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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 1 febbraio 2018, n. 2480
e’ esclusa la responsabilita’ da cose in custodia in capo all’ente proprietario e gestore della strada, munita di guardrail di altezza a norma di legge, per i danni patiti dal superamento del medesimo da parte del conducente di un veicolo che ne aveva, per causa ignota, perso il controllo, non potendo il custode rispondere dei danni cagionati in via esclusiva da una condotta del danneggiato da qualificarsi oggettivamente non prevedibile come corrispondente alla normale regolarita’ causale nelle condizioni date dei luoghi.
Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo:
La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI AMATO Sergio – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6580-2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), in proprio e quali unici eredi della Sig.ra (OMISSIS), rispettivamente moglie e madre dei ricorrenti, domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ rappresentata e difesa per legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 20/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 14/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/11/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La domanda di risarcimento dei danni per la morte del rispettivo figlio e fratello quattordicenne (OMISSIS), precipitato il (OMISSIS) in una scarpata a lato di un viadotto in (OMISSIS) mentre lo percorreva a bordo del suo ciclomotore, proposta – con atto di citazione notificato il 22/12/1993 – nei confronti dell'(OMISSIS) da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), fu accolta dal Tribunale di Reggio Calabria, sia pure col riconoscimento del solo 50% per il ritenuto concorso causale della vittima nella produzione del tragico evento, con liquidazione dell’importo di Euro 77.470 oltre accessori.
2. L’appello principale dell'(OMISSIS) fu pero’ accolto dalla Corte di appello reggina, che escluse ogni responsabilita’ della proprietaria della strada ed attribui’ l’evento, riconosciuto conforme il guardrail alle prescrizioni di legge vigenti, ad altri fattori dotati di esclusiva efficienza causale, comunque a quella non riconducibili.
3. Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata il 14/01/2014 col n. 20, ricorrono oggi, affidandosi ad un unitario motivo, (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali eredi di (OMISSIS), nel frattempo mancata ai vivi; resiste con controricorso l'(OMISSIS) spa; e, per l’adunanza camerale non partecipata del 16/11/2017, il Pubblico Ministero deposita le sue conclusioni scritte ed i ricorrenti una memoria ai sensi, rispettivamente, del secondo e del terzo periodo dell’articolo 380-bis c.p.c., comma 1, come inserito dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, articolo 1 bis, comma 1, lettera f), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I ricorrenti lamentano “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2051 c.c. in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, deducendo che erroneamente la Corte di appello avrebbe escluso il nesso causale tra le condizioni della cosa custodita dall'(OMISSIS) – cioe’ il guardrail – e il tragico evento, anche perche’ sarebbe stata doverosa una sua maggiore attenzione a misure di protezione maggiori rispetto a quelle minime imposte dalle pure osservate disposizioni vigenti al tempo dei fatti: in particolare deducendo di avere gia’ “nella fase di merito del procedimento” rilevato come subito dopo i fatti fossero state prescritte misure piu’ incisive e che comunque quelle erano consigliabili in relazione ad un viadotto scavalcante un burrone tanto profondo, per di piu’ su di uno svincolo autostradale, a due sole corsie, una per ogni senso di marcia, particolarmente ristrette, in semicurva, forte pendenza e fra due gallerie.
2. Il Pubblico Ministero esclude possano pretendersi dal custode, una volta che questi abbia adeguato la cosa custodita alle previsioni normative applicabili, comportamenti che queste non contemplano e che sono comunque contrari ai comuni criteri di prudenza; sottolinea come il danno sia stato causato non dal guardrail in se’ e per se’ considerato, ma dal non essere il medesimo dotato di un’altezza superiore a quella prevista dalla legge: cio’ che non puo’ assurgere a causa giuridica dell’evento, non potendo collegarsi la responsabilita’ ex articolo 2051 c.c. al modo in cui “la cosa non e'”, ma solo al suo modo concreto di essere nel mondo fenomenico, oppure quando vi sia un obbligo giuridico di tenerla o porla in determinate condizioni, diverse da quelle in cui si trovava al momento della produzione del danno. E conclude nel senso che non poteva esigersi dal custode di adeguare il modo di essere del guardrail ad un parametro non imposto da alcun precetto, vuoi formale, vuoi ricavabile dalla comune esperienza: tanto da chiedere il rigetto del ricorso.
