Tribunale per i minorenni di Palermo Sentenza 3 luglio 2017

lo stato di abbandono del minore non è un presupposto dell’adozione prevista dall’art. 44 lett. d); che “la constata impossibilità di procedere all’affidamento preadottivo” indicata dalla norma può sussistere sia in fatto che in diritto; che l’adozione di cui all’art. 44 lett. d) è consentita a tutte le persone che rispettino i requisiti previsti dalla legge, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.

Tribunale per i minorenni di Palermo Sentenza 3 luglio 2017

Il Tribunale per i minorenni di Palermo, composto da:

1) dott. Fulvia Fratantonio – Presidente

2) dott. Alessandra Puglisi – Giudice

3) dott. Valeria Granatella -Giudice onorario

4) dott. Luigi Cirlincione -Giudice onorario

riunito in camera di consiglio,  ha pronunziato la seguente

Sentenza

nel procedimento n. —- riguardante la minore C

promosso da

A elettivamente domiciliata in (OMISS) presso lo studio dell’avvocato (OMISS) che la rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all’avvocato(OMISS), per procura in atti ricorrente

nei confronti di

B resistente contumace

con l’intervento del Pubblico Ministero

conclusioni della ricorrente: dichiarare, ai sensi dell’art. 44 lett. d) della legge 184/83, in favore della ricorrente, l’adozione della minore C ordinando di aggiungere al cognome della minore anche quello della ricorrente

conclusioni del Pubblico Ministero: chiede l’accoglimento del ricorso

Ragioni della decisione in fatto ed in diritto

  1. Il 16 dicembre 2016 A ha chiesto di adottare, con l’adozione prevista dall’art. 44 lett. D) lg 183/84, la piccola C, figlia di B, con la quale la ricorrente ha contratto una unione civile. Ha esposto, infatti, che la procreazione della bambina fa parte di un comune progetto genitoriale da tempo condiviso con la propria compagna e risponde al superiore interesse della minore. B non si è costituita in giudizio, ma è stata ascoltata nel corso del procedimento ed ha espresso il consenso all’adozione precisando che è sua volontà condividere le responsabilità genitoriali con la ricorrente, che, fin dalla gestazione, è stata presente, come un altro genitore, per la bambina.

Il Pubblico Ministero ha manifestato parere favorevole all’accoglimento del ricorso.

  1. L’art. 44 lg 184/83 estende l’adozione anche ai minorenni che non siano in stato di abbandono, quando, però, essi si trovino in situazioni particolari espressamente indicate dalla norma e meritevoli di tutela. Si tratta di una deroga al principio generale formulato dalla n. 184 del 1983, che, affermando il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art.1, comma 1), consente di norma l’adozione solo quando la famiglia di origine non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore (art. 1, comma 4) ed è addirittura per lui così pregiudizievole da determinare la necessità di rompere i legami familiari.

Come osservato nella pronuncia n. 383/99 della Corte Costituzionale “il legislatore – sostituita la titolazione originaria del Titolo VIII del Libro I del codice civile <<Dell’adozione>> con quella di <<Adozione di persone maggiori di eta>> (art. 58 della legge n. 184 del 1983), per essere ormai l’adozione dei minori disciplinata dagli artt. 6 e seguenti della stessa legge – ha ritenuto di mantenere l’adozione cosiddetta ordinaria in particolari ipotesi. Ha compiuto cioè – come si legge nella Relazione della II Commissione permanente del Senato, comunicata il 28 luglio 1982 – una scelta diretta ad una drastica riduzione a ipotesi limitate e tassative dell’applicabilità ai minori dell’adozione cosiddetta ordinaria, che corrisponde alla evoluzione avutasi, nella cultura giuridica e nel costume, dell’istituto dell’adozione dei minori. Tale scelta ha segnato più nettamente il passaggio da una tradizione privatistica ad una funzione pubblicistica dell’istituto e la sua considerazione alla stregua dell’esclusivo interesse del minore. In presenza di situazioni che non avrebbero potuto – per la mancanza della condizione di abbandono di cui al comma 1 dell’art. 7 (art. 44, comma 1) o per la difficoltà concreta, in considerazione di condizioni personali del minore – giustificare l’adozione” piena il legislatore ha, quindi, disciplinato alcune tassative ipotesi prevedendo una forma di adozione che presenta la peculiarità di non avere effetto risolutivo nei confronti della famiglia di origine (cfr la pronuncia citata).

