Il trasferimento di azienda nella definizione della direttiva, così come interpretata dalla Corte di Giustizia, è principalmente un fenomeno economico che si esprime nel passaggio di un’entità aziendale che mantiene la propria identità di organizzazione imprenditoriale di beni e servizi collocata sul mercato e sebbene ordinariamente il passaggio venga attuato attraverso strumenti contrattuali che pongono in relazione immediata cedente e cessionario, con un acquisto a titolo derivativo del diritto di proprietà o di gestione temporanea dell’attività, ciò non è però elemento indefettibile o necessario, ben potendo il passaggio realizzarsi attraverso una intermediazione o un terzo soggetto non imprenditore

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La Cessione d’azienda o ramo d’azienda

Contratto di Affitto di azienda

Corte d’Appello|Trento|Sezione L|Civile|Sentenza|5 agosto 2019| n. 75

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Corte di Appello di Trento Sezione per le CONTROVERSIE DI LAVORO riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

1. Dott.ssa Anna Maria Creazzo Presidente

2. Dott.ssa Anna Luisa Terzi Consigliere rel.

3. Dott.ssa Camilla Galtiboni Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile per le CONTROVERSIE DI LAVORO in grado di appello iscritta a molo in data 15/03/19 al n. 18/19 R.G. LAVORO promossa con ricorso in appello d.d. 15/3/19

DA

(…)

rappresentata e difesa come da procura su foglio separato depositato unitamente al ricorso in appello, dall’avv. (…) e con domicilio eletto presso il proprio studio in (…)

APPELLANTE-

CONTRO

(…)

giuste procure rilasciate su fogli separati dai quali è stata estratta copia informatica ed integrata nella busta telematica contenente il ricorso introduttivo del giudizio avanti il Tribunale di Rovereto sub RG 424/2015;

APPELLATI-

CONTRO

(…)

APPELLATA

OGGETTO: Altre ipotesi

Appello avverso la sentenza n. 29/19 pubblicata il 5/2/19 del Tribunale di 7 Trento sezione lavoro

Causa ritenuta in decisione sulla base delle seguenti

CONCLUSIONI DI PARTE APPELLANTE: (da ricorso in appello):

in riforma, per le ragioni di cui in narrativa o per le diverse ritenute di giustizia, della sentenza n. 29/2019 del Tribunale di Trento – Sezione Lavoro, dott. (…), pubblicata il 05.02.2019 nel procedimento rubricato al n. 71/2018 R.C. Lav.:

1) nel merito: accertare e dichiarare la sussistenza tra (…) e (…) s. (…) per il servizio di ristorazione di un contratto d’appalto e per l’effetto accertare e dichiarare l’applicabilità al caso di specie della disciplina di cui agli artt. 332 e ss del CCNL Turismo Pubblici Esercizi.

2) In via istruttoria:

A. Si chiede ammettersi prova per testi sulle seguenti circostanze, precedute dalla dizione “vero che”:

1) gli addetti all’appalto presso (…) di San Giovanni nella gestione (…) erano:

– (…), addetta al servizio mensa, orario di 18 ore settimanali;

– (…), addetta al servizio mensa, orario di 25 ore settimanali:

– (…), secondo cuoco, orario di 33,33 ore settimanali;

– (…), addetta al servizio mensa, orario di 18 ore settimanali;

– (…), cuoco unico, orario di 40 ore settimanali;

– (…), addetta a servizio mensa, orario di 20 ore settimanali come risulta dalla comunicazione inviata da il 17 febbraio 2017;

2) attualmente addetti all’appalto presso (…) di San Giovanni dipendenti di sono sette, precisamente:

– (…), addetta al servizio mensa, orario di 18 ore settimanali;

– (…), addetta al servizio mensa, orario di 25 ore settimanali:

– (…), secondo cuoco, orario di 33,33 ore settimanali;

– (…), addetta al servizio mensa, orario di 18 ore settimanali;

– (…), cuoco unico, orario di 40 ore settimanali;

– (…), addetta al servizio mensa, orario di 20 ore settimanali;

– (…), secondo cuoco, orario di 33,33 ore settimanali;

3) la sig.ra (…), assunta a seguito del subentro di (…), ha cessato il rapporto di lavoro in data 14 maggio 2017;

4) da maggio 2017 a ottobre 2017 all’appalto presso (…) di San Giovanni è stata addetta anche a sig.ra (…), dietista;

5) il sig. (…) alle dipendenze di (…) era inquadrato al 3° livello c.c.n.l.;

6) il sig. (…) alle dipendenze di (…) è inquadrato al 4° livello c.c.n.l.;

7) nell’appalto presso (…) di San Giovanni ha introdotto la figura del responsabile dall’appalto e ha affidato tale ruolo al sig. (…);

8) il sig. (…) presso l’appalto relativo (…) di San Giovanni si occupa della sicurezza, della gestione dei turni di lavoro, delle materie prime, dell’organizzazione del lavoro e dei rapporti con l’Ente e si reca in loco non meno di una volta a settimana;

9) (…) esegue il servizio presso l’appalto relativo (…) di San Giovanni mediante l’impiego di 220 ore settimanali, di cui 117 ore di cucina;

10) (…) eseguiva il servizio presso l’appalto relativo (…) di San Giovanni ha mediante l’impiego di 200 ore settimanali, di cui 70 di cucina;

