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Assicurazione contro i danni ed assicurazione per la responsabilità civile.
Assicurazione contro i danni: aspetti generali.
Il contratto di assicurazione è un contratto tipico, e trova la sua disciplina sia nel codice civile agli artt. 1882 – 1932 che in varie normative speciali tra cui il Codice delle assicurazioni private D. Lvo. n. 209/2005.
Il contratto di assicurazione è dispiplinato dall’art. 1882 c.c. il quale dispone che:
L’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio , si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Generalmente ed in base al tenore letterale dell’art. 1882 c.c., che disciplina il contratto di assicurazione, si è soliti individuare due marco categorie di assicurazione:
- assicurazione contro i danni
- assicurazione sulla vita
Rientrano nella categoria dell’assicurazione contro i danni tutti quei contratti di assicurazione con cui l’assicuratore si obbliga a risarcire un danno patrimoniale e non subito dall’assicurato in conseguenza del deterioramento o della perdita di un bene oppure in conseguenza di una responsabilità contrattuale o extra contrattuale (in questo secondo caso si tratta dell’assicurazione sulla responsabilità civile).
In via generale può affermarsi che appartengono alla categoria dell’assicurazione contro i danni tutti i contratti di assicurazione in cui il fatto costitutivo del diritto dell’assicurato all’indennizzo consiste in un danno verificatosi in dipendenza di un rischio assicurato e nell’ambito spaziale e temporale in cui tale garanzia opera.
Il contratto di assicurazione contro i danni è caratterizzato dal c.d. principio indennitario che trova la sua disciplina nell’art. 1905 c.c. secondo cui:
L’assicuratore è tenuto a risarcire , nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dall’assicurato in conseguenza del sinistro.
L’assicuratore risponde del profitto sperato solo se si è espressamente obbligato.
Nell’ambito del contratto di assicurazione contro i danni, particolare importanza assume l’assicurazione della responsabilità civile disciplinata dall’art. 1917 c.c.
In sostanza, l’assicurazione contro i danni, rappresenta un genus del contratto di assicurazione a cui appartengono diverse figure che si differenziano tra loro per l’oggetto, per la natura del rischio e dell’interesse assicurato.
Generalmente si suole suddividere a fini classificatori l’assicurazione contro i danni in: assicurazione infortuni, malattie, corpi di veicoli terrestri diversi da quelli ferroviari, corpi veicoli ferroviari, corpi veicoli aerei, corpi veicoli marittimi, lacustri e fluviali, merci trasportate, incendio ed elementi naturali, per altri danni ai beni, assicurazione per la responsabilità civile (c.d. R.C.) autoveicoli terrestri, R.C. aeromobili, R.C. veicoli marittimi, locustri e fluviali, R.C. generale, assicurazione del credito, assicurazione cauzione ed infine per perdite pecuniarie di vario genere.
Il contratto di assicurazione contro i danni tutela il patrimonio del contraente in relazione al verificarsi di eventi dannosi di vario genere come ad esempio furti e/o incendi, oppure nel caso specifico della responsabilità civile mira a tutelare il contraente delle conseguenze patrimoniali in derivanti di circostanze generatrici di responsabilità.
La disciplina del contratto di assicurazione contro i danni oltre che agli artt. 1904 – 1918 c.c. si rinviene in molte leggi speciali.
Assicurazione contro i danni: l’interesse all’assicurazione ex art. 1904 cc.
L’assicurazione contro i danni è quel contratto mediante il quale l’assicuratore, dietro pagamento di un premio, si obbliga a coprire l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno derivante da un sinistro.
Più precisamente, a seconda del danno che può subire il patrimonio dell’assicurato, l’assicurazione contro i danni può avere ad oggetto il furto, l’incendio, etc.
Come già scritto in altro articolo, la causa del contratto di assicurazione è il trasferimento di un rischio dall’assicurato all’assicuratore, rischio che deve necessariamente preesistere alla stipula del contratto, pena la sua nullità.
Il rischio, non va confuso con l’evento, che per l’appunto è il fatto sfavorevole (verificabile o meno), il quale non deve preesistere alla stipula del contratto.
Per la validità del contratto di assicurazione contro i danni è richiesto un interesse patrimoniale al risarcimento del danno da parte dell’assicurato.
Orbene, oltre al rischio, nell’assicurazione contro i danni elemento essenziale ed indispensabile è l’interesse all’assicurazione.
L’interesse all’assicurazione, nell’assicurazione contro i danni, trova la sua specifica disciplina nell’art. 1904 c.c. secondo il quale:
Il contratto di assicurazione contro i danni è nullo se, nel momento in cui l’assicurazione deve avere inizio, non esiste un interesse dell’assicurato al risarcimento del danno.
L’interesse al risarcimento deve sussistere, al momento della stipula dell’assicurazione contro i danni, a pena di nullità.
Inoltre tale interesse deve altresì sussistere per tutta la durata dell’assicurazione contro i danni.
Deve premettersi che l’interesse richiesto dall’art. 1904 c.c., ai fini della validità del contratto di assicurazione contro i danni, è ravvisabile non solo in relazione al diritto di proprietà o ad altro diritto reale sulla cosa assicurata, ma anche in relazione a qualsiasi rapporto economico – giuridico per il quale il titolare sopporti il danno patrimoniale per effetto di un evento dannoso. (Cassazione n. 9469/2004).
Ciò posto, la Giurisprudenza di legittimità, ha, in più occasioni, affermato il principio secondo cui:
“l’assicurazione contro i danni tutela il danno dell’assicurato subito da un suo determinato bene per un sinistro, indipendentemente dall’addebitabilità del sinistro, con la conseguenza che l’interesse all’assicurazione non può sussistere che in favore del proprietario o di altro titolare di diritto reale, o anche del titolare di rapporto obbligatorio, purché assistito da garanzia reale, come nel caso del creditore ipotecario, poiché solo questi hanno un interesse alla copertura assicurativa per danno alla cosa, ai sensi dell’articolo 1904 c.c.” (Cassazione n. 28284/2011, Cassazione n. 16826/2003).
Il principio sopra citato, in merito alla sussistenza dell’interesse nell’assicurazione contro i danni, coesiste con l’ulteriore principio, secondo cui
“l’interesse richiesto dall’articolo 1904 cod. civ., ai fini della validità del contratto di assicurazione contro i danni, è ravvisabile non solo in relazione al diritto di proprietà o ad altro diritto reale sulla cosa assicurata, ma anche in relazione a qualsiasi ulteriore rapporto economico-giuridico, in base al quale il titolare di esso sia tenuto a sopportare il danno patrimoniale derivante da un evento dannoso collegabile alla cosa assicurata” (Cassazione n. 9469/2004).
