In tema di usucapione immobiliare l’acquisto a titolo originario della proprietà si concretizza con il possesso continuato ed ininterrotto del bene immobile per una durata non inferiore agli anni venti. Colui che ha l’interesse ad accertare la proprietà a titolo originario ha l’onere di dimostrare i requisiti del possesso necessari per l’usucapione, tra i quali anche la durata del possesso medesimo per il periodo prescritto dalla legge, in applicazione della regola generale sull’onere probatorio fissata dall’ art. 2697 c.c. E’ necessario provare un possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, accompagnato dall’animo di tenere la cosa come propria, che si protragga per oltre venti anni, cui corrisponda per la stessa durata la completa inerzia del proprietario, il quale si astenga dall’esercitare le sue potestà e non reagisca al potere di fatto esercitato dal possessore. Il requisito della continuità, necessario per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”(art. 1158 cod. civ.), si fonda sulla necessità che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa, contrapposta all’inerzia del titolare del diritto. Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito ovvero chi eccepisce detta circostanza, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del “corpus”, ma anche dell'”animus”. L’elemento psicologico, consistente nella volontà del possessore di comportarsi e farsi considerare come proprietario del bene, può essere, poi, desunto dalle concrete circostanze di fatto che caratterizzano la relazione del possessore con il bene stesso.

 

Corte d’Appello Napoli, Sezione 6 civile Sentenza 4 giugno 2018, n. 2663

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli, Sesta Sezione Civile, riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:

Dott. Maria Rosaria Castiglione Morelli – Presidente

Dott. Antonio Quaranta – Consigliere

Dott. Maria Grazia Savastano – Consigliere Rel

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 2406/12 R.G., riservata in decisione all’udienza del 16.2.18 con i termini di cui all’art. 190 c.p.c. e vertente

TRA

(…) S.A.S. IN LIQUIDAZIONE ((…)), in persona del l.r.p.t., rapp.ta e difesa dall’Avv. Di.Ma. con il quale elettivamente domicilia in Napoli alla Piazzetta (…) Cortile

APPELLANTE

E

(…) ((…)) e (…) ((…)), rapp.ti e difesi dall’Avv. Em.Do. con la quale elettivamente domiciliano in Ercolano alla Via (…)

APPELLATI

IN FATTO E IN DIRITTO

Con atto di citazione notificato il 29/03/2005 (…) e (…) esponevano di aver pacificamente ed ininterrottamente abitato per oltre venti anni, sin dal 08.05.1983 nello stabile sito alla via M., n. 6 (già n. 4) in E., appartamento sottostante alla strada, con ingresso scendendo a sinistra, composto di due camere con bagno e cucina; che l’appartamento era stato da loro occupato a partire dal 1983, perché abbandonato, e che avevano provveduto alla sistemazione e manutenzione del bene. Asserendo la ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 1158 c.c. convenivano in giudizio la (…) s.a.s., formale intestataria dell’immobile, chiedendo che fosse dichiarato l’acquisto del bene in loro favore per intervenuta usucapione.

Si costituiva in giudizio con comparsa depositata in data 15.3.06 la convenuta che si opponeva alla domanda deducendo l’insussistenza dei requisiti di cui all’art. 1158 c.c. per l’acquisto degli attori e, in via riconvenzionale, l’occupazione sine titulo del bene da parte degli stessi.

All’esito dell’istruttoria, la causa veniva decisa dal Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Portici, con sentenza n. 203/11, depositata in data 11.04.2011, che accoglieva la domanda attorea e” dichiara(va) che (…) e (…) sono proprietari, in virtù di intervenuta usucapione, dell’appartamento sito in E. alla via (…), sottostante la strada, con ingresso scendendo a sinistra, composto di due camere, bagno e cucina, facente parte di piccolo fabbricato per civili abitazioni, composto di due quartini e di due terranei contigui, confinante da un lato con Via (…), da altro lato con proprietà (…) e aventi causa, dal terzo lato con proprietà della (…); condannava(va) la (…) S.a.S. al pagamento delle spese di lite in favore degli attori, liquidate in Euro 348,00 per spese, in Euro 657,00 per diritti ed in Euro 2.800,00 per onorari, oltre IVA e CPA e rimborso spese forfetarie”.

Avverso la sentenza ha proposto appello la società (…) (già di (…)) S.a.s. in liquidazione, e si sono costituiti in giudizio gli appellati.

