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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 19 dicembre 2017, n. 30528
le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioe’ quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilita’ della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, e’ in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprieta’ contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4454-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3021/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
uditi gli Avvocati Acquarelli e Fanelli, per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mistri Corrado che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente (OMISSIS) impugna, articolando quattro motivi di ricorso, la sentenza n. 3121/2015 del 13 luglio 2015 della Corte d’Appello di Milano, che ha accolto l’appello di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e del (OMISSIS), riformato la sentenza del 17 luglio 2013 del Tribunale di Milano e percio’ rigettato le domande di (OMISSIS) e (OMISSIS), dirette ad ottenere la condanna di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a rimuovere la serra realizzata nel giardino privato del loro appartamento, compreso nel Condominio di (OMISSIS).
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si difendono con controricorso.
La Corte d’Appello ha affermato che l’articolo 25 del Regolamento condominiale rimettesse ogni opera, che potesse variare le caratteristiche delle facciate, al “preventivo ed insindacabile benestare scritto” dell’architetto (OMISSIS), progettista dell’edificio (ovvero in futuro ad altro architetto da nominare). Cio’, secondo la Corte di Milano, significava rimettere, mediante scelta condivisa con l’accettazione del regolamento all’atto dell’acquisto delle singole unita’, ad un “soggetto qualificato” la verifica “del rispetto del requisito che la legge impone”. I giudici di appello definivano la serra realizzata “funzionale ad accrescere la vivibilita’ dell’appartamento e ad assicurare la fruibilita’ per qualsiasi occasione anche di svago e di tempo libero”, ed escludevano l’applicabilita’ dell’articolo 907 c.c. in tema di distanze dalle vedute, come anche la violazione dell’articolo 1102 c.c., trattandosi di opera realizzata a piano terra, nel giardino di proprieta’ esclusiva, in aderenza alla facciata condominiale e non preclusiva del pari uso del bene comune.
Su proposta del relatore, che aveva ritenuto il giudizio definibile nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in riferimento all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), era stata dapprima fissata l’adunanza della camera di consiglio. Il Collegio, con ordinanza del 27 marzo 2017, ritenne tuttavia che non ricorresse l’ipotesi di cui all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), e rimise la causa alla pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 1138, 907 e 1120 c.c., alla luce dell’interpretazione delle norme del regolamento condominiale. La censura sostiene che, per come interpretati dalla Corte d’Appello, gli articoli 4, 21, 23, 25 e 26 del Regolamento conterrebbero un’invalida deroga agli articoli 1120 e 907 c.c., rimettendo qualsiasi modifica dell’immobile al benestare di un professionista, laddove, per contro, l’articolo 25 del Regolamento si limiterebbe a richiedere all’architetto indicato una valutazione preventiva circa la rispondenza delle modifiche della facciata all’estetica complessiva dello stabile.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 22 e 23 del Regolamento di condominio.
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso affermano l’esistenza di violazioni e false applicazione degli articoli 907 e 1120 c.c. anche in considerazione dell’articolo 21 del Regolamento condominiale e dell’articolo 27 del Regolamento Edilizio del Comune di Milano, in quanto la serra costituiva nuova costruzione sottoposta alla distanza prevista da quest’ultima norma.
Le quattro censure possono essere esaminate congiuntamente, perche’ connesse tra loro.
Il secondo motivo di ricorso, esaminato peraltro in via pregiudiziale, presenta profili di inammissibilita’, atteso che le disposizioni contenute in un regolamento di condominio hanno natura regolamentare, organizzativa o contrattuale, sicche’ l’interpretazione o l’applicazione di esse fatta dal giudice del merito non puo’ essere denunciata in sede di legittimita’ ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per tali intendendosi soltanto quelle risultanti dal sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico. L’omesso o errato esame di una disposizione del regolamento di condominio da parte del giudice di merito e’, piuttosto, sindacabile in sede di legittimita’ soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica oppure per vizi logici sub specie del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, (Cass. Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406; Cass. Sez. 2, 14/07/2000, n. 9355).
D’altra parte, l’interpretazione di un regolamento “contrattuale” di condominio da parte del giudice del merito e’ comunque insindacabile in sede di legittimita’ quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici (Cass. Sez. 2, 31/07/2009, n. 17893).