I due principi non sono configgenti ma complementari, in quanto il secondo principio completa il primo.
Laddove il primo collega, nell’assicurazione contro i danni l’interesse richiesto dall’art. 1904 c.c. ai diritti reali, rispetto ai quali è tipico e connaturale il rischio per la perdita-danneggiamento del bene, il secondo richiede che, nell’assicurazione contro i danni sia individuato il rapporto giuridico in base al quale il titolare deve sopportare il danno patrimoniale derivante dal sinistro collegabile alla cosa.
Ed infatti, la giurisprudenza ha affermato il secondo principio in casi determinati, nei quali tale trasferimento del rischio era rinvenibile.
Il secondo principio, infatti viene generalmente applicato alle seguenti ipotesi:
– al possesso conseguente ad acquisto con patto di riservato dominio, richiedendo anche che sia verificato l’interesse del venditore, non essendo sufficiente il solo date letterale della clausola assicurativa (Cassazione n. 21390/2009 e Cassazione n. 3541/1981);
– al rischio del trasporto della merce venduta assunto contrattualmente dal venditore, che stipula l’assicurazione contro i danni (Cassazione n. 9469/2004).
– al contratto di locazione, secondo cui “In tema di assicurazione contro i danni alla cosa, ivi incluso il suo perimento, il principio generale secondo cui la legittimazione alla stipula del contratto va riconosciuta, in via esclusiva, al proprietario ovvero al titolare di un diritto reale sul bene (salvo il caso del creditore ipotecario), atteso che l’interesse all’assicurazione non può essere di mero fatto, postulando viceversa l’esistenza di una posizione giuridicamente qualificata – sicché, in linea di principio, deve escludersi che il locatario possa avere interesse all’assicurazione del rischio del perimento della res intesa come cespite patrimoniale – trova un limite nell’ipotesi in cui il rischio ed il pericolo della cosa assicurata siano pattiziamente posti a carico del locatario, trasferendosi, in tale ipotesi, del tutto legittimamente il rischio della perdita della cosa dal proprietario/locatore all’utilizzatore/conduttore, sicché l’assicurazione di questo rischio (a quest’ultimo trasferito indipendentemente da ogni sua responsabilità) ne comporta l’insorgere di un interesse giuridicamente qualificato all’assicurazione per la perdita del bene, inteso come cespite e non come fonte di reddito” (Cassazione n. 15552/2002 e Cassazione n. 20751/2007).
Assicurazione contro i danni e il principio indennitario art. 1905 cc
Come già anticipato, l’assicurazione contro i danni è caratterizzata dal c.d. principio indennitario che trova la sua disciplina nell’art. 1905 c.c. secondo cui:
L’assicuratore è tenuto a risarcire , nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dall’assicurato in conseguenza del sinistro.
L’assicuratore risponde del profitto sperato solo se si è espressamente obbligato.
Per effetto del principio indennitario, applicabile all’assicurazione contro i danni, l’indennizzo dovuto dall’assicuratore non può mai superare l’importo del danno effettivamente patito dall’assicurato.
Dall’applicazione pratica del principio indennitario all’assicurazione contro i danni ne discende che, il debito dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato costituisce, in base al dettato degli artt. 1905 e 1908 c.c., un debito di valore.
Da ciò ne discende che, in tema di assicurazione contro i danni, l’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo, assolvendo una funzione di reintegrazione della perdita subita del patrimonio dell’assicurato, ha natura di debito di valore, con la conseguenza che esso deve essere necessariamente rivalutato con riferimento al periodo intercorso tra il sinistro e la liquidazione, pur se non vi sia inadempimento o ritardo colpevole dell’assicuratore, rilevando la condotta del debitore solo dal momento in cui, con la liquidazione, il debito indennitario diventa obbligazione di valuta, e tanto ai fini del riconoscimento, da tale momento, a titolo di risarcimento, degli interessi moratori o del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c. (Cassazione n. 15868/2015).
Assicurazione contro i danni: i danni cagionati da vizio della cosa ex art. 1906 c.c.
I danni cagionati dai vizi della cosa, nell’assicurazione contro i danni, sono disciplinati dall’art. 1906 c.c. secondo cui:
Salvo patto contrario, l’assicuratore non risponde dei danni prodotti da vizio intrinseco della cosa assicurata, che non gli sia stato denunziato.
Se il vizio ha aggravato il danno, l’assicuratore, salvo patto contrario, risponde del danno nella misura in cui sarebbe stato a suo carico, qualora il vizio non fosse esistito.
Tale norma, con tutte le conseguenti limitazioni, non si ritiene applicabile all’assicurazione contro la responsabilità civile, infatti come affermato dalla Giurisprudenza di legittimità “l’art. 1906 c.c., ove prevede, in tema di assicurazione contro i danni, che l’assicuratore non risponde, salvo patto contrario, del pregiudizio prodotto da vizio intrinseco della cosa assicurata, non e` suscettibile di applicazione estensiva alla assicurazione della responsabilità civile, nella quale manca la “cosa assicurata” ed il bene del destinatario della copertura assicurativa viene in considerazione al diverso fine di circoscrivere la relativa garanzia, con riferimento alla responsabilità risarcitoria verso terzi per fatti connessi alla proprietà od al godimento del bene medesimo (Cassazione n. 797/1990).
Il comma 1 dell’art. 1906 c.c. disciplina un’ipotesi di aggravamento del rischio quindi per tutte le relative conseguenze è alla relativa normativa in tema di aggravamento del rischio che deve farsi riferimento.
Il comma 2 dell’art. 1906 c.c. disciplina invece un’ipotesi di aggravamento del danno causata da vizio occulto del bene oggetto dell’assicurazione contro i danni .
In ambito marittimo, tale fattispecie trova la propria disciplina nell’art. 525 del codice della navigazione, che disciplina il c.d. vizio occulto della nave.
In base a tale norma, l’assicuratore della nave risponde dei danni e delle perdite dovute a vizio occulto della nave, a meno che provi che il vizio poteva essere scoperto dall’assicurato con la normale diligenza.
Come precisato da un risalente precedente di legittimità, nel contratto di assicurazione della nave incombe all’assicurato l`obbligo (corrispondente a quello cui e` tenuto il vettore nel contratto di trasporto marittimo) di approntare la nave in stato di navigabilità, sia alla partenza che in ciascuno degli scali intermedi del viaggio, ponendosi la eventuale innavigabilità come criterio di delimitazione del rischio assunto dall`assicuratore.
Tuttavia, la innavigabilità assume rilevanza solo in presenza di colpa dell`assicurato, senza la quale essa viene a costituire un vizio occulto.
