gli oneri eventuali (interessi moratori, penale estinzione anticipata) sono da ritenersi estranei al perimetro d’applicazione della legge sull’usura. La tutela del cliente, nei casi di patologia del rapporto, è affidata agli altri rimedi previsti dal codice civile, primo fra tutti la riduzione a equità d’ufficio della clausola penale (al cui ambito d’applicazione vanno ricondotti gli interessi moratori).

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Tribunale Lucca, civile Sentenza 7 gennaio 2019, n. 25

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Lucca, in persona del dr. Carmine Capozzi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 1677/16 R.G., avente ad oggetto: azione di nullità contrattuale ed altro, e vertente:

TRA

(…) e (…) domiciliati per la lite in (…) che li rappresenta e difende giusta procura alle liti conferita in calce all’atto di citazione.

Opponenti

E

(…)ITALIA SOCIETÀ CONSORTILE PER AZIONI

presso l’Avv. Il.Me. che la rappresenta e difende giusta procura alle liti in calce all’atto di precetto.

Opposta

FATTI DI CAUSA

1 – (…) e (…) hanno proposto opposizione preventiva all’esecuzione minacciata dalla (…) SepA, quale procuratrice della (…) SpA, con l’atto di precetto notificato in data 9.3.2016, con cui veniva loro intimato di pagare la somma di Euro 141.953,01, dovuta in forza di titolo esecutivo stragiudiziale, costituito dall’atto di mutuo fondiario a rogito del notaio P. Iva di Lucca n. 56052 di rep. e n. 10035 di raccolta.

Gli opponenti hanno fatto valere un unico motivo con il quale denunciano la sussistenza di una fattispecie di usura originaria. Secondo il loro assunto, il tasso d’interesse di mora è superiore al limite di legge, con conseguente non debenza degli interessi tutti (corrispettivi e moratori) e diritto alla restituzione di quelli (corrispettivi) pagati nella misura di Euro 58.852,57, credito da compensare con il controcredito in linea capitale pari ad Euro 130.000,00.

Hanno chiesto, pertanto, accertarsi e dichiararsi la nullità parziale del contratto di mutuo, quanto agli interessi (usurari) pattuiti, e di rideterminare i rapporti di dare e avere tra le parti, portando in compensazione il credito restitutorio relativo agli interessi pagati. Hanno proposto, inoltre, azione di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta illecita della convenuta.

2. – La banca opposta, costituitasi in giudizio, ha contestato gli assunti di parte attrice e ha chiesto il rigetto dell’opposizione all’esecuzione.

3 – Negata la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, la causa è passata in decisione all’udienza del 5.10.2018 sulle conclusioni della sola parte opposta.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. – I mutuatari – opponenti assumono che gli interessi moratori rileverebbero ai fini della determinazione del TEG e siccome, nel caso di specie, il tasso d’interesse moratorio è fissato in contratto in una misura pari al tasso soglia rilevante al momento della conclusione del contratto, questo sarebbe automaticamente superato considerando le spese d’istruttoria.

Ne conseguirebbero, pertanto, la nullità delle clausole contrattuali relative agli oneri economici del prestito e la non debenza di tutti gli interessi (corrispettivi e/o moratori) e la rideterminazione dei rapporti di dare-avere tra le parti.

5 – Sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia sostenuto che gli interessi moratori siano ricompresi nel perimetro d’applicazione della legge sull’usura, è convinzione di questo giudice, espressa oramai in plurime decisioni, che tale soluzione interpretativa non trovi un sicuro conforto nella L. 108/1996.

Nel continuare sul punto il dialogo con la Corte di legittimità, nel riproporre gli argomenti già spesi nei precedenti di questo tribunale e nel verificarne la loro bontà alla luce anche del recente arresto della Corte di Cassazione (Cass. Civ. 27442/2018) è opportuno, anzitutto, sgombrare il campo da due argomenti che solitamente sono utilizzati per sostenere che gli interessi moratori (e, più in generale, gli oneri eventuali di un prestito) sono inclusi nel perimetro d’applicazione della legge 108/1996.

5.1. – Il primo argomento, ripreso dagli opponenti, è che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 29/2002, avrebbe avallato tale soluzione.

L’asserto non è però corretto perché la Corte Costituzionale non si è occupata con tale decisione della questione qui rilevante.

Nell’esaminare e respingere l’eccezione d’inammissibilità di una delle ordinanze dei giudici rimettenti (quella del tribunale di Benevento, in particolare), formulata dall’Avvocatura dello Stato sul rilievo che il giudice rimettente non avesse motivato, nel caso sottoposto a giudizio, l’applicabilità della L. 108/1996 agli interessi moratori, la Corte Costituzionale così motivava:

“Il difetto di una specifica motivazione in ordine alla applicabilità anche agli interessi moratori dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ. risulta ininfiuente nella specie, in quanto il credito azionato, essendo costituito da rate di mutuo, é comunque comprensivo anche di interessi corrispettivi, pur essi eccedenti il tasso soglia, rispetto ai quali la rilevanza della questione é assolutamente pacifica.

Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sè decisivo – che il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi “o qualunque titolo convenuti – rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”.

Appare evidente che nell’economia della decisione sull’ammissibilità o meno della questione di legittimità costituzionale costituisce mero obiter dictum il periodo:

” Va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sè decisivo – che il riferimento, contenuto nell’art. I, comma 1, del decreto – legge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”.

La ratio dedicendi è contenuta, infatti, nel precedente periodo, in cui la Corte assume l’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale sul presupposto che nella rata di mutuo sono compresi gli interessi corrispettivi, rispetto ai quali la rilevanza della questione era assolutamente pacifica nel giudizio a quo.

La Corte si stava occupando, pertanto, d’interessi corrispettivi e non d’interessi moratori.

Le sentenze interpretative di rigetto della Corte Costituzionale non vincolano il giudice e meno ancora gli obiter dieta contenuti in tali pronunce.

Si tratta allora di verificare se effettivamente l’art. 1, comma 1, del D.L. n. 394/ 2000, rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione (per usare le parole della Corte Costituzionale) – l’assunto che gli interessi moratori sarebbero ricompresi nel perimetro d’applicazione della L. 108/1996.

5.2. – Questo ci porta all’esame del secondo argomento usualmente utilizzato per giustificare l’assunto per cui la L. 108/1996 si applicherebbe anche agli interessi moratori.

L’argomento è che il legislatore, con la legge d’interpretazione autentica della L. 108/1996 (ovvero il D.L.394/2000, conv. con L. 24/01), avrebbe avallato tale impostazione, stabilendo che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurati gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

L’inciso “a qualunque titolo” starebbe a confermare che la L. 108/1996 trova applicazione per qualsiasi tipologia d’interesse (corrispettivo, compensativo, risarcitorio) e in tal senso deporrebbero anche i lavori preparatori della legge.

Tuttavia, l’esegesi di una legge d’interpretazione autentica si misura, e trova il proprio limite, sulla “controversia interpretativa (la res dubidf” che il legislatore intende risolvere c l’intervento legislativo soltanto rispetto ad essa può dare luogo ad un’interpretazione vincolante per il giudice.

Ora, la legge d’interpretazione autentica è intervenuta unicamente per risolvere “la controversia interpretativa” relativa al momento in cui va verificato il superamento del tasso soglia, ovvero se al momento della pattuizione degli interessi o a quello della dazione (del pagamento) degli interessi.

Chiaro, in tal senso, è l’incipit del decreto legge, in cui si motiva l’urgenza di provvedere: “visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni in materia di tassi d’interesse usurari, anche in considerazione degli effetti che la sentenza della Corte di cassazione n. 14899/2000 può determinare in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale; …”

In altre parole, l’occasione della legge d’interpretazione autentica va individuata nella sent. 14899/2000 della Corte di Cassazione che, con riferimento proprio a un contratto di mutuo e agli interessi moratori, aveva stabilito che la pattuizione relativa agli interessi moratori a tasso divenuto usurario a seguito della legge n. 108 del 1996 è illegittima anche se convenuta in epoca antecedente all’entrata in vigore di detta legge e comporta la sostituzione di un tasso diverso a quello divenuto ormai usurario, limitatamente alla parte di rapporto a quella data non ancora esaurito. Invero, questo era l’aspetto controverso nella giurisprudenza di legittimità prima dell’intervento del legislatore, posto che la Corte di Cassazione si era già pronunciata

(oltre che con la seni. 14899/2000 anche con la sent.5286/2000) sull’applicabilità della L. 108/1996 anche agli interessi moratori.

Atteso, quindi, che la legge d’interpretazione autentica è vincolante per l’interprete soltanto in relazione al momento in cui va condotta la verifica dell’usurarietà e che la c.d. intentio legislatoris (come desumibile anche dai lavori preparatori) non è vincolante per l’interprete se non in relazione a questo aspetto della controversia interpretativa (momento della verifica del superamento del tasso soglia), si tratta allora di stabilire se l’interpretazione della L. 108/1996 fatta propria dalla Corte di Cassazione sia condivisibile o meno.

5.3. – Come anticipato sopra, è convinzione di questo tribunale che la soluzione fatta propria dal giudice di legittimità non sia coerente con plurime indicazioni contenute nella legge 108/1996, con le stesse modalità fissate dalla L. 108/1996 per la determinazione del tasso soglia usurario e con la disposizione d’interpretazione autentica per cui la natura usuraria degli interessi va valutata al momento della pattuizione e non del pagamento.

5.4. – Prima di illustrare la diversa prospettiva interpretativa di questo tribunale, è necessario ripercorrere brevemente la giurisprudenza della corte di legittimità in materia d’interessi moratori e legge sull’usura.

