In caso di risoluzione per inadempimento del vincolo contrattuale, il venir meno della causa adquirendi comporta l’obbligo di restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso, secondo le regole dell’indebito oggettivo, sicche’, ove si verta nel caso di restituzione di una cosa determinata della quale sia impossibile la riconsegna, l’obbligo dell’accipiens risulta disciplinato dall’articolo 2037 c.c., sicche’, ove sia in malafede nel ricevere o trattenere il bene, e’ tenuto a corrispondere il controvalore, mentre nell’opposta situazione di buona fede e’ obbligato nei soli limiti del suo arricchimento.

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|8 settembre 2021| n. 24179

Data udienza 17 febbraio 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20670-2016 proposto da:

(OMISSIS) SOCIETA’ SPORTIVA DILETTANTISTICA A RESPONSABILITA’ LIMITATA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

nonche’ contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1546/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 08/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/02/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. L’ (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Livorno il (OMISSIS) chiedendo la risoluzione per inadempimento della convenzione stipulata nel 1997 e il risarcimento dei danni.

L’attrice esponeva che il consorzio l’aveva autorizzata a servirsi della foce del canale di bonifica sito nel Comune di (OMISSIS), per l’alaggio di imbarcazioni e lo svolgimento di altre attivita’ associative contro il pagamento di un canone e la realizzazione in loco di alcuni interventi di manutenzione straordinaria.

I lavori, eseguiti a regola d’arte per Euro 131.628,96 oltre a Euro 48.107 per tecnici e materiali, erano stati accettati dal consorzio il 26 gennaio 2001 ma successivamente le autorita’ amministrative avevano sollevato riserve sull’utilizzo turistico ricreativo della foce ed infine lo avevano vietato, in quanto il consorzio era sprovvisto di concessioni demaniali marittime diverse dallo scarico delle acque di bonifica.

In tale contesto era innegabile a parere dell’attrice l’imputabilita’ dell’inadempimento a colpa grave del consorzio rivelatosi incapace di fornire le prestazioni promesse e, pertanto, tenuto al risarcimento dei danni subiti dalla (OMISSIS) quantificati in complessivi Euro 600.000.

2. Il (OMISSIS) si costituiva in giudizio e chiedeva in via riconvenzionale di imputare la risoluzione della convenzione alla controparte, condannandola al risarcimento dei danni, anche d’immagine, subiti dal Consorzio.

3. Il Tribunale all’esito dell’istruttoria, espletata anche una consulenza tecnica d’ufficio, dichiarava risolto per impossibilita’ sopravvenuta l’accordo negoziale e condannava il consorzio al pagamento di Euro 130.081 a favore della (OMISSIS) a titolo di indebito arricchimento.

A parere del Tribunale la prosecuzione del rapporto in convenzione era stata interrotta dal Comune di Rosignano Marittimo sulla base di una nuova valutazione amministrativa discrezionale della destinazione del bacino non prevista ab origine e non prevedibile giacche’ la programmazione dell’ambito demaniale neppure era stata trasferita al Comune, ne’ gli atti autorizzatori rilasciati all’epoca dalle competenti autorita’ lo lasciavano presagire.

Dunque, applicando in via analogica l’articolo 2037 c.c., il consorzio, beneficiario in buona fede delle opere realizzate dalla (OMISSIS), doveva corrisponderne il valore nel limite del proprio arricchimento rappresentato nella specie dalla quantificazione sopra evidenziata.

4. Avverso tale decisione il Consorzio interponeva appello, addebitando la risoluzione della convenzione al comportamento della controparte. La (OMISSIS) proponeva anch’essa appello in via incidentale e in via speculare riteneva responsabile della risoluzione il Consorzio.

5. La Corte d’Appello riteneva corretta la statuizione del giudice di primo grado in quanto vi era un fattore sopravvenuto incolpevole rispetto ai reciproci inadempimenti delle parti, dovendosi effettuare una valutazione comparativa e complessiva sull’imputabilita’ dell’inadempimento o dell’adempimento omesso o difettoso.

