L’obbligazione restitutoria derivante dalla risoluzione del contratto di compravendita, nei rapporti tra le parti, ha infatti ad oggetto l’intero prezzo corrisposto dall’acquirente, comprensivo di Iva, ferme le necessarie variazioni in relazione all’assolvimento degli obblighi di tributari, in conformita’ a quanto stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 26.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 31 gennaio 2018, n. 2429Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21596-2014 proposto da:

(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SNC;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1025/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 10/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/11/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

FATTO

La (OMISSIS) snc conveniva in giudizio la (OMISSIS) srl per sentir pronunciare la risoluzione del contratto di compravendita stipulato con la convenuta, avente ad oggetto un carro semovente per diserbo, il quale si era rivelato affetto da vizi, oltre al risarcimento dei danni.

La (OMISSIS) srl rimaneva contumace.

Il Tribunale di Piacenza pronunciava la risoluzione del contratto e condannava la (OMISSIS) alla restituzione di 66.000,00 Euro oltre ad Iva ed interessi in favore dell’attrice, rigettando la domanda risarcitoria.

La Corte d’Appello di Bologna confermava la pronuncia di risoluzione, e, preso atto che nelle more del giudizio la societa’ acquirente aveva venduto il bene per cui e’ causa, traendo un corrispettivo di 24.000,00 Euro, onde non ne era possibile la restituzione in natura, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la (OMISSIS) alla restituzione di 42.000,00 Euro, oltre ad iva al 20% ed interessi legali dalla domanda al saldo.

La Corte d’Appello, in particolare, premesso che la disposizione dell’articolo 1492 c.c., comma 3, secondo cui non puo’ pronunciarsi la risoluzione del contratto in tutti i casi nei quali la restituzione della cosa divenuta impossibile senza colpa del venditore, concerneva gli eventi verificatisi prima della proposizione della domanda di risoluzione del contratto, affermava che dopo l’instaurazione del giudizio, salvo il caso di colpa del compratore, operava l’opposto principio, per il quale la durata del processo non puo’ arrecare pregiudizio alla parte vittoriosa ed incolpevole, mentre sono a carico del venditore le conseguenze derivanti dal non aver accettato prontamente la risoluzione del contratto e l’offerta di restituzione delle cose.

Considerata dunque, nel caso di specie, l’impossibilita’ di restituire il bene in quanto gia’ alienato, in forza del principio pretium succedit in locum rei, detraeva dal prezzo pattuito dalle parti nel negozio originario, oggetto della risoluzione, il corrispettivo della vendita effettuata dall’acquirente, maggiorato di Iva al 20% ed interessi.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione con quattro motivi la (OMISSIS) srl.

La (OMISSIS) snc non ha svolto, nel presente giudizio, attivita’ difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4), deducendo che la statuizione della Corte d’appello di reintegrazione della (OMISSIS) nella posizione giuridica anteriore al contratto risulta contraria al principio della “corrispondenza tra chiesto e pronunciato”, attribuendo un bene diverso da quello richiesto e che non poteva ritenersi compreso, nemmeno implicitamente nella domanda dell’acquirente.

Il primo motivo e’ infondato.

Conviene premettere che l’alienazione o la trasformazione della cosa affetta da vizi, di per se’ sola, non e’ sufficiente a precludere al compratore l’azione di risoluzione del contratto per vizi della cosa venduta, ai sensi dell’articolo 1492, comma 3, occorrendo a tal fine che quel comportamento evidenzi univocamente che l’acquirente abbia inteso accettare la cosa (Cass. 14655/2008; 7619/2002).

Nel caso in cui l’azione di risoluzione per vizi, nonostante il perimento del bene, non sia preclusa, ai sensi dell’articolo 1492 c.c., u.c., all’obbligo della restituzione specifica dei beni periti si sostituisce quello della restituzione per equivalente (Cass. 5065/1992).

Tale sostituzione opera in via automatica, senza necessita’ di una specifica domanda da parte dell’acquirente.

el caso di specie, peraltro, si rileva il mantenimento da parte dell’acquirente della originaria domanda di risoluzione del contratto, gia’ ritualmente formulata, da cui conseguono gli obblighi restitutori ex articolo 1453 c.c., che, a seguito del perimento della res, non possono che realizzarsi “per equivalente’. (Cass. 13839/2013).