A pagina 3, la sentenza impugnata ha spiegato di intendere l’articolo 25 del Regolamento di condominio non come “deroga alla norma civilistica”, quanto come “scelta condivisa con l’accettazione del regolamento condominiale”, diretta a “rimettere ad un soggetto particolarmente qualificato” la constatazione della non alterazione del decoro architettonico riferibile agli interventi sulla facciata dell’edificio.
Questa Corte ha gia’ spiegato in passato come la disposizione di cui all’articolo 1138 c.c., comma 4 secondo cui le norme del regolamento di condominio (anche in ipotesi di cosiddetto regolamento contrattuale) non possono in nessun caso derogare, tra l’altro, a quanto stabilito nell’articolo 1120 c.c., impedisce comunque l’esecuzione di opere e lavori lesivi del decoro dell’edificio condominiale o di parte di esso (Cass. Sez. 2, 26/05/1990, n. 4905; Cass. Sez. 2, 15/01/1986, n. 175).
Tuttavia, una clausola del regolamento condominiale, quale quella in esame, che, per le modifiche esterne ed interne delle proprieta’ individuali incidenti sulle facciate dell’edificio, richieda il benestare scritto dell’architetto progettista del fabbricato, ovvero di altro architetto da nominare, non costituisce deroga agli articoli 1120 e 1122 c.c., dando luogo, piuttosto, a vincoli di carattere reale tipici delle servitu’ prediali (e non a limitazioni di portata meramente obbligatoria), nel senso di specificare i limiti di carattere sostanziale delle innovazioni (cfr. Cass. Sez. 2, 16/10/1999, n. 11688), mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, espressione di autonomia privata, che pone nell’interesse comune una peculiare modalita’ di definizione dell’indice del decoro architettonico.
E’ poi costante l’orientamento di questa Corte ad avviso del quale la disciplina dettata dall’articolo 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute non trova applicazione in ambito condominiale (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14096; anche Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1989).
Piu’ in generale, nell’applicare in materia di condominio le norme sulle distanze legali (nella specie con riferimento al diritto di veduta), spetta al giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimita’ se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tener conto in concreto della struttura dell’edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facolta’ spettanti ai singoli condomini, verificando, nel singolo caso, come fatto dalla Corte di Milano, la compatibilita’ dei rispettivi diritti dei condomini (Cass. Sez. 2, 11/11/2005, n. 22838).
Cosi’ come la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprieta’ esclusiva (nella specie, realizzazione di una serra) in aderenza alla facciata dell’edificio quale pertinenza del rispettivo appartamento, ai fini dell’utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonche’ a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; ma l’accertamento se l’opera del singolo condomino, mirante ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, sia conforme o meno alla destinazione della cosa comune, e’ compito del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato (e la Corte d’Appello ha ben spiegato a pagina 4 della sentenza le ragioni per cui la realizzazione della serra potesse essere considerata esplicazione del normale uso della cosa comune).
Il ricorrente, nel terzo motivo, deduce che la sentenza impugnata “nulla dice in merito al posizionamento dei manufatti all’interno del giardino”, ma cosi’ introduce censura che attiene non alla ipotizzata violazione o falsa applicazione della astratte fattispecie di legge invocate (articoli 907 e 1120 c.c.), quanto all’erronea ricostruzione della fattispecie concreta mediante valutazione delle risultanze probatorie. Tale vizio andava allora comunque introdotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dimostrando, nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di quale “fatto storico” fosse stato omesso l’esame, da quale atto o documento dei pregressi gradi di merito esso risultasse esistente, e che si trattasse di un fatto “decisivo” ai fini della controversia, ovvero idoneo a dimostrare da se’ solo che il manufatto ledesse il diritto del ricorrente di esercitare dalle proprie aperture la veduta, tenuto peraltro conto, trattandosi di rapporti correnti fra unita’ immobiliari comprese in un condominio edilizio, della concreta struttura del fabbricato.
A proposito del quarto motivo di ricorso, la Corte di Milano ha invece affermato che l’articolo 27 del Regolamento edilizio del Comune di Milano non trovasse applicazione al caso in esame, trattandosi comunque di nuova costruzione avvenuta all’interno di un edificio condominiale, con cio’ facendo ancora una volta applicazione del principio giurisprudenziale per il quale le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioe’ quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilita’ della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, e’ in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprieta’ contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Cass. Sez. 2, 18/03/2010, n. 6546). Il ricorso va percio’ rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.