La prima decisione rilevante è Cass. civ. 22.4.2000, n. 5286 (che, fino alla recente ord. 30.10.2018, n. 27442, era anche l’unica a motivare l’assunto per cui la L. 108/1996 si applicherebbe anche agli interessi moratori). In tale decisione la corte di legittimità motivò l’applicazione della L. 108/1996 anche agli interessi moratori con questi argomenti:

“L’art. 1 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (“Disposizioni in materia di usura”, pubbl. su G.U. n. 58 del 9 marzo -96, suppl. “ord.), nel sostituire Vart. 644 cod. pen., ha previsto che

“la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurati” (3 comma); l’art. 2, 4 comma, ha individuato la soglia usuraria nel “tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella gazzetta ufficiale ai sensi del comma 1, relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito e compreso, aumentato della metà”; l’art. 4, infine, ha sostituito il secondo comma dell’art. 1815 c.c., nel senso che “se sono convenuti interessi usurati, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

Va subito detto che proprio con riferimento a tale ultima disposizione, la non copiosa giurisprudenza di merito e la dottrina si sono occupate essenzialmente del problema delle conseguenze sui contratti di mutuo già stipulati alla data di entrata in vigore della nuova normativa: in altri termini, con esclusivo riguardo alla natura compensativa degli interessi pattuiti.

Tuttavia non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori, risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la legge n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3 comma, ha valore assoluto in tal senso) e che nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dell’art. 1224, 1 comma, cod. civ., nella parte in cui prevede che “se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura”.

Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge.

Ciò premesso, va anche precisato che una pattuizione di interessi intervenuta prima della entrata in vigore della legge n. 108/96 non può, stante il principio di cui all’art. 25, 2 comma, Cost., essere ritenuta penalmente rilevante sol perché detti interessi risultino superiori alla soglia fissata: ove il ricorrente (pur nella non chiara prospettazione del motivo sul punto) abbia inteso lamentarsi per la mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della natura criminosa della pretesa della banca, per questo aspetto la censura non potrebbe trovare accoglimento.

La Corte di merito, invece, avrebbe dovuto considerare che, alla stregua della nuova normativa, gli interessi concordati (in particolare, al tasso del 28%, applicato in sede di condanna da parte del Tribunale, con decorrenza dal 1 ottobre 82 e sino al soddisfo) erano divenuti usurari: in altri termini, che la nuova normativa aveva travolto la relativa clausola”.

E’ evidente, dalla lettura dei passi sopra riportati, che la Corte di Cassazione argomenta la riconduzione degli interessi moratori nel perimetro d’applicazione della legge sull’usura in forza di due principi; a) il principio di omnicomprensività, di cui all’art. 1, co. 3 L. 108/1996; b) il principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità della loro funzione, desunto dall’art. 1224 c.c.

La seconda sentenza che viene in rilievo è Cass. civ. 17.11.2000, n. 14899, che non contiene una specifica motivazione sul punto in esame, ma si limita a richiamare Cass. civ. 5286/2000.

Una delle sentenze che solitamente si richiamano a supporto dell’orientamento divisato è Cass. civ. 4.4.2003, n. 5234, che contiene, tuttavia, un mero obiter dictum, così testualmente;

“Per quanto concerne, poi, l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 644 c.p. come sostituito dall’art. 1 L. n. 108 del 1996 ove interpretato nel senso di riguardare solo i tassi corrispettivi e non quelli moratori, è agevole rilevarne l’irrilevanza e/o la manifesta infondatezza, osservando: che secondo le supreme magistrature, il tasso – soglia di cui alla citata legge n. 108/1996 riguarda anche gli interessi moratori (Cass. 17 novembre 2000 n. 14899 e Corte Cost. 25 febbraio 2002 n. 29) ma, nella specie, siffatta normativa non trova applicazione, trattandosi di tassi convenuti prima della data della sua entrata in vigore mentre, d-altro canto, a tale data il rapporto si era completamente esaurito (conf. Cass. 2 febbraio 2000 n. 1126 e 17 novembre 2000 n. 14899)”.

La ratio decidendi è che la L. 108/1996 non trova applicazione trattandosi di tassi convenuti prima della sua entrata in vigore e con un rapporto già esaurito a tale data. Il resto del periodo motivante è un obiter dictum, con mero rinvio alla pronuncia della Corte Costituzionale sopra esaminata (che a sua volta contiene un mero obiter dictum) e a Cass. civ. 14899/2000, che a sua volta contiene un mero rinvio a Cass. civ. 5286/2000.

Rileva, poi, Cass. civ. 9.1.2013, n. 350 che, nel cassare la pronuncia di merito, così motiva: “Lo stessa censura (sub b), invece, è fondata in relazione al tasso usurario perché dalla trascrizione dell’atto di appello risulta che parte ricorrente aveva specificamente censurato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia senza tenere conto della maggiorazione di tre punti a titolo di mora, laddove, invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurati gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte cost. 25 febbraio 2002 n. 29:

“il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”; Cass. n. 5324/2003)”.

Ancora una volta la decisione del giudice di legittimità è motivata per relationem alla pronuncia del giudice delle leggi (sent.29/2002) e al proprio precedente 5324/03, che a sua volta rinvia alla pronuncia della Corte Costituzionale.

