Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 29 gennaio 2018, n. 2092

in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, ne’ una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari (invero, alla regola della interversio possessionis, intesa in senso propriamente tecnico, e’ posta una deroga dall’articolo 1102 c.c., nell’ipotesi di compossesso, dato che il compossessore se intende estendere il suo possesso esclusivo sul bene comune, non ha alcuna necessita’ di fare opposizione al diritto dei condomini, cosi’ come invece previsto nel caso di vera e propria interversio possessionis, ma e’ sufficiente solo che compia “atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”: a tal specifico riguardo cfr. Cass. 15 novembre 1973 n. 3045), ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione e’ idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un verso, l’impossibilita’ assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, per altro verso, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non puo’ cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalita’ non formali, la volonta’ di possedere in via esclusiva.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 29 gennaio 2018, n. 2092

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26247/12) proposto da:

(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to (OMISSIS) del foro di Pordenone, dagli Avv.ti (OMISSIS) del foro di Venezia e dall’Avv.to (OMISSIS) del foro di Roma ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS) e quali eredi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avv.to (OMISSIS) del foro di Venezia, in virtu’ di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.to (OMISSIS);

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS), nella qualita’ di erede di (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza parziale della Corte d’appello di Venezia n. 72 depositata il 30 marzo 2011, nonche’ quella definitiva n. 1168 depositata il 22 maggio 2012;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16 giugno 2017 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti (OMISSIS), per parte ricorrente, e (OMISSIS), per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 12 maggio e 9 giugno 2003 (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS) evocavano, dinanzi al Tribunale di Venezia – Sezione distaccata di Portogruaro, (OMISSIS) e (OMISSIS) e premesso di essere proprietari dei due appartamenti ubicati al primo piano dell’edificio condominiale sito in localita’ (OMISSIS), mentre i convenuti erano proprietari delle altre due unita’ immobiliari che formavano il Condominio, precisavano che a favore di questi ultimi i rispettivi titoli di acquisto della proprieta’ prevedevano il diritto di erigere sull’area comune due box ad uso garage, diritto di superficie che tuttavia doveva ritenersi estinto per non uso ventennale, per cui chiedevano – accertata l’estinzione – determinarsi le modalita’ d’uso dell’area scoperta comune in modo tale da consentire agli attori il pieno e comodo accesso alle porzioni di cortile di proprieta’ esclusiva.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali assumevano che le aree in questione erano di proprieta’ esclusiva dei proprietari degli appartamenti al piano terra e comunque sollevavano eccezione, spiegando la (OMISSIS) in via subordinata, domanda riconvenzionale, di usucapione, il giudice adito respingeva le domande attoree.

In virtu’ di rituale appello interposto dagli originari attori, la Corte di appello di Venezia, nella resistenza degli appellati, con sentenza non definitiva n. 729 del 2011, accoglieva il gravame e per l’effetto dichiarava estinto il diritto di superficie sull’area de qua, rimettendo in istruttoria la controversia quanto all’individuazione dell’uso comune del bene; con la sentenza definitiva, infine, definiva il tipo di transito e di sosta esercitabile solo con velocipedi e motocicli.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che dall’interpretazione della clausola contenuta in entrambi gli atti di acquisto degli appellati emergeva che la proprieta’ esclusiva del sedime doveva essere ravvisato solo per le aree antistanti gli appartamenti posti al piano terra, mentre per il resto il cortile risultava essere di proprieta’ comune, precisando che ai proprietari degli appartamenti al piano terra competeva “il diritto di erigere in fondo al terreno comune due boxes ad uso garage in costruzione solida”. La medesima precisazione era contenuta anche nei contratti relativi agli appartamenti posti al primo piano. Concludeva che l’interpretazione letterale dei contratti faceva intendere che il venditore aveva conferito ai proprietari degli appartamenti al piano terra il limitato diritto di erigere sull’area “in fondo al terreno comune” due box ad uso garage e non gia’ la piena proprieta’. Ne conseguiva l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione del diritto di superficie ex articolo 954 c.c., u.c., per effetto del non uso protratto per venti anni, in quanto il diritto di superficie costituito nel 1972, non era stato ancora esercitato con la edificazione dei boxes nel 1992, per essere stata la struttura eretta solo nel 2003, in corso di causa. Ne’ condivideva l’assunto degli appellati circa la non maturazione della prescrizione non consentendo gli strumenti urbanistici fino a quel momento la realizzazione dell’opera, operando l’articolo 2935 c.c. su un piano diverso rispetto alla previsione di cui agli articoli 2941 e 2942 c.c.. Aggiungeva che non poteva neanche trovare accoglimento la domanda riconvenzionale di usucapione: non sussistevano le condizioni per applicare la fattispecie di cui all’articolo 1159 c.c. provenendo il bene dal reale proprietario del bene; ne’ di quella ordinaria ex articoli 1158 e 1146 c.c. non potendo la (OMISSIS) sommare al proprio possesso quello della sua dante causa, Vittoria Caverzan, non risultando che quest’ultima avesse ceduto alla figlia anche l’area in contestazione.

