Demolizione opere per violazione delle distanze legali e risarcimento del danno

in tema di violazione delle norme sulle distanze, una volta che venga disposta la demolizione delle opere realizzate in violazione delle norme sulle distanze legali, il risarcimento del danno deve essere computato tenendo conto della temporaneita’ della lesione del bene protetto dalle norme violate e non gia’ avendo riguardo al valore di mercato dell’immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo il relativo pregiudizio suscettibile di essere eliminato.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 4 giugno 2018, n. 14294

Data udienza 9 febbraio 2018

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26052/2013 proposto da:

(OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati presso lo studio del Dott. (OMISSIS) in (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), e per lui la sua rappresentante Avvocato (OMISSIS), giusta autorizzazione del giudice tutelare del Tribunale di Sassari in data 27/11/2013, rappresentati e difesi dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 222/2012 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI, Sezione distaccata di SASSARI, depositata il 24/07/2012;

letta la requisitoria scritta del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/02/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 14.4.1990 (OMISSIS) e (OMISSIS), premesso di essere proprietari dello stabile sito in (OMISSIS), convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Sassari (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di altro stabile confinante, esponendo che i convenuti: avevano installato nel loro cortile un serbatoio per il gasolio senza rispettare le distanze legali, di cui all’articolo 889 c.c., rispetto all’immobile di loro proprieta’; avevano piantato delle viti nel suddetto cortile senza osservare la distanza di cui all’articolo 892 c.c.; avevano realizzato nel cortile di loro proprieta’ un locale adibito a cucina in violazione delle norme sulle distanze, di cui all’articolo 873 c.c., del vigente regolamento edilizio e delle norme di attuazione del PRG del Comune di Alghero, che stabiliscono un distacco minimo di 10 metri tra pareti finestrate. Gli attori lamentavano, altresi’, che i convenuti si erano opposti alla sopraelevazione fino all’altezza di 3 metri del muro divisorio tra i due fondi, che gli attori avevano intenzione di realizzare a propria cura e spese. Le parti attrici chiedevano la condanna dei convenuti all’eliminazione del serbatoio di gasolio, delle piante di vite e del locale cucina, nonche’ la declaratoria del loro diritto alla sopraelevazione del muro divisorio, oltre al risarcimento dei danni subiti.

Si costituivano i convenuti, i quali concludevano per il rigetto della domanda attorea, spiegando domanda riconvenzionale per il mancato rispetto delle distanze dell’edificio costruito dagli attori sul loro terreno relativamente al manufatto (garage) realizzato dai convenuti sul confine.

Istruita la causa con documenti, prove testimoniali e due CTU, il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 708/2010, depositata in data 20.4.2010: a) condannava i convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) ad arretrare o rimuovere la cisterna di gasolio, b) dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla distanza dei tralci di vite; c) rigettava la domanda di arretramento o rimozione del manufatto realizzato sul terreno dei convenuti; d) rigettava la domanda risarcitoria; e) dichiarava il diritto di sopraelevazione del muro.

Avverso suddetta sentenza proponevano appello (OMISSIS) e (OMISSIS) per i seguenti motivi: 1) per avere il Tribunale erroneamente interpretato la normativa edilizio-urbanistica, dando applicazione al regolamento edilizio di Alghero, entrato in vigore il 10 gennaio 1985 – che prevede la distanza minima di 5 metri tra le costruzioni con pareti finestrate – anziche’ al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, n. 2, disposizione richiamata dal piano regolatore generale del Comune di Alghero, adottato il 30 dicembre 1976, che prevede un distacco minimo tra le costruzioni con pareti finestrate di 10 metri; 2) per avere il Giudice di primo grado motivato la reiezione della domanda, relativa al locale costruito da (OMISSIS) e (OMISSIS), facendo leva sul fatto che tale costruzione sarebbe anteriore all’edificazione del lotto confinante di proprieta’ degli appellanti e che, pertanto, in virtu’ del principio della prevenzione, le parti appellate avrebbero fatto uso della facolta’ di costruire direttamente sul confine senza rispettare le distanze.