Così, le lettere a) e c) della norma offrono al minore orfano di padre e di madre, che non si trovi, tuttavia, in stato di abbandono, la possibilità di formalizzare il rapporto affettivo instauratosi con chi si è occupato di lui -sia egli parente ovvero persona che abbia intrattenuto con il minore rapporti stabili e duraturi preesistenti alla perdita dei genitori, ovvero sia disposto a prendersi cura dei suoi bisogni speciali- mentre la lettera b) consente l’adozione da parte di uno dei coniugi del minore che sia figlio, anche adottivo, dell’altro coniuge.

La lettera d) prevede, invece, che si possa fare ricorso all’adozione “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, formulando una clausola residuale che consente l’adozione quando, a prescindere dalla dichiarazione dello stato di abbandono, essa corrisponda all’interesse del minore a vedere riconosciuti, anche formalmente, i legami affettivi consolidati con chi si è preso cura di lui. La condizione prevista dalla lettera d), infatti, (cfr Corte Costituzionale n. 383/99 e 315/07 e Cass. I sez. civ. n. 12962/16) va interpretata coordinandola con l’intero testo dell’articolo, che non prevede, come già rilevato, come presupposto necessario, la dichiarazione dello stato di abbandono (alla quale segue normalmente l’affidamento preadottivo) ed è diretta, quindi, a regolare non solo i casi in cui, pur dichiarato lo stato di adottabilità, non sia stato di fatto possibile l’affidamento preadottivo (per esempio per la preesistenza di legami affettivi del minore con soggetti che non hanno i requisiti previsti dall’art. 22 lg 184/83, ovvero per la mancanza di manifestazioni di disponibilità all’adozione di quel minore da parte di coniugi con i requisiti di cui al predetto articolo ecc.) ma anche quei casi in cui l’affidamento preadottivo non sia possibile di diritto, perchè proprio manca -come è ben possibile per il 1 comma dell’art. 44 cit- la pronuncia dello stato di adottabilità.

Seguendo tale interpretazione l’istituto è stato utilizzato nella prassi di alcuni Tribunali per i Minorenni per procedere alla cosiddetta adozione mite che formalizza il rapporto con gli affidatari senza peraltro spezzare i rapporti con la famiglia di origine (prassi, pure, positivamente richiamata dalla Corte EDU  nella nota pronuncia Zhou c. Italia)

Nell’ipotesi della lettera d) dell’art. 44 lg. 183/84, inoltre, l’adozione è permessa anche a chi non sia coniugato, sempre che l’età dell’adottante superi di almeno diciotto anni quella dell’adottando.

A differenza dell’adozione piena prevista dagli artt. 25 e ss della lg 183/84, l’adozione in tutti i casi particolari fin qui esaminati, richiede l’assenso dei genitori, dal quale il Tribunale può prescindere solo quando il genitore che deve prestarlo non esercita la responsabilità genitoriale ed il rifiuto è contrario all’interesse del minore, ovvero nel caso in cui sia impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.

Nel pronunciare l’adozione il Tribunale verifica, infine -ma non per ultimo- che l’adozione realizzi il preminente interesse del minore, tenendo in considerazione la personalità del fanciullo e dell’adottante, l’idoneità affettiva e la capacità di educare di quest’ultimo, i motivi dell’adozione.

  • Gli effetti dell’adozione in casi particolari sono regolati dagli artt. 47 e ss. lg. 184/83.

In particolare, l’art. 55 lg. 184/83, che richiama gli artt. 300 e 304 cc, prevede che l’adottato conserva i diritti e doveri verso la famiglia di origine e partecipa alla successione dell’adottante.

Quest’ultimo, inoltre, ai sensi dell’art. 48 lg. 184/83 ha l’obbligo di mantenere l’adottato, di istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall’art. 147 cc.

Le disposizioni degli artt. 48 e 50 lg. 184/83 stabiliscono, poi, che l’adottante esercita la responsabilità genitoriale al posto del genitore, il quale, invece, fatta eccezione per il solo caso in cui sia coniugato con l’adottante, la perde.

L’art. 50 cit., infatti, prevede che se cessa l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte dell’adottante, il Tribunale adotta i provvedimenti opportuni e può autorizzare, se lo ritiene conveniente all’interesse del minore, che l’esercizio della responsabilità genitoriale “sia ripreso dai genitori” , con la conseguenza che, finché la responsabilità genitoriale è esercitata dall’adottante, il genitore biologico ne è escluso e, nel caso in cui venga meno l’adottante, il genitore, per riprenderne l’esercizio, necessita di una specifica autorizzazione.

L’art. 48, invece, formula l’unica eccezione a tale regola, stabilendo che se il minore è adottato dal coniuge di uno dei genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.