3. Dal canto suo, la controricorrente eccepisce preliminarmente l’inammissibilita’ del ricorso, ritenendo sollecitato con esso un nuovo e diretto esame dei fatti, ma condivide la conclusione raggiunta dalla corte di appello sulla sussistenza del caso fortuito (cosi’ esclusa la responsabilita’ ex articolo 2051 c.c.), essendo rimaste ignote le cause dell’impatto, da parte del ciclomotore, contro il guardrail.
4. Ritiene il Collegio che la fattispecie offra l’occasione per una puntualizzazione dei principi in materia di responsabilita’ per danni da cose in custodia, come via via espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, con attenzione specifica – poi – alla custodia dei beni demaniali e, tra questi, di quelli di grande estensione, come strade e loro accessori e pertinenze: all’intera riflessione premettendosi che incombe al danneggiato l’onere di un’opzione chiara – benche’ anche solo di alternativita’ o reciproca subordinazione, ma espressa in tal senso – tra l’azione generale di responsabilita’ extracontrattuale, ai sensi dell’articolo 2043 c.c., e quella della responsabilita’ – oggettiva – per fatto della cosa, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., visto che le due domande presentano tratti caratteristici, presupposti, funzioni ed oneri processuali assai diversificati (tra molte: Cass. 05/08/2013, n. 18609; Cass. 21/09/2015 n. 18463).
5. Occorre prendere le mosse dalla conclusione, definita come tradizionale, della giurisprudenza di legittimita’ nel senso che “la responsabilita’ ex articolo 2051 c.c. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si e’ prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilita’, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioe’ del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilita’ e di assoluta eccezionalita’” (tra molte: Cass. 29/07/2016, n. 15761).
6. Si tratta di una conclusione che risale almeno a Cass. 20/05/1998, n. 5031, in base alla quale:
– quanto al fondamento della responsabilita’, l’articolo 2051 c.c. prevede un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, il cui unico presupposto e’ l’esistenza di un rapporto di custodia; del tutto irrilevante, per contro, e’ accertare se il custode sia stato o meno diligente nell’esercizio della vigilanza sulla cosa;
– quanto all’onere della prova, ove sia applicabile l’articolo 2051 c.c., il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un valido nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre il custode ha l’onere di provare che il danno non e’ stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, ivi compreso il fatto dello stesso danneggiato o del terzo;
– quanto all’ambito di applicazione, la norma in esame trova applicazione in tutti i casi in cui il danno e’ stato arrecato dalla cosa, direttamente o indirettamente; non e’ applicabile solamente quando la cosa ha avuto un ruolo meramente passivo nella produzione del danno.
7. In primo luogo, e’ prevalente in dottrina e dominante nella giurisprudenza di legittimita’ la tesi della qualificazione della responsabilita’ in esame come responsabilita’ oggettiva, nella quale non gioca alcun ruolo la negligenza o, in generale, la colpa del custode: e tanto in consapevole meditata accettazione delle teoriche sulla configurabilita’ di una responsabilita’ senza colpa, se non altro in casi particolari e non in linea di principio.
8. In sostanza, per alcune fattispecie particolari, a partire dall’elaborazione dogmatica del sistema francese – soprattutto al suo articolo 1384 originario code civil, oggi corrispondente all’articolo 1242 dopo l’ordonnance 2016-131 del 10/02/2016, in vigore dal 1 ottobre 2016, sulla reforme du droit des contrats – cui il sistema codicistico nazionale si e’ in origine ispirato, e’ apportata deroga al principio ohne Schuid keine Haftung, che permea sia l’altro ordinamento cardine dei sistemi romanisti (come quello tedesco relativamente al Deliktsrecht, ma nel quale si assiste ad un superamento graduale, benche’ solo in determinati settori, in forza di obblighi derivanti direttamente, prima della riforma del 2002, dalla norma sulla buona fede e, poi, dalla previsione della novellata previsione del BGB sulla sussistenza di obblighi di protezione piu’ generali ed ampi rispetto a quelli di prestazione, idonei a riverberare i loro effetti anche a favore di chi non e’ parte del contratto), sia il sistema originario di common law (in cui la Tort Law presuppone appunto la colpa, quanto meno sotto il profilo della Due Diligence).