Pertanto, pur in presenza di una situazione di innavigabilità della nave alla partenza, sono indennizzabili i danni da essa derivati quando la innavigabilià dipende da vizio della nave (compresa la vetusta o l`usura derivante dal suo normale impiego), salvo che questa fosse scopribile dall`assicurato con l`uso della normale diligenza, nonché, quando l’innavigabilità dipende da colpa del comandante o dell`equipaggio, salvo che l`armatore assicurato ne sia stato partecipe (così si espresse Cassazione n. 5123/1995).
Assicurazione contro i danni: Avviso all’assicuratore in caso di sinistro ex art. 1913 c.c.
Nell’assicurazione contro i danni ai sensi dell’ art. 1913 c.c.
L’assicurato deve dare avviso del sinistro all’assicuratore o all’ agente autorizzato a concludere il contratto, entro tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o l’assicurato ne ha avuta conoscenza. Non è necessario l’avviso, se l’assicuratore o l’agente autorizzato alla conclusione del contratto interviene entro il detto termine alle operazioni di salvataggio o di constatazione del sinistro.
Nelle assicurazioni contro la mortalità del bestiame l’avviso, salvo patto contrario, deve essere dato entro ventiquattro ore.
Deve premettersi che in tema di assicurazione contro i danni “le disposizioni contenute negli art. 1913 e 1915, primo e secondo comma, cod. civ., riguardanti l’obbligo dell’assicurato di avvisare l’assicuratore della verificazione del sinistro e gli effetti del mancato adempimento di tale obbligo, benché dettate in relazione all’assicurazione contro i danni, trovano applicazione anche contro gli infortuni non mortali ”(Cassazione n. 5435/2005).
Premesso ciò, va ricordato che nell’assicurazione contro i danni
“l’avviso di sinistro previsto dall’art. 1913 c.c. svolge la funzione di mettere l’assicuratore in grado di accertare tempestivamente le cause del sinistro e l’entità del danno prima che possano disperdersi le eventuali prove. Tale funzione non esclude che l’avviso scritto di sinistro dato all’assicuratore costituisca anche manifestazione della volontà dell’assicurato di esercitare il diritto all’indennità e consista dunque in un atto di costituzione in mora idoneo ad interrompere la prescrizione, salvo che il tenore specifico dell’avviso di sinistro sia tale da far escludere che con esso l’assicurato abbia inteso far valere anche la propria pretesa” (Cassazione n. 1642/2000).
Nell’assicurazione contro i danni l’inosservanza, da parte dell’assicurato, dell’obbligo di dare avviso del sinistro, secondo le specifiche modalità previste da clausola di polizza, non può implicare, di per sé, la perdita della garanzia assicurativa, occorrendo a tal fine accertare se detta inosservanza abbia carattere doloso o colposo, dato che, nella seconda ipotesi, il diritto all’indennità non viene meno, ma si riduce in ragione del pregiudizio sofferto dall’assicuratore, ai sensi dell’art. 1915 c.c., comma 2 (Cassazione n. 24733/2007).
Occorre, inoltre, riscontrare se, alla stregua del principio di buona fede, che presiede all’interpretazione ed all’esecuzione del contratto, le diverse modalità di avviso, in concreto adottate dall’assicurato, possano o meno considerarsi equipollenti di quelle fissate dal contratto, in relazione alla loro attitudine a realizzare lo scopo della norma.
A tal proposito, la Giurisprudenza di legittimità ha precisato che, nell’assicurazione contro i danni, affinché l’assicurato possa ritenersi dolosamente inadempiente – con conseguente perdita del diritto all’indennità ai sensi dell’art. 1915 c.c. all’obbligo imposto dall’art. 1913 c.c. di dare avviso del sinistro all’assicuratore (la cui ratio risiede nell’esigenza di porlo in condizioni di accertare tempestivamente le cause del sinistro e l’entità del danno prima che possano disperdersi eventuali prove e indizi) non occorre lo specifico e fraudolento intento di creargli danno, essendo sufficiente la consapevolezza dell’indicato obbligo e la cosciente volontà di non osservarlo (Cassazione n. 5435/2005 e Cassazione, n. 3044/1997).
Conclusivamente, affinché, nell’assicurazione contro i danni, l’assicurato possa ritenersi dolosamente inadempiente all’obbligo di dare avviso all’assicuratore, ai sensi dell’art. 1915 c.c., comma 1, con l’effetto di perdere, per ciò, il diritto all’indennità, non è quindi richiesto lo specifico e fraudolento intento di arrecare danno all’assicuratore, ma è sufficiente la consapevolezza dell’obbligo previsto dalla norma e la cosciente volontà di non osservarlo (Cassazione n. 30675/2017, Cassazione n. 13355/2015 e Cassazione n. 5435/2005).
Obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c.
Particolare importanza, nella disciplina dell’assicurazione contro i danni, l’art. 1914 c.c. che si occupa del c.d. obbligo di salvataggio, e testualmente dispone:
L’assicurato deve fare quanto gli è possibile per evitare o diminuire il danno.
Le spese fatte a questo scopo dall’assicurato sono a carico dell’assicuratore, in proporzione del valore assicurato rispetto a quello che la cosa aveva nel tempo del sinistro, anche se il loro ammontare, unitamente a quello del danno, supera la somma assicurata, e anche se non si è raggiunto lo scopo, salvo che l’assicuratore provi che le spese sono state fatte inconsideratamente.
Stando alla citata norma, che disciplina il c.d. obbligo di salvataggio nell’assicurazione contro i danni, un comportamento positivo o negativo dell’assicurato, può escludere o ridurre il diritto all’indennizzo, sotto il profilo dell’inosservanza dell’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1914 c.c., quando risulti in rapporto di causalità con il verificarsi dell’evento.
Infatti come affermato dalla Giurisprudenza di legittimità, nell’assicurazione contro i danni,
“il dovere di evitare il danno si concretizza in un contegno commissivo od omissivo che si colloca utilmente nella fattispecie potenzialmente causativa del danno, valendo ad evitarlo” (Cassazione n. 14992/2016).