Infine quanto alla eccezione di usucapione sollevata dal (OMISSIS), osservava che non vi era prova di un possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilita’ di godimento altrui, ne’ erano rilevanti in tal senso le prove articolate.

Avverso le indicate sentenze della Corte di appello di Venezia hanno proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) ed il (OMISSIS), sulla base di sei motivi, cui hanno replicato con controricorso il (OMISSIS), la (OMISSIS) e i (OMISSIS) – (OMISSIS) in qualita’ di eredi di (OMISSIS), rimasta intimata la sola erede (OMISSIS).

In prossimita’ della pubblica udienza parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. quanto alla interpretazione della intenzione dei contraenti fornita dalla corte di merito, nonche’ della interpretazione complessiva delle clausole contrattuali, non avendo il giudice del gravame tenuto conto delle mappe catastali o comunque delle planimetrie allegate agli atti contrattali, che con la volonta’ negoziale costituivano un tutt’uno, prevedendosi nell’accordo quanto all’oggetto “il tutto come meglio delineato nella planimetria che controfirmata dalle parti viene allegata al presente atto”. Dalla planimetria viene qualificata “corte esclusiva” non solo la piu’ grande area giardino anche la piu’ piccola area parcheggio.

Aggiungono che dagli esiti della c.t.u. emerge che l’accesso carraio a detti scoperti non sarebbe praticabile senza invadere gli spazi di proprieta’ esclusiva e questo in coerenza con la originaria volonta’ delle parti.

Con il secondo mezzo i ricorrenti nel dedurre il vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla necessita’ di interpretazione sistematica delle clausole, ed in particolare dalla prioritaria rilevanza delle planimetrie allegati ai contratti d’acquisto, insistono nelle doglianze formulate con il primo motivo.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1369 (espressioni con piu’ sensi), 1366 (interpretazione di buona fede e 1371 (regole finali), oltre a vizio di motivazione costituito dalla necessita’ di attribuire alle clausole il significato coerente alla natura e all’oggetto del contratto a buona fede e realizzante l’equo contemperamento degli interessi delle parti, nella sostanza contestano la logicita’ della interpretazione fornita dalla corte di merito.

Con il quarto mezzo i ricorrenti nel denunciare la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., oltre a vizio di motivazione, circa il fatto controverso e decisivo costituito dall’avere i proprietari degli appartamenti al piano terra utilizzato le aree in contestazione per il parcheggio delle loro auto sin dal formarsi del condominio, circostanza che tendevano a dimostrare con la prova articolata non ammessa, mentre e’ stata esclusa nonostante gli stessi avessero effettivamente utilizzato le aree in questione in via esclusiva per il parcheggio delle auto ed anche per altro.