9. Il tenore testuale dell’articolo 2051 c.c., analogo al vecchio testo dell’articolo 1384, comma 1 code civil, (ora articolo 1242, che prevede, al comma 1, che on est responsable non seulement du dommage que l’on cause par son propre fait, mais encore de celui qui est cause’ par le fait des personnes dont on doit repondre, ou des choses que l’on a sous sa garde), prevede invero che “ciascuno e’ responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.
10. Va cosi’ osservato che, purche’ si tratti di un danno “cagionato” da una cosa e che questa sia una cosa che si “ha in custodia”, null’altro e’ richiesto. Basti allora in questa sede, per l’impossibilita’ di altri approfondimenti dogmatici: da un lato accettare quale ragione giustificatrice di tale peculiare responsabilita’ la sua natura e funzione di contrappeso al riconoscimento di una signoria, quale la “custodia”, sulla cosa che entra o puo’ entrare a contatto con la generalita’ dei consociati, signoria che l’ordinamento riconosce ad un soggetto evidentemente affinche’ egli ne tragga o possa trarre beneficio o in dipendenza di peculiari situazioni doverose; e, dall’altro lato, rilevare come il danno, di cui si e’ chiamati a rispondere, deve essere causato dalla cosa (per il code civil, ancora piu’ icasticamente e stando alla lettera della disposizione, dal “fatto della cosa”, quasi questa fosse in grado di compierlo: dommage… qui est cause’ par le fait… des choses que l’on a sous sa garde).
11. Sotto il primo profilo, il potere sulla cosa, per assurgere ad idoneo fondamento di responsabilita’, deve manifestarsi come effetto di una situazione giuridicamente rilevante rispetto alla res, tale da rendere attuale e diretto l’anzidetto potere attraverso una signoria di fatto sulla cosa stessa, di cui se ne abbia la disponibilita’ materiale (Cass. 29/09/2017, n. 22839): verosimilmente in considerazione del fatto che solo questa puo’ attivare, ovvero rendere materialmente estrinsecabile, il dovere di precauzione normalmente connesso alla disponibilita’ di una cosa che entra in contatto con altri consociati; ovvero, che puo’ consentire l’adozione di condotte specifiche per impedire, per quanto possibile, che le cause ragionevolmente prevedibili dei danni derivabili dalla cosa custodita siano poi in grado di estrinsecare la loro potenzialita’ efficiente.
12. Sotto il secondo profilo, quello della causazione del danno da parte della cosa, non ci si puo’ esimere da una sommaria premessa alla problematica della causalita’ in diritto civile. A questo riguardo, e’ noto che, con la fondamentale elaborazione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenze del di’ 11/01/2008, nn. 576 ss., alla cui amplissima ed esauriente elaborazione deve qui bastare un richiamo), ai fini della causalita’ materiale nell’ambito della responsabilita’ extracontrattuale va fatta applicazione dei principi penalistici, di cui agli articoli 40 e 41 c.p., sicche’ un evento e’ da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non).
13. Tuttavia, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’articolo 41 c.p., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso e’ riferibile a piu’ azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalita’ efficiente, desumibile dal capoverso della medesima disposizione, in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale gia’ in atto.
14. Al contempo, neppure e’ sufficiente tale relazione causale per determinare una causalita’ giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali cosi’ determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano ex ante idonee a determinare l’evento secondo il principio della c.d. causalita’ adeguata o quello similare della c.d. regolarita’ causale.
15. Quest’ultima, a sua volta, individua come conseguenza normale imputabile quella che – secondo l’id quod plerumque accidit e quindi in base alla regolarita’ statistica o ad una probabilita’ apprezzabile ex ante (se non di vera e propria prognosi postuma) integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento (sia esso una condotta umana oppure no) originario, che ne costituisce l’antecedente necessario.
16. E, sempre secondo i citati precedenti delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, la sequenza costante deve essere prevedibile non da un punto di vista soggettivo, cioe’ da quello dell’agente, ma in base alle regole statistiche o scientifiche e quindi per cosi’ dire oggettivizzate in base alla loro preponderanza o comune accettazione, da cui inferire un giudizio di non improbabilita’ dell’evento in base a criteri di ragionevolezza: il principio della regolarita’ causale, rapportato ad una valutazione ex ante, diviene la misura della relazione probabilistica in astratto (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra evento generatore del danno ed evento dannoso (nesso causale) da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata, mentre tutto cio’ che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale andra’ piu’ propriamente ad iscriversi entro l’elemento soggettivo (la colpevolezza) dell’illecito, ove questi dall’ordinamento – benche’ tanto avvenga di norma – siano in concreto richiesti.