A parere della Corte d’Appello, la causa essenziale della mancata esecuzione dell’accordo negoziale non doveva ricercarsi nella condotta delle parti bensi’ nella sopravvenuta impossibilita’ della prestazione, conseguente alla decisione amministrativa di inibire l’uso pubblico della foce del canale di bonifica.

Come esattamente rilevato dal Tribunale, tale divieto di carattere assoluto non era sin dall’origine desumibile dalla normativa in vigore, ne era realisticamente prevedibile, anzi gli atti autorizzativi rilasciati in via preventiva degli organi preposti lasciavano supporre esattamente il contrario.

L’amministrazione comunale, infatti, sul presupposto che in loco non erano previste destinazioni d’uso compatibili di tipo turistico ricreativo, con Delib. 25 febbraio 2003, aveva vietato il rilascio di concessioni demaniali marittime che non avessero pertinenza con gli scarichi esistenti rendendo impossibile l’esecuzione delle prestazioni a cui la (OMISSIS) era interessata, ivi compresa l’attivita’ di alaggio delle imbarcazioni costituenti il primario impulso negoziale.

Nella ricostruzione del comportamento dei contraenti e della dinamica del rapporto negoziale, secondo la Corte d’Appello emergeva che il consorzio, dovendo procedere alla sistemazione dello sbocco al mare del canale di bonifica, aveva considerato innocuo ai propri fini l’allestimento dello scivolo di alaggio in acqua cui era interessata la (OMISSIS) e, pertanto, aveva ritenuto di sobbarcare a quest’ultima l’onere dei lavori mettendole a disposizione il bacino nella comune opinione che le opere prefigurate potessero rientrare nella sfera della manutenzione attribuita all’ente concessionario.

Il Comune di Rosignano, invece, aveva espunto radicalmente l’area della foce dalla competenza gestionale del consorzio per inserirla a tutti gli effetti nell’ambito del demanio marittimo, cosi’ vanificando la possibilita’ di attuare il contratto nella sua configurazione originaria.

A parere della Corte d’Appello le singole condotte delle parti, seppure costituenti inadempimenti, nell’economia sinallagmatica dell’accordo erano recessive rispetto alla sopravvenuta decisione amministrativa di vietare qualsiasi uso pubblico del bene. Pertanto, trattandosi di una causa sopravvenuta, doveva escludersi la nullita’ della convenzione per impossibilita’ dell’oggetto non essendovi dunque un vizio genetico tale da rendere il vincolo obbligatorio strutturalmente incapace di produrre effetti giuridici.

Dunque, l’impossibilita’ delle prestazioni reciproche era dipesa da un perentorio intervento amministrativo posteriore alla stipulazione, in grado di provocare di per se’ la risoluzione dell’accordo contrattuale ex articolo 1463 c.c. Il Comune di Rosignano Marittimo con missiva del 26 luglio 2001, infatti, aveva rilevato che il canale non era originariamente destinato ad uso pubblico, trattandosi di canale di scarico di impianto idrovoro.

Dovevano, pertanto, respingersi tanto l’appello principale proposto dal Consorzio quanto quello incidentale proposto dalla (OMISSIS). Quanto invece al saldo dei rapporti economici tra le parti, a parere della Corte d’Appello l’effettivo arricchimento derivante dai lavori effettuati dalla (OMISSIS) non era l’intero importo complessivo degli stessi ma, sulla base di un giudizio equitativo, una somma pari a Euro 65.000.

6. L’ (OMISSIS)Darsena (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi.

7. Il (OMISSIS) (oggi denominato n. (OMISSIS)) ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.

8. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’avvenuta applicazione nel caso di specie dell’articolo 1463 c.c. in luogo degli articoli 1418 c.c., Regio Decreto n. 368 del 1904, 132, 133, 134 e ss. in relazione all’articolo 1346 c.c. per impossibilita’ giuridica assoluta originaria ad eseguire la prestazione cui si era obbligato il (OMISSIS).