I primi quattro motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente, in quanto tutti vertono, seppure sotto diversi profili, essenzialmente sull’interpretazione dei contratti di compravendita degli appartamenti ed all’esatta identificazione del relativo oggetto, anche quanto alla rilevanza delle prove articolate sul punto. Essi non possono trovare seguito.

In proposito occorre osservare che, come e’ principio pacifico nella giurisprudenza di legittimita’, l’interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice del merito: tale accertamento e’ incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e ss.. L’individuazione della volonta’ contrattuale – che, avendo ad oggetto una realta’ fenomenica ed obiettiva, si risolve in un accertamento di fatto – e’ censurabile non gia’ quando le ragioni poste a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensi’ quando siano inficiate da contraddittorieta’ logica o giuridica.

Pertanto in questa sede di legittimita’ la censura dell’interpretazione data dai giudici di merito ai contratti ed alle clausole che li compongono, puo’ essere formulata sotto due distinte angolazioni: denunciando l’errore di diritto sostanziale per non essere state rispettate le regole di ermeneutica dettate dagli articoli 1362 c.c. e ss.; ovvero investendo la coerenza formale del ragionamento attraverso il quale la sentenza impugnata e’ pervenuta a ricostruire la comune intenzione delle parti. Questa Corte ha anche piu’ volte rilevato che non e’ sindacabile in sede di legittimita’ la scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico piu’ idoneo all’accertamento della comune intenzione delle parti, qualora sia stato rispettato il principio del gradualismo, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiali solo quando i criteri principali (significato letterale e collegamento tra le varie clausole contrattuali) siano insufficienti all’individuazione della comune intenzione stessa.

Spetta in particolare al giudice del merito valutare il contenuto del contratto al fine di identificarne l’oggetto: il risultato di tale indagine e’ sindacabile in Cassazione solo sotto il profilo della logicita’ e non apparenza della motivazione (ex multis, Cass. n. 9215 del 2004, anche se con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5 nella formulazione anteriore alla riforma del 2012; ma gia’, Cass. n. 615 del 1967; Cass. n. 647 del 1970 e Cass. n. 758 del 1979).

Nel caso in esame l’impugnata sentenza e’ ineccepibile: la corte di merito ha proceduto in modo corretto alla interpretazione del contenuto dei contratti in questione con riferimento all’esatta individuazione del contenuto del diritto trasferito ai proprietari degli appartamenti posti al piano terra sull’area posta “in fondo al terreno comune”, ossia della limitata facolta’ loro riconosciuta di erigere due box ad uso garage, compatibile con il diritto di superficie e non gia’ con la piena proprieta’, tenendo conto delle varie clausole e richiamando espressamente la previsione contenuta anche nei contratti relativi alla vendita degli appartamenti posti al primo piano.

Il giudice di secondo grado ha valutato il significato letterale e logico delle espressioni adoperate dalle parti giungendo – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – alla conclusione: a) che – al contrario di quanto sostenuto dai (OMISSIS) – (OMISSIS) – la proprieta’ esclusiva del sedime doveva essere ravvisato solo per le aree antistanti gli appartamenti posti al piano terra (laddove veniva fatto riferimento alla cessione in proprieta’ esclusiva), mentre per il resto il cortile risultava essere di proprieta’ comune; b) che – sempre contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti – ai proprietari degli appartamenti posti al piano terra competeva “il diritto di erigere in fondo al terreno comune due boxes ad uso garage in costruzione solida”.

La corte d’appello, con incensurabile indagine in fatto condotta attraverso tutti gli elementi desumibili dal contesto generale degli atti negoziali in esame ha svolto coerentemente il compito di determinare il contenuto dei contratti di compravendita in questione, accertando che da essi era desumibile l’esatta individuazione dell’oggetto di tali contratti ed indicando minuziosamente le ragioni poste a base della decisione adottata. Le argomentazioni al riguardo svolte nella sentenza impugnata sono esaurienti, logicamente connesse tra di loro e tali da consentire il controllo del processo intellettivo che ha condotto alla indicata conclusione. Il procedimento logico-giuridico sviluppato nell’impugnata decisione e’ ineccepibile, in quanto coerente e razionale, ed il giudizio di fatto in cui si e’ concretato il risultato dell’interpretazione del contenuto dei detti contratti e’ fondato su un’indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione, adeguata ed immune dai vizi denunciati.

