Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 16 maggio 2017, n. 12038
la responsabilita’ dell’avvocato non puo’ affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attivita’ professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente (e deve essere provato dall’istante quale concreto pregiudizio subito in conseguenza dell’illecito contrattuale: tra le altre, Cass., 9 giugno 2004, n. 10966; Cass., 23 marzo 2006, n. 6537) e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva (anche per violazione del dovere di informazione), ed il risultato derivatone.
Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 16 maggio 2017, n. 12038
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5939/2016 proposto da:
(OMISSIS) – S.R.L., – C.F. e P.I. (OMISSIS), in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AVV. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso da se’ medesimo unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3305/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/03/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che, con ricorso affidato a tre motivi, la (OMISSIS) – s.r.l. ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Napoli, in data 22 luglio 2015, che aveva soltanto in parte accolto il gravame interposto dalla stessa societa’ avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, riliquidando il credito per competenze professionali azionato in giudizio dall’avv. (OMISSIS), ma – per quanto rileva in questa sede – confermando il rigetto della domanda riconvenzionale di danni per responsabilita’ professionale del medesimo legale, per mancato assolvimento dell’onere probatorio ex articolo 2697 c.c., non avendo la (OMISSIS) s.r.l. “in alcun modo dimostrato, ma invero neppure dedotto, quali risultati utili avrebbe potuto ottenere da una condotta diligente e, soprattutto, in quali concreti atti tale attivita’ supposta come diligente avrebbe dovuto concretarsi”, ne’ essendo “indicato specifiche e concrete lesioni alla sfera giuridico patrimoniale dell’istante, che giustifichino l’accoglimento della domanda in esame”;
che resiste con controricorso l’avvocato (OMISSIS);
che la proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., e’ stata comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimita’ della quale le anzidette parti hanno depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
Considerato che, con il primo mezzo, e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 278 c.p.c., articolo 2697 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente applicato i principi in materia di condanna generica (tale essendo la domanda di danni proposta contro il (OMISSIS)), che riservano alla fase successiva della determinazione del quantum l’indagine sulla sussistenza in concreto del danno, avendo ritenuto non assolto l’onere di prova nonostante fosse stato dedotto e provato sia la condotta di inadempimento del professionista, sia l’inesistenza di qualsiasi chance “di ottenere un risultato utile qualunque fosse stata la pronuncia giudiziale”, cio’ costituendo “di per se’ evento potenzialmente generatore di danno in quanto di per se’ idoneo e ridurre per il cliente la possibilita’ (quanto meno) di accollarsi costi assolutamente inutili nonche’ di evitare la soccombenza in giudizio”;
che, con il secondo e terzo mezzo, e’ prospettata, rispettivamente, motivazione inesistente e vizio di ultrapetizione circa la domanda di condanna generica, proposta dalla (OMISSIS) s.r.l. e non considerata dal giudice di appello;
che i motivi – da potersi scrutinare congiuntamente (e alle cui ragioni nulla aggiunge la memoria del ricorrente, la quale, in ogni caso, avendo solo funzione illustrativa, non puo’ integrare carenze o emendare vizi dell’atto di impugnazione) – sono inammissibili;
che essi, pur distinti nel tipo di censura, muovono dal comune presupposto che la questione di fondo sia l’errore (in iudicando o in procedendo o di motivazione) della Corte territoriale sulla domanda di condanna generica al risarcimento danni per responsabilita’ professionale avanzata, ex articolo 278 c.p.c., con cio’ palesando di non aver affatto colto la ratio decidendi della sentenza impugnata, che non ha travisato il portato di detta norma processuale (o mancato di considerare la pretesa azionata dalla (OMISSIS)), mantenendo la propria pronuncia nell’alveo del “chiesto” e senza errori in diritto;
che, difatti, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio, consolidato, secondo cui la responsabilita’ dell’avvocato non puo’ affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attivita’ professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente (e deve essere provato dall’istante quale concreto pregiudizio subito in conseguenza dell’illecito contrattuale: tra le altre, Cass., 9 giugno 2004, n. 10966; Cass., 23 marzo 2006, n. 6537) e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva (anche per violazione del dovere di informazione), ed il risultato derivatone (tra le altre, Cass., 7 agosto 2002, n. 11901; Cass., 5 febbraio 2013, n. 2638);
che sulla scorta di detto principio il giudice di appello ha, poi, escluso non solo che vi fosse stata prova, ma, ancor prima, allegazione fattuale degli elementi anzidetti, tutti integranti la fattispecie di responsabilita’ professionale dell’avvocato; statuizione che, nella sua complessiva e specifica portata, non e’ affatto attinta dalle doglianze proposte dalla parte ricorrente, che insistono sul solo (e come tale insufficiente) profilo del “danno potenziale” ai fini della declaratoria iuris ai sensi articolo 278 c.p.c. (e cio’ anche a prescindere dal rilievo che il danno cui si riferisce la norma dell’articolo 278 c.c., e’ quello “conseguenza” e non gia’ il danno evento che attiene al profilo della responsabilita’);
che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile e la societa’ ricorrente condannata al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo in conformita’ ai parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.900,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1 bis.