La censura ha ad oggetto la nullita’ della convenzione stipulata dal consorzio per impossibilita’ dell’oggetto, non avendo questo mai avuto il titolo o la concessione che gli conferiva il potere di stipulare la convenzione.

Il bene, infatti, sin dall’origine doveva qualificarsi come di demanio pubblico e non di demanio marittimo ad uso pubblico, pertanto, la Delib. Comune 25 febbraio 2003, n. 25 era solo ricognitiva e non costituiva un’impossibilita’ giuridica sopravvenuta, essendo il divieto di uso della foce del canale antecedente alla convenzione e derivante dalla normativa esistente alla data della sua stipula nel 1997.

Anche dalla natura e dallo statuto del Consorzio, ente di diritto pubblico soggetto alla disciplina di cui al Regio Decreto n. 368 del 1904, emergeva l’esclusione della possibilita’ di una concessione d’uso non diretta alla destinazione di servizio delle aree.

La ricorrente richiama gli articoli 133 e 134 citato Regio Decreto i quali elencano una serie di atti, opere ed attivita’ assolutamente vietate per legge nei canali di bonifica e nelle loro varie pertinenzialita’, comprese strade, argini, specchi d’acqua tra cui il passaggio via terra di mezzi, il passaggio di imbarcazioni e qualsiasi presenza continuata potenzialmente di ostacolo al corretto funzionamento dei canali di scarico delle acque.

In tale ultimo caso e’ possibile ottenere una concessione del consorzio di bonifica affidatario della zona ma solo per attivita’ funzionali allo sfruttamento dei terreni agricoli adiacenti al canale di bonifica, ovvero per consentire il deflusso agevole delle acque interne al mare, evitando che qualsiasi ostacolo naturale umano possa provocare impedimento al deflusso allagamenti/alluvioni.

Non sarebbe consentito l’uso del canale delle aree adiacenti per fini sportivi neppure per limitati periodi temporali durante l’anno. Pertanto, sarebbe nulla la convenzione predisposta dal consorzio che si fondava su un atto concessorio al privato del Consorzio in cambio di un canone annuo di pagamento.

Vi sarebbe dunque un errore di diritto nell’affermazione della Corte d’Appello secondo la quale il Comune aveva sottratto il bene alla concessione del consorzio, inserendola nel demanio marittimo, in quanto il bene era gia’ parte del demanio marittimo e in seguito alla Legge Bassanini al Comune erano state trasferite le competenze in ordine alla gestione di tali beni ferma l’obbligatorieta’ di mantenere la continuita’ dell’attivita’ amministrativa gia’ delle capitanerie di porto.

Il giudice dell’appello non avrebbe verificato il comportamento del consorzio che aveva concesso un diritto senza averne titolo e aveva omesso di tutelare in sede amministrativa gli interessi dell’altro contraente. Vi era dunque l’impossibilita’ giuridica originaria alla destinazione concessa dal (OMISSIS).

La sentenza, pertanto, dovrebbe essere cassata nella parte in cui non ha riconosciuto la nullita’ del contratto per impossibilita’ originaria della prestazione cui si era obbligato il consorzio senza averne alcun titolo dispositivo.

2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’omessa applicazione del dovere giuridico dell’obbligo di buona fede articoli 1173, 1175, 1337 c.c., in relazione all’avvenuta violazione dell’articolo 2697 c.c. regolante la disciplina dell’onere della prova in materia di indebito oggettivo derivante da titolo originariamente inesistente o comunque invalido.

A parere della ricorrente vi sarebbe anche una violazione dell’obbligo di buona fede sin dalla nascita del vincolo negoziale da parte del Consorzio che non avrebbe eseguito l’obbligazione fondamentale di consentire l’uso dello specchio d’acqua alla (OMISSIS) per l’alaggio, il varo e la movimentazione dei natanti.