Le predette norme, che non sono state toccate dalle recenti modifiche introdotte dalle leggi 219/12 e 173/15 e dal DL 154/13, sono, peraltro, strettamente correlate alla natura intrinseca dell’adozione che, anche nella forma dell’adozione in casi particolari, attribuisce all’adottato lo stato di figlio dell’adottante e -trattandosi di adozione di persona minore di età- non può che, conseguentemente, attribuire all’adottante l’esercizio della responsabilità genitoriale in sostituzione del genitore. L’unica eccezione, dell’adozione del figlio del coniuge della quale si è detto, è, inoltre, coerente con il principio generale che connota tutta la legge 184/83 (ed è espressamente, tra l’altro, sancito nella norma dell’art. 48 ora citata, oltreché per l’adozione piena dall’art. 6 della legge), secondo il quale la responsabilità genitoriale sui figli adottivi è esercitata in comune dalle coppie coniugate. Viceversa, nel caso di adozione da parte di persona non coniugata, quest’ultima esercita la responsabilità genitoriale sull’adottato in via esclusiva.

Gli artt. 48 e 50 lg. 183/84 forniscono in questo modo un principio certo di diritto, che è imposto sia dalla natura dell’istituto -che incide sullo stato e sui diritti fondamentali ed indisponibili delle persone- che dalla necessità di evitare inopportuni conflitti tra genitori biologici e quelli adottivi. La natura particolare dell’adozione in esame, che come rilevato, non spezza il legame con la famiglia di origine, impone di scegliere, infatti, chi debba esercitare la responsabilità genitoriale poichè in seguito all’adozione in casi particolari un minore può trovarsi ad essere figlio di tre (per esempio nel caso di adozione del figlio del coniuge) o addirittura di quattro genitori (adozione da parte di una coppia di un bambino che ha entrambi i genitori). Tale scelta è operata dalla legge che, coerentemente con l’essenza dell’istituto, trasferisce la responsabilità genitoriale interamente sull’adottante, a differenza, per esempio, di quanto previsto per l’affidamento temporaneo, per il quale l’art. 5 lg. 184/83 (salvi i casi di cui agli artt. 330 e 333 cc) attribuisce agli affidatari solo i poteri connessi con la responsabilità genitoriale che riguardano gli ordinari rapporti con le istituzioni scolastiche e le autorità sanitarie.

In altre parole, l’adozione dei minorenni, pur nei casi particolari dell’art. 44 lg. 184/83, conserva la sua funzione specifica di collocare il minore nella famiglia dell’adottante e, se certamente permette, a differenza dell’adozione piena, il mantenimento dei rapporti affettivi e dei diritti  verso i genitori biologici, attribuisce tuttavia, secondo i principi generali, l’esercizio della responsabilità genitoriale alla persona singola o alla coppia di coniugi che diventa genitore per effetto dell’adozione stessa.

  1. Ciò premesso, deve osservarsi che la ricorrente chiede l’adozione della piccola C richiamando la norma dell’art. 44 lett. d) lg. 184/83, sul presupposto che la minore non si trova in stato di adottabilità -ma ha anzi una madre che la ama e che si prende cura adeguatamente di lei- e che non è possibile il suo affidamento preadottivo.

Sia la ricorrente che la resistente hanno, inoltre, sottolineato il loro intendimento di portare avanti una genitorialità condivisa sulla bambina, che è parte della relazione familiare costituita anche attraverso l’unione civile tra loro contratta.

E’ evidente dalle loro dichiarazioni che le parti vogliono attuare una adozione coparentale della minore, alla quale entrambe sono legate da affetto e che vogliono veder crescere partecipando entrambe delle funzioni e responsabilità genitoriali.

Tuttavia, la norma dell’art. 44 lett. d), la cui applicazione è sollecitata dalla ricorrente, non produce, quegli effetti che le parti vogliono ottenere.

Come già rilevato sub III, infatti, gli artt. 48 e 50 della legge 184/83 consentono l’esercizio comune della responsabilità genitoriale solo nel caso di adozione da parte di una coppia di coniugi o dell’adozione del figlio del coniuge, riservando l’adozione coparentale esclusivamente alle coppie coniugate.

Al di fuori di queste ipotesi, invece, ed in particolare nel caso in esame di adozione da parte di persona non coniugata, l’esercizio della responsabilità genitoriale compete esclusivamente all’adottante. Il provvedimento richiesto con il ricorso produrrebbe, quindi, l’effetto di attribuire esclusivamente all’odierna ricorrente l’esercizio della responsabilità genitoriale, privandone la resistente, la quale, peraltro, come già rilevato, potrebbe riacquistarla solo nel caso in cui l’adottante ne cessasse e solo dopo una specifica nuova pronuncia del Tribunale per i Minorenni ai sensi dell’art. 50 della lg. 184/83.