Nelle più recenti ord. 6.3.2017, n. 5598, e 4.10.2017, n. 23192, si legge “è noto che in tema di contratto di mutuo. Vari l della legge n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là °l quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurati, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324)”. Ancora una volta una motivazione per relationem ad una decisione, la n. 5324/2003, che non si è occupata ex professo della problematica in esame.

L’indagine condotta evidenzia una singolare tecnica motivazionale delle decisioni: ove la questione è rilevante, si rinvia per relationem a precedenti in cui la pronuncia della corte, sul tema in esame, rileva come obiter dictum, oppine si rinvia al precedente della Corte Cost. (sent.29/2002), che, a sua volta, è un obiter dictum; ove il tema non è rilevante, la corte pronuncia ma con valore di obiter dictum.

Fatta eccezione per Cass. civ. n. 5286/2000, sino alla recente Cass. civ. 30.10.2018 n. 27442, di cui si darà conto fra poco, il giudice di legittimità non ha compiuto alcuno sforzo motivazionale per spiegare perché la legge sull’usura trovi applicazione anche agli interessi moratori e, in più in generale, agli oneri eventuali (di carattere risarcitorio o indennitario).

Forse il retro pensiero di simile tecnica motivazionale è che tutto sarebbe stato chiarito dal legislatore nel 2000, quando in sede d’interpretazione autentica ha stabilito che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurati gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

Tuttavia, già in precedenza si sono evidenziate le ragioni della legge d’interpretazione autentica: chiarire che il momento rilevante per la determinazione del carattere usurario o meno dell’interesse è quello della pattuizione e non quello della dazione. In questi limiti, soltanto, il D.L.394/2000 può essere considerato una legge d’interpretazione autentica e in questi limiti soltanto esso vincola l’autorità giudiziaria.

Forse consapevole di questi limiti, in una recente decisione (ord. 27442/2018) la Corte di Cassazione si è fatta carico di motivare le ragioni che giustificherebbero la conclusione secondo cui la L. 108/1996 si applicherebbe anche agli interessi moratori.

Secondo la Corte di legittimità tale conclusione sarebbe imposta:

a) dall’interpretazione letterale, posto che gli artt. 1 e 2 della legge de qua, come l’art. 1 del D.L.394/2000, non distinguono tra interessi corrispettivi e interessi moratori, parlando di interessi tout court, e che nei lavori preparatori della legge d’interpretazione autentica quando si parla d’interesse si fa riferimento a tutti gli interessi a qualsiasi titolo dovuti (corrispettivo, compensativo, moratorie);

b) dall’interpretazione sistematica, posto che gli interessi corrispettivi e quelli moratori rispondono, pur nella diversità del titolo, alla medesima funzione remuneratoria;

c) dall’interpretazione finalistica, stante la ratio della L. 108/1996 di “troncare le infinite questioni che, in precedenza, si ponevano allorché si trattava di accertare l’usurarietà di un patto d’interesse”;

d) dal l’interpretazione storica, che dimostra l’insussistenza di differenze tra l’uno e l’altro tipo d’interesse.

5.5. – E’ opinione di questo giudice che molti degli argomenti utilizzati nella recente decisione 27442/2018 possano essere ribaltati e che più in generale la decisione denoti una non perfetta comprensione del meccanismo di funzionamento della L. 108/1996 (in particolare del meccanismo di rilevazione dei tassi medi di mercato e della necessaria simmetria tra oneri rilevati e oneri rilevanti per l’individuazione del TEG), meccanismo invece ben compreso dalla stessa corte nella recente pronuncia delle Sezioni Unite in materia di usura e CMS (Cass. civ. S U. 20.6.2018, n. 16303), pronuncia dalla quale la sezione semplice si è discostata senza spiegarne le ragioni e senza fornire un’appropriata e condivisibile motivazione.

5.6. – Di seguito sono indicati gli elementi che consentono una diversa lettura del testo normativo.

5.6.1 – L’art. 1 della L. 108/1996, nel disciplinare il nuovo reato d’usura (art. 644 c.p.), stabilisce al comma primo che il vantaggio usurario (dato o promesso), quale che ne sia la forma, deve costituire il “corrispettivo” di una prestazione di denaro o di altra utilità.

La stessa disposizione, nello stabilire che sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori al limite legale (su cui infra), gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, pone un’evidente problema di equilibrio tra prestazione di danaro e i vantaggi conseguiti dal mutuante e di diretta correlazione tra Luna e gli altri.

La disposizione prevede ancora che per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. L’art. 2 della L. 108/1996 prevede che sia rilevato trimestralmente, secondo il meccanismo di cui si dirà fra poco, il tasso effettivo globale medio degli interessi praticati dalle banche e dagli altri intermediari, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese.

II riferimento alla corrispettività tra il vantaggio (usurario) e la prestazione del mutuante e all’esigenza di un equilibrio tra contrapposte prestazioni, che consente di dare rilevanza, a certe condizioni, ai casi di c.d. usura in concreto, così come il riferimento ad un tasso effettivo globale comprensivo di tutte le remunerazioni del credito, rende evidente a parere del giudicante che l’art. 1 della L. 108/19% si riferisca soltanto alla categoria dei vantaggi (usurari) che si pongano come corrispettivo immediato della prestazione di una somma di denaro o di altra utilità, che siano collegati direttamente all’erogazione del credito e che, quindi, rinvengono nell’erogazione del credito il loro fatto genetico certo e diretto.