17. Tali principi portano a concludere che tutto cio’ che non e’ prevedibile oggettivamente ovvero tutto cio’ che rappresenta un’eccezione alla normale sequenza causale, ma appunto e per quanto detto rapportato ad una valutazione ex ante o in astratto, integra il caso fortuito, quale causa non prevedibile: da tanto derivando che l’imprevedibilita’, da un punto di vista oggettivizzato, comporta pure la non evitabilita’ dell’evento.
18. Queste conclusioni vanno poi applicate alla peculiare fattispecie del “danno cagionato dalle cose in custodia”; e l’assenza di specificazioni di sorta comporta che il danno rilevante – di cui cioe’ il custode e’ responsabile – prescinde dalle caratteristiche della cosa custodita, sia quindi essa o meno pericolosa, c.d. seagente (ovvero dotata di intrinseco dinamismo) oppure no; e la fattispecie puo’ allora comprendere, sempre dando luogo alla responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c., una gamma potenzialmente indefinita di situazioni sotto i relativi profili:
– quanto al ruolo nella sequenza causale, cioe’ alla partecipazione della cosa custodita alla produzione materiale dell’evento dannoso: a partire dai casi in cui la cosa e’ del tutto inerte ed in cui l’interazione del danneggiato e’ indispensabile per la produzione dell’evento, via via fino a quelle in cui essa, per il suo intrinseco dinamismo, viene a svolgere un ruolo sempre maggiore di attiva interazione con la condotta umana, fino a diventare preponderante od esclusiva, in cui cioe’ l’apporto concausale della condotta dell’uomo e’ persino assente;
– quanto alle caratteristiche intrinseche della cosa custodita, cioe’ alla sua idoneita’ a cagionare situazioni di probabile danno (pericolosita’): a partire dalle fattispecie in cui essa non presenta rischi derivanti dall’interazione con l’uomo, via via fino a quelle in cui il funzionamento o il suo stesso modo di essere comporti di per se stesso, per le modalita’ sue normali, il rischio (cioe’, la probabilita’ ragionevole) di una conseguenza dannosa con chi viene in contatto con la cosa custodita.
19. In questo complessivo contesto va calata la conclusione, tradizionale nella giurisprudenza di legittimita’, dell’accollo al danneggiato della sola prova del nesso causale tra la cosa e il danno: ove la cosa oggetto di custodia abbia avuto un ruolo nella produzione, a tanto deve limitarsi l’allegazione e la prova da parte del danneggiato; incombe poi al custode o negare la riferibilita’ causale dell’evento dannoso alla cosa, cio’ che esclude in radice l’operativita’ della norma, cioe’ dare la prova dell’inesistenza del nesso causale, oppure dare la prova della circostanza, che solo a prima vista potrebbe coincidere con la prima, che il nesso causale sussiste tra l’evento ed un fatto che non era ne’ prevedibile, ne’ evitabile.
20. Su quest’ultimo punto, la recente Cass. ord. 31/10/2017, n. 25837, ha puntualizzato che il caso fortuito e’ cio’ che non puo’ prevedersi (mentre la forza maggiore e’ cio’ che non puo’ evitarsi), per poi giungere, dopo un’accurata disamina del ruolo della condotta del danneggiato, alla conclusione che anche questa puo’ integrare il caso fortuito ed escludere integralmente la responsabilita’ del custode ai sensi dell’articolo 2051 c.c., ma solo purche’ abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode.
21. Tale conclusione richiede alcune puntualizzazioni. In effetti, puo’ senz’altro convenirsi che, per “caso fortuito” idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno, ai fini della peculiare responsabilita’ disegnata dall’articolo 2051 c.c., va generalmente inteso quel fattore causale, estraneo alla sfera soggettiva, che presenta i caratteri dell’imprevedibilita’ e dell’eccezionalita’ (fattore causale comprensivo anche del fatto del terzo o, in via descrittiva ed a seconda dei casi, della colpa del danneggiato): purche’ esso abbia, in applicazione dei principi generali in tema di causalita’ nel diritto civile, efficacia determinante dell’evento dannoso.