Tale obbligazione era giuridicamente impossibile sin dall’origine, in quanto non rientrava nei fini statutari del Consorzio e non era compresa nei poteri derivanti dall’atto di concessione. Il Consorzio aveva taciuto tali aspetti, ottenendo dalla (OMISSIS) l’esecuzione dei lavori e in cio’ violando l’obbligo di buona fede e di protezione degli interessi dell’altro contraente e di informazione, fonte di autonoma responsabilita’ risarcitoria.

Nella specie risulterebbe violato anche l’articolo 2697 c.c. perche’ il consorzio non ha ne’ allegato ne’ fornito alcuna prova di aver posto in condizione la (OMISSIS) di conoscere effettivamente i suoi titoli concessori, anzi nel contratto si qualificava quale ente concessorio dell’area fino alla delimitazione segnata dalla recinzione esistente, ragione per cui il Consorzio aveva sostenuto che l’esecuzione dei lavori da parte della (OMISSIS) fosse difforme da quella stabilita.

I giudici della Corte d’Appello avrebbero violato la regola sull’onere della prova posta a carico del consorzio. La sentenza pertanto andrebbe cassata nella parte in cui non ha riconosciuto il comportamento di malafede del Consorzio nel corso dell’intera vicenda contrattuale, dall’origine, all’esecuzione fino alla fase processuale, in applicazione dell’articolo 2697 c.c. con conseguente riconoscimento dell’inesistenza di comportamenti inadempienti o latamente inadempienti della (OMISSIS) con conseguente pieno diritto al risarcimento dei danni patrimoniali diretti e indiretti sofferti.

2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

I consorzi di bonifica possono autorizzare, ai sensi del Regio Decreto n. 368 del 1904, articolo 134, lettera e), la navigazione nei corsi d’acqua con barche, sandali o altrimenti, nonche’ il passaggio o l’attraversamento a piedi, a cavallo o con qualunque mezzo di trasporto nei detti corsi d’acqua ed argini, ed anche il transito di animali e bestiami di ogni sorta. Il successivo articolo 135 medesimo Regio Decreto prevede che i consorzi possano autorizzare tali attivita’ con un semplice permesso scritto, subordinando le attivita’ all’osservanza delle condizioni caso per caso prescritte.

Il regolamento sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi deve ritenersi ancora in vigore poiche’ per la esecuzione del Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215, che ha compiutamente disciplinato la materia, non e’ stato emanato un nuovo regolamento. Infatti il Decreto Legislativo 1 dicembre 2009, n. 179, articolo 1, comma 1, in combinato disposto con l’allegato 1 allo stesso decreto, ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore del suddetto Regio Decreto n. 215 del 1933 sia pure limitatamente ad alcuni articoli (da 1 a 53; da 74 a 121).

La convenzione tra il consorzio di bonifica e la ricorrente si colloca nell’alveo di tale disciplina e, dunque, non ha pregio la tesi secondo la quale il Consorzio non aveva il potere di stipulare la convenzione in esame.

Peraltro, la ricorrente non specifica che tipo di canali erano oggetto della convenzione in quanto devono distinguersi i canali naturali da quelli artificiali, interamente costruiti per opera dell’uomo, e in tale ambito deve operarsi un ulteriore distinzione tra quelli costruiti dalla pubblica amministrazione e quelli costruiti da privati.

Sono infatti considerati pubblici e demaniali in forza di una specifica disposizione normativa, ancorche’ chiaramente artificiali, i canali di bonifica realizzati dallo Stato o dalla P.A. direttamente ovvero mediante i Consorzi di Bonifica secondo le disposizioni del Regio Decreto 13 febbraio 1933, n. 215 “Nuove norme per la bonifica integrale”.