Tale rapporto diretto non è predicabile invece per gli oneri (di natura risarcitoria, indennitaria o di altra natura) del tutto eventuali nella loro applicazione, che rinvengono il proprio titolo non soltanto nel fatto giuridico che dà luogo allo scambio tra la somma prestata e il vantaggio per il mutuante, ma in una fattispecie più ampia che presuppone tale fatto ma anche, ad esempio, il fatto ulteriore dell’inadempimento del mutuatario o dell’esercizio della facoltà di estinzione anticipata del mutuo.

In forza delle mentovate disposizioni di legge assume in altre parole rilevanza non la funzione dell’onere (interesse o altro onere economico) ma il titolo in forza del quale l’onere è dovuto, ovvero se questo è dovuto in forza del solo fatto genetico costituito dal contratto di mutuo oppure in forza di una fattispecie più ampia che presuppone il contratto ma anche altri fatti ulteriori, eventuali, quali l’inadempimento nella restituzione in tutto o in parte del prestito o l’esercizio della facoltà d’estinzione anticipata del mutuo.

Non è quindi condivisibile l’assunto contenuto nella recente decisione della corte di legittimità che sarebbe del tutto irrilevante il titolo in forza del quale l’interesse (o altro onere) sia dovuto, assumendo per contro tale titolo (ove correttamente inteso) rilievo fondamentale ai fini applicativi della L. 108/1996.

E’ ancora del tutto indifferente, ai fini specifici, interrogarsi sul se gli interessi moratori partecipino della stessa natura (remuneratoria) degli interessi corrispettivi, come sostenuto nel recente arresto 27442/2018, oppure se essi assolvano una funzione diversa da quella degli interessi corrispettivi (risarcitoria), come sostenuto in altre decisioni della corte di legittimità, tra cui Cass. Civ.5682/2000, sopra citata.

L’interpretazione letterale non conduce quindi in maniera certa all’esegesi proposta dalla corte di legittimità, anzi essa porta ad una direzione opposta.

E l’assunto secondo cui sarebbe un principio de plano desumibile dalla L. 108/ 1996 quello per cui tale legge si applicherebbe anche agli interessi di mora – principio trascurato dai giudici di merito e incompreso dagli organi amministrativi, per usare le parole impiegate dalla corte di legittimità nel recente arresto – è tutt’altro che condivisibile e appare proprio la corte di legittimità ad incorrere in quel difetto di comprensione del testo normativo che imputa ai giudici di merito e agli organi amministrativi.

5.6.2. – La lettura del dato normativo qui sostenuta è confortata dalle particolari modalità di determinazione del tasso soglia usuario.

L’art. 644, co.3 c.p., nel testo novellato dall’art. 1 L. 108/1996, stabilisce, infatti, che è la legge a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, secondo il meccanismo previsto deirart.2 della L. 108/1996.

Quest’ultimo prevede che il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rilevi trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad armo, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura.

I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale.

La classificazione delle operazioni per categorie omogenee, tenuto conto della natura, dell’oggetto, dell’importo, della durata, dei rischi e delle garanzie è effettuata annualmente con decreto del Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi e pubblicata senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale.

Il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari – c.d. tasso soglia -, e’ stabilito sino all’entrata in vigore del D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (che ha modificato l’art. 2 della L. 108/1996), nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà, e successivamente nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali, la differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali.

In base a tale normativa, il tasso d’interesse usurario è quindi quello che supera il tasso effettivo globale medio, come rilevato in base alle istruzioni della Banca d’Italia, aumentato della metà (o, dall’entrata in vigore del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, aumentato di un quarto + quattro punti percentuali).

Guardando al fenomeno da un diverso angolo visuale, si può dire che il tasso soglia non è fissato una tantum dal legislatore ma è determinato mediante un meccanismo relazionale ai tassi medi di mercato, i quali, a loro volta, sono rilevati in base alle istruzioni della Banca d’Italia.

Tuttavia, per essere rilevato, e così concorrere alla determinazione del tasso soglia, un onere deve essere certo nella sua applicazione (fatto che implica che sia certa anche la base di calcolo – l’importo – cui l’onere è applicabile) e poter essere applicato nel momento stesso in cui è erogato il credito.

Tale condizione mentre è predicabile per tutti gli oneri corrispettivi (per tali intendendosi quelli dovuti al mutuante in forza della mera erogazione del credito e non anche dell’intermediazione di un ulteriore fatto, quale l’inadempimento del mutuatario o la richiesta da parte del mutuatario d’estinzione anticipata del mutuo), non lo è per gli oneri eventuali (non dovuti per il sol fatto della mera erogazione del credito), perché tali oneri saranno applicati in un momento successivo, se e quando ricorreranno ulteriori presupposti rispetto alla mera erogazione del credito.

