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in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralita’ di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’articolo 219, comma 2, n. 1, L. Fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’articolo 81 c.p
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Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 23 giugno 2017, n. 31427
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. MICHELI Paolo – rel. Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 10/07/2015 dalla Corte di appello di Trento;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa LOY Maria Francesca, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il 10/07/2015, la Corte di appello di Trento riformava parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Rovereto, in data 17/01/2014, nei confronti di (OMISSIS), ritenuto responsabile di delitti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale; i fatti riguardavano il fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l., dichiarato il (OMISSIS), societa’ della quale egli era stato amministratore unico fino al giugno 2007.
Secondo l’ipotesi accusatoria, il (OMISSIS) avrebbe falsificato le scritture contabili relative all’annualita’ 2006, registrando un falso valore in ordine alla rimanenza finale di un immobile, perche’ superiore di 170.000,00 Euro rispetto al prezzo concordato in un preliminare di vendita gia’ concluso (quanto ad una analoga iscrizione falsa, concernente lo stesso immobile ma in ordine all’anno precedente, la Corte territoriale riteneva invece l’insussistenza del fatto, in cio’ risolvendosi la parziale riforma della decisione di primo grado). Ulteriori annotazioni fittizie avrebbero poi riguardato alcuni corrispettivi a credito per presunti lavori in corso, nonche’ la registrazione di un importo di circa 90.000,00 Euro, relativo ad una rinuncia dei soci al rimborso di pregressi finanziamenti, sotto la voce “altri ricavi e proventi non imponibili”, piuttosto che in quella di capitale netto (facendo cosi’ apparire un utile inesistente, nel contempo dissimulando una perdita).
Inoltre, l’imputato si sarebbe reso responsabile della dissipazione di risorse della societa’ fallita, ristrutturando un immobile della “(OMISSIS)” con impiego di materiali e personale propri, per poi cedere gli appartamenti cosi’ ricavati a tre suoi familiari, per un prezzo complessivo inferiore di circa 100.000,00 Euro rispetto agli stessi costi vivi sostenuti per la ristrutturazione de qua (capo d) della rubrica).
2. Propone ricorso per cassazione il difensore del (OMISSIS), deducendo:
– violazione dell’articolo 216 legge fall., nonche’ degli articoli 42, 43 e 47 c.p. In ordine al primo addebito, la difesa fa rilevare che il preliminare di vendita dell’immobile recava la data del 14/12/2006, mentre la successiva annotazione del valore del bene riguardava la chiusura del bilancio (al 31/12/2006), quando ci si limito’ a confermare il dato dell’anno precedente (750.000,00 Euro). A questo punto, e’ piu’ che verosimile che non si tenne conto del prezzo indicato nel compromesso (pari a 580.000,00 Euro) per mera superficialita’, atteso che l’amministratore non si preoccupo’ di comunicare al professionista incaricato della tenuta della contabilita’ e della predisposizione del bilancio che si prevedeva l’alienazione del fabbricato ad una cifra inferiore. Due consulenti escussi nel corso dell’istruttoria dibattimentale, peraltro, avevano confermato come le scritture contabili venissero curate da uno studio di Brescia, circostanza che i giudici di merito ben avrebbero potuto approfondire ex articolo 507 c.p.p.;
– mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata.
La Corte territoriale risulta aver valutato “inverosimile” l’assunto difensivo di cui al punto precedente, senza considerare che l’imputato (certamente digiuno delle nozioni necessarie per la predisposizione e la stesura di un bilancio) ben pote’ trascurare che della conclusione del preliminare fosse opportuno dare comunicazione al commercialista;
– inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 216 L.F. e articolo 521 c.p.p., nonche’ omessa assunzione di prova decisiva e vizi di motivazione
In ordine alla registrazione di una presunta rinuncia dei soci a rimborsi cui avrebbero avuto titolo, la difesa rappresenta che la condotta materiale sanzionata dalla norma incriminatrice si riferisce alla falsificazione delle scritture contabili, condotta qui non ravvisabile in radice (visto che l’imputato, al piu’, avrebbe erroneamente esposto quel dato sotto una voce non pertinente): per superare tale censura, gia’ esposta nei riguardi della sentenza di primo grado, la Corte trentina risulta aver valorizzato una parte della deposizione del curatore fallimentare, secondo cui ad essere falsa era probabilmente la stessa rinuncia, in quanto non rintracciata e comunque proveniente da soggetti che non avevano la qualita’ di socio. In tal modo, tuttavia, appare modificato l’addebito, che non e’ mai stato quello di avere indicato nel bilancio una falsa rinuncia a rimborsi, bensi’ “di avere annotato tale rinuncia – implicitamente data per vera e reale – nel “posto” sbagliato”.
Nell’interesse del ricorrente si evidenzia poi che non appare provata l’idoneita’ di quella registrazione, sia pure ammessane la falsita’, a rendere impossibile o particolarmente difficoltosa la ricostruzione delle vicende del patrimonio della “(OMISSIS)”: manca un’indagine, sul punto, anche da parte dei giudici di merito (cui era stata sollecitata una eventuale perizia), tanto piu’ indispensabile ove si consideri che i consulenti della difesa avevano rimarcato l’indifferenza dell’annotazione in argomento, a fronte del resto di un bilancio facilmente leggibile;
– violazione dell’articolo 216 L. Fall., omessa assunzione di prova decisiva e vizi della motivazione della sentenza impugnata.