22. Pertanto, anche il caso fortuito (oggettivo e valutato ex ante) va allora inquadrato in questo contesto: e l’imprevedibilita’ va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento, benche’ non anche come sua impossibilita’, mentre l’eccezionalita’ e’ qualcosa di piu’ pregnante dell’improbabilita’ (quest’ultima in genere intesa come probabilita’ inferiore alle cinquanta probabilita’ su cento), dovendo identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come “normale”, vale a dire entro margini di oscillazione – anche ampi – intorno alla media statistica, che escludano i picchi estremi, se isolati, per identificare valori comunemente accettati come di ricorrenza ordinaria o tollerabile e, in quanto tali, definibili come ragionevoli.
23. Su queste premesse, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l’assenza di colpa del custode resta del tutto irrilevante ai fini della sua responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c..
24. E’ chiaro che non si esclude certo che un’eventuale colpa sia fatta specificamente valere dal danneggiato, ma tanto deve aver luogo allora ai fini – ed accollandosi quegli i ben piu’ gravosi oneri assertivi e probatori – della generale fattispecie dell’articolo 2043 c.c., in cui egli deve dare la prova, prima di ogni altra cosa, di una colpa del danneggiante e non solamente del nesso causale tra presupposto della responsabilita’ ed evento dannoso; quando, pero’, l’azione e’ proposta ai sensi dell’articolo 2051 c.c., la deduzione di omissioni, violazione di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode puo’ essere diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, sempre ai fini dell’allegazione e della prova del rapporto causale tra l’una e l’altro.
25. Puo’ concludersi quindi che l’imprevedibilita’ – idonea ad esonerare il custode dalla responsabilita’ – deve essere oggettiva, dal punto di vista probabilistico o della causalita’ adeguata, senza alcun rilievo dell’assenza o meno di colpa del custode; tuttavia, l’imprevedibilita’ e’ comunque di per se’ un concetto relativo, necessariamente influenzato dalle condizioni della cosa, di piu’ o meno intrinseca pericolosita’ in rapporto alle caratteristiche degli eventi in grado di modificare tali condizioni ed alla stessa interazione coi potenziali danneggiati.
26. Sotto il primo profilo, puo’ rilevarsi come l’oggettiva imprevedibilita’ si esaurisca nel tempo: una modifica improvvisa delle condizioni della cosa, a mano a mano che il tempo trascorre dal suo accadimento in rapporto alle concrete possibilita’ di estrinsecazione della signoria di fatto su quella, comporta che la modifica finisca con il fare corpo con la cosa stessa, sicche’ e’ a questa, come in effetti modificata anche dall’evento originariamente improvviso, che correttamente si ascrive il fatto dannoso che ne deriva.
27. Sotto il secondo profilo, puo’ rilevarsi come la prevedibilita’ deve riferirsi alla normalita’ – ovvero alla non radicale eccezionalita’, per estraneita’ al novero delle possibilita’ ragionevoli secondo quel criterio di ordinaria rapportabilita’ causale da valutarsi ex ante ed idoneo ad oggettivizzarsi – del fattore causale.
28. L’operazione logica da compiersi e’ allora quella di identificazione del nesso causale, sulla base dei fatti prospettati dalle parti ed acquisiti in causa: ma occorre distinguere a seconda che con la relazione causale tra cosa e danno interferisca una diversa relazione causale tra la condotta umana del danneggiato ed il danno stesso oppur no.
29. Nella seconda ipotesi, effettivamente deve trattarsi di un evento obiettivamente imprevedibile (ovvero, a seconda dell’elaborazione di volta in volta accettata, che talvolta comprende nella nozione di caso fortuito anche la causa di forza maggiore, inevitabile), secondo la rigorosa ricostruzione di cui alla gia’ richiamata Cass. ord. 25837/17; nel primo caso, cioe’ di compresenza di una condotta del danneggiato, occorre osservare che, una volta delibato come sussistente il nesso causale tra cosa e danno, subentra, siccome applicabile anche alla responsabilita’ extracontrattuale in virtu’ del richiamo di cui all’articolo 2056 c.c., la regola generale dell’articolo 1227 c.c., comma 1, in ordine al concorso del fatto colposo del danneggiato.