L’appellante, riscostruita la vicenda, ha chiesto in via preliminare l’ammissione ex art. 345 comma 3 c.p.c. del teste (…), originaria proprietaria dell’immobile venduto nel 1986 alla società appellante. Al riguardo ha dedotto che, avendo gli attori sostenuto di aver posseduto il bene sin dal maggio del 1983, esisteva un intervallo temporale di circa tre anni in cui il diritto di proprietà, con tutte le sue estrinsecazioni e manifestazioni, sicuramente non avrebbe potuto esercitato dalla società (…) e che in relazione a tale periodo poteva risultare che la (…) avesse posseduto, abitandolo, il bene o avesse stipulato con gli attori un contratto di locazione anche non scritto o un rapporto di comodato e così via e che tali vicende, risulterebbero fondamentali/indispensabili ai fini della decisione della presente controversia.

La richiesta istruttoria, formulata per la prima volta nel giudizio di appello, con indicazione di un teste che già avrebbe potuto essere indicato in primo grado e su fatti nuovi , tra altro neppure oggetto di articolazione in capitoli di prova, è inammissibile in quanto in evidente contrasto con i principi dell’ onere di allegazione posto a carico delle parti nonché col regime delle preclusioni. Infatti l’indispensabilità richiesta dall’art. 345 co. 3 c.p.c. non può significare la mera rilevanza dei fatti dedotti a prova (che è ovviamente condizione dell’ammissibilità di ogni mezzo istruttorio), ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte ha l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalle legge processuale. Il potere istruttorio attribuito al giudice di appello dal co. 3 dell’art. 345 c.p.c., benchè abbia carattere discrezionale, non può infatti essere esercitato per sanare preclusioni o decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado ” (Cass. sent. n. 15716/2000).

I fatti indicati, inoltre (possesso della venditrice (…) prima del 1986, stipula con gli attori un contratto di locazione anche non scritto o di un contratto di comodato) neppure sono prospettati in termini di certezza ma meramente eventuali, con valenza esplorativa della stessa richiesta che esclude altresì lo stesso carattere di indispensabilità della prova per mancanza di decisività ( Cassazione civile, sez. III, 29/05/2013, n. 13432).

L’appellante ha ribadito nell’appello la insussistenza dei requisiti di cui all’art. 1158 c.c. deducendo che, non risultando il fatto del possesso degli attori nell’atto di acquisto della società in data 18 dicembre1986, da C.R. del fabbricato sito in Via M. n. 6, due erano le possibili alternative: o che il suddetto cespite era, al momento della vendita, assolutamente libero da persone o, al contrario, il possesso dello stesso da parte degli appellati, pur esistente, era del tutto occulto in quanto non conosciuto, sicché stanti le previsioni di cui all’art. 1163 c.c. l’eventuale possesso del cespite rilevante ai fini dell’usucapione, poteva ipotizzarsi solo dopo il 1986, risultando prima o il mancato possesso o la sua clandestinità. L’appellante ha, inoltre, sostenuto la non ricorrenza del requisito della pacificità del possesso, stante il susseguirsi di episodi di carattere violento in cui delegati o collaboratori della società appellante, recatosi sui luoghi, erano stati allontanati con fare minaccioso, di modo da costringere, lo stesso tutore E. ( nominato a seguito della interdizione del legale rappresentante della società S.V.), a sporgere formale querela dinanzi alle autorità competenti. In relazione al requisito temporale l’appellante ha, poi, sostenuto che la continuità del possesso, non era provata stante l’esistenza di certificati di residenza facenti riferimento ad un immobile diverso da quello oggetto di causa perché , mentre gli attori assumevano di aver posseduto dal maggio 1983 gli immobili sottostanti la strada, dai certificati prodotti era invece riportata la dicitura “piano terra”, e ha affermato che neppure vi era la prova documentale degli interventi e miglioramenti al bene che sarebbero stati apportati dagli attori e che le stesse bollette dell’Enel, prodotte in giudizio, risultavano mancanti per i primi anni, confermando, il carattere clandestino dell’occupazione quantomeno sino al 1986. Ha, infine, invocato quale causa sospensiva dell’usucapione lo stato di incapacità dell’Amministratore unico della società appellante, V.S., che sin dal 19.02.2000 (giorno del primo certificato medico attestante la sua patologia) versava in uno stato di totale incapacità, rimediabile esclusivamente con la nomina di un tutore avvenuta, per la prima volta, in data 15.05.2001 e che aveva portato al giudizio e alla sentenza di interdizione. Le censure sono infondate.