11) (…) nello svolgimento dell’appalto presso (…) di San Giovanni (…) ha introdotto una modifica del Piano nutrizionale, che viene integrato con le tradizioni alimentari della provincia di Trento e con progetti specifici per il miglioramento della nutrizione dell’ospite (anziano e adulto istituzionalizzalo), quali il progetto Idratazione, il progetto Alvo, il progetto Malnutrizione, il progetto Alzheimer, il progetto Disfagia;

12) (…) nello svolgimento dell’appalto presso (…) di San Giovanni (…) ha inserito nel Piano alimentare 121 piatti tipici del territorio nel menù annuale, oltre a piatti vegetariani, piatti omogeneizzati e ricette appartenenti ad altre culture;

13) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni si avvaleva di 8 fornitori per l’approvvigionamento delle materie prime;

14) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni si avvale di 4 fornitori e per l’approvvigionamento delle materie prime, ad esclusione di pane e latte fresco e dei detersivi, della piattaforma logistica locale (…), con sede a (…) e facente parte del (…);

15) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha disposto una nuova organizzazione del servizio, che viene strutturato su 3 gruppi (A Direttivo, B addetti di cucina che manipolano alimenti, C addetti che non manipolano alimenti);

16) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha introdotto tecniche di cottura non utilizzate nella gestione (…), tra cui la cottura sotto vuoto;

17) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha introdotto in cucina di un erogatore per pasti omogeneizzati;

18) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni prevede una visita settimanale del cuoco ai piani per valutare il gradimento dei pasti da parte dell’utenza;

19) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha introdotto di un sistema informatico per la prenotazione dei pasti degli ospiti residenti, degli utenti domiciliari e degli utenti ad acceso diurno;

20) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha realizzato di un ufficio per l’impiegato che, prima, era addetto a una scrivania all’interno dello spogliatoio;

21) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha introdotto un sistema di lavaggio con panni in microfibra, ha installato dei riduttori di flusso nei rubinetti, ha introdotto lampade al led, dispositivi di rilevazione prossimità, sistemi di cottura sottovuoto;

22) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha previsto di introdurre – nella sala a piano terra un distributore di pane e posate; un elemento neutro a ponte; uno scorrivassoio lineare tubolare inox per cucina, uno scorrivassoio lineare tubolare, una vetrina refrigerata;

– in cucina: un erogatore di bevande addensate per area diete; un tavolo annadiato per area diete; un forno elettrico misto vapore; una confezionatrice sottovuoto digitale;

– la realizzazione di un nuovo ufficio e di un nuovo deposito detersivi;

23) (…) nella gestione dell’appalto presso l’APSP di San Giovanni ha previsto di sostituire le seguenti strumentazioni di cucina: una brasiera elettrica; due carrelli elettrici per cibi caldi, due carrelli per mantenimento vassoi; un top cucina elettrica 2 parre e un top cucina elettrica 4 piastre;

24) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha introdotto strumentazione di cucina assente nella gestione precedente;

25) (…) nella gestione dell’appalto presso (…) di San Giovanni ha a carico:

– l’acquisto e lo stoccaggio dei prodotti per la pulizia e il lavaggio;

– la fornitura di tutti i materiali di consumo per il servizio di cucina;

– la fornitura di tovaglioli di carta e buste igieniche;

– il costo per il trasporto dei rifiuti;

– la manutenzione di tutte le attrezzature;

– la messa disposizione di distributori automatici per bevande calde e acqua rinfrescata e gassata;

– la fornitura dell’omogeneizzatore;

– la fornitura della lavatrice;

– la fornitura di carrelli in acciaio e di transpallet;

– la fornitura di attrezzature per la pulizia;

– i costi di tutti i servizi di pulizia;

26) dica il teste se in occasione del cambio appalto vi è stato trasferimento di beni e/o di strumenti da (…) a (…).

Si indicano come testi:

1) (…)

2) (…)

– Con vittoria di spese e compensi legali per entrambi i gradi di giudizio.

DI PARTI APPELLATE:

(da comparsa di costituzione e risposta):

Tutto ciò premesso, i sigg. (…) come sopra difesi e domiciliati, nel richiamarsi integralmente ad ogni deduzione, istanza e domanda già formulata nel corso del primo grado del presente giudizio

CHIEDONO

che la Corte d’Appello di Trento, in funzione di Giudice del Lavoro, voglia In via principale:

– rigettare l’appello proposto da (…) avverso la sentenza 29/2019 del Tribunale di Trento – sezione lavoro confermando integralmente la stessa, ovvero accogliere le conclusione già formulate in primo grado e che di seguito si reiterano:

– nel merito: accertata, eventualmente in via incidentale, l’illegittimità, l’inefficacia, l’insussistenza e/o l’inesistenza dei licenziamenti intimati ai ricorrenti dalla società dichiarare che la successione di nell’appalto del servizio di ristorazione presso (…) S. Giovanni di Mezzolombardo costituisce trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 e dell’art. 29 del D.lgs. 276/2003 e che, conseguentemente, il rapporto di lavoro dei ricorrenti con (…) è la prosecuzione del precedente rapporto di lavoro con (…)

– In via istruttoria, si chiede di ammettersi la prova per testi sulla seguente circostanza non ammesse nel giudizio di primo grado:

1) vero che sotto la gestione (…) diversamente da quanto risultante dal capitolato d’appalto, 20 ore di lavoro aggiuntive erano svolte dal personale;

Si indicano come testimoni: (…) e (…).

Con vittoria di onorari e spese per entrambi i gradi di giudizio.