Quanto alla congruita’ della stima del valore dell’immobile sub d), si evidenzia che l’ipotesi accusatoria si fonda su valutazioni compiute da un sottufficiale della Guardia di Finanza, mentre la difesa si era avvalsa di un tecnico di comprovata esperienza (anche a tale proposito, percio’, rimane incomprensibile la decisione dei giudici di merito di non dare corso ad approfondimenti peritali). Non si sarebbe tenuto conto, in ogni caso, della circostanza che la vendita era stata perfezionata nel 2005, assai prima che si manifestassero le prime avvisaglie del dissesto della societa’; a riguardo, nell’interesse del ricorrente viene richiamata giurisprudenza secondo cui quello disegnato dall’articolo 216, comma 1, L.F. “e’ un reato di condotta e di pericolo, sorretto da dolo generico”, ma “il pericolo generato dalla condotta illecita deve essere dotato di “necessaria concretezza”, e (…) deve sussistere la prova della rappresentazione di esso da parte dell’agente, perche’ e’ necessario “espungere dall’ambito applicativo della norma incriminatrice fatti di cui lo stesso agente non sarebbe in grado di prevedere la effettiva carica lesiva, come ad esempio nel caso di distrazioni commesse in epoca assai antecedente rispetto alla declaratoria di fallimento e nel mentre l’impresa era florida” violazione dell’articolo 81 cpv. c.p., articoli 216 e 219 L. Fall., articolo 597 c.p.p., nonche’ vizi della motivazione della sentenza impugnata.
La difesa del (OMISSIS) segnala che la Corte di appello avrebbe rilevato un errore del giudice di primo grado nel computo della pena, essendo stato applicato un aumento per la continuazione malgrado la ravvisabilita’ dell’aggravante della pluralita’ dei fatti di bancarotta (valutata, peraltro, subvalente rispetto alle concesse attenuanti generiche): nondimeno, la Corte trentina non risulta aver operato la doverosa riduzione del trattamento sanzionatorio, sul presupposto della mancanza di uno specifico motivo di impugnazione.
In realta’, pero’, il gravame aveva riguardato anche il quantum di pena irrogata, non foss’altro attraverso il richiamo alla possibilita’ di una derubricazione dell’addebito, e cio’ avrebbe dovuto comportare – anche alla luce delle indicazioni della giurisprudenza di legittimita’, cui la difesa opera plurimi riferimenti – il potere/dovere della Corte di appello di rettificare in melius la misura della sanzione; cio’ anche perche’, lasciando inalterata l’entita’ della pena de qua, si sarebbe realizzata una reformatio in peius nella parte in cui risulta sostanzialmente modificato, in senso deteriore per l’imputato, il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante anzidetta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ parzialmente fondato, nei sensi e limiti di cui appresso.
2. I primi due motivi di doglianza attengono a profili di merito, oltre ad essere articolati su ragioni che debbono intendersi gia’ fondatamente disattese dalla Corte territoriale; infatti, l’ipotesi di una mera svista o dimenticanza dell’amministratore, che non avrebbe informato chi curava la redazione del bilancio circa la prospettiva di una vendita dell’immobile gia’ concordata con un potenziale acquirente, risulta chiaramente sconfessata sulla base di dati che contenuto del ricorso mostra di ignorare. Come ricordato, il contratto preliminare fu siglato il 14/12/2006, ma (v. la motivazione della sentenza impugnata, a pag. 8) gia’ nel precedente mese di giugno vi era stata una richiesta alla fallita di rientro dagli affidamenti bancari, a seguito di una crisi con calo di produzione manifestatasi a partire dall’inverno 2005. La societa’, dunque, si era trovata in chiare difficolta’ nei rapporti con gli istituti di credito, e quella sopravvalutazione del cespite (in procinto di essere venduto ad un prezzo sensibilmente inferiore a quello esposto) non pote’ che essere strumentale a fornire alle stesse banche una falsa rappresentazione della realta’.
Il particolare che della tenuta delle scritture fossero stati incaricati professionisti bresciani, inoltre, derivo’ da allegazioni generiche dei consulenti del (OMISSIS), e sempre costoro avevano ipotizzato la ricostruzione sposata dalla difesa, senza che l’imputato avesse documentato alcunche’ circa quelle prestazioni od illustrato in concreto come davvero fossero andate le cose all’atto della redazione del bilancio per l’esercizio 2006.
3. Analoga e coerente spiegazione viene offerta dai giudici di merito quanto alla presunta rinuncia al rimborso di finanziamenti da parte dei soci della fallita, con riguardo al punto 4) del capo d’imputazione sub a). Il senso dell’appostazione, comunque non rispondente al vero perche’ iscritta artificiosamente alla voce “conto economico” (fosse o meno esistente la rinuncia presupposta), era infatti il medesimo: modificare il risultato di esercizio in termini tali da attribuire alla “(OMISSIS)” utili fittizi, quando invece da una corretta redazione del bilancio sarebbero emerse perdite, immediatamente visibili agli occhi di chi – banche in primis – fosse stato chiamato a valutare le condizioni della societa’.