In tali canali vi scorrono le acque pubbliche che essi stessi provvedono a drenare e ad allontanare dai terreni piu’ depressi recapitandoli in altri corsi d’acqua pubblici. Restano esclusi dal demanio idrico, invece, i canali artificiali realizzati da privati, nei quali le acque (pubbliche) vi sono artificialmente ed appositamente immesse in base a singoli atti di concessione ai sensi del Testo Unico 1775/1933.

In ogni caso, i Consorzi di bonifica sono concessionari ex lege dei beni demaniali loro affidati per l’espletamento dell’attivita’ istituzionale (v. Sez. 5, n. 19053-14, n. 16867-14, n. 22094-14) e la natura demaniale dei beni strumentali ai compiti dei consorzi di bonifica non esclude che quest’ultimi possiedano tali beni loro affidati in uso per legge, in qualita’ di soggetti obbligati alla esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere realizzate per finalita’ di bonifica e di preservazione idraulica;. (Sez. U, Sent. n. 1131 del 2014). In definitiva nell’ambito delle attribuzioni proprie dei consorzi di bonifica rientra anche la potesta’ concessoria ex Regio Decreto n. 368 del 1904.

Cio’ premesso deve osservarsi che il presunto motivo di nullita’ prospettato dalla ricorrente deriverebbe direttamente dalla legge e, dunque, avrebbe dovuto o potuto essere conosciuto anche dalla stessa Associazione (OMISSIS) la quale, dunque, non puo’ dirsi ingannata o fuorviata dalla ignoranza della causa di invalidita’ del contratto che era nei suoi poteri conoscere ex articolo 1338 c.c.

A tal proposito, infatti, occorre ribadire che “La responsabilita’ ex articolo 1338 c.c., che costituisce una specificazione della responsabilita’ precontrattuale di cui all’articolo precedente, presuppone non solo la colpa di una parte nell’ignorare la causa di invalidita’ del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell’altra parte nel confidare nella sua validita’” (Sez. L, Sent. n. 16508 del 2004).

Solo in tal caso, infatti, si giustificherebbe una responsabilita’, peraltro di tipo precontrattuale mai azionata dalla ricorrente – a carico del consorzio di bonifica per tutelare la legittima aspettativa dell’associazione (OMISSIS) al perseguimento delle utilita’ cui essa mirava mediante la stipulazione del contratto. Pertanto, la specifica censura di violazione degli obblighi di buona fede nelle trattative precedenti la stipula della convenzione, oltre ad essere del tutto infondata per quanto si e’ detto, sarebbe anche inammissibile perche’ introduce una questione nuova non corrispondente alla domanda di risoluzione per inadempimento che l’associazione aveva fatto valere con l’atto introduttivo del giudizio.

A tal proposito deve anche ribadirsi che dall’esecuzione di un contratto nullo – che si ripete e’ da escludersi nel caso in esame – ne deriva il diritto all’indennizzo per indebito oggettivo o se ne ricorrono i presupposti per arricchimento indebito ai sensi dell’articolo 2041 c.c. quando in concreto il modo in cui il rapporto e’ risultato attuato puo’ determinare l’arricchimento di una parte, con corrispondente depauperamento dell’altra (Sez. 2, Sent. n. 20069 del 2018).

La giurisprudenza di questa Corte – pur costantemente mutuando, in caso di nullita’ del contratto, la disciplina degli eventuali obblighi restitutori da quella dell’indebito oggettivo – ha, tuttavia, chiarito che la ripetibilita’ e’ condizionata dal contenuto della prestazione e dalla possibilita’ concreta di ripetizione, secondo le regole dell’articolo 2033 c.c. e ss., operando altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l’azione generale di arricchimento prevista dall’articolo 2041 c.c. (Sez. 3, Sentenza n. 9052 del 2010; Sez. 1. Sent. N. 21467 del 2005).