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1492 e 1494 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), lamentando che la statuizione della Corte abbia erroneamente omesso di rilevare che la condotta della (OMISSIS) implicava, non soltanto l’impossibilita’ della restituzione del bene da parte del compratore per sua colpa, ma anche la sua volonta’ di accettare il bene, resa palese dall’avvenuto suo utilizzo ed alienazione.

Pure il secondo motivo non ha pregio.

Premesso che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte spetta al giudice di merito accertare, in base alle risultanze processuali, se l’alienazione del bene affetto da vizi costituisca o meno rinunzia tacita all’azione di risoluzione del contratto (Cass. 15104/2000), nel caso di specie la Corte territoriale, con adeguato apprezzamento di fatto, ha escluso che la vendita del bene, intervenuta in corso di giudizio, implicasse volonta’ abdicativa della domanda di risoluzione proposta, considerato che l’acquirente anche dopo l’alienazione aveva mantenuto la domanda originaria.

Tale statuizione e’ conforme al consolidato indirizzo di questa Corte, cui il collegio intende dare continuita’.

Ed invero, la disposizione contenuta nell’art 1492 c.c., comma 3, la quale preclude al compratore l’azione di risoluzione del contratto se la cosa affetta da vizi sia stata da lui venduta o trasformata, (applicabile agli eventi verificatisi prima della proposizione della domanda di risoluzione del contratto), non trova piu’ il suo fondamento razionale allorche’ quegli stessi eventi si verifichino dopo l’instaurazione del giudizio, determinando il perimento delle cose.

In quest’ultima ipotesi, ravvisabile nel caso di specie, vale l’opposto principio, che la durata del processo non puo’ arrecare pregiudizio alla parte vittoriosa ed incolpevole, mentre sono a carico del venditore le conseguenze per non avere accettato prontamente la risoluzione del contratto e l’offerta di restituzione delle cose. (Cass. 3137/1981).

Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1492 e 1494 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3) e 5), per avere la Corte omesso di rilevare che l’acquirente aveva utilizzato il bene per oltre sei anni, con conseguente erroneita’ dell’importo da sostituire al bene da restituire, importo che non poteva essere automaticamente determinato nella differenza tra il prezzo pagato alla (OMISSIS) srl e quello realizzato dalla vendita del bene, avvenuta dopo oltre sei anni dall’acquisto.

Il terzo motivo e’ fondato nei limiti di cui appresso.

L’efficacia retroattiva della risoluzione per inadempimento di un contratto comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute (Cass. 6575/2017) ed implica, in generale, la necessita’ di ripristinare la situazione quo ante.

Se dunque e’ vero che la durata del processo non puo’ arrecare pregiudizio alla parte vittoriosa ed incolpevole, tale principio va contemperato con l’efficacia retroattiva della risoluzione, che opera automaticamente e va tenuta distinta dalla diversa obbligazione risarcitoria a carico della parte inadempiente.

Nel caso di specie la Corte territoriale non ha correttamente applicato il principio secondo cui pretium succedit in locum rei, in quanto non ha fatto riferimento al valore della cosa, come diminuito in conseguenza dei vizi accertati, ne’ ha tenuto conto dell’utilizzo del bene da parte dell’acquirente, ma ha considerato il corrispettivo conseguito dalla vendita del bene circa sei anni dopo, senza effettuare alcuna valutazione di corrispondenza di detto corrispettivo all’effettivo valore del bene, fermo restando che l’eventuale obbligazione risarcitoria a carico della parte inadempiente, va tenuta distinta dal diverso meccanismo ripristinatorio, con efficacia retroattiva, previsto dall’articolo 1458 c.c.

Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1492 e 1494 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere, la sentenza impugnata, maggiorato l’importo da restituire dell’Iva.

Il motivo non ha pregio.

L’obbligazione restitutoria derivante dalla risoluzione del contratto di compravendita, nei rapporti tra le parti, ha infatti ad oggetto l’intero prezzo corrisposto dall’acquirente, comprensivo di Iva, ferme le necessarie variazioni in relazione all’assolvimento degli obblighi di tributari, in conformita’ a quanto stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 26.

In conclusione, respinti il primo, secondo e quarto motivo, va accolto il terzo motivo.

La sentenza impugnata va dunque cassata, in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte respinti il primo, secondo e quarto motivo, accoglie il terzo motivo di ricorso.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna.

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Avv. Umberto Davide

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