Quanto alla lamentata, omessa assunzione di prova decisiva (che, dal tenore dell’atto di impugnazione, sembrerebbe doversi individuare in un accertamento peritale, inutilmente richiesto ai giudici di merito), va qui ricordato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui la perizia non rientra nella categoria prevista dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), (v., ex multis, Cass., Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012, Ritorto).
4. Le argomentazioni appena sviluppate valgono anche a proposito delle censure mosse dalla difesa alla declaratoria di penale responsabilita’ del (OMISSIS) in ordine al capo d). Circa la dedotta impossibilita’ che l’imputato percepisse la concreta carica lesiva delle condotte dissipative ivi rubricate, e’ poi sufficiente sottolineare come la fallita avesse acquistato un immobile nel 2002, pagando 154.000,00 Euro, per sostenervi in seguito spese di ristrutturazione calcolate dagli inquirenti in 307.000,00 Euro. La successiva vendita di tre piani fuori terra dello stesso immobile ad un nipote del ricorrente avvenne al prezzo di 208.000,00 Euro, si’ da rendere di palese evidenza l’antieconomicita’ dell’operazione e il depauperamento che ne consegui’ per l’alienante: la pretesa, maggiore affidabilita’ dei conteggi del consulente di parte della difesa e’ affermata, da un lato, in termini del tutto assertivi e, dall’altro, senza considerare che il computo effettuato dalla polizia giudiziaria non aveva neppure tenuto conto di eventuali ricarichi sui lavori eseguiti (come si evince dal tenore della contestazione).
Va altresi’ ribadito l’orientamento interpretativo, difforme dalle tesi invocate dalla difesa del ricorrente, in base al quale – in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale – i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, “assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l’insolvenza non si era ancora manifestata” (Cass., Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv 262741).
5. E’ invece fondato l’ultimo motivo di ricorso, relativo alla determinazione del trattamento sanzionatorio. La stessa Corte di appello, in vero, riconosce ed evidenzia l’errore di computo in cui era incorso il Tribunale di Rovereto, operando un aumento di pena base (sulla sanzione individuata per il reato piu’ grave, neppure indicato con precisione) dovuto alla ritenuta continuazione criminosa; omette, pero’, di porvi rimedio, sul formale presupposto di un difetto di espresso gravame.
L’errore de quo e’ in effetti pacifico, visto che il (OMISSIS) venne condannato ad anni 2 e mesi 2 di reclusione muovendo da una pena base di anni 2: pena cui non puo’ pervenirsi se non concedendo all’imputato, nella massima estensione, le circostanze attenuanti generiche, del resto espressamente riconosciute in suo favore con tanto di manifestato giudizio di prevalenza rispetto alla “contestata aggravante di avere commesso piu’ fatti di bancarotta fraudolenta (documentale e patrimoniale)”. A quel punto, pero’, all’aumento dovuto al cumulo giuridico, nella misura di mesi 2, non avrebbe dovuto darsi corso: le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito da tempo che “in tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralita’ di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’articolo 219, comma 2, n. 1, L. Fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’articolo 81 c.p.” (Cass., Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv 249665).
Ora, vero e’ che la difesa del (OMISSIS) non appello’ la decisione di primo grado richiamando specificamente l’erroneita’ del computo descritto; tuttavia, contestando la dichiarata responsabilita’ ed invocando comunque una riduzione della pena, seppure quale conseguenza della rappresentata necessita’ di una derubricazione degli addebiti, il gravame dell’imputato aveva investito punti che non potevano comportare il passaggio in giudicato delle statuizioni afferenti la ritenuta continuazione fra le diverse condotte o gli effetti della (parimenti riconosciuta) aggravante ex articolo 219, comma 2, n. 1, L. fall.. A riguardo, come ricordato dallo stesso ricorrente, la giurisprudenza di legittimita’ ha avuto modo di chiarire che “la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza – nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilita’ soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli- e non sui punti di essa, che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilita’ del processo nella fase delle impugnazioni” (Cass., Sez. 5, n. 46513 del 14/07/2014, Lamkja, Rv 261036); ergo, il giudice di appello, nella cornice di cui all’articolo 597 c.p.p., comma 1, e fermo il limite del divieto di reformatio in peius, “puo’ affrontare, relativamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi di gravame, tutte le questioni enucleabili all’interno dei punti medesimi, accogliendo o rigettando il gravame in base ad argomentazioni proprie o diverse da quelle dell’appellante” (Cass., Sez. 6, n. 40625 dell’08/10/2009, B., Rv 245288).
6. Si impongono, conclusivamente, le determinazioni di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente all’aumento di pena in continuazione per mesi 2 di reclusione, aumento che elimina.
Rigetta nel resto il ricorso.