In altre parole, questi ultimi oneri si correlano soltanto indirettamente all’erogazione del credito e non costituiscono remunerazione immediata e diretta del prestito.

Per tale ragione (impossibilità di determinare in modo oggettivo il TEG in presenza di costi solo eventuali) la Banca d’Italia, nelle proprie istruzioni, ha escluso i costi de quibus dal calcolo del TEG.

Costituiscono, allora, sul punto mere petizioni di principio le affermazioni contenute nella recente ord. 27442/2018 della corte di legittimità, secondo cui legge ha ritenuto di imporre al Ministro del Tesoro la rilevazione dei tassi di interessi omogenei per tipo di contratto, e non dei tassi di interessi omogenei per titolo giuridico da cui si ricava la conseguenza che “il saggio di mora medio non deve essere rilevato non perché agli interessi moratori non s’applichi la legge antiusura, ma semplicemente perché la legge, fondata sul criterio della rilevazione dei tassi medi per tipo di contratto, è concettualmente incompatibile la rilevazione dei tassi medi per tipo di titolo giuridico” (così testualmente).

Ora, è evidente che con tali affermazioni si dà per dimostrato ciò che deve essere dimostrato, ovvero che la legge 108/1996, in relazione, ad esempio, alla particolare categoria di operazione che viene in rilievo nel caso di specie (mutuo fondiario) non imponga al Ministero del Tesoro di rilevare gli interessi moratori fra gli oneri (spese di istruttoria, spese periodiche di comunicazione, interessi corrispettivi, assicurazione del fabbricato, etc.) costituenti la remunerazione del mutuante.

Ed il fatto che l’interesse moratorie costituisca patto accessorio proprio a qualsiasi tipo contrattuale e possa essere previsto per qualsiasi tipo di obbligazione pecuniaria, è del tutto insufficiente a giustificare la mancata rilevazione in relazione a ciascuna categoria di operazione (apercredito, mutuo fondiario, prestito personale, etc).

Per cui o si giustifica l’esclusione altrimenti – come sostenuto ad esempio da questo giudice – oppure gli interessi moratori vanno rilevati, sicché il decreto ministeriale che non li rilevasse sarebbe illegittimo, come ben messo in evidenza dalle S.U. 16303/2018 nella recente pronuncia sulla CMS ed usura.

Occorre, poi, considerare che in base alle istruzioni della Banca d’Italia, per la categoria di operazione che viene in rilievo nel caso di specie (mutuo fondiario) e, in genere, per tutte le operazioni che prevedono il rimborso del prestito con un piano di rientro predefinito, la formula per il calcolo del TEG (rilevante per stabilire se vi è o meno superamento del tasso soglia nel caso concreto) è la seguente:

Omissis

dove: i è il TEG annuo, che può essere calcolato quando gli altri termini dell’equazione sono noti nel contratto o altrimenti; k è il numero d’ordine di un “prestito”; k’ è il numero d’ordine di una “rata di rimborso”;

Ak è Timporto del “prestito” numero K;

A ‘k’ è l’importo della “rata di rimborso” numero K’;

m è il numero d’ordine dell’ultimo “prestito”;

m’ è il numero d’ordine dell’ultima “rata di rimborso”;

tk è l’intervallo espresso in anni e frazioni di anno tra la data del “prestito” n. 1 e le date degli ulteriori “prestiti” da 2 a m;

tk’ è l’intervallo espresso in anni e frazioni di anni tra la data del “prestito” n. 1 e le date delle “rate di rimborso” da 1 a m’.

Per “rata di rimborso” s’intende ogni pagamento a carico del cliente relativo al rimborso del capitale, degli interessi e degli oneri inclusi di cui al punto C4 delle Istruzioni di Vigilanza.

La formula di calcolo del TEG, in relazione ad un’operazione di prestito a rimborso rateale, presuppone come certi i parametri sopra indicati, tra ì quali il tempo del rimborso.

Il costo effettivo di un finanziamento dipende, infatti, dal tempo del rimborso. Com’è stato osservato, se cambiano le scadenze di pagamento, cambia il costo effettivo.

Se una delle parti attua una condotta difforme rispetto a quanto previsto dal regolamento contrattuale, egli introduce una modifica alla variabile temporale originaria, considerata per il calcolo del Tasso Effettivo, con la conseguenza che il costo effettivo del finanziamento risentirà di questa variazione.

E’ evidente, quindi, che la formula del TEG non è applicabile ad oneri incerti nel quando e nell’importo.

Nella stessa linea d’esclusione della rilevanza degli oneri risarcitoli si sono posti il legislatore comunitario e quello italiano quanto al credito al consumo.

Per tale forma di credito ì costi de quibus sono esclusi dal calcolo del TAEG (la cui formula è uguale a quella del TEG).

In particolare, l’art. 19.2. della direttiva europea 2008/48/CE in materia di credito al consumo espressamente esclude gli interessi di mora e in generale le penali dal calcolo del TAEG.