Si costituivano gli appellati che concludevano per il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 222/2012, depositata il 24 luglio 2012, la Corte d’Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, accoglieva l’appello, dichiarando il diritto di parte appellante alla riduzione in pristino e all’arretramento della costruzione di parte appellata, denominata “cucina”, sino alla distanza legale di metri 10, di cui all’articolo 873 c.c., come integrato dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, n. 2, in materia di distanze tra fabbricati; condannava la parte appellata a provvedere alla riduzione in pristino e all’arretramento; condannava gli appellati al risarcimento del danno, identificato nella momentanea diminuzione di valore della proprieta’ degli appellanti e quantificato equitativamente in Euro 3.000,00; condannava la parte appellata alla rifusione della meta’ delle spese di CTU del primo grado di giudizio; compensava per meta’ le spese del primo e del secondo grado di giudizio, ponendo l’altra meta’ a carico della parte appellata, liquidando siffatta meta’ in Euro 6.290,00.

Per la cassazione della suddetta sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso sulla base di due motivi, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS), e per lui la sua rappresentante Avvocato (OMISSIS), giusta autorizzazione del giudice tutelare del Tribunale di Sassari in data 27/11/2013. I controricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti hanno dedotto la “violazione o falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articoli 9, comma 2, e articolo 873 c.c., anche in riferimento alla omessa e insufficiente motivazione in ordine alla affermata violazione delle distanze di legge”. Essi rilevano che, correttamente, la sentenza impugnata si basa sul presupposto che il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, sia immediatamente efficace fin dal momento della sua emanazione e che esso trovi applicazione direttamente nei rapporti tra privati, considerandolo come norma integrativa dell’articolo 873 c.c.. Tuttavia, nonostante l’esattezza di tali assunti, ai fini dell’applicazione astratta del citato Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, n. 2, integrativo dell’articolo 873 c.c., il giudice dell’appello non avrebbe tenuto conto di quanto accertato in punto di fatto, ossia che la costruzione realizzata dagli odierni ricorrenti sul confine (il garage), preesisteva alle altre costruzioni, comprese quelle dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS).

Osservano i ricorrenti che detta preesistenza rispetto alle altre costruzioni era gia’ stata accertata nella sentenza di primo grado e che la CTU aveva rilevato che la parete finestrata della casa dei (OMISSIS) e (OMISSIS) era stata realizzata a una distanza di m 2,18 dal garage; laddove, proprio in virtu’ dell’applicazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, n. 2, detta parete avrebbe dovuto rispettare la distanza di 10 metri dal garage, giacche’ il diritto alla distanza sorge nel momento in cui il manufatto da cui si pretende calcolare la predetta distanza non solo sia stato realizzato, ma sia stato realizzato regolarmente.

1.1. – Il motivo non e’ fondato.

1.2. – La stessa Corte d’appello rileva preliminarmente che “nonostante una iniziale difficolta’ di individuazione del locale in ordine al quale si lamentava, da parte degli attuali appellanti, gia’ attori in primo grado, la violazione delle distanze legali ex articolo 873 c.c., la CTU disposta dal giudice del precedente giudizio ha chiarito che debba ritenersi adibito a cucina l’unico locale ad avere pareti finestrate, posto parallelamente al muro di confine fra le due proprieta’ e le cui finestre prospettano verso la proprieta’ dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre deve essere definita garage, ai fini di causa, la costruzione (peraltro pacificamente preesistente) munita di porta prospettante sul cortile di parte appellate, verso la strada e non verso la proprieta’ degli appellanti”. Sottolinea che il vano c.d. cucina sarebbe stato realizzato fra il 1984 ed il 1985, a distanza di mt. 3,07 dal filo esterno del muro di confine ovvero di mt. 2,85 dal filo interno, nonche’ mt. 5,28 dalla parte piu’ vicina della casa degli appellanti (OMISSIS)- (OMISSIS) (sentenza pag. 4). E conclude che – date le caratteristiche strutturali limitate del muro di confine posto a semplice tutela del fondo al quale serve (Cass. n. 10461 del 2011) – la distanza da tenere in considerazione nel caso di specie “e’ pertanto non quella della costruzione dal confine ma quella della costruzione c.d. cucina dal fabbricato della parte attrice-appellante, stante la sicura preesistenza di quest’ultimo, come emerge con chiarezza dalla CTU” (sentenza, pag. 5).