In altri termini, nella sentenza impugnata sono evidenziati i punti salienti della decisione e risulta chiaramente individuabile la “ratio decidendi” adottata. A fronte delle coerenti argomentazioni poste a base della conclusione cui e’ pervenuto il giudice di secondo grado, e’ evidente che le censure in proposito mosse dai ricorrenti – sotto opposti e contrastanti profili – devono ritenersi rivolte non alla base del convincimento del giudice, ma, inammissibilmente in questa sede, al convincimento stesso e, cioe’, all’interpretazione del contratto e delle clausole contrattuali in modo difforme da quello auspicato.

Deve pertanto ritenersi corretta l’operazione ermeneutica compiuta dalla corte di merito, la quale non e’ incorsa nella denunciata violazione dei criteri interpretativi di cui agli articoli 1362 c.c. e c.c. ed anche se i ricorrenti denunciano la violazione delle citate norme codicistiche, svolgendo al riguardo generiche argomentazioni, la rilevata coerente applicazione dei canoni interpretativi da parte della corte territoriale, rende manifesto che e’ stato investito essenzialmente il “risultato” interpretativo raggiunto, il che e’ inammissibile in questa sede.

La Corte territoriale ha aggiunto, altresi’, che le circostanze articolate con i capitoli di prova non potevano costituire dimostrazione del possesso esclusivo ad usucapionem dell’area de qua in quanto, ai fini del possesso utile all’usucapione rileva un profilo di fatto e non le mere previsioni di un contratto. Tanto chiarito, il giudice di appello ha correttamente negato valore, ai fini della prova del possesso esclusivo dell’area in questione alla esistenza di trattative precontrattuali ovvero all’opinione degli altri condomini circa la natura del diritto esercitato dai ricorrenti, peraltro in considerazione dell’uso degli immobili limitato solo a taluni periodi dell’anno, trattandosi – come affermato dall’appellato stesso – di casa vacanza.

Il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto – deducibile come motivo di ricorso per cassazione osservando il principio dell’indicazione analitica delle ragioni di doglianza – deve essere denunciato mediante una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia (tra le tante, Cass. n. 10385 del 2005).

In particolare, quanto alla prova dell’usucapione questa Corte ha ripetutamente affermato che l’accertamento relativo al possesso “ad usucapionem”, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione e’ devoluto al giudice del merito ed e’ incensurabile in sede di legittimita’ se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici (v. ex multis Cass. n. 4035 del 2007; Cass. n. 1899 del 2011, in motivazione).

Con il quinto mezzo i ricorrenti, nel dedurre un vizio di motivazione, denunciano quale fatto decisivo per il giudizio la circostanza dell’avere i proprietari degli appartamenti al piano terra posseduto le aree in contestazione in modo pacifico, pubblico, continuo ed ininterrotto da oltre un ventennio, per cui lamentano la mancata ammissione delle prove articolare che proprio dette circostanze andavano a dimostrare.

E’ priva di pregio anche la quinta censura.

Risulta imprescindibile il riferimento all’insegnamento impartito con la sentenza n. 2944 del 9.4.1990 di questa Corte, alla cui stregua, in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, ne’ una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari (invero, alla regola della interversio possessionis, intesa in senso propriamente tecnico, e’ posta una deroga dall’articolo 1102 c.c., nell’ipotesi di compossesso, dato che il compossessore se intende estendere il suo possesso esclusivo sul bene comune, non ha alcuna necessita’ di fare opposizione al diritto dei condomini, cosi’ come invece previsto nel caso di vera e propria interversio possessionis, ma e’ sufficiente solo che compia “atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”: a tal specifico riguardo cfr. Cass. 15 novembre 1973 n. 3045), ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione e’ idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un verso, l’impossibilita’ assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, per altro verso, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non puo’ cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalita’ non formali, la volonta’ di possedere in via esclusiva.