L’art. 19.3 precisa poi che il calcolo del tasso annuo effettivo globale è fondato sull’ipotesi che il contratto di credito rimarrà valido per il periodo di tempo convenuto e che il creditore e il consumatore adempiranno ai loro obblighi nei termini ed entro le date convenuti nel contratto di credito.

La disposizione è stata attuata con il D.Lgs. 141/2010, che ha sostituito l’art. 121 del TUB stabilendo che il “costo totale del credito” è dato dagli interessi e da tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza. Ove il riferimento ai costi di cui il finanziatore è a conoscenza rende evidente che nel calcolo del costo totale del credito non rientrano gli oneri eventuali (ad esempio, penali).

Anche la direttiva 2014/17/UE, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi ad immobili residenziali, esclude le penali dal calcolo del costo totale del credito (v. art. 4, n. 13): l’art. 17.3 ribadisce il principio che il TAEG è fondato sull’ipotesi che il contratto di credito rimarrà valido per il periodo di tempo convenuto e che il creditore e il consumatore adempiranno ai loro obblighi nei termini ed entro le date convenuti nel contratto di credito.

A tale direttiva ha dato attuazione il D.Lgs. 72/2016, che ha introdotto nel TUB il Capo I bis (credito immobiliare ai consumatori): rart.120 bis, lett. d), per definire il costo totale del credito, usa una formula equivalente a quella dell’art. 121, sopra esaminata, ovvero “costo totale del credito” indica gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza.

Tali disposizioni legislative, benché disciplinanti aspetti diversi del credito rispetto a quello in esame (vantaggi usurari), rendono evidente tuttavia che le disposizioni che disciplinano il calcolo del TAEG (o TEG) non possono che basarsi su parametri oggettivi, sulla rilevazione e considerazione di elementi di costo certi, noti alle parti e al finanziatore, perché attesi da una condotta delle parti fisiologica rispetto al regolamento contrattuale.

Ciò a maggior ragione quando si voglia costruire, anche con riferimento al mercato del credito autorizzato (e non solo per i c.d. canali paralleli), un sistema di repressione dei fenomeni usurari basati su dati oggettivi, su un tasso soglia individuato a partire dal tasso effettivo globale medio praticato dagli operatori in un determinato trimestre di riferimento.

In altre parole, è proprio l’interpretazione sistematica e finalistica a condurre ad un risultato esegetico opposto a quello sostenuto nella recente decisione della corte di cassazione, poiché se è necessario ancorare il delitto d’usura a dati oggettivi é necessario che tali dati siano effettivamente tali, e quindi siano certi nella loro applicazione e non del tutto eventuali e dipendenti da variabili non considerabili al momento della conclusione del contratto.

A fini dell’applicazione della legge sull’usura l’unico discrimine rilevante è quello tra costi certi e costi eventuali e ipotetici.

I costi certi sono quelli dovuti in forza della sola erogazione del credito, che si correlano a questa direttamente e immediatamente, senza l’intermediazione di fatti ulteriori. Soltanto tali costi vanno rilevati e soltanto essi rilevano ai fini del superamento del tasso soglia usura.

5.6.3. – La conclusione raggiunta nei precedenti paragrafi trova conforto, ancora, nella stessa legge d’interpretazione autentica del 2000.

E’ d’immediata evidenza logica che dal principio per cui l’usurarietà di un interesse va valutata al momento in cui viene pattuito e non al momento del pagamento discende che il vantaggio che concorre a determinare il costo del danaro rilevante ai fini dell’usura deve poter essere inserito immediatamente, già al momento della pattuizione, nella formula di calcolo del costo effettivo del denaro prestato.

Quando invece ciò non sia possibile, allora deve concludersi che quel onere eventuale è estraneo al perimetro d’applicazione della legge sull’usura.

Ad esempio, venendo al contratto di mutuo per cui è causa, la clausola n. 4 prevede che l’interesse di mora sia pari all’8,865% (pari al tasso soglia di periodo).

Ora, per inserire tale onere nella formula di calcolo del TEO (assieme, ad esempio, alle spese d’istruttoria), così come prevista dalla Banca d’Italia, e verificare il superamento del tasso soglia, è necessario ipotizzare che al momento stesso della conclusione del contratto di mutuo, il mutuatario sia inadempiente nella restituzione del mutuo e decaduto dal beneficio del termine e, quindi, che egli debba pagare immediatamente gli interessi moratori in sostituzione di quelli corrispettivi sull’intera somma prestata.

Così operando, però, si fa una finzione del tutto arbitraria, non prevista dal legislatore.

Nella realtà, la mora può riguardare, ad esempio, in un mutuo decennale, a rimborso mensile, la 10.ma, come la 120.ma rata, e il tasso d’interesse moratorio può essere applicato su una sola rata di rimborso pagata in ritardo come su “enne” rate di rimborso pagate in ritardo, con una diversa incidenza sul costo complessivo del denaro ricevuto a prestito.

