nel giudizio avente ad oggetto la richiesta di disporre il rilascio di un immobile per finita locazione, il giudice che rileva la nullità del contratto può, al tempo stesso, attribuire all’attore il bene della vita domandato, sul rilievo della carenza di un titolo giustificativo del godimento dello stesso da parte del convenuto, atteso che il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato non osta alla attribuzione all’attore del bene reclamato per ragioni giuridiche diverse da quelle dallo stesso prospettate.

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Per ulteriori approfondimenti in materia di locazioni si consiglia la lettura dei seguenti articoli:

Tribunale Milano, Sezione 13 civile Sentenza 7 novembre 2018, n. 11329

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

TREDICESIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa E. Antenore, ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 6590/2018 r.g. promossa da:

(omissis)

(…) rappresentati e difesi dall’avv. (…), elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore,

RICORRENTE

contro

Omissis

RESISTENTE CONTUMACE

OGGETTO: Altri istituti del diritto delle locazioni.

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Rilevato

che i ricorrenti hanno allegato che, sebbene il contratto di locazione concluso dalla loro dante causa, (omissis) in data 10/05/2()04, avente ad oggetto l’unità immobiliare adibita ad autorimessa sita in (omissis) avesse cessato da tempo i suoi effetti (essendo scaduto il termine finale del 15/05/2005), il conduttore non aveva rilasciato il suddetto immobile e non aveva neppure pagato il canone di locazione dal mese di giugno 2005 sino ad oggi;

che i ricorrenti hanno proposto domanda di accertamento della detenzione dell’immobile da parte del resistente senza alcun titolo e domanda di condanna dello stesso alla restituzione del bene, nonché al pagamento della somma di Euro 200 mensile a titolo di indennità per la detenzione illegittima dalla richiesta di restituzione intimata in data 10/01/2018 sino alla effettiva restituzione; ritenuto

che la scrittura privata di locazione dell’autorimessa (cfr. doc.3) è nulla per mancata registrazione ai sensi dell’art. 1 co. 346 della legge 30 dicembre 2004 n. 311 (che così prevede: “i contratti di locazione o che comunque costituiscono diritti reali di godimento, di unità immobiliari o di singole porzioni, comunque stipulati, sono nulli se ricorrendone i presupposti non sono registrati”); che, di conseguenza, l’immobile risulta occupato in forza di un contratto privo ab origine dei requisiti di validità;

che nel giudizio avente ad oggetto la richiesta di disporre il rilascio di un immobile per finita locazione, il giudice che rileva la nullità del contratto può, al tempo stesso, attribuire all’attore il bene della vita domandato, sul rilievo della carenza di un titolo giustificativo del godimento dello stesso da parte del convenuto, atteso che il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato non osta alla attribuzione all’attore del bene reclamato per ragioni giuridiche diverse da quelle dallo stesso prospettate (cfr. Cass. 21930/2015; Cass. 9813/1997; Cass. 4290/1989);

che, per gli stessi motivi, può essere accolta anche la domanda attorea di risarcimento del danno derivante dalla detenzione illegittima dell’immobile;

che in punto risarcimento del danno per occupazione sine titulo, va richiamata la giurisprudenza di legittimità, secondo cui, “in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario è in re ipsa discendendo dalla perdita della disponibilità del bene è dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso; la determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, con riguardo al valore locativo del bene usurpato” (Cass. 8-5-2006, n. 10498; Cass. 17-11-201 l. n. 24100);

che, in punto quantum, tale danno può essere determinato in Euro 155 mensili utilizzando quale parametro, ai sensi dell’art. 1226 c.c., l’entità del canone oggetto della scrittura sottoscritta dalle parti;

che non è, invece, accoglibile la pretesa della ricorrente di vedersi riconosciuto il pagamento delle indennità di occupazione future poiché l’art. 664 c.p.c., consente al giudice di emettere decreto ingiuntivo anche in relazione ai canoni di locazione a scadere, ma tale norma, introducendo una ipotesi eccezionale di condanna futura, non può essere interpretata in via analogica (e, dunque, essere applicata anche con riferimento alle indennità di occupazione), ai sensi dell’art. 14 disp. prel. c.c.;

che, quindi, il resistente va condannato al pagamento della somma di Euro 155 mensili dall’11/01/2018 (data di notificazione della diffida al rilascio – doc. 5) sino ad oggi, ovvero al pagamento della somma di Euro 1.550,00 (10 mensilità per Euro 155);

che le spese seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate secondo i parametri minimi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55 tenuto conto del valore della causa.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione o istanza rigettate, così dispone:

1) accerta la detenzione sine titulo da parte di OmiSSIS deirimmobilo destinato ad

(omissis)

2) condanna (omissis) all’immediato rilascio del suddetto immobile;

3) condanna (omissis) al risarcimento dei danni derivanti dalla detenzione illegittima quantificati in complessivi Euro 1.550,00, oltre agli interessi moratori dalla data della pubblicazione della sentenza sino al saldo;

4) condanna (omissis) alla refusione delle spese del giudizio in favore del ricorrente liquidate in Euro 1.378,00 per compenso professionale e in Euro 88,43 per spese, oltre rimborso spese generali 15%, I.v.a. e Cassa Avvocati alle rispettive aliquote di legge.

Così deciso in Milano il 7 novembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.