Ciò posto, in tema di cd. obbligo di salvataggio ex art. 1914 c.c., mentre il dovere di evitare il danno si concretizza in un contegno commissivo od omissivo che si colloca utilmente nella fattispecie potenzialmente causativa del danno, valendo ad evitarlo, il dovere di diminuire il danno si riferisce ad un azione od omissione che, inserendosi nella serie causale quando il pregiudizio già si è determinato, ne impedisce la crescita ulteriore, sicché non è riconducibile all’ipotesi dell’art. 1914 c.c. un eventuale comportamento assunto dall’assicurato in sede di stipulazione del contratto, il quale può rilevare, invece, ai sensi dell’art. 1893 o dell’art. 1898 c.c. (Cassazione n. 14992/2016)
Quindi, l’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1914 c.c. impone all’assicurato di attivarsi per evitare il sinistro, oltre che per evitare il danno o per attenuarne la portata e nello svolgimento di tale attività, sia precedente che successiva rispetto al verificarsi del danno, l’assicurato deve prestare la diligenza propria del buon padre di famiglia (così Cassazione n. 1749/2005).
L’inosservanza, dolosa o colposa, dell’obbligo di cui all’art. 1914 c.c., comporta, ai sensi dell’art. 1915 c.c., la liberazione totale o parziale dell’assicuratore dalla sua obbligazione.
La disciplina dettata dall’art. 1914 c.c. trova applicazione anche in tema di assicurazione per la responsabilità civile, infatti come affermato dalla Giurisprudenza di legittimità:
“l’art 1914 c.c., il quale, in tema di assicurazione contro i danni, fa carico all’assicurato, a partire dal momento del verificarsi del sinistro ovvero dell’inizio dell’azione che lo generi, di attivarsi per evitare o diminuire il danno (obbligo di salvataggio), con diritto di rivalersi nei confronti dell’assicuratore delle spese a tale scopo affrontate (diritto autonomo ed indipendente dal credito indennitario), trova applicazione, in difetto di espressa deroga ed alla luce della sua ratio (tutela di un interesse comune ai due contraenti), anche nell’assicurazione della responsabilità civile, la quale rientra nell’ambito dell’assicurazione contro i danni, ferma però restando, in questa ipotesi, la necessità di utilizzare, come base di riferimento per il quantum di detta rivalsa, il parametro della somma assicurata“ (Cassazione n. 13958/2007, Cassazione n. 83/2004 e Cassazione n. 11877/1991).
Inadempimento dell’obbligo di avviso e di salvataggio ex art. 1915 c.c.
L’inadempimento dell’obbligo di avviso all’assicuratore in caso di sinistro (art. 1913 c.c.) e dell’obbligo di salvataggio (art. 1914 c.c.) è disciplinato dall’art. 1915 c.c. secondo il quale:
L’assicurato che dolosamente non adempie l’obbligo dell’avviso o del salvataggio perde il diritto all’indennità.
Se l’assicurato omette colposamente di adempiere tale obbligo, l’assicuratore ha diritto di ridurre l’indennità in ragione del pregiudizio sofferto.
La previsione dell’art. 1915 c.c., distingue due ipotesi, l’una dolosa e l’altra colposa, di inadempimento dell’obbligo di avviso o di salvataggio e fa conseguire alla prima la perdita dell’indennizzo e alla seconda la riduzione dell’indennità, in ragione del pregiudizio sofferto dall’assicuratore.
Per la prima ipotesi, inadempimento doloso, l’onere probatorio dell’assicuratore si esaurisce nella dimostrazione della natura dolosa dell’inadempimento, con la precisazione che per ritenere integrato il dolo non è richiesto lo specifico e fraudolento intento di arrecare danno all’assicuratore, ma è sufficiente la consapevolezza dell’obbligo previsto dalla norma e la cosciente volontà di non osservarlo (Cassazione n. 13355/2015).
Per l’ipotesi dell’inadempimento colposo, da presumersi in difetto della dimostrazione del carattere doloso, come ritenuto da Cassazione Sezioni Unite n. 3749/1980 e Cassazione n. 1196/1989, l’onere probatorio dell’assicuratore deve concernere invece l’entità del pregiudizio sofferto per effetto del mancato avviso ed è funzionale alla riduzione dell’indennità da corrispondere all’assicurato.
Ne consegue che di onere probatorio sull’entità dei danni evitabili col tempestivo avviso o sulla inevitabilità degli stessi ha senso parlare nel solo caso di inadempimento colposo, atteso che, in ipotesi di inadempimento doloso, l’indennizzo non è comunque dovuto, a prescindere dagli effetti – di esclusione o riduzione del danno – che sarebbero potuti derivare dall’adempimento dell’obbligo di avviso (così Cassazione n. 3264/2016).
Il diritto di surrogazione dell’assicuratore ex art. 1916 c.c.
L’art. 1916 c.c. disciplina il diritto di surroga dell’assicuratore e testualmente dispone:
L’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato , fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili.
Salvo il caso di dolo, la surrogazione non ha luogo se il danno è causato dai figli, [dagli affiliati,] dagli ascendenti, da altri parenti o da affini dell’assicurato stabilmente con lui conviventi o da domestici.
L’assicurato è responsabile verso l’assicuratore del pregiudizio arrecato al diritto di surrogazione.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali.
Deve premettersi, che l’azione di surrogazione riconosciuta all’assicuratore dall’art. 1916 c.c. appartiene alla categoria della surroga legale, che va distinta dalla surroga volontaria/convenzionale, di cui all’art. 1203, n. 5, c.c.
La surrogazione dell’assicuratore, prevista dall’art. 1916 c.c., è una successione a titolo particolare nel diritto vantato dall’assicurato nei confronti del terzo responsabile dell’evento dannoso oggetto della copertura assicurativa.
Essa ha un triplice scopo:
- evitare l’arricchimento dell’assicurato, il quale deriverebbe dalla possibilità di cumulare indennizzo e risarcimento;
- evitare l’arricchimento del responsabile, il quale, se non esistesse la surrogazione, beneficerebbe indirettamente della copertura assicurativa contro i danni stipulata dal danneggiato;
- consentire all’assicuratore di abbassare il costo generale dei sinistri, e di conseguenza i premi puri applicati per le categorie di rischi omogenei.
Da questo inquadramento dell’istituto della surrogazione, discende che l’assicuratore surrogante si sostituisce all’assicurato-danneggiato nei diritti che quest’ultimo vanta nei confronti del terzo responsabile e tale sostituzione è integrale ed omnicomprensiva.
Per effetto della surrogazione il surrogante acquista il credito, le garanzie del credito, gli interessi prodotti dal credito (anche se maturati prima della surrogazione), e si espone ovviamente alle medesime eccezioni che il terzo responsabile avrebbe potuto opporre al danneggiato.
Il trasferimento a titolo particolare, dall’assicurato all’assicuratore, del diritto che il primo vantava nei confronti del terzo responsabile, comporta logicamente il trasferimento delle azioni e degli altri istituti processuali che la legge prevede a tutela di quel diritto (Cassazione n. 20740/2016).