DI PARTE APPELLATA:

(da memoria difensiva):

Voglia l’Ecc.ma Corte d’appello di Trento:

in ordine alle conclusioni formulale dalla appellante nel proprio ricorso in appello, decidere secondo diritto in ordine alle conclusioni formulate dai ricorrenti appellali nel giudizio di primo grado:

– confermare la sentenza impugnata laddove non prende alcuna posizione riguardo la legittimità o meno dei licenziamenti intimati da (…) ai ricorrenti appellati, rigettando ogni altra domanda ed eccezione formulata dai ricorrenti al riguardo;

in ogni caso sul punto, occorrendo, per completezza difensiva, accogliersi le conclusioni come formulate nella memoria di costituzione di primo grado e di seguito riportate:

– respingere la domanda di accertamento ancorché incidentale dei ricorrenti sulla illegittimità dei licenziamenti attuati da (…);

– accertare la legittimità dei licenziamenti dei ricorrenti attuati da parte di (…).

In via istruttoria:

– in caso di ammissione dei ricorrenti e della convenuta principale (…) alla prova testimoniale, ammettersi prova contraria sui capitoli avversari ammessi.

Si indicano come testi, con riserva di altri indicarne, anche a prova contraria sui capitoli avversari ammessi, i signori:

(…), tutti presso (…).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 15/03/2019 (…) proponeva appello contro la sentenza n. 29/2019 del Tribunale di Trento GdL, con la quale, in accoglimento della domanda di (…), e (…), era stato accertato che, nell’erogazione del servizio di ristorazione presso l’Azienda Provinciale per i Servizi alla Persona (APSP) S. Giovanni di Mezzolombardo, il passaggio dell’attività da (…), appaltatrice uscente, a (…), appaltatrice entrante, aveva realizzato un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., con conseguente continuità dei rapporti di lavoro con i lavoratori già dipendenti di (…).

Lamentava l’appellante l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione di decadenza per la mancata impugnazione da parte dei lavoratori del licenziamento comunicato da (…). Si doleva della statuizione secondo cui l’assenza di un rapporto contrattuale tra impresa uscente e impresa subentrante non era ostativa al riconoscimento di un trasferimento d’azienda.

Censurava, inoltre, l’erronea valutazione circa l’assenza degli elementi di discontinuità, previsti dall’art. 29, comma 3 del D.Lgs. n. 276/2003 mod. dalla L. n. 112/2016, necessari a distinguere un “cambio di appalto” da un trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. Lamentava infine l’erronea ripartizione dell’onere probatorio fra le parti, avendo il giudice di primo grado ritenuto di gravare l’appellante della prova degli elementi di discontinuità necessari per escludere l’applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda.

Si costituivano il giudizio gli appellati (…), e (…) replicando in fatto e in diritto agli argomenti svolti a sostegno dell’impugnazione.

Si costitutiva, altresì, in giudizio (…) rimettendosi alla Corte in ordine all’impugnazione svolta da (…) e (…) chiedendo per il resto la conferma della sentenza di primo grado.

All’udienza dell’11/07/2019 la causa veniva discussa e decisa come da separato dispositivo del quale veniva data lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Le diffuse argomentazioni delle parti individuano il punto focale della controversia nella qualificazione giuridica del trasferimento dell’attività di erogazione del servizio di somministrazione pasti per gli utenti dell’Azienda Provinciale per i Servizi alla Persona (APSP) S. Giovanni di Mezzolombardo, da (…), imprenditore cessante, a (…), imprenditore subentrante, vicenda che ha comportato il passaggio dall’uno all’altro soggetto del complesso dei beni strumentali destinati all’attività e dei lavoratori addetti. L’interesse sostanziale sotteso alla controversia, rappresentato dai lavoratori, è costituito dalla applicazione dell’art. 2112, comma 1 c.c., posto che, contrariamente a quanto avviene in ipotesi di cambio di appalto, con il trasferimento d’azienda si verifica un fenomeno di successione del nuovo datore di lavoro nel medesimo rapporto di lavoro subordinato, con conservazione (nei limiti di cui al comma 3) di tutte le posizioni giuridiche soggettive attive dei lavoratori, ad iniziare dalla anzianità di servizio, e con responsabilità solidale per i crediti maturati di cedente e cessionario.

La diversa disciplina del contratto di appalto e del trasferimento di azienda corrisponde a una diversa considerazione dei due fenomeni da parte del legislatore nazionale e di quello eurounitario in ragione della diversa struttura giuridica e del diverso contenuto economico, realizzando il cambio di appalto un avvicendamento nello svolgimento di una” attività nell’interesse del medesimo committente con una propria organizzazione aziendale, in relazione alla quale prevale l’interesse alla tutela della concorrenza e della libertà di impresa, rispetto all’interesse alla tutela del livello occupazionale affidata alla contrattazione collettiva e alle cd “clausole sociali” e realizzando invece il trasferimento di azienda l’acquisizione (in via definitiva o temporanea) di una organizzazione imprenditoriale esistente come entità operante sul mercato rispetto alla quale prevale l’esigenza di mantenere al continuità dei rapporti di lavoro escludendo che la vicenda successoria possa di per se stessa essere causa legittima di licenziamento.

La Direttiva 2001/23/CE ha definito all’art. 1, comma I, lett. b), la nozione di trasferimento d’azienda come: “trasferimento (…) di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”;

definizione sostanzialmente analoga si rinviene all’art. 2112, co. 5 c.c., che ha recepito la direttiva disponendo: “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda.

Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, correttamente ricostruita dal giudice di primo grado, di cui si condivide l’analisi, “affinché possa ritenersi realizzato un trasferimento d’azienda è necessario che l’entità economica trasferita abbia conservalo la propria identità dopo il trasferimento (C. giust. 20 novembre 2003. causa C-340/01, Abler; C. gius!., 11 marzo 1997, causa C-13/95, Suzen);

appare, dunque, necessario compiere un raffronto fra l’entità economica così come strutturata e organizzata presso il cedente e quella risultante dopo il trasferimento in capo al cessionario”.

Al fine di distinguere il trasferimento di azienda dagli altri negozi lato sensu circolatori, si deve dunque accertare oggettivamente in concreto se il complesso di beni organizzati dal primo imprenditore sia transitato al secondo imprenditore conservando la sua essenza, indipendentemente dal nomen iuris dell’atto circolatorio.

Una tale valutazione impone, pertanto, al giudice di prescindere da ricostruzioni formali, portando, piuttosto, l’attenzione sui profili sostanziali e operando un raffronto del complesso aziendale prima e dopo il trasferimento sia in modo globale, sia con riferimento ai singoli elementi.

Non è quindi dirimente il rilievo che nella fisiologia dei negozi giuridici il trasferimento d’azienda si realizza attraverso un rapporto diretto contrattuale fra le due imprese, mentre il cambio di appalto non crea legami diretti fra i due appaltatori: se il giudice accerta la sussistenza di un trasferimento d’azienda in un caso formalmente riconducibile al cambio di appalto, deve applicare la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ., indipendentemente dalla qualificazione formale, non trattandosi di disciplina nella disponibilità delle parti.

Tutto ciò premesso, con il primo motivo d’appello viene lamentata “l’omessa pronuncia in ordine alla mancata impugnazione da parte dei lavoratori del licenziamento comminato da (…)”.

Secondo l’appellante: “i lavoratori sono, infatti, certamente decaduti dall’impugnazione non avendo proposto alcuna domanda – perlomeno in via principale – volta ad accertare e dichiarare l’illegittimità del licenziamento”.

Il motivo è inammissibile e infondato.

L’inammissibilità deriva dalla tardività dell’eccezione ex art. 345 c.p.c. trattandosi di eccezione, che implica un accertamento in fatto, proposta per la prima volta con il ricorso in appello.

In ogni caso l’eccezione è infondata posto che l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento risulta dalle lettere, tempestivamente prodotte con il ricorso introduttivo, trasmesse via PEC alla società (…) dal sindacato UIL-Federazione del Turismo, nel termine di decadenza di 60 giorni (doc. 5 appellati).

Il giudice di primo grado, non solo non ha omesso alcuna pronuncia, ma ha altresì correttamente esaminato e inquadrato giuridicamente la questione rilevando da un lato che l’illegittimità del licenziamento era connessa e derivava dall’applicazione dell’art. 2112 cod. civ. e dall’altro che, una volta accertata l’illegittimità sotto questo profilo, dalla stessa derivava automaticamente l’applicazione del disposto del primo comma “in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”.

Non può essere ascritta a una omissione di pronuncia la mancata statuizione in dispositivo della illegittimità dei licenziamenti, per essere stata la stessa contenuta nella sola motivazione, nei limiti dell’accertamento incidentale funzionale all’accoglimento della domanda proposta dai lavoratori.

Con il secondo motivo d’appello si censura: “l’aver erroneamente ritenuto che l’assenza di un rapporto contrattuale tra (…) impresa uscente – e (…) impresa entrante – non sia ostativo al riconoscimento di un trasferimento d’azienda”.

A sostegno, l’appellante riporta alcune pronunce della Suprema Corte di Cassazione, che tuttavia non sono affatto risolutive, essendo, da un lato troppo risalanti perché antecedenti al recepimento all’art. 2112, comma 5 c.c. della Direttiva 2001/23/CE, dall’altro non pertinenti riferendosi a realtà diverse rispetto a quella in oggetto, con l’unica eccezione di Cass., 6 aprile 2016 n. 6693.

Non si vede però come tale decisione possa sostenere la tesi dell’appellante, atteso che nella stessa viene statuito “ai fini del trasferimento d’azienda, la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ., postula che il complesso organizzalo dei beni dell’impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione.

Il trasferimento d’azienda è pertanto configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa”.

La decisione citata non solo non conforta la tesi dell’appellante, ma conferma la correttezza della decisione del giudice di primo grado nella parte in cui ha affermato: “ai fini dell’applicazione della direttiva in tema di trasferimento di azienda, non è necessaria l’esistenza di rapporti contrattuali diretti tra il cedente e il cessionario”.

Il trasferimento di azienda nella definizione della direttiva, così come interpretata dalla Corte di Giustizia, è principalmente un fenomeno economico che si esprime nel passaggio di un’entità aziendale che mantiene la propria identità di organizzazione imprenditoriale di beni e servizi collocata sul mercato e sebbene ordinariamente il passaggio venga attuato attraverso strumenti contrattuali che pongono in relazione immediata cedente e cessionario, con un acquisto a titolo derivativo del diritto di proprietà o di gestione temporanea dell’attività, ciò non è però elemento indefettibile o necessario, ben potendo il passaggio realizzarsi attraverso una intermediazione o un terzo soggetto non imprenditore (Corte Giustizia C-340/01, Abler, C-51/00, Temco, C-13/95, Siìzcn).