In questi termini va rilevata la decisivita’ dell’affermazione della corte di merito secondo cui “in considerazione dell’uso dell’immobile, limitato solo a taluni periodi dell’anno” non risultava l’esistenza di elementi stabili e permanenti, quali recinzioni, cartelli od altro, che rendessero fattivamente impossibile l’utilizzazione dell’area de qua agitur da parte di terzi, essendo dirimente il fatto che parte appellata vanta il possesso di uno spazio condominiale del quale aveva l’uso in qualita’ di comproprietario e non come mero possessore, per cui tale spazio non puo’ essere usucapito.

Tale rilievo, si badi, e’ piu’ che sufficiente, ex se, a dar ragione del difetto di univocita’ della rappresentazione dell’intenzione dei (OMISSIS) – (OMISSIS) di possedere la porzione del cortile in maniera esclusiva. Piu’ esattamente, nel segno dei menzionati insegnamenti n. 2944 del 9 aprile 1990 e n. 3045 del 15 novembre 1973 di questa Corte, vi e’ da reputare, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, che lungo tutto l’arco temporale all’esito del quale si assume maturata l’usucapione, l’intenzione dei (OMISSIS) – (OMISSIS) di possedere in via esclusiva la porzione del cortile limitrofa all’area annessa ai loro appartamenti non si e’ palesata in forme inequivoche agli altri condomini e non e’ sicuramente questa la sede per rivisitare detto giudizio in ordine alle circostanze di fatto alla stregua della cui valutazione la corte distrettuale ha concluso l’insussistenza di possesso ad usucapionem. Invero, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la sola facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito (cfr. Cass. 9 agosto 2007 n. 17477; Cass. 7 giugno 2005 n. 11789).

Con il sesto ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 2935 c.c., oltre a vizio di motivazione, quanto al rilievo della sospensione della prescrizione per non uso del ritenuto diritto di superficie costituito dall’impossibilita’ secondo gli strumenti urbanistici locali di erigere i boxes, ritenuto inconferente dalla corte territoriale, mentre trattandosi di impossibilita’ giuridica a realizzare l’opera avrebbe dovuto essere considerata.

Parimenti infondata e’ l’ultima censura.

Questa Corte in due casi abbastanza analoghi a quello che qui si decide ha affermato il principio – che si condivide e a cui va data continuita’ – secondo il quale il decorso del termine di prescrizione per non uso del diritto di superficie non puo’ essere condizionato da disposizioni urbanistiche impeditive del diritto di edificazione e che la sospensione di detto decorso puo’ “verificarsi soltanto nei casi espressamente e tassativamente previsti negli articoli 2941 e 2942 c.c., non estensibili a fatti materiali e ragioni giuridiche non contemplate da dette norme…” (Cass. 20 luglio 1987 n. 6364, di recente riaffermato con la sentenza 12 marzo 2010 n. 6046). Risulta, dunque, vano richiamarsi al principio posto dall’articolo 2935 c.c., secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo’ essere esercitato, per sostenere che nel caso di specie, non consentendo all’epoca gli strumenti urbanistici il rilascio da parte della P.A. del permesso di costruire, il diritto di superficie dei ricorrenti non potesse essere esercitato e, quindi, la relativa prescrizione non potesse cominciare a decorrere. Infatti, nessun elemento in atti autorizza a ritenere che le parti abbiano inteso comunque subordinare l’efficacia del negozio costitutivo del diritto di superficie in favore dei (OMISSIS) – (OMISSIS) al verificarsi dell’avvenimento futuro ed incerto costituito dall’emanazione di futuri strumenti urbanistici, per cui deve in ogni caso escludersi che nel caso in esame la prescrizione non abbia iniziato il suo corso sin dal momento della costituzione del diritto di superficie.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.