in tema di marchio complesso, i segni che lo compongono non devono essere necessariamente dotati di forte capacita’ distintiva, ma possono anche risultare, sia separatamente che nella loro combinazione, privi di una particolare forza individualizzante, con la sola conseguenza che in tal caso il marchio complesso sara’ configurabile come marchio debole, anziche’ come marchio forte

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 5 marzo 2019, n. 6385

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17289/2014 proposto da:

(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo Studio (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore;

– controricorrente –

contro

Ministero dello Sviluppo Economico – Direzione Generale per la lotta alla contraffazione;

– intimato –

avverso la sentenza n. 16/2014 della COMMISSIONE DEI RICORSI CONTRO I PROVVEDIMENTI DELL’UFFICIO ITALIANO BREVETTI E MARCHI di (OMISSIS), depositata il 24/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2018 dal cons. NAZZICONE LOREDANA.

FATTI DI CAUSA

L’ (OMISSIS) s.p.a., titolare del marchio comunitario n. 256347 per le classi di prodotto 24 (tessuti) e 25 (abbigliamento per uomo, donna, bambino), depositato il 9 maggio 1996, registrato il 22 marzo 2000 e rinnovato il 20 febbraio 2006, nonche’ del marchio nazionale n. 936304 per le classi 3 (profumeria e cosmetici), 9 (occhiali), 14 (articoli di gioielleria) e 25 (abbigliamento per uomo, donna e bambino), depositato il 9 luglio 2004 e registrato il 2 settembre 2004, entrambi costituiti dalla parola “(OMISSIS)”, propose opposizione alla domanda di registrazione del marchio n. (OMISSIS), costituito dalle parole “(OMISSIS)” e relativo alle classi di prodotto 3, 16, 18, 24, 25, 28, 32, 41, depositata dalla (OMISSIS) s.r.l..

L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi rigetto’ l’opposizione.

L’impugnazione proposta dall’ (OMISSIS) s.p.a. e’ stata respinta dalla Commissione per i ricorsi con sentenza del 24 febbraio 2014, n. 16.

Premesso che, rappresentando lo sviluppo della parola “(OMISSIS)”, il marchio della ricorrente era costituito da un elemento debole, e quindi inidoneo a respingere come imitativi i marchi che utilizzassero la medesima radice, soprattutto nell’ambito di marchi complessi, la Commissione ha rilevato che nella specie la radice “Imper”, declinata nel sostantivo “(OMISSIS)”, era inserita in un marchio complesso nell’ambito del quale era preceduta dalla parola “miss”. Ha, quindi, ritenuto che la parola “miss”, oltre a costituire la componente prevalente a livello visivo, imponesse a livello fonetico un’intonazione ed un ritmo ben diversi alla sillabazione rispetto al marchio anteriore, e determinasse a livello concettuale una connessione con l’aspetto dominante di una bella donna, sintomatico di una sorta di appartenenza ad una superiore qualita’. Ha concluso pertanto per l’insussistenza del rischio di confusione, in considerazione della debolezza del marchio anteriore e della complessita’ di quello successivo, che aveva ulteriormente diluito la predetta debolezza in una nuova entita’, avente una sua originale capacita’ distintiva.

Avverso detta sentenza l’ (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria.

L’intimata ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

Gli altri intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.

Si e’ costituito nuovo procuratore della controricorrente, depositando memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Va dichiarata l’inammissibilita’ della memoria prodotta dalla controricorrente in una con l’atto di costituzione di nuovo difensore, che solo a tal fine deve essere rivolto, restando ogni ulteriore difesa preclusa dal decorso del termine per le memorie previste dalla legge.

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 10 febbraio 2005, n. 30, articolo 13, commi 1, lettera b), e comma 2, sostenendo che, nel riconoscere scarsa capacita’ distintiva alla parola “(OMISSIS)”, nonostante la mancanza di qualsiasi attinenza concettuale con i prodotti contraddistinti, la sentenza impugnata non ha considerato che e’ proprio la distanza semantica rispetto ai medesimi prodotti ad attribuire al segno capacita’ distintiva: anche un’espressione di uso comune puo’ costituire un marchio forte, se destinata a contraddistinguere prodotti che non hanno alcuna affinita’ concettuale con essa, mentre la sentenza impugnata non ha tenuto alcun conto di tale estraneita’, ne’ dell’ampio uso e della notorieta’ conseguentemente acquisita dal marchio.

Il motivo e’ infondato.