Pertanto, l’associazione ricorrente avrebbe avuto comunque diritto solo all’indennizzo per l’indebito arricchimento del Consorzio come le e’ stato riconosciuto nella sentenza impugnata.

In conclusione la sentenza impugnata e’ conforme al seguente principio di diritto cui deve darsi continuita’:

“In caso di risoluzione per inadempimento del vincolo contrattuale, il venir meno della causa adquirendi comporta l’obbligo di restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso, secondo le regole dell’indebito oggettivo, sicche’, ove si verta nel caso di restituzione di una cosa determinata della quale sia impossibile la riconsegna, l’obbligo dell’accipiens risulta disciplinato dall’articolo 2037 c.c., sicche’, ove sia in malafede nel ricevere o trattenere il bene, e’ tenuto a corrispondere il controvalore, mentre nell’opposta situazione di buona fede e’ obbligato nei soli limiti del suo arricchimento” (Sez. 3, Sent. n. 18185 del 2014).

3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: omesso esame di un fatto decisivo della controversia oggetto di contestazione tra le parti: allestimento di un porticciolo per ormeggio da parte di (OMISSIS).

A parere della ricorrente la ricostruzione dei fatti di causa sarebbe errata su un punto decisivo della controversia relativo al perfetto adempimento delle obbligazioni da parte della (OMISSIS), che si era assunta l’obbligazione di redigere i progetti di ristrutturazione del sito secondo i disegni di massima allegati al contratto predisposto dal consorzio e, dunque, dallo stesso approvati. Sulla base di tali progetti e delle relative relazioni tecniche erano stati eseguiti i lavori, peraltro, sotto la supervisione del consorzio che li aveva accettati in data 27 gennaio 2001.

Anche la consulenza tecnica aveva accertato che i lavori difformi dal progetto originario erano minimali, come confermato anche dal giudice di primo grado. Dunque, l’associazione (OMISSIS) aveva professionalmente e diligentemente adempiuto alle obbligazioni assunte. I lavori erano stati eseguiti su disegni di massima allegati alla convenzione predisposta dal consorzio ed eseguiti sotto la sua supervisione e accettati dal medesimo.

L’Associazione (OMISSIS) aveva subito ingenti danni patrimoniali, avendo impiegato denari per la redazione di un progetto e per la sua realizzazione, compreso il costo del professionista e dell’appaltatore, senza godere dello specchio d’acqua promesso dal Consorzio per i 24 anni di durata del contratto e con la perdita della concessione del precedente scivolo di lancio in uso dal 1993.

La sentenza andrebbe dunque cassata con riconoscimento dei danni nella misura massima richiesta, compresa anche la perdita dei contributi sociali per il periodo di durata della concessione invalida.

4. Il quarto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato violazione e falsa applicazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 dell’articolo 2037 c.c., in quanto non correttamente applicati i criteri di determinazione delle obbligazioni restitutorie e correlativa violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per difetto di motivazione sul punto.

A parere della ricorrente i criteri di quantificazione delle obbligazioni restitutorie sarebbero errati perche’ dovevano essere risarciti interamente i costi complessivi delle opere eseguite oltre ai danni patrimoniali.

La Corte d’Appello avrebbe errato nella quantificazione del danno o dell’indebito arricchimento senza tener conto degli elementi emersi nel corso dell’istruttoria e in violazione deli poteri discrezionali di liquidazione equitativa.

4.1 I motivi terzo e quarto, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

La ricorrente richiede una diversa valutazione degli elementi in base ai quali la Corte d’Appello di Firenze ha ritenuto, conformemente al Tribunale di Livorno che non tutti i lavori effettuati fossero ricompresi nell’accordo intercorso con il Consorzio. Si tratta di un giudizio fondato su un accertamento di fatto che non puo’ essere oggetto di sindacato in sede di legittimita’ se non per omesso esame di un fatto decisivo. Peraltro, parte delle censure non tengono conto dell’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata fondata sull’impossibilita’ sopravvenuta.