In tema di usucapione immobiliare l’acquisto a titolo originario della proprietà si concretizza con il possesso continuato ed ininterrotto del bene immobile per una durata non inferiore agli anni venti. Colui che ha l’interesse ad accertare la proprietà a titolo originario ha l’onere di dimostrare i requisiti del possesso necessari per l’usucapione, tra i quali anche la durata del possesso medesimo per il periodo prescritto dalla legge, in applicazione della regola generale sull’onere probatorio fissata dall’ art. 2697 c.c. E’ necessario provare un possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, accompagnato dall’animo di tenere la cosa come propria, che si protragga per oltre venti anni, cui corrisponda per la stessa durata la completa inerzia del proprietario, il quale si astenga dall’esercitare le sue potestà e non reagisca al potere di fatto esercitato dal possessore. Il requisito della continuità, necessario per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”(art. 1158 cod. civ.), si fonda sulla necessità che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa, contrapposta all’inerzia del titolare del diritto. Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito ovvero chi eccepisce detta circostanza, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del “corpus”, ma anche dell'”animus” (cfr. ex multis Cass. N. 741 del 1983; Cass. N. 7142 del 2000; Cass. N. 15755 del 2001; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15145 del 06/08/2004). L’elemento psicologico, consistente nella volontà del possessore di comportarsi e farsi considerare come proprietario del bene, può essere, poi, desunto dalle concrete circostanze di fatto che caratterizzano la relazione del possessore con il bene stesso.

Orbene nel caso di specie correttamente il Tribunale ha ritenuto che dalla documentazione allegata e dalla prova testimoniale siano risultati confermati i presupposti dell’usucapione in capo agli attori. Nella sentenza impugnata è dato atto della ricorrenza di sufficienti elementi per la corretta e certa identificazione del bene oggetto della domanda, anche in mancanza di indicazione dei relativi dati catastali specifici dell’unità immobiliare, ed effettivamente tutti i testi escussi hanno concordemente e precisamente riferito che gli attori hanno occupato continuativamente l’immobile dal 1982-1983 , unitamente agli altri abitanti delle altre unità del fabbricato, abbandonato e privo di porte, pavimenti e rifiniture, e hanno confermato altresì gli interventi di completamento e di ristrutturazione anche esterna effettuati dai medesimi per rendere abitabile l’immobile. È stato, dunque, provato l’esercizio di fatto del possesso con il puntuale compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa secondo la sua specifica natura, e con un comportamento rivelatore anche all’esterno di una indiscussa e piena signoria di fatto su di essa, stante la natura degli interventi di straordinaria amministrazione e di ristrutturazione del bene. Quanto alla prova dell'”animus”, che, ai sensi dall’art. 1141 cod. civ., si presume in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o altro diritto reale, non è esclusa dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l'”animus possidendi” consiste unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria mediante l’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui (Cass. civ.n. 7757 del 5.4.2011).

La circostanza della occupazione stabile a partire quantomeno dal 8.5.1983 può ritenersi confermata anche dal certificato di residenza storico .allegato e trova riscontro nelle bollette dell’utenza Enel, prodotte con riferimento all’indirizzo dell’immobile. A fronte della univoche circostanze probatorie valorizzate nessuna rilevanza ha l’indicazione “PT” ( che dovrebbe corrispondere a piano terra) sul certificato di resistenza storico che riporta come indirizzo anagrafico degli attori lo stabile di via M. n. 6 ( già n. 4) che l’appellante ha enfatizzato per contrapporla a quella di piano sottoposto alla sede stradale, indicato dagli attori in citazione e dai testi come oggetto di occupazione dei medesimi. . Infatti va rilevato non solo che la valenza certificatoria deve ritenersi limitata ai soli dati dell’indirizzo anagrafico (comune, via e civico) laddove la indicazione ulteriore di “PT” neppure può ritenersi precisa e perciò non prevalente sulle risultanze della prova testimoniale, ma che dalla lettura dell’atto di acquisto della società l’immobile sito in via M. n. 4 è in realtà indicato come piccolo fabbricato , composto di due quartini, sottostanti alla strada con tre vani ed accessori , con ingresso dalla stessa via, nonché due terranei contigui, ciascuno di due vani ed accessori, seminterrati, sotto detta via ed annesso piccolo giardino, sicché neppure è precisato un vero e proprio piano terra. Tra l’altro trattasi di eccezione non avanzata dalla parte convenuta in primo grado.

La mancata indicazione della occupazione degli attori nell’atto di acquisto della convenuta nel 1986 non vale affatto a contrastare tale circostanza, confermata invece dalla prova testimoniale e dal certificato di residenza storico ma offre anzi ulteriore riscontro alla situazione di inerzia del proprietario, dedotta dagli attori a fondamento del pacifico possesso esercitato, tanto più che la occupazione stabile dell’immobile, da circa tre anni al momento dell’acquisto dello stesso, era di immediata e pubblica percezione ed addirittura agevolmente riscontrabile nelle risultanze anagrafiche comunali.