1.3. – Cio’ premesso, la Corte territoriale, quanto alla applicabilita’, in tema di distanze tra costruzioni, del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, comma 2, emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 quinquies, (c.d. legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 17, del tutto correttamente ha affermato (in conformita’ a Cass. sez. un. n. 14953 del 2011) che esso ha efficacia di legge dello Stato, sicche’ le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita’, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica. E che dunque, a seguito della abrogazione ex nunc, in forza del Testo Unico n. 380 del 2001, articolo 136, della L. n. 765 del 1967, articolo 17, comma 1, lettera c), e del mantenimento in vigore della L. n. 1150 del 1942, articolo 41 quinquies, commi 6, 8, 9, gli strumenti urbanistici locali devono osservare la prescrizione di cui al detto Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, che prevede la distanza minima inderogabile tra pareti finestrate e pareti di edifice antistanti (sentenza, pag. 6).

Altrettanto correttamente, la Corte d’appello ha richiamato i principi affermati da Cass. n. 6604 del 2012 (conforme anche Cass. n. 26383 del 2016), secondo cui “posto che nella disciplina legale dei “rapporti di vicinato” l’obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione “pareti finestrate” contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri al Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, – il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti – non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come “vedute”, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette “lucifere””; nonche’ da Cass. n. 13547 del 2011, per la quale “La norma del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, in materia di distanze fra fabbricati – che, siccome emanata in attuazione della L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 17, non puo’ essere derogata dalle disposizioni regolamentari locali – va interpretata nel senso che la distanza minima di dieci metri e’ richiesta anche nel caso che una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che e’ indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente, per l’applicazione di tale distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorche’ solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta; ne consegue, pertanto, che il rispetto della distanza minima e’ dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestre” (sentenza, pag. 7).

1.4. – Orbene, i ricorrenti convengono con la affermazione, posta a base della sentenza impugnata, per la quale il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, e’ immediatamente efficace fin dal momento della sua emanazione e trova applicazione direttamente nei rapporti tra privati, considerandolo come norma integrativa dell’articolo 873 c.c.. Viceversa contestano esplicitamente che il giudice del gravame non avrebbe tenuto conto di quanto accertato in punto di fatto, ossia che la costruzione realizzata dagli odierni ricorrenti sul confine (il garage) preesisteva alle altre costruzioni, comprese quelle dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS).

Tuttavia, va rilevato che la situazione del c.d. garage e’ del tutto estranea al thema decidendum sottoposto al giudizio di appello, che attiene alla contestata violazione delle distanze minime conseguente alla realizzazione del locale adibito a cantina. Infatti e’ a tale locale che vengono riferiti dalla Corte territoriale i riscontri fattuali del posizionamento rispetto al fabbricato degli attori-controricorrenti, proprio per differenziarne la situazione rispetto a quella del c.d. garage (“la CTU disposta dal giudice del precedente giudizio ha chiarito che debba ritenersi adibito a cucina l’unico locale ad avere pareti finestrate, posto parallelamente al muro di confine fra le due proprieta’ e le cui finestre prospettano verso la proprieta’ dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre deve essere definita garage, ai fini di causa, la costruzione (peraltro pacificamente preesistente) munita di porta prospettante sul cortile di parte appellate, verso la strada e non verso la proprieta’ degli appellanti”: sentenza, pag. 4, cit. sub 1.2.). Ed e’ di tale locale che il controricorrente chiede l’arretramento e la riduzione in pristino.