La Corte d’Appello, infatti, ha ritenuto che nella specie non vi fosse alcun inadempimento rilevante da parte dei due contraenti e ha ritenuto risolto il contratto per impossibilita’ sopravvenuta non imputabile alle parti. Ne consegue che non essendoci stata affermazione di responsabilita’ per inadempimento di una delle due parti non puo’ prendersi in considerazione il profilo del danno come richiesto dalla ricorrente. Per inciso deve anche osservarsi che l’aver ottenuto i permessi amministrativi per effettuare le opere, come rivendicato nel ricorso, lascia presupporre che le stesse erano legittime, smentendo ulteriormente la tesi dell’originaria illiceita’ della convenzione.

Infine, quanto alla quantificazione dell’indennita’ spettante all’associazione dilettantistica (OMISSIS) per l’indebito arricchimento del Consorzio la stessa, come del resto e’ evidenziato nel ricorso, e’ stata oggetto di una valutazione equitativa. La Corte d’Appello ha ritenuto che non fosse possibile calcolare analiticamente l’arricchimento in quanto relativo ad opere non commerciabili e prive di intrinseco valore di mercato.

Infatti, il Consorzio si era giovato in buona fede delle opere di sistemazione della foce eseguite dall’associazione (OMISSIS), ma tali opere avevano avuto carattere ipertrofico rispetto all’interesse del concessionario mirato alla sicurezza dello scarico al mare delle acque di bonifica ed indifferente alle strutture funzionali all’attivita’ associativa della (OMISSIS). In particolare, il Consorzio si era trovato in possesso di opere costose e superflue come la scogliera frangiflutti, lo scivolo di alaggio ed una lunga palificazione degli argini, prive di ogni intrinseco di valore di mercato e suscettibili addirittura di provocare ulteriori costi di demolizione smaltimento ai fini della sanatoria amministrativa richiesta.

Per questo motivo la Corte d’Appello ha ritenuto che il Tribunale avesse esagerato la stima della liquidazione dell’indennizzo all’associazione (OMISSIS) in complessivi Euro 130.081,21 e di conseguenza ha ridotto l’importo a Euro 65.000.

In relazione al quantum debeatur a titolo di indennizzo per l’indebito arricchimento del Consorzio, la soluzione adottata sul punto dalla Corte territoriale deve ritenersi conforme ai principi normativi di liquidazione giudiziale di equita’. Va infatti qui ribadito che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 c.c. (norme applicabili anche in materia di determinazione dell’indennizzo ex articolo 2041 c.c.), costituisce espressione del piu’ generale potere di cui all’articolo 115 c.p.c.; dando luogo non gia’ ad un giudizio “di equita’”, ma ad un giudizio “di diritto” caratterizzato dalla cosiddetta equita’ giudiziale di natura meramente correttiva od integrativa.

Cio’ presuppone, dunque, non solo che sia provata l’esistenza di danni risarcibili, ma anche che risulti obiettivamente impossibile calcolare il quantum nel suo preciso ammontare. Sicche’, in presenza di tali elementi, il potere-dovere del giudice di liquidare in via equitativa il danno e’ stato correttamente esercitato.

Peraltro, la valutazione circa il mancato raggiungimento della prova sul quantum debeatur attiene ad una tipica quaestio facti rientrante nella discrezionalita’ del giudice di merito, cosi’ da risultare insindacabile in sede di legittimita’, ove congruamente motivata. Nel caso di specie, come sopra si e’ evidenziato, la Corte di Appello ha dato conto delle ragioni per le quali doveva procedersi ad una liquidazione equitativa dell’indennizzo ed ha altresi’ ampiamente motivato il criterio in base al quale ha ritenuto congrua la somma di Euro 65.000,00.

In definitiva la ricorrente con i motivi in esame richiede una diversa valutazione dei medesimi fatti al fine di sostenere il suo diritto ad un maggior indennizzo per l’indebito arricchimento del Consorzio, attivita’ non consentita al giudice di legittimita’.