30. Va sottolineato, al riguardo, che la ricostruzione del nesso causale tra il criterio di imputazione della responsabilita’ e l’evento dannoso va operata dal giudice anche di ufficio (Cass. 22/03/2011, n. 6529: anche quando il danneggiante o il responsabile si limiti a contestare in toto la propria responsabilita’): pertanto, in tema di responsabilita’ per i danni cagionati da una cosa in custodia ai sensi dell’articolo 2051 c.c., l’allegazione del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, idonea ad integrare l’esimente del caso fortuito, deve essere esaminata e verificata anche d’ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull’eventuale incidenza causale del fatto del terzo o del comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte, purche’ risultino prospettati gli elementi di fatto sui quali si fonda l’allegazione del fortuito (integrando cosi’ una mera difesa la fattispecie di cui al primo comma dell’articolo 1227 c.c.: per tutte, Cass. 30/09/2014, n. 20619; Cass. Sez. U. 03/06/2013, n. 13902).
31. A queste condizioni puo’ allora rilevare il fatto del danneggiato, oggetto anche di una mera allegazione – e, in caso di contestazione, di prova – da parte del danneggiante, perfino implicita nel suo impianto difensivo.
32. Tanto in ipotesi di responsabilita’ per cose in custodia ex articolo 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilita’ ex articolo 2043 c.c., il comportamento colposo del danneggiato (che sussiste quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) puo’ – in base ad un ordine crescente di gravita’ – o atteggiarsi a concorso causale colposo (valutabile ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1), ovvero escludere il nesso causale tra cosa e danno e, con esso, la responsabilita’ del custode (integrando gli estremi del caso fortuito rilevante a norma dell’articolo 2051 c.c.).
33. In particolare, quanto piu’ la situazione di possibile pericolo e’ suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto piu’ incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (espressamente in tali termini: Cass. 06/05/2015, n. 9009; in precedenza, peraltro, gia’ Cass. 10300/07).
34. In altri termini, se e’ vero che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilita’ si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita in funzione di prevenzione dai danni prevedibili a chi con quella entri in contatto (Cass. 17/10/2013, n. 23584), e’ altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde anch’essa a criteri di ragionevole probabilita’ e quindi di causalita’ adeguata.
35. Tale dovere di cautela corrisponde gia’ alla previsione codicistica della limitazione del risarcimento in ragione di un concorso del proprio fatto colposo e puo’ ricondursi – se non all’ormai non piu’ in auge principio di auto responsabilita’ – almeno ad un dovere di solidarieta’, imposto dall’articolo 2 Cost., di adozione di condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per gli altri in nome della reciprocita’ degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali si venga a contatto con la cosa.
36. In tal senso, del resto, gia’ si e’ statuito che la responsabilita’ civile per omissione puo’ scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano il compimento di una determinata attivita’ a tutela di un diritto altrui: principio affermato sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell’autore dell’illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno, ex articolo 1227 c.c., comma 1, Cass. Sez. U. 21/11/2011, n. 24406).
37. Un tale contemperamento risponde anche al canone di proporzionalita’ imposto dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle liberta’ fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata – in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – con L. 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955) allorquando si coinvolga uno di tali diritti, quale quello alla vita (di cui all’articolo 2) o alla salute (di cui, sia pure in maniera indiretta, all’articolo 8, commo 1 e 2): come gia’ affermato da questa Corte in tema di tutela del diritto alla vita (Cass. ord. 22/09/2016, n. 18619), supera il controllo di conformita’ alla detta Convenzione il principio di diritto (affermato da Cass. 23/05/2014, n. 11532) secondo cui “la persona che, pur capace di intendere e di volere, si esponga volontariamente ad un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto”.
38. In particolare, un detto principio, nella sua astrattezza, deve dirsi contemperare adeguatamente l’esigenza di tutela del diritto alla vita da parte dello Stato e dei pubblici poteri (con conclusione che si estende agevolmente alla tutela del diritto alla salute od all’incolumita’ in genere e, per di piu’, ai rapporti tra privati, anche a questi applicandosi la Convenzione: da ultimo, Corte EDU 20/12/2016, Ljaskaj c/ Croazia), con quella – altrettanto imperiosa e dettata da elementari esigenze di ragionevolezza – di non accollare alla collettivita’ – o comunque immotivatamente al prossimo – le conseguenze dannose, soprattutto di natura economica (e quindi tutelate dall’articolo 1 del primo protocollo aggiunto alla richiamata Convenzione europea), che derivino da condotte che siano qualificate come assurte in via esclusiva a volontaria e consapevole esposizione al rischio serio o grave per la vita da parte della potenziale vittima e quindi unica causa del danno da questa patito, quand’anche al bene primario della vita stessa.