La risposta alla doglianza e’ da rinvenire nelle pronunce di questa Corte analogamente rese tra le medesime parti (tutte non massimate: Cass., ord. 19 dicembre 2017, n. 30491, r.g. 17292/2014; Cass., ord. 19 dicembre 2017, n. 30490, r.g. 17291/2014; Cass., ord. 30 novembre 2017, n. 28818, r.g. 17290/2014), da cui non vi e’ ragione di discostarsi, secondo cui la debolezza della capacita’ distintiva riconosciuta dalla sentenza impugnata alla parola “(OMISSIS)”, utilizzata dalla ricorrente per distinguere i propri prodotti, trova conforto nel consolidato orientamento giurisprudenziale che, nell’escludere in linea di principio la brevettabilita’ come marchi di parole o espressioni tratte dal linguaggio comune, che abbiano una funzione intrinsecamente descrittiva della qualita’ del prodotto, fa salva l’ipotesi in cui le stesse non presentino alcuna aderenza concettuale con il prodotto contraddistinto, ma siano ad esso collegate da un accostamento di pura fantasia, tale da consentire di riconoscervi carattere originale ed efficacia individualizzante (in tal senso, Cass. 9 ottobre 1992, n. 11017; 30 gennaio 1985, n. 573; 11 maggio 1982, n. 2929).

Tale orientamento, formatosi sotto la vigenza del Regio Decreto 21 giugno 1942, n. 929, ha trovato seguito, in dottrina e nella giurisprudenza di merito, anche in epoca successiva all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 30 del 2005, il quale, dettando una disciplina sostanzialmente non dissimile da quella prevista dal Regio Decreto n. 929, articolo 18, esclude, al Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 13, comma 1, lettera b), il carattere distintivo dei segni “costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono, come i segni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualita’, la quantita’, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o del servizio”.

Tale enumerazione, avente carattere meramente esemplificativo delle ipotesi in cui l’indicazione riveste carattere descrittivo, viene infatti ritenuta concordemente riferibile a quelle parole, figure o segni che nel linguaggio comune, industriale o commerciale, sono impiegati usualmente per indicare categorie di prodotti merceologicamente eterogenee oppure una rivendicazione di qualita’.

Tra questi segni vengono ricomprese anche tutte quelle parole o espressioni adoperate non gia’ per evocare o descrivere un singolo prodotto o servizio, ma per magnificare in genere tutti i prodotti o servizi ai quali vengano riferite, attraverso la sottolineatura del livello superiore delle relative caratteristiche (ad es., fine, super, extra), della raffinatezza dell’utente cui sono destinati (ad. es., deluxe, elite, top) o del prestigio che conferiscono a chi se ne avvale (ad. es., royal, prestige, etc.): proprio perche’ ormai ampiamente invalse nell’uso comune per esaltare agli occhi del consumatore medio le qualita’ di qualsiasi prodotto o servizio per il quale vengano adoperate, tali parole o espressioni sono destinate a non assumere un significato particolarmente originale, neppure in ragione dell’accostamento concretamente realizzato, il quale, anche quando non trovi corrispondenza in un collegamento concettuale con le caratteristiche specifiche del prodotto o del servizio contrassegnato, non costituisce di per se’ manifestazione di speciale inventiva o immaginazione.

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, ritenuto che il segno distintivo adottato dalla ricorrente costituisse lo sviluppo della radice “(OMISSIS)”, vi ha ravvisato un elemento debole, e quindi inidoneo a respingere come imitativi i marchi che utilizzino la medesima radice, indipendentemente dalla mancanza di affinita’ concettuale con i prodotti da esso contraddistinti e dalla notorieta’ acquisita con l’uso, la cui valutazione doveva considerarsi nella specie superflua, avuto riguardo alla portata meramente descrittiva del termine utilizzato, da intendersi come un’allusione al pregio dei capi di abbigliamento e degli accessori commercializzati con quel marchio.

E’ pur vero che, per effetto della tutela del c.d. secondary meaning, introdotta nel nostro ordinamento dal Decreto Legislativo n. 4 dicembre 1992, n. 480, e recepita dal Decreto Legislativo n. 30 del 2005, all’articolo 13, commi 2 e 3, un segno, originariamente sprovvisto di capacita’ distintive per genericita’, mera descrittivita’ o mancanza di originalita’, puo’ acquistare in seguito tali capacita’, in conseguenza del consolidarsi del suo uso sul mercato, cosicche’ l’ordinamento si trova a recepire il fatto dell’acquisizione successiva di una distintivita’ attraverso un meccanismo che e’ stato definito di “convalidazione” del segno; tale principio, riferito dalla legge all’accertamento della sussistenza dei requisiti necessari per la registrazione, e’ stato esteso dalla giurisprudenza anche al caso di trasformazione di un marchio originariamente debole in uno forte, con il conseguente riconoscimento della medesima tutela accordata ai marchi originariamente forti e l’affermazione che l’accertamento della contraffazione va effettuato in base agli stessi criteri che presiedono alla tutela del marchio forte (cfr. Cass. 10 novembre 2015, n. 22953; 3 aprile 2009, n. 8119; 26 gennaio 1999, n. 697). Nella specie, tuttavia, la verificazione di tale fenomeno non e’ stata specificamente dedotta, neppure in questa sede, essendosi la ricorrente limitata a far valere genericamente la notorieta’ acquisita dal marchio, senza specificare le circostanze di fatto, eventualmente allegate e dimostrate nel giudizio di merito e trascurate dalla sentenza impugnata, da cui avrebbe potuto desumersi l’intervenuto acquisto della pretesa capacita’ distintiva.

3. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 12, comma 1, lettera d), affermando che la complessita’ del marchio della controricorrente avrebbe richiesto un esame parcellizzato degli elementi dotati di capacita’ caratterizzante: trattandosi di confrontare un marchio semplice con uno complesso, la Commissione avrebbe dovuto innanzitutto identificare l’elemento dominante di quest’ultimo, e successivamente verificarne la confondibilita’ con quello anteriore. Nell’individuare l’elemento dominante del marchio complesso nella parola “miss”, nonostante la sua funzione descrittiva, la sentenza impugnata non ha considerato che era proprio tale funzione ad escluderne la capacita’ distintiva, trattandosi di un’espressione volta esclusivamente ad indicare l’abbigliamento femminile.

L’esclusione della confondibilita’ dei marchi si pone d’altronde in contrasto con il principio secondo cui costituisce contraffazione anche l’inclusione in un marchio complesso dell’unico elemento che caratterizza un marchio precedentemente registrato.

Il motivo e’ infondato.

Come del pari osservato nelle sopra ricordate decisioni, la debole capacita’ distintiva attribuita alla radice “(OMISSIS)”, pur inducendo la Commissione per i ricorsi ad escludere il ruolo dominante della parola “(OMISSIS)”, nell’ambito del marchio di cui la controricorrente ha chiesto la registrazione, ed a riconoscere tale ruolo alla parola “(OMISSIS)”, anteposta alla stessa, non ha comportato l’attribuzione a quest’ultima di una particolare capacita’ distintiva, essendosi la sentenza impugnata limitata ad osservare che la sua presenza determina una connessione con l’aspetto dominante di una bella donna, sintomatico di una sorta di appartenenza ad una superiore qualita’.

Nel richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ in tema di marchio complesso, la Commissione ha d’altronde sottolineato correttamente che i segni che lo compongono non devono essere necessariamente dotati di forte capacita’ distintiva, ma possono anche risultare, sia separatamente che nella loro combinazione, privi di una particolare forza individualizzante, con la sola conseguenza che in tal caso il marchio complesso sara’ configurabile come marchio debole, anziche’ come marchio forte (cfr. Cass. 18 gennaio 2013, n. 1249; 16 aprile 2008, n. 10071).

In questa visuale, la portata descrittiva da riconoscersi eventualmente alla parola “(OMISSIS)”, in quanto riferibile allo stile dei capi di abbigliamento e degli accessori commercializzati dalla controricorrente, non puo’ considerarsi di per se’ idonea ad escludere la capacita’ distintiva del marchio, essenzialmente ricollegabile, come ritenuto dalla sentenza impugnata, alla combinazione dei due termini da cui e’ composto, considerata di per se’ sufficiente a “diluire” il marchio debole anteriore “in una nuova entita’, avente una sua originale capacita’ distintiva” (ultima pag. della decisione impugnata).

Il predetto apprezzamento non si pone in alcun modo in contrasto con il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui l’inclusione in un marchio complesso dell’unico elemento, nominativo o emblematico, che caratterizza un marchio semplice precedentemente registrato si traduce in una contraffazione, anche se il nuovo marchio sia costituto da altri elementi che lo differenziano da quello precedente (cfr. Cass. 14 luglio 1987, n. 6128; 11 maggio 1982, n. 2929; 16 ottobre 1969, n. 3343).

Tale principio, postulando che il marchio precedentemente registrato sia dotato di una particolare forza individualizzante, tale da renderlo autonomamente riconoscibile anche se inserito in una rappresentazione piu’ articolata, non e’ riferibile all’ipotesi in cui, come nella specie, il predetto inserimento comporti un’alterazione sostanziale del suo significato, in considerazione della debole capacita’ distintiva, derivante dall’adozione di una parola o un’espressione avente carattere meramente descrittivo: mentre infatti per il marchio forte vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identita’ sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilita’ anche lievi modificazioni o aggiunte (cfr. Cass. 24 giugno 2016, n. 13170; 25 gennaio 2016, n. 1267; 26 giugno 2007, n. 14787).

4. – Il ricorso va pertanto respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, che si liquidano come dal dispositivo. La mancata costituzione degli altri intimati esclude invece la necessita’ di provvedere al regolamento delle spese processuali nei rapporti con gli stessi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Dichiara che sussistono presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.