Lo scopo della normativa rimarrebbe frustrato se fosse consentito eluderla attraverso una interruzione formale nella continuità giuridica della titolarità dell’impresa ed è quindi irrilevante la circostanza che nella fattispecie in esame non vi sia stato un negozio traslativo tra (…) e (…).

L’appellante non contesta, poi, la (del tutto corretta) qualificazione della propria attività come non labour intensive (ossia come attività che non si caratterizza per avere la manodopera e la conoscenza/formazione professionale specifica dei dipendenti quale fattore di produzione esclusivo o del tutto preponderante), ma ribadisce che la vicenda circolatoria ha avuto per oggetto un “cambio d’appalto” e sottolinea, in diritto, che era facoltà lasciata al legislatore dalla Direttiva 2001/23/CE, ma non esercitata dal nostro Paese, quella di estendere forme di protezione previste per la fattispecie del trasferimento d’azienda alla successione nell’appalto, quale sarebbe il risultato della applicazione dell’art. 2112 cod. civ. alla fattispecie concreta.

L’affermazione circa l’opzione lasciata dalla disciplina europea è sostanzialmente corretta, ma il rilievo non muta la questione da decidere: se vi è infatti stato un passaggio sostanziale di beni di non trascurabile entità organizzati e finalizzati all’esercizio di una attività di impresa non labour intensive da (…) a (…) idoneo a integrare la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., la disciplina da applicare e quella del trasferimento d’azienda, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalle parti e dalla mediazione di un terzo.

Con il terzo motivo di appello la ricorrente si duole perché nella sentenza si è “erroneamente ritenuto che nel caso di specie non ci siano gli elementi di discontinuità richiesti dalla normativa di settore per distinguere un “cambio appalto” da un trasferimento ex art. 2112 c.c.”.

La formulazione dell’art. 29, co. 3, D.Lgs. 276/2003, come mod. dalla L. 112/2016 è la seguente:

“L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.

Punto focale di questa disciplina è quello relativo agli “elementi di discontinuità” che, secondo l’appellante, sarebbero presenti nel caso di specie, esentando dall’applicazione della normativa relativa al trasferimento d’azienda.

A supporto di questa tesi (…) da un lato argomenta sostenendo la diversità in termini di struttura organizzativa e operativa fra i due soggetti, dall’altro elencando quelli che, a suo parere, sono gli indici che proverebbero la discontinuità e quindi l’applicabilità della disciplina del cambio d’appalto.

Questa Corte condivide gli argomenti svolti dall’appellante sulla definizione e sul ruolo degli “elementi di discontinuità” che determinano una specifica identità di impresa, essi infatti incidono sulla disciplina applicabile quando siano tali da implicare una mera successione in un contratto d’appalto; l’alterità soggettiva fra i due imprenditori coinvolti nella vicenda circolatoria non è però di per sé sufficiente e si deve procedere all’accertamento della struttura e dell’organizzazione aziendale coinvolta nella successione per verificare se gli elementi di discontinuità concreti dedotti determinino una specifica identità di impresa.

Ed è all’esito della valutazione in concreto che non si può condividere la conclusione di (…) dal momento che, come già ritenuto dal giudice primo grado, quelli che l’appellante indica come indici di discontinuità hanno carattere marginale e, complessivamente considerati, non sono idonei a incidere sulla natura del fenomeno circolatorio, che deve pertanto ritenersi un trasferimento d’azienda.

In merito al procedimento valutativo va ricordato che la Corte di Giustizia ha stabilito la necessità di “effettuare un raffronto complessivo tra l’entità economica, così come strutturata e organizzala presso il cedente e quella risultante dopo il trasferimento in capo al cessionario” (Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, caso C-340/01, Abler, Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, causa C-I3/95, Siizen, Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, caso C-24/85, Spijkers).

Il giudice di primo grado, senza alcuna presunzione “oggettiva” (come la definisce l’appellante; in ordine alla presunzione v. anche oltre), ha valutato complessivamente e analiticamente (pp. 30, 31 c 32 della sentenza), le due entità economiche organizzate presso il cedente e presso il cessionario.

Si tratta di rilievi corretti rispetto ai quali le censure dell’appellante si limitano a ripropone gli stessi argomenti, che vengono di seguito esaminati anche sotto il profilo della pertinenza rispetto al paradigma legale di cui all’art. 29, co. 3, D.Lgs. 276/2003, mod. L. n. 112/2016.

Non è oggetto di contestazione che sia subentrata nei locali messi a disposizione di APSP, che sia subentrata nei rapporti con i soggetti destinatari del servizio, che abbia assunto la quasi totalità dipendenti già addetti e che abbia acquisito tutte le apparecchiature, attrezzature, macchine e arredi (tavoli, armadi e simili), beni strumentali elencati nell’allegato al contratto, tra i quali oltre la tegameria, posateria, utensileria varia anche: armadio frigo lt. 700, forno a convenzione vapore, abbattitore rapido di temperatura, cucina tutta piastra a gas, cuoci pasta a gas, cucina a gas con quattro fuochi e forno a gas, cucina a gas con due fuochi, forno a convenzione, lavastoviglie, macchina lavapentole, cella per ortofrutta, cella per carni fresche, cella per surgelati, carrelli termici, carrello sollevatore per piatti, forno elettrico da incasso (doc. 11 appellati).

