice penale. Peraltro lo stesso motivo e’ formulato in termini ipotetici proprio con riferimento alla natura di ratio decidendi della questione investita dalla censura, il che integra un ulteriore profilo di inammissibilita’ del motivo (cfr. Cass. 19 marzo 2008, n. 7394). Aggiungasi che in ordine alla questione della natura del rifiuto l’Amministrazione ricorrente difetta anche d’interesse in quanto la condotta generativa del danno ambientale, come configurata sia dalla L. n. 349 del 1986, articolo 18, che dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 311, non si identifica necessariamente nella commissione di uno specifico reato a protezione dell’ambiente, potendo la stessa consistere nella violazione di una qualunque prescrizione riferita ad attivita’ umana da cui possa derivare un’alterazione di quest’ultimo, desumibile dall’insieme delle regole dell’ordinamento (Cass. 4 aprile 2017, n. 8662).

P.Q.M.

accoglie il primo ed il terzo motivo, rigetta in parte il secondo motivo e dichiara per il resto inammissibile il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

Motivazione semplificata.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.