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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 10 gennaio 2017, n. 333
in tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio e’, in primo luogo, determinata dai titoli, e, solo in difetto di questi ultimi, puo’ ritenersi comune se, avuto riguardo alle caratteristiche strutturali e funzionali, esso risulti oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13269/2012 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 248/2011 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 03/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2016 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS); difensore della controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Nel 1996 (OMISSIS), proprietaria di un appartamento al secondo piano del condominio di (OMISSIS), convenne in giudizio (OMISSIS), proprietaria di altro appartamento sito al secondo piano del medesimo fabbricato, per ottenere la condanna della convenuta alla rimozione delle opere realizzate nel sottotetto, asseritamente lesive della proprieta’ condominiale e di quella esclusiva dell’attrice, e al risarcimento del danno, o, in subordine, al pagamento dell’indennita’ di cui all’articolo 1127 c.c.. La convenuta (OMISSIS) eccepi’ il difetto di legittimazione attiva dell’attrice e la prescrizione del diritto ex adverso azionato, in quanto le opere erano state realizzate molto tempo addietro.
1.2. – Il Tribunale di Campobasso, con sentenza in data 6 marzo 2007, accolse parzialmente la domanda e condanno’ la convenuta a provvedere alla rimessione in pristino con riferimento agli interventi eseguiti sui vani sottotetto, rigettando la domanda risarcitoria.
2. – La Corte d’appello, con sentenza depositata il 3 dicembre 2011 e notificata il 4 aprile 2012, ha confermato la decisione rilevando che l’appellante (OMISSIS) non aveva provato la fondatezza dell’eccezione di prescrizione del diritto ex adverso azionato; che, nel silenzio dei titoli, doveva presumersi la proprieta’ condominiale sia dell’atrio-corridoio sia della porzione di sottotetto sovrastante l’atrio-corridoio, entrambi interessati dai lavori eseguiti dalla (OMISSIS) in assenza di autorizzazione dell’assemblea condominiale; che tali lavori erano consistiti nella rimozione del solaio di calpestio ligneo e nella sua sostituzione con uno in latero-cemento posizionato ad una quota inferiore, nella realizzazione di un’apertura che conduceva dalla soffitta di proprieta’ esclusiva (OMISSIS) all’altra porzione, composta da due vani “intrafficabili”, e di una ulteriore apertura nel muro che divideva i due vani anzidetti.
3. – Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Il ricorso e’ infondato.
1.1. – Con il primo motivo e’ dedotta violazione e falsa applicazione dell’articolo 2947 c.c. e articolo 115 c.p.c., comma 1, nonche’ vizio di motivazione circa il fatto controverso e decisivo della prescrizione del diritto azionato.
La ricorrente contesta la conferma della decisione del Tribunale – che aveva disatteso l’eccezione di prescrizione sul rilievo che i lavori erano stati ultimati nel mese di dicembre del 1991, come indicato dal CTU, e che pertanto il termine di cinque anni non era ancora decorso al momento della domanda giudiziale, nonostante fosse stato evidenziato, con l’atto di appello, che l’ipotesi formulata dal CTU doveva ritenersi superata dalle dichiarazioni rese all’udienza del 4 maggio 2001 dal teste (OMISSIS), marito della (OMISSIS), secondo il quale i lavori erano stati realizzati circa 15 anni prima.
1.2. – La doglianza e’ infondata, anche se la motivazione deve essere sul punto corretta.
1.3. – La Corte d’appello ha ritenuto che la sig.ra (OMISSIS) non avesse dato prova della eccezione, formulata in comparsa di risposta e riproposta in appello, secondo cui il diritto della controparte era prescritto per il lungo tempo trascorso da quando erano stati realizzati i lavori oggetto di contestazione.
In proposito va rilevato che il diritto azionato dalla sig.ra (OMISSIS), nella parte in cui concerne la rimozione delle opere realizzate sulla proprieta’ comune, non era prescrittibile in quanto espressione della facolta’ concessa al proprietario o comproprietario di tutelare, senza limiti di tempo, il proprio diritto a godere del bene oggetto della proprieta’, con la conseguenza che neppure si poteva porre una questione di prova della prescrizione.
La ricorrente, peraltro, lamenta l’inadeguatezza della motivazione resa dalla Corte d’appello sul gravame con cui ella aveva contestato la decisione del Tribunale, secondo cui al momento della notifica dell’atto di citazione non era decorso il quinquennio dalla ultimazione dei lavori, come accertata dal CTU. La censura, che non a caso prospetta la violazione dell’articolo 2947 c.c., fa dunque riferimento alla prescrizione del diritto al risarcimento da illecito aquiliano, evidenziando che l’eccezione di prescrizione mirava a paralizzare la pretesa risarcitoria avanzata dall’attrice (OMISSIS), in uno con la domanda di riduzione delle opere.
Tuttavia, la domanda risarcitoria dell’attrice non e’ stata accolta e quindi la questione della prescrizione era ed e’ priva di significato.
2. – Con il secondo motivo e’ denunciata violazione e falsa applicazione degli articoli 1117 e 1122 c.c. e articolo 115 c.p.c., nonche’ vizio di motivazione circa il fatto controverso e decisivo della individuazione del regime di proprieta’ del vano sottotetto e delle facolta’ del singolo condomino sulle parti comuni dell’edificio.
La ricorrente contesta che la Corte d’appello abbia considerato di proprieta’ condominiale la porzione di sottotetto costituita da due vani “intrafficabili”, non destinati all’uso comune ne’ all’esercizio di un servizio di interesse condominiale, che erano gia’ indicati, come evidenziato dal CTU, nella planimetria del 1940. Discorso analogo varrebbe per il lucernaio realizzato dalla (OMISSIS), tanto piu’ che la Corte d’appello non aveva motivato sulla illegittimita’ dello stesso, ignorando la censura in proposito formulata, e per le aperture realizzate nel vano sottotetto, a proposito delle quali la Corte territoriale non aveva chiarito in quale modo le opere indicate potessero produrre danni al fabbricato condominiale o alle parti comuni, o limitare i diritti degli altri condomini.
2.1. – La doglianza e’ infondata sotto piu’ profili.
La Corte d’appello ha accertato che i vani in questione, i quali coprono parti comuni dell’edificio (atrio e corridoio) e non sono accessibili, svolgono funzione di isolamento termico ed ha concluso che gli stessi, in assenza di titoli, costituiscono pertinenza comune.
L’accertamento cosi’ compiuto e’ conforme al principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio e’, in primo luogo, determinata dai titoli, e, solo in difetto di questi ultimi, puo’ ritenersi comune se, avuto riguardo alle caratteristiche strutturali e funzionali, esso risulti oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (ex plurimis, da ultimo, Cass., sez. 6-2, ord. n. 17249 del 2011)”.
L’argomento difensivo della ricorrente, che assume che almeno una parte dei predetti vani sottotetto sarebbe di sua proprieta’ esclusiva in quanto accessibile soltanto dal suo appartamento, e’ smentita dall’accertamento della Corte d’appello dal quale emerge che l’accesso in questione e’ stato realizzato dalla ricorrente.
Il profilo di censura con il quale denuncia l’erroneita’ della decisione della Corte d’appello perche’ contrastante con i dati che emergerebbero dalle planimetrie catastali attinge alla valutazione dei documenti, e quindi al merito della controversia, sollecitando un riesame che e’ precluso al giudice di legittimita’.
3. – Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.