5. Il primo motivo del ricorso incidentale e’ cosi’ rubricato: ultrapetizione e violazione del principio della domanda ex articolo 112 c.p.c., violazione di legge, risoluzione per inadempimento ex articolo 1453 c.c. violazione di legge, lesione diligenza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione, articoli 1175, 1176 e 1375 c.c. violazione di legge lesione dell’efficacia probatoria dell’atto pubblico articoli 2699 e 2700 c.c.

La censura si incentra sull’inadempimento contrattuale dell’Associazione (OMISSIS) rilevante anche sul piano pubblicistico oltre che su quello privatistico come accertato dalle autorita’ preposte ai controlli. La convenzione assimilabile a un rapporto locativo e l’uso difforme della cosa locata costituirebbero un inadempimento immediatamente valutabile ai fini della risoluzione del contratto.

La sentenza impugnata dunque avrebbe errato in quanto l’inadempimento della (OMISSIS) tale da risolvere il contratto era precedente rispetto a quello derivante dall’impossibilita’ sopravvenuta per la delibera del Comune. La Corte d’Appello, dunque, avrebbe dovuto dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento della (OMISSIS) ex articolo 1453 c.c. e non per impossibilita’ sopravvenuta ex articolo 1463 c.c.

6. Il secondo motivo del ricorso incidentale e’ cosi’ rubricato violazione dell’articolo 1226 c.c. in relazione all’articolo 2033 c.c. in punto di quantificazione della misura dell’arricchimento violazione di legge ex articolo 132 c.p.c. per difetto di motivazione.

La quantificazione operata dalla Corte d’Appello sarebbe erronea in quanto ha attribuito al consorzio anche costi dovuti alla realizzazione di opere abnormi rispetto a quelle consentite senza alcun effettivo arricchimento del Consorzio. La consulenza tecnica aveva accertato che le fatture del contratto d’appalto su cui si fondava la richiesta di pagamento contemplavano anche la realizzazione di opere non previste con particolare riferimento ad una scogliera frangiflutti e ad una maggiore lunghezza della palificata oggetto poi di domanda di sanatoria edilizia ancora pendente e realizzata in difformita’ ed eccedenza rispetto al progetto originariamente allegato alla convenzione.

7. I due motivi del ricorso incidentale del (OMISSIS), che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

La censura relativa all’inadempimento da parte dell’associazione (OMISSIS) e’ infondata per i medesimi motivi evidenziati con riferimento alla opposta censura proposta da quest’ultima con il ricorso principale.

Si e’ gia’ detto, infatti, che la Corte d’Appello, con giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimita’ se non nei ristretti limiti di cui al novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha ritenuto che l’associazione (OMISSIS) non abbia tenuto un comportamento tale da costituire un inadempimento alle obbligazioni assunte con la convenzione stipulata con il Consorzio.

In proposito e’ sufficiente richiamare il seguente principio di diritto cui il Collegio intende dare continuita’:

“In materia di responsabilita’ contrattuale, la valutazione della gravita’ dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive ai sensi dell’articolo 1455 c.c. costituisce questione di fatto, la cui valutazione e’ rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici” (ex plurimis Sez. 6-2, Ord. n. 12182 del 2020 Sez. 3, Sent. n. 6401 del 2015).

Quanto all’entita’ dell’indebito arricchimento valgono le medesime considerazioni gia’ espresse in relazione alla censura formulata con il quarto motivo dalla ricorrente principale, trattandosi di una liquidazione equitativa fondata su una valutazione del giudice di merito ampiamente motivata.

8. In conclusione deve rigettarsi tanto il ricorso principale che quello incidentale.

9. Le spese del giudizio di legittimita’ devono essere compensate stante la reciproca soccombenza.

10. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principale e incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese del giudizio di legittimita’.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principale e incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.