Non è neppure in contestazione l’idoneità del trasferimento di questo complesso organizzato come entità economica destinata alla produzione del servizio a integrare, astrattamente considerato, un trasferimento di azienda (anche sotto il profilo dell’incidenza del valore del complesso sul costo del servizio eventualmente compreso nella determinazione del prezzo dell’appalto). Ciò che viene contestato è la sufficienza del trasferimento di questo complesso rapportata agli elementi di “discontinuità” introdotti dall’appellante.

Afferma l’appellante (pag. 16 e 17 ricorso in appello) che: “il servizio reso da (…) diverge da quello reso in precedenza per tutti i seguenti fattori:

– modifica al Piano nutrizionale, integrato con le tradizioni alimentari della provincia di Trento e con progetti specifici per il miglioramento della nutrizione dell’ospite (anziano e adulto istituzionalizzato);

– per le innovazioni al Piano alimentare, con l’inserimento di ben 121 piatti tipici del territorio nel menù annuale;

– per la radicale modifica al processo di approvvigionamento, avvalendosi della piattaforma logistica locale (…), con sede a (…) facente parte del (…), riducendo i fornitori, da 8 delle precedente gestione a 4;

– per l’aumento delle ore di lavoro che vi sono impiegate;

– per l’aumento del personale in organico;

– per l’introduzione della figura capo appalto;

– per l’installazione di rilevatori di temperatura ali ‘interno delle celle, con invio di allarme al capo cento e l’inserimento di un nuovo magazzino detersivi;

– per la nuova organizzazione del servizio, che viene strutturato su 3 gruppi (A Direttivo, B addetti di cucina che manipolano alimenti, C addetti che non manipolano alimenti);

– per la modifica della fase di cottura;

– per la visita settimanale del cuoco ai piani al fine di valutare il gradimento dei pasti da parte dell’utenza;

– per l’introduzione di un sistema informatico per la prenotazione dei pasti;

– per l’introduzione di un nuovo sistema di pulizia e di soluzioni finalizzate a ridurre gli impatti ambientali dovuti a consumi energetici e acqua;

– per l’introduzione di nuova strumentazione necessaria per lo svolgimento del servizio”.

In relazione alla modifica del piano nutrizionale e al piano alimentare, posta la genericità della descrizione, va osservato come l’introduzione di nuovi piatti nel menù, indipendentemente dal fatto che siano tradizionali o meno, non possa di per sé essere considerata una modifica di portata sufficiente per parlare di discontinuità nell’attività di servizio o di organizzazione del servizio e tale da comportare una diversa identità fra le due imprese.

Per parlare di “piano” nutrizionale o alimentare sarebbe inoltre stato necessario allegare uno studio o una analisi di tipo nutrizionale con riferimento alle esigenze dell’utenza e una dettagliata descrizione di procedimenti di produzione, dalla materia prima al piatto finito, tali da indicare una effettiva innovazione, quale non è sicuramente insita nella semplice modificazione degli ingredienti dei primi piatti o delle pietanze in menù.

La riduzione dei fornitori e la diversa impostazione dell’approvvigionamento della materia prima e frutto di una legittima scelta di razionalizzazione nel reperimento delle risorse che è nella disponibilità dell’imprenditore, cosa diversa e la sua idoneità a comportare una modifica sufficientemente incisiva per potersi parlare di discontinuità.

Risulta anzi dalle stesse allegazioni di parte, che il ricorso alla piattaforma logistica unica (…), controllata di (…), per l’approvvigionamento dei beni necessari all’attività (di tutto il gruppo), ad eccezione di pane, latte fresco e detersivi, non modifica l’identità dell’attività di impresa e nemmeno seleziona fornitori ultimi del lutto diversi, con caratteristiche speciali, che acquisendo gli ordini dalla piattaforma conferiscono generi di particolare qualità che rendono il servizio “altro” rispetto all’attività precedente (del resto le caratteristiche merceologiche degli alimenti sono state definite nel contratto d’appalto e sotto questo profilo non è stata dedotta alcuna “diversità”).

Per quanto concerne l’asserito aumento delle ore di lavoro settimanali va detto che, come allegalo dagli appellati, già i dipendenti della (…) effettuavano un orario superiore rispetto a quello previsto dal capitolato d’appalto, che è stato mantenuto dalla (…).

L’aumento di organico sembra essere, poi, riferibile solo, come risulta dai documenti allegati che attestano un rapporto a termine, a un’unità destinata a una sostituzione per malattia (v. doc. 6 appellante).

Ed in ogni caso né questa circostanza, né la precedente sono idonee a integrare la nozione di elemento di discontinuità previsto dalla legislazione nazionale e dalla disciplina europea. Si tratta infatti di elementi del tutto marginali che non implicano una modifica sostanziale dell’attività d’impresa.

Il coordinamento delle attività per l’efficiente organizzazione aziendale di soggetti economici che operano nel settore degli appalti di servizi, soprattutto e immancabilmente quando sono delle dimensioni di (…) (v. camerale gli atti), è fatto ordinario indipendentemente dall’istituzione di una figura con denominazione specifica di “capo di appalto”, venendo le relative mansioni assegnale a uno o più soggetti con funzioni direttive o dirigenziali, secondo diversi moduli organizzativi, qualsiasi sia la denominazione di ruolo.

L’importanza dell’istituzione da parte dell’appellante della figura del “capo di appalto” va quindi letta in un quadro di necessario coordinamento in ragione dell’attività tipica dell’impresa esercitata (ed è, per inciso, ragionevole ritenere che analoghe mansioni fossero presenti anche presso (…)) per la quale è inverosimile ipotizzarne la mancanza.