Il diritto dell’assicuratore che agisca in surrogazione nei confronti del terzo responsabile è sottoposto al duplice limite del danno effettivamente da questi causato all’assicurato, da una parte, e dell’ammontare dell’indennizzo pagato dall’assicuratore, dall’altro.
Da ciò ne consegue che, nei casi di concorso di colpa della vittima nella produzione dell’evento, per stabilire il limite della surrogazione la riduzione per il concorso di colpa dell’assicurato va defalcata dal risarcimento globalmente dovuto dal responsabile, e non dall’indennità corrisposta dall’assicuratore e per il cui recupero l’assicuratore medesimo agisca in surrogazione; e tanto con l’effetto che l’assicuratore può pretendere dal responsabile, a titolo di surrogazione, la minor somma tra l’entità dell’indennizzo concretamente corrisposto all’assicurato e l’entità del risarcimento concretamente dovuto dal responsabile, già al netto della riduzione ascritta al concorso di colpa del danneggiato (Cassazione n. 1834/2018).
In merito all’incidenza del concorso di colpa sul diritto di surroga dell’assicurazione, la Giurisprudenza di legittimità premettendo che “la surrogazione dell’assicuratore, ai sensi dell’articolo 1916 c.c., nei diritti dell’assicurato – danneggiato verso il terzo responsabile, fino a concorrenza dell’ammontare erogato, trova esclusivo limite nella somma che il terzo debba in concreto per risarcire il danneggiato“, ne fa discendere che “l’eventuale concorso di colpa di quest’ultimo rileva solo in quanto riduce l’ammontare di quella somma, ma non può portare alcuna ulteriore riduzione proporzionale del diritto dell’assicuratore che nella somma medesima trovi integrale soddisfacimento” (Cassazione n. 18181/2010 e Cassazione n. 10834/2007).
Conclusivamente ed alla luce di quanto sopra la Cassazione è ferma nel ritenere che “l’assicuratore che agisce in surroga, ai sensi dell’articolo 1916 c.c., nei diritti dell’assicurato – danneggiato, ha diritto di ottenere l’intero ammontare delle prestazioni erogate, non decurtato, cioè, della quota riferibile al concorso di colpa, il quale opera, invece, come limite della rivalsa, nel senso che questa non può mai superare la somma complessivamente dovuta dall’autore del danno per effetto del concorso di colpa del danneggiato” (Cassazione n. 15243/2002).
La surroga dell’assicuratore sociale.
La surrogazione dell’assicuratore sociale costituisce una successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento del danno, che per effetto del fatto illecito, la vittima acquista nei confronti del terzo responsabile.
Premesso ciò, come affermato dalla costante Giurisprudenza di legittimità, i presupposti della surrogazione da parte dell’assicuratore sociale di cui all’art. 1916 c.c. sono tre:
- che la vittima del fatto illecito (cioè l’assicurato) sia titolare di un credito risarcitorio nei confronti del responsabile;
- che l’assicuratore sociale abbia indennizzato il medesimo pregiudizio patito dalla vittima, e non pregiudizi diversi;
- che l’assicuratore sociale abbia manifestato la volontà di surrogarsi
(si vedano in tal senso Cassazione n. 3926/2018 Cassazione n. 17407/2016 e Cassazione n. 13222/2015);
Il linea generale ed in tema di surroga dell’assicuratore sociale la Giurisprudenza di legittimità considera jus receptum:
- il principio per cui l’assicuratore sociale, in caso di infortunio sul lavoro derivato da un sinistro stradale, può agire in surrogazione al fine di ottenere il rimborso delle prestazioni erogate sia nei confronti del responsabile civile (ex 1916 c.c.) che della impresa di assicurazione per la r.c.a. (Decreto Legislativo n. 209 del 2005, ex articolo 142) e nel primo caso nel rispetto del solo limite costituito dall’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato; e nel secondo anche nel rispetto del limite costituito dall’ammontare del massimale per il quale e’ stata stipulata l’assicurazione (Cassazione n. 604/2003);
- il principio per cui, in entrambi detti casi, nel momento in cui l’assicuratore manifesta la sua volontà di agire in rivalsa, si realizza una successione a titolo particolare nel diritto di credito vantato dalla vittima dell’infortunio (Cassazione n. 15022/2005);
- il principio per cui il successore a titolo particolare nel diritto controverso è (non terzo, ma) parte, con la conseguenza che il suo intervento nel processo è regolato dall’ 111 c.p.c. (e non dall’art. 105 c.p.c.) e, proprio in considerazione della particolare situazione dell’interveniente, è esperibile in grado di appello, al di fuori dei limiti rigorosi di cui all’articolo 344 c.p.c. (Cassazione n. 29766/2011) e anche nel giudizio di rinvio (Cassazione n. 4934/2018 e Cassazione n. 4536/2015)
Deve evidenziarsi che in applicazione di tale ultimo principio da un punto di vista prettamente processualistico ne discende che:
“la surrogazione dell’assicuratore, che abbia risarcito il danno all’assicurato, nell’azione verso il terzo responsabile ex art. 1916 cod. civ. comporta il subentrare nella stessa posizione sostanziale e processuale dell’assicurato, onde trova applicazione ai fini della determinazione della competenza per territorio la norma ex art. 20 cod. proc. civ. con riferimento all’obbligazione originaria ancorché nascente da illecito. Pertanto l’assicuratore ha facoltà di scelta tra il giudice del luogo dove l’obbligazione è sorta e quello del luogo dove essa deve eseguirsi, in concorso con il foro generale di cui agli artt. 18 e 19 cod. proc. civ., mentre spetta al convenuto che eccepisce l’incompetenza per territorio del giudice adito, di contestare in termini specifici ed esaurienti l’applicabilità di ciascuno dei criteri concorrenti sin da primo atto difensivo e di fornire la prova delle circostanze di fatto a sostegno della contestazione, rimanendo radicata la causa, in caso di mancato assolvimento di tali oneri, presso tale giudice “ (Tribunale Roma, Sezione 12 civile Sentenza 7 marzo 2018, n. 4830).
L’assicurazione per la responsabilità civile ex art. 1917 c.c.
Come più volte anticipato, particolare importanza nell’ambito dell’assicurazione contro i danni riveste l’assicurazione per la responsabilità civile disciplinata dall’art. 1917 c.c. secondo cui Nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi.
L’assicuratore ha facoltà, previa comunicazione all’assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l’ indennità dovuta, ed è obbligato al pagamento diretto se l’assicurato lo richiede.
Le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse.
L’assicurazione per la responsabilità civile è il contratto con il quale l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza di un fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione deve pagare ad un terzo in conseguenza della responsabilità dedotta nel contratto.