39. E si e’ concluso che, per il margine di apprezzamento normalmente riconosciuto al singolo Stato nell’assicurare la salvaguardia dei diritti fondamentali, la tutela del diritto alla vita – e quindi anche di quello all’incolumita’ e alla salute – da parte dei pubblici poteri – e nei rapporti interprivati – non puo’ spingersi al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta volontaria, qualificata unica causa della lesione a quel diritto, del titolare di quel diritto.
40. Ne consegue che, quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione (squisitamente di merito), che va compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende sempre un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela: e quando manchi l’intrinseca pericolosita’ della cosa e le esatte condizioni di queste siano percepibili in quanto tale, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenuto integrato il caso fortuito (in termini sostanzialmente analoghi: Cass. 05/12/2013, n. 28616).
41. Pertanto, ove la condotta del danneggiato assurga, per l’intensita’ del rapporto con la produzione dell’evento, al rango di causa esclusiva dell’evento e del quale la cosa abbia costituito la mera occasione, viene meno appunto il nesso causale tra la cosa custodita e quest’ultimo e la fattispecie non puo’ piu’ essere sussunta entro il paradigma dell’articolo 2051 c.c., anche quando la condotta possa essere stata prevista o sia stata comunque prevedibile, ma esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarita’ causale.
42. In caso di rapporto via via meno intenso, ferma allora la responsabilita’ del custode in ragione della sussistenza (nel senso di non riuscita elisione) del nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa del danneggiato rilevera’ ai fini dell’articolo 1227 c.c., comma 1 sulla base di una valutazione anche ufficiosa.
43. Gia’ in tale senso, del resto, la richiamata Cass. 29/07/2016, n. 15761, ha ribadito il principio (di cui a Cass. 22/03/2011, n. 6550) che il custode si presume responsabile, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., dei danni riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione stessa della cosa custodita e delle sue pertinenze, potendo su tale responsabilita’ influire la condotta della vittima, la quale, pero’, assume efficacia causale esclusiva, soltanto ove possa qualificarsi come estranea al novero delle possibilita’ fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo in caso contrario rilevare ai fini del concorso e nella causazione dell’evento, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1; e, se la disattenzione e’ sempre prevedibile come evenienza, la stessa cessa di esserlo – ed elide il nesso causale con la cosa custodita – quando risponde alla inottemperanza ad un invece prevedibile dovere di cautela da parte del danneggiato in rapporto alle circostanze del caso concreto.
44. In definitiva, la fattispecie della responsabilita’ per danni da cose in custodia puo’ dirsi regolata dai seguenti principi:
– l’articolo 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilita’ che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicche’ incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosita’ o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima;
– la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’articolo 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacita’ di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso;
– il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, e’ connotato da imprevedibilita’ ed inevitabilita’, da intendersi pero’ da un punto di vista oggettivo e della regolarita’ causale (o della causalita’ adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e diventano, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa, di cui il custode deve rispondere;
– il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, e’ connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’articolo 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarieta’ espresso dall’articolo 2 Cost. Pertanto, quanto piu’ la situazione di possibile danno e’ suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto piu’ incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benche’ astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarita’ causale.
45. Tali conclusioni vanno applicate alla fattispecie in esame, la quale va risolta allora alla stregua dell’accertamento di fatto operato dalla corte territoriale: anche in tal caso incensurabile in questa sede, poiche’ scevro da quei soli gravissimi vizi motivazionali ammessi ormai dopo la novella dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (sui quali Cass. Sez. U. nn. 8053 e 19881 del 2014), per il generale principio di insindacabilita’ della ricostruzione dei fatti e del nesso eziologico tra gli uni e gli altri, affermato da consolidata giurisprudenza (su cui, tra innumerevoli, v. Cass. Sez. U. 12/10/2015, n. 20412).
46. Nella specie, si tratto’: di un impatto del ciclomotore contro il guardrail – di altezza pienamente rispettosa delle prescrizioni generali in materia – dovuto alla perdita di controllo da parte del conducente, per causa remota a sua volta rimasta ignota (v. pag. 4 della gravata sentenza); di un impatto tale da lanciare il conducente contro il guardrail e, essendo quegli collocato su di un sellino ad altezza dal suolo particolarmente prossima al limite piu’ alto della protezione, idoneo allora a sbilanciare il primo verso il vuoto al di la’ della seconda; di un evento occorso in un tratto di viadotto di cui non e’ stata dimostrata alcuna particolare pericolosita’, del resto a presidio di carreggiata con andamento regolare e rettilineo (v. pag. 6 della gravata sentenza).