Si traila in ogni caso di scelte organizzative nella disponibilità dell’imprenditore senza che questo possa essere talmente qualificante da marcare una discontinuità nella identità dell’azienda come entità economica di beni organizzati che si caratterizza per una specifica attività di impresa.

Le medesime considerazioni valgono poi per la differente ripartizione dei turni di lavoro: il fatto che in un servizio di ristorazione vi siano addetti alla cottura degli alimenti, al servizio in sala e al coordinamento, non solo non può essere portato ad esempio di alterità significativa nel servizio svolto, ma anzi non fa altro che confermare la tesi del trasferimento d’azienda, posto inoltre che gli accorgimenti introdotti dalla (…) costituiscono normale riqualificazione di modelli gestionali consolidati per i soggetti operanti nel settore (cfr la descrizione), oltretutto con riferimento alle mansioni di lavoratori già addestrati e addetti al servizio, e a nulla rilevano per individuare i requisiti di discontinuità nell’esercizio di una specifica e stabile attività economico-imprenditoriale.

L’installazione di rilevatori di temperatura all’interno delle celle e la modifica della fase di cottura sicuramente sono interventi migliorativi nella “produzione” del servizio per gli utenti, ma non sono affatto idonei a incidere sulla identità del servizio medesimo e del complesso aziendale che lo eroga.

Analogamente, tanto la visita settimanale del cuoco ai piani al fine di valutare il gradimento, quanto l’introduzione di un sistema informatico per la prenotazione dei pasti testimoniano una certa attenzione all’utenza, ma sono ininfluenti in una valutazione di discontinuità/continuità della medesima attività di impresa e non sono indici di significativa differenziazione, dal momento che non incidono sulla identità del servizio erogato o significativamente sulla qualità dello stesso. Sono modalità operative/organizzative del tutto marginali (e del tutto insignificante è l’individuazione di un nuovo deposito per i detersivi).

L’introduzione di “un nuovo sistema di pulizia”, “di soluzioni finalizzate a ridurre gii impatti ambientali dovuti a consumi energetici e acqua” e “l’introduzione di nuova strumentazione necessaria per lo svolgimento del servizio” sono allegazioni del lutto generiche, prive di riferimenti a una diversa organizzazione presso (…) e all’incidenza che le stesse avrebbero sulla caratterizzazione e modifica del nucleo essenziale dell’attività d’impresa come richiesto dalla disciplina di cui all’art. 29, co. 3, D.Lgs. 276/2003.

Si tratta, in altri termini, di possibili modificazioni/innovazioni, del tutto ordinarie nell’esercizio di una impresa che mira al contenimento dei costi con il miglior risultato, per lo svolgimento di una attività che nei fatti permane identica a se stessa e transita immutata dal cedente al cessionario per tramite del committente: il complesso dei beni aziendali è invariato rispetto a quando erano utilizzati da (…) e il servizio svolto e lo stesso così come del resto descritto e definito nei contratti di appalto.

Come evidenziato dalla giurisprudenza da un lato “per poter determinare se sussistano le caratteristiche di un trasferimento di un’entità economica organizzala, dev’essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi (…)” (Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, caso C-340/01, Abler) e dall’altro “tali elementi costituiscono tuttavia soltanto aspetti parziali della valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere considerali isolatamente” (Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, caso C-340/01, Abler).

All’esito dell’esame dei vari clementi descritti, deve quindi questa Corte procedere a una valutazione complessiva degli stessi per verificare se l’insieme sia idoneo a caratterizzare incisivamente in modo innovativo l’attività d’impresa.

Neppure l’esame dell’insieme, complessivamente considerato, è ad avviso della Corte idoneo a supportare una valutazione di effettiva discontinuità, anzi da un raffronto complessivo e organico fra l’azienda intesa come entità economica organizzata, così come strutturata e organizzata presso (…) e poi presso (…), quale risulta dalla descrizione concordemente fatta dalle parti negli atti e dai capitolati d’appalto, non si evincono quegli indici di discontinuità indicati al comma terzo dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003, invocato dall’appellante.

Si tratta sempre e solo del servizio di erogazione dei pasti mediante il complesso aziendale sopra descritto.

Accanto agli elementi gestionali analizzati, l’appellante sottolinea che: “Non può, inoltre, essere valorizzato l’elemento del passaggio di gran parte del personale perché ciò è avvenuto in forza di un obbligo contrattuale (art. 335 CCNL) che si riferisce alla successione negli appalti. In altri termini non è possibile obbligare il datore di lavoro subentrante per effetto del cambio appalto ad assumere i lavoratori dell’impresa uscente e poi concludere che per effetto di tale “assunzione obbligatoria” si è verificata una cessione di ramo d’azienda”.

Questa Corte, così come il giudice di primo grado, concorda sull’affermazione che non sia elemento da valorizzare autonomamente il passaggio di personale fra (…) e (…), l’attività di ristorazione è pacificamente ricompresa fra quelle non labour intensive, ossia fra quelle in cui la manodopera non è determinate per caratterizzare l’impresa; ciò è, d’altra parte sottolineato anche dalla Corte di Giustizia: “la ristorazione collettiva, richiedendo notevoli attrezzature, non può essere considerala un’attività che si fonda essenzialmente sulla mano d’opera” e che “l’assenza di riassunzione, da parte del nuovo imprenditore, di una quota sostanziale, in termini di quantità e di competenze, del personale che il suo predecessore destinava all’esecuzione della stessa attività non è sufficiente ad escludere l’esistenza di un trasferimento di un’entità che mantenga la sua identità ai sensi della direttiva 77/187 in un settore, come quello della ristorazione collettiva, in cui l’attività si basa sostanzialmente sulle attrezzature” (Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, caso C-340/01, Abler).