In linea di principio deve ritenersi che l’assicurazione per la responsabilità civile è un contratto stipulato per conto dello stesso responsabile e non per conto del terzo danneggiato.
Da ciò ne discendono notevoli conseguenze sia in merito all’azione diretta del terzo danneggiato nei confronti dell’assicurazione che in merito all’obbligo dell’assicuratore della responsabilità civile di pagare l’indennizzo.
I fatti generatori di responsabilità esclusi dalla copertura assicurativa.
L’art. 1917 comma 1 c.c. testualmente dispone che sono esclusi dalla garanzia assicurativa i danni derivanti da fatti dolosi dell’assicurato.
A tal riguardo, bisogna necessariamente premettere che, per individuare, alla stregua dell’art. 1917 c.c., il “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”, riguardo al quale una polizza assicurativa copra la responsabilità civile dell’assicurato verso il terzo è indispensabile considerare il tenore della relativa clausola identificativa di detto fatto (e, quindi, dell’estensione della copertura assicurativa), onde comprendere che cosa le parti abbiano inteso ricondurre sotto la copertura assicurativa ed in particolare se abbiano inteso il fatto idoneo a determinare la responsabilità civile verso il terzo, ove imputabile a condotta umana, come comprensivo solo delle condotte causative di danno a terzi poste in essere sotto la vigenza della polizza ovvero lo abbiano inteso come comprensivo anche delle conseguenze dannose di condotte tenute prima della vigenza della polizza.
Partendo da tali premesse l’assicurazione della responsabilità civile, mentre non può concernere fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità, importa necessariamente per la sua stessa denominazione e natura l’estensione ai fatti colposi, restando escluso, in mancanza di espresse clausole limitative del rischio, che la garanzia assicurativa non copra alcune forme di colpa.
Pertanto, la clausola di un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a fatti accidentali è correttamente interpretata nel senso che essa si riferisce semplicemente alla condotta colposa in contrapposizione ai fatti dolosi” (Cassazione n. 7766/2010 e Cassazione n. 5273/2008).
La contrapposizione di fatto “accidentale” a fatto “doloso”, quale risulta dal principio sopra richiamato, amplia la garanzia all’ipotesi della responsabilità civile che possa deriva all’assicurato da fatto doloso di persone delle quali debba rispondere, cosicché ne resta escluso soltanto il fatto doloso dello stesso assicurato, in coerenza con la previsione dell’art. 1917 c.c.
Ciò, ad ulteriore riprova che per fatto “accidentale” si debba intendere fatto “colposo” quale contrapposto a “doloso”, tale che, essendo soltanto questo escluso dalla copertura assicurativa, si rende necessaria un’apposita previsione, quale quella appena riportata, per il relativo ampliamento.
Quindi in mancanza di apposita clausola derogatoria, i principi generali sull’assicurazione per la responsabilità civile desumibili dall’art. 1917 c.c. consentono di distinguere soltanto i fatti colposi, di norma assicurati, dai fatti dolosi, di norma esclusi, non essendo consentite ulteriori distinzioni, specificamente tra le diverse forme di colpa (Cassazione n. 4799/2013).
Pertanto la clausola della polizza, la quale preveda la copertura dei danni “involontariamente cagionati a terzi in conseguenza di un fatto accidentale”, senza contenere alcuna limitazione con riguardo a determinati gradi di colpa, fa ritenere operante la garanzia anche in ipotesi di comportamento gravemente colposo dell’assicurato, con la sola eccezione delle condotte dolose (Cassazione n. 20070/2017).
In proposito giova rammentare che, in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore, c.d. R.C. Auto, la garanzia assicurativa copre anche il danno dolosamente provocato dal conducente nei confronti del terzo danneggiato, il quale, pertanto, ha diritto di ottenere dall’assicuratore del responsabile il risarcimento del danno, non trovando applicazione la norma di cui all’art. 1917 c.c. – che non costituisce il paradigma tipico della responsabilità civile da circolazione stradale, rinvenibile, invece, nelle leggi della RCA e nelle direttive europee che affermano il principio di solidarietà verso il danneggiato – salva la facoltà della compagnia assicuratrice di rivalersi nei confronti dell’assicurato-danneggiante, per il quale la copertura contrattuale non opera. (Cassazione n. 5180/2018 e Cassazione n. 11471/2004).
L’azione diretta del terzo danneggiato nei confronti dell’assicurazione.
Come da sempre affermato dalla Giurisprudenza di legittimità nell’assicurazione per la responsabilità civile, l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore è ammessa soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge (ovvero nell’ipotesi di assicurazione obbligatoria per la circolazione di veicoli e natanti, disciplinata dal D. Lvo n. 209/2005 e nell’ipotesi disciplinata dalla legge n. 968 del 1977 in tema di esercizio della caccia), mentre in tutti gli altri casi l’assicuratore è obbligato solo nei confronti dell’assicurato a tenerlo indenne da quanto questi debba pagare ad un terzo cui ha provocato un danno, sicché, al di fuori delle eccezioni sopra indicate, soltanto l’assicurato è legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore, e non anche il terzo, nel confronti del quale l’assicuratore non è tenuto per vincolo contrattuale è a titolo di responsabilità aquiliana (Cassazione n. 925/2017 Cassazione n. 25608/2015 Cassazione n. 9516/2007 Corte d’Appello di Roma, Sezione 3 Civile, Sentenza 03.02.2010, n. 458).
Le principali ipotesi di azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore sono disciplinate dal Codice delle Assicurazioni Private, in particolare, sono previste:
la c.d. Procedura di Indennizzo Diretto disciplinata dall’art. 149 D. Lvo n. 209/2005, il quale testualmente dispone che: In caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all’impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato;
le azioni a tutela del trasportato danneggiato, il quale ai sensi del Codice delle Assicurazioni Private ha una serie di opzioni che possono essere scelte liberamente al fine di ottenere il risarcimento dei danni, infatti egli può ai sensi dell’art. 141 D.L.vo n. 209/2005 chiedere il risarcimento all’assicuratore del vettore, oppure chiedere il risarcimento all’assicurazione del responsabile civile.
L’obbligo dell’assicuratore della responsabilità civile di pagare l’indennizzo.