Tale assetto normativo, peraltro, non è stato modificato, ma anzi confermato dall’art. 1 co 17 della legge 76/16 “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”  (pure richiamata nel ricorso) che, nel prevedere che le disposizioni di legge che si riferiscono al matrimonio o ai coniugi si applicano anche ad ognuna delle parti delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, espressamente ha escluso le disposizioni della legge 184/83, così impedendo al giudice di applicare, nel caso dell’adozione, le regole dettate per i coniugi anche a chi ha contratto una unione civile.

Non è, peraltro, possibile per il giudice estendere analogicamente alle coppie non coniugate, pur legate da un rapporto affettivo stabile o perfino da una unione civile, l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale attribuito, in caso di adozione, dalla legge esclusivamente alle coppie coniugate.

Ed infatti, il ricorso all’analogia è escluso, innanzitutto, dall’esistenza della norma dell’art. 48 lg. 184/83 che contiene una precisa regolamentazione della responsabilità genitoriale dell’adottante.

In secondo come già detto, l’art. 1 co 17 della legge 76/16 ha espressamente escluso che le disposizioni della legge 184/83 che riguardano i coniugi possano estendersi anche a chi ha contratto una unione civile, impedendo l’applicazione analogica.

Inoltre, l’art. 48 della legge 183/84 quando attribuisce l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale all’adottante ed al coniuge che sia genitore dell’adottante introduce una eccezione alla regola generale per la quale in conseguenza dell’adozione la responsabilità genitoriale è esercitata dall’adottante in vece del genitore.

Infine, le norme che regolano l’attribuzione della responsabilità genitoriale devono ritenersi di stretta interpretazione e non suscettibili di applicazione analogica, operazione interpretativa che introdurrebbe una inammissibile incertezza, in contrasto sia con l’interesse del minore, che degli adulti coinvolti, a vedere tassativamente regolati dalla legge gli istituti e gli effetti degli istituti che incidono sul loro stato personale.

Non è consentito, pertanto, al giudice derogare alla regola fissata dall’art. 48 lg. 184/83, elaborando una soluzione diversa in considerazione delle circostanze concrete del caso, poiché, come rilevato, le norme di che trattasi sono stabilite nel superiore interesse del minore, come anche nell’interesse degli adulti coinvolti, alla certezza dei rapporti giuridici che li riguardano.

  1. Le considerazioni che precedono inducono, sotto altro profilo, a concludere che, peraltro in buona sostanza, manca o è viziato da errore, nel caso che ci occupa, il consenso materno all’adozione, perché la resistente, quando ha dichiarato di consentire all’adozione della ricorrente, ha evidentemente indicato che intende, però, per parte sua, continuare ad esercitare la responsabilità genitoriale sulla figlia e non certo trasferirla all’adottante.

Tuttavia, l’assenza o il vizio della manifestazione di volontà del genitore ostacolano ai sensi dell’art. 46 lg. 184/83 la pronuncia di adozione, in quanto il genitore deve esprimersi con la piena consapevolezza degli effetti della scelta esistenziale che sta compiendo, destinata a determinare la modifica dello stato del figlio e ad incidere sul proprio diritto al rispetto della vita familiare.

Va aggiunto, infine, ma tale considerazione è quella preminente nella decisione, che non corrisponde all’interesse della minore il vedersi privata delle competenze genitoriali materne -che non sono assolutamente messe in discussione nel presente procedimento- perchè esse siano trasferite, in via esclusiva, alla ricorrente, pur se quest’ultima è legata alla bambina da un rapporto affettivo stabile e positivo.

  1. La soluzione adottata, infine, non si pone in contrasto con i principi di diritto internazionale e costituzionale che regolano la materia.

La regola fin qui esaminata si applica, infatti, a tutti i casi di adozione di persona non coniugata, non essendo in essa prevista deroga alcuna. In particolare, la legge non distingue in base all’orientamento sessuale dell’adottante, ma soltanto in base allo stato di coniugio.