La presente decisione, che conferma la sentenza di primo grado, applica però la disciplina di cui all’art. 2112 c.c. non in base alla circostanza che i lavoratori siano stati in gran parte riassorbiti dall’appellante, né sulla sola circostanza che i servizi prestati dalle due imprese siano analoghi, ma sull’ accertato passaggio fra le due società del medesimo insieme di beni materiali e immateriali, complessivamente considerato, finalizzato e necessario all’esercizio della stessa stabile attività economico-imprenditoriale di erogazione del servizio oggetto dei capitolati d’appalto.

Con il quarto motivo d’appello la parte lamenta che nel giudizio di primo grado si sia “erroneamente ritenuto che incombesse sull’appaltatore subentrante, ossia (…), l’onere di provare gli elementi di discontinuità al fine di escludere l’applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda”.

In relazione a questo profilo il giudice di primo grado ha così motivato: “appare condivisibile l’orientamento dottrinale, secondo cui incombe sull’appaltatore entrante l’onere di provare la sussistenza degli “elementi di discontinuità” al fine di escludere l’applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda; ciò alla luce della formulazione della novella, che sembra introdurre una presunzione legale iuris tantum di trasferimento d’azienda, e, può aggiungersi, anche del principio della vicinanza della prova (per cui risulta certamente più agevole per l’imprenditore entrante allegare e provare la sussistenza nella propria organizzazione gli “elementi di discontinuità” richiesti dal novellato art. 29, che per i lavoratori allegarne e provarne l’insussistenza”)”.

Questa Corte ritiene del tutto corretta la decisione del Tribunale.

In primo luogo, il tenore letterale dell’art. 29 comma 3 alla luce della novella introdotta con legge L. n. 122/2016, introduce una forma di presunzione relativa (ammettendo quindi la prova contraria) in merito alla qualificazione della situazione circolatoria.

È, infatti, stabilito che:

“l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parie d’azienda”.

Si tratta di una disposizione che pone in negativo i requisiti per l’esenzione dalla disciplina del trasferimento d’azienda, così – di fatto – presumendo che, in tutti i casi in cui non siano dimostrati dal subentrate gli indici di discontinuità, debba essere applicata la disciplina del trasferimento d’azienda.

E, in altri termini, una presunzione iuris tantum che pone in capo al nuovo appaltatore l’onere di dimostrare che non vi sia identità fra la sua attività di impresa e quella svolta dall’appaltatore precedente. Secondariamente, qualora non si condividesse questa interpretazione, per quanto attiene al principio di prossimità della prova va osservato quanto segue.

L’art. 2697 c.c. richiama la regola romanistica, sintetizzata nel brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit, che pone a carico di chi allega un fatto l’onere di darne prova, tuttavia la giurisprudenza di Cassazione, accogliendo una lettura consolidata e affermata della dottrina italiana ed europea, ha temperato la rigidità della disciplina codicistica ammettendo forme di parziale o totale inversione della prova e principi, come quello, che qui interessa, di prossimità o vicinanza alla fonte di prova, tesi a ripartire diversamente l’onus probandi.

Determinante per il passaggio della “prossimità della prova” da criterio invocato dalla giurisprudenza minoritaria a norma centrale del sistema è stata la sentenza della Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13533 del 2001 in cui si è statuito che l’operare dell’art. 2697 c.c. va ricondotto non ad un insieme di principi e criteri astratti, ma a norme di ragionevolezza, pertanto la necessità di non rendere eccessivamente impervio l’esercizio del diritto di difesa impone che sia la parte più prossima alla prova quella a cui va addossato l’onere di produrre in giudizio tutti gli elementi utili al fine della risoluzione della controversia, nonché quella sui cui grava il rischio della mancata prova.

In termini analoghi si sono espresse anche due sentenze recenti della Cassazione in cui si afferma che “il richiamato principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, (…) non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti, ma esige l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica” (Cass. n. 6511/2016; Cass. n. 17923/2016).

Proprio l’impossibilità di una acquisizione simmetrica degli elementi di prova è l’elemento più significativo che giustifica la scelta di onerare l’appellante della prova della discontinuità.

Non è, infatti, ragionevole richiedere ai lavoratori di dare prova delle situazioni di fatto, a contenuto negativo, che farebbero emergere l’insussistenza della discontinuità nell’attività di impresa attingendo a fatti e conoscenze relativi all’organizzazione aziendale pienamente disponibili solo per la società.

L’appello va pertanto respinto.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo in base ai parametri di compenso professionale in vigore e all’attività di difesa svolta.

P.Q.M.

respinge l’appello contro la sentenza n. 29/2019 del Tribunale di Trento

GdL; condanna l’appellante alla rifusione delle spese del grado in favore di (…) liquidate in complessivi Euro 7.500,00 di cui euro 2.000,00 per fase studio euro 1.500,00 per fase introduttiva e euro 4.000,00 per fase decisionale, oltre 15% rimborso spese forfettarie e accessori come e se per legge dovuti; compensa le spese processuali del grado tra (…) e le altre parti.

Dichiara che sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater dpr n. 115/02.

Così deciso in Trento, l’11 luglio 2019.

Depositata in Cancelleria il 5 agosto 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.