Nell’assicurazione della responsabilità civile ed al di fuori di ipotesi normative di assicurazione obbligatoria, l’obbligazione dell’assicuratore al pagamento dell’indennizzo all’assicurato, è autonoma e distinta dall’obbligazione risarcitoria dell’assicurato verso il danneggiato: sicché, non sussistendo un rapporto immediato e diretto tra l’assicuratore ed il terzo, quest’ultimo, in mancanza di una normativa specifica come quella della responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale, non ha azione diretta nei confronti dell’assicuratore (Cassazione n. 13231/2015)
Da quanto sopra, ne discende che l’obbligo dell’assicuratore della responsabilità civile di pagare l’indennizzo, in caso di sinistro, sussiste soltanto nei confronti dell’assicurato e non nei confronti del terzo danneggiato, mentre un rapporto diretto tra assicuratore e danneggiato sorge quando l’assicuratore assuma l’iniziativa di adempiere direttamente nelle mani del danneggiato, oppure quando l’assicurato richieda all’assicuratore il pagamento diretto al danneggiato, ai sensi dell’art. 1917 terzo comma, c.c. (in tal senso Cassazione n. 925/2017 e Cassazione n. 8622/2006).
Precisamente, un rapporto diretto tra assicuratore e danneggiato può avere ad oggetto non l’obbligazione di garanzia, ma soltanto l’esecuzione dell’obbligazione, e può sussistere o quando l’assicuratore assuma l’iniziativa di adempiere direttamente nelle mani del danneggiato, oppure quando l’assicurato richieda all’assicuratore il pagamento diretto al danneggiato, ai sensi dell’art. 1917 c.c., comma 3.
Più precisamente va osservato che l’art. 1917 c.c., comma 2, allorquando prevede la facoltà dell’assicuratore (previa comunicazione all’assicurato) di pagare direttamente al terzo danneggiato l’indennità dovuta e l’obbligo del medesimo assicuratore di provvedere al pagamento diretto se l’assicurato lo richiede, non muta in alcun modo i soggetti del rapporto assicurativo in questione che restano sempre e solo l’assicurato e l’assicuratore, senza che sorga comunque in capo al danneggiato un qualsivoglia diritto dei confronti dell’assicuratore, e senza quindi che sorga per lui la possibilità di agire direttamente contro l’assicuratore medesimo.
La facoltà e l’obbligo predetti concernono solo i soggetti del rapporto assicurativo (assicuratore ed assicurato) e le loro situazioni soggettive attive e passive (diritti, facoltà, ecc.), nel senso che la suddetta facoltà dell’assicuratore si concreta in una possibilità di scelta dell’assicuratore in ordine ad una modalità di adempimento della sua obbligazione, che ha e continua ad avere (qualunque sia detta modalità) solo nei confronti dell’assicurato.
Lo stesso rilevo vale per la facoltà dell’assicurato di richiedere il pagamento diretto.
Se l’assicuratore paga direttamente al danneggiato (sia nell’ipotesi che eserciti la sua facoltà di scelta in tal senso, sia nell’ipotesi che esegua il suo obbligo di rispettare la scelta dell’assicurato) adempie sempre e comunque nei confronti dell’assicurato, soddisfacendo un diritto dell’assicurato a questi derivante dal contratto.
Se al contrario l’assicuratore non esegue detto pagamento al danneggiato, nonostante gli sia stato chiesto dall’assicurato, è nei confronti dell’assicurato (e solo di quest’ultimo) che è inadempiente.
Il danneggiato, che è estraneo al rapporto assicurativo ed è soggetto di un (ben diverso ed autonomo) rapporto giuridico con il danneggiante (in quanto tale ed a prescindere dalla circostanze che quest’ultimo sia assicurato o meno per la responsabilità civile) deve ritenersi obbligato ad accettare il pagamento dall’assicuratore invece che dal danneggiante in base alla norma contenuta nell’art. 1180 c.c. (c.d. adempimento del terzo).
Conclusivamente, quindi la disposizione di cui all’art. 1917 comma 2 c.c. attribuisce all’assicuratore la facoltà di pagare direttamente al danneggiato ma non attribuisce un diritto in tale senso al terzo (Tribunale Milano, Sezione 7 civile Sentenza 20 febbraio 2018, n. 1851).
Inoltre deve ricordarsi che il mancato esercizio da parte dell’assicurato della facoltà di chiedere all’assicuratore di pagare direttamente l’indennizzo al terzo danneggiato, ai sensi dell’art. 1917, secondo comma, c.c., non è sufficiente a configurare l’inerzia del debitore che costituisce presupposto per l’esercizio della azione surrogatoria da parte del danneggiato nè la richiesta di pagamento diretto della somma dovuta dall’assicuratore al danneggiato, avanzata da quest’ultimo ai sensi dell’art. 2900 cod. civ., può legittimamente convertirsi in richiesta di condanna diretta. (in tal senso Cassazione n. 11948/2010).
L’obbligo dell’assicuratore di tenere indenne l’assicurato dalle spese sostenute per resistere al danneggiato ex art. 1917 comma 3 c.c.
L’assicurato contro i rischi della responsabilità civile, ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali:
- le spese di soccombenza, ovvero quelle spese che l’assicurato deve rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice;
- le spese di resistenza, cioè le sostenute dall’assicurato per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea;
- le spese di chiamata in causa, ossia quelle spese sostenute dall’assicurato per convenire in giudizio il proprio assicuratore, al fine essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato.
Le spese di soccombenza costituiscono, secondo l’orientamento consolidato della Giurisprudenza di legittimità, una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall’assicurato, e quindi in ordine ad esse l’assicurato ha diritto di ripeterle dall’assicuratore, nei limiti del massimale.
Le spese di chiamata in causa dell’assicuratore, infine, non costituiscono nè conseguenza del rischio assicurato, nè spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c.
Le spese di resistenza sebbene non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, si ritiene che rientrano nel genus delle spese di salvataggio ex art. 1914 c.c., e ciò prechè sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore. (Cassazione n. 10595/2018)
Tali spese, proprio per tale ragione, possono anche eccedere il limite del massimale, nella proporzione stabilita dall’art. 1917 c.c., comma 3.
Berne è evidenziare sin da subito, che, le spese di resistenza, non costituiscono a rigore vere e proprie spese giudiziali, bensì l’oggetto di un’obbligazione indennitaria posta a carico dell’assicuratore, autonoma rispetto all’obbligazione principale di cui all’art. 1917, comma 1 c.c. (Cassazione n. 6340/1998, Cassazione n. 13088/1995 e Cassazione n. 10170/1993).
Trattandosi quindi di obbligazioni oggettivamente distinte, l’adempimento di esse può essere domandato dall’assicurato sia congiuntamente con l’unica domanda giudiziale, sia disgiuntamente con due distinte domande, riferite ad oggetti diversi.