47. In tale complessivo contesto, l’applicazione dei criteri piu’ sopra puntualizzati (al punto 44) alla fattispecie in esame porta a concludere che la condotta del danneggiato abbia in concreto assunto un ruolo causale esclusivo nella produzione dello stesso evento dannoso, non potendo ritenersi prevedibile, nel senso sopra specificato, la perdita di controllo da parte del conducente del motoveicolo di caratteristiche tali da farlo collidere e scavalcare con la sua persona il limite piu’ alto della protezione; anzi, dovendosi normalmente attendere dal conducente di un veicolo in condizioni di evidente precarieta’ in rapporto allo stato dei luoghi, una condotta adeguata, tale da evitargli di perdere il controllo con modalita’ tali da ottenere l’impatto del ciclomotore contro il guardrail proprio in corrispondenza di una scarpata e con il rischio elevatissimo, per il rapporto tra l’altezza del sellino e quella del guardrail, di un effetto a bascula con scavalcamento di quest’ultimo.
48. Del resto, anche per quanto argomentato piu’ sopra in linea generale, non puo’ affatto sostenersi che ogni strada debba essere munita di protezioni idonee a scongiurare ogni rischio di avveramento di eventi dannosi ad essa connessi e derivanti dal superamento della sede stradale, i quali debbano ritenersi di per se’ esclusi dall’adozione del generale dovere di cautela da parte dei fruitori, in rapporto alle condizioni dei luoghi: opinando in senso diverso, nessuna protezione sarebbe mai sufficiente, visto che la sua inidoneita’ risulterebbe conclamata dall’avveramento del fatto che si intendeva evitare (cosi’ dandosi luogo al moderno paradosso di Epimenide gia’ icasticamente prospettato dalla citata Cass. ord. 25837/17).
49. Ne’ va tralasciato che l’esclusione di qualsiasi rischio di danno si potrebbe forse avere comunque a prezzo dell’installazione di manufatti di tale portata, complessita’ ed importanza da risultare francamente irrealistici, gia’ solo da un punto di vista economico, si’ da risultare inesigibili dal singolo consociato: tanto che, per valutazione appunto ordinamentale della regolarita’ causale, i limiti imposti dalla normativa vigente – che nella specie sono stati rispettati – sono quelli reputati idonei nella generalita’ dei casi a fronteggiare il rischio prevedibile, mentre quelli imposti dalla peculiarita’ del caso non sono stati violati, nella specie, secondo la ricostruzione in fatto del giudice del merito quanto alla non necessita’ in relazione allo stato dei luoghi.
50. Pertanto, e’ impossibile evitare di concludere che e’ stata proprio la condotta, appunto in quanto inadeguata o sconsiderata e tale da non potere essere attesa anche in relazione alle condizioni dei luoghi come accertate con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, del danneggiato a porsi quale causa esclusiva del danno da quel medesimo patito, con elisione del nesso causale rilevante dal punto di vista giuridico con la cosa, la quale degrada, per la preponderanza del ruolo di quella condotta, a mera occasione del pur tragico evento dannoso.
51. Tanto comporta che risponde a diritto la conclusione cui e’ pervenuta la Corte territoriale, in applicazione del seguente principio di diritto: “e’ esclusa la responsabilita’ da cose in custodia in capo all’ente proprietario e gestore della strada, munita di guardrail di altezza a norma di legge, per i danni patiti dal superamento del medesimo da parte del conducente di un veicolo che ne aveva, per causa ignota, perso il controllo, non potendo il custode rispondere dei danni cagionati in via esclusiva da una condotta del danneggiato da qualificarsi oggettivamente non prevedibile come corrispondente alla normale regolarita’ causale nelle condizioni date dei luoghi”.
52. Il ricorso e’, conclusivamente, rigettato; ed il regime delle spese del presente giudizio di legittimita’ non puo’ che essere regolato dal generale principio della soccombenza, secondo la liquidazione reputata equa nei sensi di cui in dispositivo e nei confronti di tutti i ricorrenti, tra loro in solido per l’identita’ della posizione processuale.
54. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalita’ al riguardo (per tutte: Cass. 14/03/2014, n. 5955; Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.