Ne’, peraltro, puo’ convenirsi con l’assunto secondo il quale dovrebbe valere la prevenzione del garage rispetto al fabbricato dei controricorrenti, si’ da legittimare le autonome opere successive (la cantina). Questa Corte ha affermato che “le disposizioni della Legge Urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 quinquies, (nel testo fissato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 17), nonche’ dell’articolo 9 del Decreto Ministeriale lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, nella parte in cui, per fabbricati ubicati in zone territoriali omogenee, pongono inderogabili distanze minime dal confine (in modo vincolante anche per i Comuni, in sede di formazione degli strumenti urbanistici), hanno carattere integrativo delle norme del codice civile sulle distanze legali, ai sensi ed agli effetti dell’articolo 872 c.c., e rendono inapplicabile il principio della prevenzione di cui all’articolo 875 c.c., non invocabile rispetto a distacchi assoluti, fissati con riferimento al confine” (Cass. n. 145 del 2006; cfr. Cass. sez. un. n. 10318 del 2016, secondo cui, nel caso opposto, un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilita’ di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla meta’ di quella prescritta tra le costruzioni, ne’ prevenuto la corrispondente facolta’ di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli articoli 874, 875 e 877 c.c.).

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la “violazione o falsa applicazione degli articoli 872 e 2697 c.c., e dell’articolo 1226 c.c.”. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente condannato gli odierni ricorrenti al risarcimento del danno, equitativamente stabilito in Euro 3.000,00; giacche’ per procedere alla condanna al risarcimento, non e’ sufficiente l’accertamento della potenzialita’ dannosa del fatto, ma deve procedersi all’individuazione del quantum del danno, che deve essere provato. Infatti, aver considerato che la proprieta’ dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) sia stata gravata da una servitu’ illegittima, idonea (ove l’idoneita’ rappresenta la potenzialita’ dannosa) a ridurre momentaneamente il valore della proprieta’, non e’ prova di per se’ dell’entita’ del danno e della sua esistenza. Di conseguenza, la diminuzione temporanea di valore della proprieta’ avrebbe dovuto essere accertata mediante il ricorso agli ordinari mezzi di prova. Rilevano quindi i ricorrenti che la Corte d’Appello ha violato gli articoli 872 e 2697 c.c., non avendo rilevato la decisivita’ della mancanza di prove della pretesa risarcitoria, per inerzia della controparte. Ed ha violato l’articolo 1226 c.c., giacche’ tale norma ha una portata sussidiaria ed e’ applicabile esclusivamente nei casi in cui, pur essendo provata l’esistenza del danno, non sia possibile risalire all’entita’, mancando dei criteri di quantificazione che siano in grado di ricondurre razionalmente la “perdita” a un “equivalente” monetario.

2.1. – Il motivo e’ fondato.

2.2. – La Corte d’appello ha richiamato il principio secondo cui “in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitu’ nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprieta’ medesima, deve ritenersi in re ipsa, senza necessita’ di una specifica attivita’ probatoria” (Cass. n. 25475 del 2010; conf. Cass. n. 11382 del 2011 e Cass. n. 16916 del 2015). Ed ha, di conseguenza, liquidato equitativamente il danno per la diminuzione temporanea del valore della proprieta’ di parte attrice-appellante (sentenza pag. 8).

Questa Corte ha, peraltro, precisato che “in tema di violazione delle norme sulle distanze, una volta che venga disposta la demolizione delle opere realizzate in violazione delle norme sulle distanze legali, il risarcimento del danno deve essere computato tenendo conto della temporaneita’ della lesione del bene protetto dalle norme violate e non gia’ avendo riguardo al valore di mercato dell’immobile, diminuito per effetto della detta violazione, essendo il relativo pregiudizio suscettibile di essere eliminato” (Cass. n. 19132 del 2013).

2.3. – La Corte d’appello ha viceverso ritenuto la risarcibilita’ del pregiudizio economico derivante dalla diminuzione temporanea del valore di mercato dell’immobile del controricorrente. La censura dei ricorrenti coglie dunque nel segno, la’ dove pone in relazione la valutazione del danno effettuata sulla base della perdita di valore dell’immobile derivante dalla violazione delle distanze e la transitorieta’ di detta fonte di pregiudizio, destinata ad essere rimossa per effetto della demolizione delle opere illegittimamente realizzate dai ricorrenti. La quantificazione del danno, dunque, non poteva essere eseguita sulla base della perdita del valore di mercato dell’immobile, trattandosi di valore suscettibile di essere riacquistato dal fabbricato della resistente per effetto della disposta demolizione.

2.4. – Il secondo motivo di ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la stessa alla Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.