Ciò comporta, altresì, che l’assicurato convenuto in giudizio dal danneggiato può chiamare in causa l’assicuratore (art. 1917, comma 4 c.c.) chiedendone la condanna anche soltanto all’obbligazione principale, e riservarsi di chiedere in un successivo giudizio l’adempimento dell’obbligazione accessoria relativa alle spese di resistenza (Cassazione n. 6340/1998).
Infatti la domanda svolta ai sensi dell’ art. 1917 c.c. comma 3 c.c. è del tutto autonoma rispetto all’esito della lite avente ad oggetto il risarcimento del danno, avendo ad oggetto non la copertura assicurativa delle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli patite dall’assicurato, tra le quali debbono includersi anche le eventuali spese di lite che il Giudice è tenuto a liquidare d’ufficio ex art. 91 c.p.c., a favore della parte vittoriosa, ponendole a carico della parte soccombente; trattasi infatti di domanda fondata sul titolo contrattuale che lega l’assicurato all’assicuratore e che trova regola direttamente nella legge, che concerne – indipendentemente dall’esito della lite – le spese sostenute dall’assicurato per resistere alla pretesa del danneggiato (Cassazione n. 19176/2014 Cassazione n. 3638/2013 Cassazione n. 5300/2008 Cassazione n. 5242/2004).
In via generale può quindi affermarsi che nell’assicurazione della responsabilità civile, il diritto dell’assicurato alla rifusione, da parte dell’assicuratore, delle spese sostenute per resistere all’azione promossa dal terzo danneggiato, ai sensi dell’art. 1917, terzo comma, c.c., va escluso, in ossequio ai doveri di correttezza e buona fede, quando l’assicurato abbia scelto di difendersi senza avere interesse a resistere alla avversa domanda o senza poter ricavare utilità dalla costituzione in giudizio (Cassazione n. 5479/2015).
Deve inoltre tenersi presente che l’obbligazione dell’assicuratore della responsabilità civile di tenere indenne l’assicurato delle spese erogate per resistere all’azione del danneggiato, ai sensi dell’articolo 1917, comma 3, cod. civ., ha natura accessoria rispetto all’obbligazione principale e trova limite nel perseguimento di un risultato utile per entrambe le parti, interessate nel respingere la detta azione.
Ne consegue che l’assicuratore è obbligato al rimborso delle spese del procedimento penale promosso nei confronti dell’assicurato solo quando intrapreso a seguito di denuncia o querela del terzo danneggiato o nel quale questi si sia costituito parte civile (Cassazione n. 667/2016) e che, pure nell’ipotesi in cui nessun danno venga riconosciuto al terzo che ha promosso l’azione, l’assicuratore è tenuto a sopportare le spese di lite dell’assicurato, nei limiti stabiliti dall’art. 1917 c. c. comma 3 (Cassazione n. 19176/2014 e Cassazione n. 17315/2012).
L’alienazione delle cose assicurate art 1918 c.c.
L’ipotesi di vendita dei beni assicurati è disciplinata dall’art. 1918 c.c. secondo il quale L’alienazione delle cose assicurate non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione.
L’assicurato, che non comunica all’assicuratore l’avvenuta alienazione e all’acquirente l’esistenza del contratto di assicurazione, rimane obbligato a pagare i premi che scadono posteriormente alla data dell’alienazione.
I diritti e gli obblighi dell’assicurato passano all’acquirente, se questi, avuta notizia dell’esistenza del contratto di assicurazione, entro dieci giorni dalla scadenza del primo premio successivo all’alienazione, non dichiara all’assicuratore, mediante raccomandata, che non intende subentrare nel contratto. Spettano in tal caso all’assicuratore i premi relativi al periodo di assicurazione in corso.
L’assicuratore, entro dieci giorni da quello in cui ha avuto notizia dell’avvenuta alienazione, può recedere dal contratto con preavviso di quindici giorni, che può essere dato anche mediante raccomandata.
Se è stata emessa una polizza all’ordine o al portatore, nessuna notizia dell’alienazione deve essere data all’assicuratore, e così quest’ultimo come l’acquirente non possono recedere dal contratto.
La norma in oggetto è stata interpretata dalla giurisprudenza sempre avendo a riferimento le singole ipotesi contrattuali.
Ad esempio, nell’assicurazione di merci da parte di chi le vende occorre distinguere l’ipotesi in cui il venditore stipula l’assicurazione dopo avere venduto le merci da quella in cui la stipula prima.
Se la stipula dopo, non ha più interesse ad assicurare le merci in nome e per conto proprio, essendo oramai passate in proprietà dell’acquirente, e può assicurarle per conto altrui o per conto di chi spetta, nel qual caso la persona dell’assicurato, avente diritto all’indennizzo per il sinistro, va individuata in quella per cui conto è stipulata l’assicurazione o che al momento del sinistro risulta proprietaria delle merci o titolare di un diritto reale limitato o di un diritto di garanzia su di esse (Cassazione n. 15389/2002 e Cassazione n. 10718/1994).
Se la stipula prima, ai sensi dell’art. 1918 c.c. la vendita produce il trasferimento all’acquirente anche della garanzia assicurativa, sicché legittimato ad agire nei confronti dell’assicuratore per il pagamento dell’indennizzo è l’acquirente e non il venditore e quindi in tale ultima ipotesi con la vendita di un bene assicurato si trasferisce all’acquirente anche la garanzia assicurativa (art. 1918 c.c.), e pertanto il venditore non è legittimato ad agire nei confronti della società con cui ha stipulato il contratto di assicurazione per il risarcimento dei danni verificatisi al predetto bene successivamente alla consegna di esso al vettore (Cassazione n. 11585/2005 e Cassazione n. 2746/1998).
Invece per ciò che attiene al di trasferimento di azienda, la regola stabilita dall’art. 2558 c.c. – secondo cui si verifica il trasferimento “ex lege” al cessionario di tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale e, quindi, dei cosiddetti contratti di azienda che hanno ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell’attività (si veda per approfondimenti il contratto di affitto di azienda) – si applica anche ai cosiddetti contratti di impresa che, pur non avendo come oggetto diretto beni aziendali, sono attinenti all’organizzazione dell’impresa, come il contratto di assicurazione contro i danni che sia stato stipulato per l’esercizio dell’azienda, con la conseguenza, in quest’ultimo caso, che, salvo che le parti non abbiano disposto diversamente, l’acquirente subentra nella posizione dell’assicurato e l’assicuratore, dal canto suo, è tenuto a dare esecuzione al contratto anche se non ne ha accettato il trasferimento, sempre che nei termini di legge non eserciti la facoltà di recesso. Cassazione n. 27011/2005, Cassazione n. 1278/2003 e Cassazione n. 5495/2001).