La Corte Costituzionale (vd la sentenza sopra citata n. 383/99), nel respingere la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 44 lett b) nella parte in cui non prevede l’adozione del minore in favore del vedovo del genitore, ha ribadito, inoltre, che presupposto indefettibile della norma predetta che consente l’adozione coparentale, è la sussistenza, al momento della domanda, dello stato di coniugio tra l’adottante ed il genitore del minore e che tale condizione, imposta dalla legge, non determina disparità di trattamento con le ipotesi nelle quali manchi lo stato di coniugio.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, poi, nella sentenza Gas e Dubois c. Francia del 15 marzo 2012 (ric. n. 25951/07), si è pronunciata sul caso sovrapponibile a quello oggi in esame di due donne residenti in Francia, unite da un patto civile di solidarietà, che avevano visto respingere dal giudice nazionale la richiesta dell’una di adottare la figlia dell’altra, per la ragione che l’adozione avrebbe determinato il trasferimento della responsabilità genitoriale esclusivamente in favore della compagna della madre, a discapito di quest’ultima e dell’interesse della minore. La Corte, dopo avere osservato che nel diritto francese, in caso di adozione semplice, solo le coppie sposate potevano esercitare la responsabilità genitoriale congiunta, ha ritenuto che il matrimonio consiste in una situazione giuridica ed in uno stato peculiare, non assimilabile a quello delle coppie sposate ed ha concluso per la non violazione della Convenzione.

Tali principi sono stati richiamati altresì nella più recente pronuncia del 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria (ric. n. 19010/07). Anche in questo caso la Corte ha ribadito la sua precedente giurisprudenza, secondo la quale il matrimonio conferisce uno status particolare a coloro che vi si impegnano, gli art. 12 e 14 della Convenzione non impongono agli Stati contraenti l’obbligo di aprire il matrimonio alle coppie omosessuali e i predetti Stati, quando decidono di offrire alle coppie omosessuali un’altra modalità di riconoscimento giuridico godono di un certo margine di apprezzamento. Ha concluso, quindi, che non vi è violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 8 nel caso in cui la norma interna consenta l’adozione coparentale alle coppie coniugate, escludendo tutte le coppie non coniugate indipendentemente dal loro orientamento sessuale, mentre vi è violazione se la legge nazionale impedisce l’accesso all’adozione solo alle coppie non coniugate omosessuali.

Sul fronte della giurisprudenza interna, infine, le conclusioni che precedono non sembrano porsi nemmeno in contrasto con la nota e recente pronuncia della Corte di Cassazione sezione I civile n. 12962/16 prima richiamata sub II ed alla quale si fa riferimento nel ricorso.

Tale sentenza, infatti, ha ribadito i seguenti principi di diritto che non sono qui messi in discussione e che, anzi, sono pienamente condivisi dal collegio:  che lo stato di abbandono del minore non è un presupposto dell’adozione prevista dall’art. 44 lett. d); che “la constata impossibilità di procedere all’affidamento preadottivo” indicata dalla norma può sussistere sia in fatto che in diritto; che l’adozione di cui all’art. 44 lett. d) è consentita a tutte le persone che rispettino i requisiti previsti dalla legge, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.

La predetta pronuncia, al contrario, non si è occupata degli effetti dell’adozione stabiliti dagli artt. 48 e ss lg. 184/83 di cui fin qui si è trattato, argomento che, peraltro, non formava oggetto del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma ed il cui esame la sentenza stessa ha giudicato inconferente ai fini della decisione della questione giuridica che formava specifico oggetto dei motivi di ricorso (cfr le pagine 33 e 34 della sentenza citata: “già sul piano dell’esame testuale delle norme l’adozione in casi particolari si caratterizza per una radicale differenza di disciplina in ordine alle condizioni di accesso, oltrechè a differenze di rilievo anche quanto agli effetti, il cui esame è però superfluo”).

Per completezza deve aggiungersi che, comunque, a differenza di quanto adombrato nel ricorso, il diritto della piccola C a mantenere in ogni caso i rapporti affettivi con la ricorrente non rimarrà privo di tutela e sarà garantito dall’art. 333 cc.

Al riguardo si richiama la recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 225/16, che ha dichiarato non fondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 337 ter cc, nella parte in cui non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico, in quanto l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo da quest’ultimo intrattenuto con soggetti che non siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione alla quale l’art. 333 dello stesso codice consente al giudice di adottare “i provvedimenti convenienti” nel caso concreto (cfr la motivazione della sentenza n. 225/16).

Il ricorso va dunque respinto per le ragioni fin qui enunciate.

Per questi motivi

rigetta il ricorso proposto da A il 16 dicembre 2017 per ottenere l’adozione ai sensi dell’art. 44 lett. d) della minore C

Così deciso in Palermo, il 3 luglio 2017 nella camera di consiglio del Tribunale per i Minorenni

Il Giudice est.    Il Presidente

 

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.