E’ evidente allora come l’impostazione espressa nella recente decisione della corte di legittimità sia davvero semplicistica e come essa finisca per ignorare i meccanismi, anche di matematica finanziaria, di rilevazione dei tassi e di calcolo del tasso effettivo globale applicato al rapporto, posti a base della rilevazione dei tassi medi e della verifica dei tassì soglia. Meccanismi, invece, valutati con ben altra cognizione nella mentovata pronuncia delle S.U. resa in materia di usura e CMS. Impostazione semplicistica che, pur richiamandosi al principio di omnicomprensività, porta invece ad una parcellizzazione degli oneri economici ed ad una considerazione atomistica degli interessi moratori, tanto che si giunge alla conclusione paradossale di applicare rart.1224 c.c. e, quindi, gli interessi legali moratori, laddove invece la sanzione in base alla legge sull’usura non potrebbe che essere la non debenza degli interessi, non solo moratori, ma anche di quelli corrispettivi e degli altri oneri economici (ovvero la gratuitità del mutuo), posto che gli interessi moratori (se si accede all’idea che sono ricompresi nel perimetro d’applicazione della legge sull’usura) non sono che uno degli oneri pagati dal mutuatario da valutare in concorso con gli altri oneri, e ciò al fine di apprezzare il costo effettivo del denaro e l’eventuale superamento del tasso soglia, sicché, in questa prospettiva, la sanzione non può che essere unitaria e non si può distinguere tra questo e quel vantaggio ed applicare rimedi differenziati.

5.6.4. – E’ possibile alla luce di tali considerazioni riesaminare gli argomenti utilizzati dalla Corte di Cassazione, specie quelli di Cass. Civ. 5286/2000.

Quanto al principio di omnicomprensività, di cui all’art. 1, co. 3 L. 108/1996, si può dire che esso riguarda unicamente i vantaggi (interessi, spese, commissioni) che hanno funzione remuneratoria del prestito, per tali dovendosi intendere gli oneri economici la cui applicazione sia certa in base al contratto di finanziamento e che per tale ragione possono dirsi collegati direttamente dell’erogazione del credito; in tale categoria di vantaggi non rientrano gli oneri eventuali (quale che ne sia la natura, risarcitoria, indennitaria, remuneratoria) che non sono certi né nell’an né nel quantum.

Quanto al principio di omogeneità di trattamento degli interessi, esso non è rilevante nella materia de qua, perché la legge sull’usura distingue tra oneri remuneratori certi, collegati all’erogazione del credito, e oneri eventuali; semmai, peraltro, il principio di omogeneità imporrebbe di individuare un tasso soglia per gli interessi corrispettivi e un tasso soglia per gli interessi moratori, cosa che non è prevista dalla legge sull’usura e dalle attuative disposizioni emanate dall’Autorità di Vigilanza, e ciò nel condivisibile solco tracciato dalle S.U. n. 16303/2018 in materia di usura e CMS.

Quanto invece all’argomento usato nell’obiter dictum presente nella sent. 29/2002 della Corte Costituzionale, si può replicare che la lettura che la Corte dà del termine “interesse” presente nella legge d’interpretazione autentica (D.L. 394/2000) è riduttiva e ciò impedisce una lettura alternativa della legge d’interpretazione autentica, altrettanto plausibile e sicuramente più aderente al testo della L. 108/1996.

Il termine interesse va interpretato alla luce degli artt. 1 e 2 della L. 108/1996 ed esso assume il significato di qualsiasi vantaggio per il finanziatore, quale che sia il titolo (la ragione) in base al quale è pattuito o promesso (interesse, commissione, spesa, onere) che abbia tuttavia i caratteri individuabili alla luce della stessa L. 108/ 1996, ovvero sia un mezzo di remunerazione del finanziamento, la cui applicazione sia certa in base al contratto di finanziamento e che per tale ragione possa dirsi collegato direttamente all’erogazione del credito e, quindi, possa essere rilevato ai fini del TEGM e inserito nella formula di verifica del TEG e, quindi, del tasso soglia, sin dal momento della conclusione del contratto.

5.6.5 – Deve concludersi, pertanto, conformemente ai precedenti di questo giudice, e di tanta altra parte della giurisprudenza di merito che si sta occupando del problema (è inutile fare un elenco delle pronunce contrarie all’indirizzo della corte di cassazione, sarebbe un elenco lunghissimo), e in linea con le indicazioni delle Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, che gli oneri eventuali (interessi moratori, penale estinzione anticipata) sono da ritenersi estranei al perimetro d’applicazione della legge sull’usura.

La tutela del cliente, nei casi di patologia del rapporto, è affidata agli altri rimedi previsti dal codice civile, primo fra tutti la riduzione a equità d’ufficio della clausola penale (al cui ambito d’applicazione vanno ricondotti gli interessi moratori).

5.6.6 – In conclusione, per le ragioni sopra dette, la domanda di nullità parziale va respinta.

6 – E’ giustificata la compensazione delle spese di lite, in ragione del fatto che la controversia è risolta in diritto secondo un’interpretazione che si pone in consapevole contrasto con quella della corte di legittimità.

P.Q.M.

Il Tribunale di Lucca, decidendo in via definitiva, così provvede;

– respinge l’opposizione;

– compensa tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Lucca il 4 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.