Invero la stessa ricostruzione delle vicende offerta dalla parte convenuta appellante conferma la situazione di fatto invocata dagli attori a fondamento della domanda di usucapione e spiega le ragioni dell’inerzia del proprietario. Infatti l’immobile oggetto di causa fu acquistato dalla società (…) S.a.S costituita nel 1986, tra S.V. e S.M. che aveva per oggetto proprio l’acquisto, costruzione e amministrazione di beni immobili di qualsiasi genere e nel 2000 veniva avviato il procedimento per la interdizione dell’amministratore S.V., con nomina di un tutore provvisorio in data 15.5.01, stante il sopravvenuto stato di incapacità, conclusosi con la sentenza n. 10764/02 di interdizione emessa dal Tribunale di Napoli; che il tutore dott. E.M. nominato il 07.03.2003 nell’effettuare le ricerche delle “variegate proprietà” della società amministrata da S.V., verificava la presenza tra le stesse del fabbricato di Via M. n. 6 e in sede di controllo, effettuato a mezzo di suo incaricato, constatava l’occupazione e sporgeva denuncia querela penale nei confronti di ignoti, sfociata anche in un procedimento penale a carico degli occupanti per l’imputazione di cui all’art. 633 c.p., che gli stessi appellati hanno dedotto essersi tuttavia concluso con sentenza n. 99/05 del Gdp di Portici a loro favorevole.

L’appellante ha invocato lo stato di incapacità e l’interdizione del legale rappresentante della società proprietaria del bene quale causa di sospensione del decorso del termine di usucapione del bene deducendo l’impossibilità materiale di agire del medesimo per impedire il decorrere del tempo necessario all’usucapione, vista la sua totale incapacità.

Va rilevato che, anche a prescindere dalla questione della configurabilità o meno nel caso di specie della causa di sospensione con effetti nei confronti di una società avente altri soci, l’argomentazione non risulta comunque rilevante atteso che il dedotto periodo di sospensione, ipotizzabile ( e in tali termini prospettato dall’appellante stessa) solo dal 22.3.2000 (deposito del ricorso per l’interdizione) o dal 19.2.2000( indicato dalla parte appellante come data del primo certificato medico sulle condizioni di incapacità di S.V.) e fino al termine dei sei mesi successivi alla nomina in data 15.5.2001 del tutore provvisorio ( ex art. 2042 c.c.). per una durata complessiva di un anno e 8/9 mesi, neppure è sufficiente ad escludere il compimento del periodo ventennale di usucapione, decorrente da 8.5.1983, comunque già compiuto ( anche ove si volesse detrarre il dedotto periodo di sospensione) al momento della costituzione della società del giudizio avente per oggetto l’usucapione del bene, in data 15.3.06.

Infatti non risultano dedotti né provati validi atti interruttivi atteso che non può ritenersi tale, come adeguatamente argomentato dal Tribunale al riguardo, la presentazione della querela penale nei confronti di ignoti , né il procedimento penale successivo, nel quale non risulta che la società si sia costituita parte civile. L’interruzione, infatti, può derivare soltanto da atti che implichino la perdita del potere materiale sulla cosa ovvero da atti giudiziali diretti a privare, ope iudicis, il possessore della possessio ad usucapionem (Cass. 23-11-2001 n. 14917; Cass. 19-6-2003 n. 9845). In tema di possesso “ad usucapionem”, con il rinvio fatto dall’art. 1165 all’art. 2943 c.c. la legge elenca tassativamente gli atti interruttivi, cosicché non è consentito attribuire tale efficacia ad atti diversi da quelli stabiliti dalla norma, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, giacché la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti (Cassazione civile, sez. II, 18/10/2016, n. 21015). La motivazione del Tribunale che si è conformata a tali principi va pertanto condivisa.

Non vale ad escludere la pacificità del possesso, infine, la dedotta violenza riferita dall’appellante all’allontanamento minaccioso dell’incaricato del tutore, al quale era poi seguita la querela penale nei confronti di ignoti, non essendovi prova di un comportamento violento imputabile agli appellati e non integrando di per sé comportamento violento una mera opposizione al rilascio da parte dei medesimi occupanti che sostengono di aver maturato l’acquisto a titolo originario della proprietà del bene.

Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante ha riproposto l’eccezione riconvenzionale di occupazione sine titulo degli attori, ed ha chiesto di determinare l’obbligo di pagamento dell’indennità di occupazione pari ad un canone di locazione secondo i valori commerciali di analoghi immobili siti nel Comune di E. con decorrenza dalla data di deposito della sentenza di interdizione del Sig. S.V. o dalla data del 15.04.03, data della querela sporta dal tutore.

Il secondo motivo di appello sull’accertamento della occupazione sine titulo è assorbito dal mancato accoglimento del primo motivo con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014

DISPOSITIVO

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli – sesta sezione civile – definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (…) (…) S.a.S. in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Portici, n. 203/11, depositata in data 11.04.2011, così provvede:

– rigetta l’appello e per l’effetto conferma l’impugnata sentenza;

– condanna l’appellante, al pagamento in favore degli appellati delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 60,00 per spese e Euro 3200,00 per compenso professionale, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge.

Così deciso in Napoli il 18 maggio 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.