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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 20 marzo 2018, n. 6920
il mancato rispetto degli obblighi di informazione “comporta un alleggerimento dell’onere probatorio gravante sull’investitore ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria: non nel senso che il danno dall’inadempimento degli obblighi informativi possa rivelarsi in re ipsa, ma in quello piu’ limitato di consentire l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalita.
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Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 20 marzo 2018, n. 6920
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12263/2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) s.p.a., in persona dei Commissari Straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1971/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 07/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2017 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA (est.).
FATTO E DIRITTO
1.- (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione nei confronti della s.p.a. (OMISSIS), svolgendo tre motivi avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna in data 7 novembre 2013, in via di riforma della pronuncia resa nel primo grado del giudizio dal Tribunale di Parma, n. 396/2008.
La questione fa riferimento a un’operazione di investimento in notes riferite alla (OMISSIS) B.V., che gli attuali ricorrenti hanno compiuto per il tramite della Cassa ferrarese in data 24 gennaio 2001. Il giudice di primo grado ha ritenuto la “nullita’ del contestato contratto di investimento per illiceita’ dell’oggetto per essere stato concluso nella fase del c.d. grey market”.
Per contro, la Corte territoriale, dopo avere accertato l’effettiva violazione da parte della Cassa degli obblighi informativi postile in capo dalla normativa di legge e di regolamento, ha escluso la nullita’ dell’operazione, sulla base del rilievo che “la violazione della norme pure imperative degli obblighi di comportamento posti a carico dei soggetti abilitati non possono costituire causa di nullita’ del contratto…, potendo solo dar luogo a responsabilita’ precontrattuale o contrattuale dell’intermediario ed eventualmente condurre ala risoluzione del contratto”. Portato cosi’ l’esame della controversia sul fronte dell’obbligazione risarcitoria, la Corte ha poi mandato esente la Banca da responsabilita’, ritenendo dovesse in concreto “escludersi il nesso di causalita’ tra violazione degli obblighi di informazione ed il danno lamentato”.
2.- Al ricorso ha resistito, a mezzo di apposito controricorso, la (OMISSIS) in Amministrazione Straordinaria.
E’ seguito, altresi’, il deposito di due memorie. Una, formata dagli attuali ricorrenti, e’ stata rivolta nei confronti della ” (OMISSIS) s.p.a., ora (OMISSIS) s.p.a.”. L’altra, diretta ai detti ricorrenti e’ stata confezionata dalla ” (OMISSIS) s.p.a.”.
3.- I motivi di ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.
Il primo motivo (ricorso, p. 83) assume “violazione o falsa applicazione dell’articolo 1223 c.c., articolo 115 c.p.c., Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23 in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”.
Il secondo motivo (p. 97) poi lamenta “violazione o falsa applicazione dell’articolo 1411 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”.
Il terzo motivo (p. 101) rileva, altresi’, “violazione degli articoli 1428 e 1429 c.c., articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”.
4.- Il primo e il secondo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto aventi a comune oggetto la problematica relativa alle conseguenze derivanti dalla violazione da parte dell’intermediario dell’obbligo di fornire al cliente informazioni specifiche di cui all’investimento.
5.- In proposito, l’impugnata sentenza della Corte territoriale rileva in via di impostazione che la “violazione delle norme di comportamento fissate dal T.U.I.F. e dal Reg. Consob n. 11522/1998 non e’ di per se’ sola sufficiente a fondare una domanda risarcitoria, essendo a tal fine necessaria anche la prova del nesso causale tra inadempimento e danno lamentata, ovvero del fatto che in presenza di una completa informazione il cliente non avrebbe dato corso all’investimento rivelatosi per lui pregiudizievole”.
La ricorrenza del nesso causale va nel concreto esclusa – cosi’ prosegue la pronuncia – perche’ la “mancanza di contestazioni” degli attuali ricorrenti nel giudizio di merito “sotto il profilo dell’articolo 29 Re. Consob porta a ritenere che, anche qualora la (OMISSIS) avesse fornito ai (OMISSIS) tutte le notizie in possesso del mercato relative al titolo in oggetto, i predetti si sarebbero comunque determinati all’investimento”.
Ne’ in contrario puo’ darsi peso – aggiunge ancora la Corte territoriale – al fatto, particolarmente sottolineato invece dai ricorrenti, che “la Offering Circular delle notes (OMISSIS) conteneva una clausola che impegnava le parti contraenti (l’emittente (OMISSIS) B.V., la garante (OMISSIS) s.p.a. e le banche collocatrici dei bonds), nonche’ i loro aventi causa, a non far circolare i titoli in Italia tra gli investitori retail. E la violazione, nel caso di specie, di tale norma di protezione dei terzi legittimerebbe, ad avviso degli appellati, la loro domanda risarcitoria”. Tale clausola – rileva al riguardo la Corte di Appello – ha in realta’ una portata che ne indica l’irrilevanza ai fini del riscontro relativo al nesso di causalita’: essa “non vietava la negoziazione del titolo su base individuale con la clientela retail, bensi’ che lo stesso fosse oggetto di sollecitazione al pubblico risparmio da parte della Banche collocatrici, trattandosi di offerta non convalidata dalla Consob”.
6.- I motivi svolti dai ricorrenti censurano la motivazione sviluppata dalla Corte territoriale, richiamandosi anzitutto alla giurisprudenza di questa Corte, e in particolare alla pronuncia di Cass., 31 gennaio 2014, n. 2123, la’ dove in specie viene rilevato che non “puo’ porsi a carico del cliente l’onere di provare quale diverso investimento avrebbe potuto compiere, di pari rischio ma di maggior guadagno, in quanto l’adempimento ai predetto obblighi ben avrebbe potuto legittimamente indurre l’investitore non a un investimento simile piu’ redditizio, ma proprio a non effettuarne alcuno”.
Gli stessi rilevano, inoltre, che e’ “indebita” l’identificazione compiuta dalla sentenza impugnata tra “mancanza di prova del nesso causale” e “mancanza di prova dell’inadeguatezza dell’operazione”. La norma dell’articolo 29 Reg. Consob – essi notano – costituisce semplice momento di un intero sistema normativo posto in funzione di protezione del cliente, che trova la sua espressione primaria, e fondante, nella norma dell’articolo 21 del TUF. E la violazione di tale normativa da parte della Cassa di Ferrara costituisce la stessa ragione d’essere di base dell’azione giudiziaria che hanno intentato nei confronti di questa.
I ricorrenti aggiungono ancora che si manifesta errata l’interpretazione della clausola contenuta nella Circolar Offering, che e’ stata data dalla Corte di Appello. Il testo di questa clausola assume il ricorso (nel riportarne in via integrale il testo, a p. 97) significa che, “stante la mancanza di offerte pubbliche di vendita autorizzata dalla Consob, le vendite consentite agli italiani sono quelle relative alle domande di acquisto spontaneamente presentate dal pubblico e “non sollecitate” dagli intermediari”.
7.- Il primo e il secondo motivo di ricorso appaiono fondati, nei termini e limiti che si vengono a illustrare.
A tale riguardo, va prima di tutto rilevato che, secondo l’attuale orientamento di questa Corte, il mancato rispetto degli obblighi di informazione “comporta un alleggerimento dell’onere probatorio gravante sull’investitore ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria: non nel senso che il danno dall’inadempimento degli obblighi informativi possa rivelarsi in re ipsa, ma in quello piu’ limitato di consentire l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalita’” (cfr. cosi’ Cass., 17 novembre 2016, n. 23417, che si pone in termini di evidente continuita’ con la sopra richiamata decisione di Cass., n. 2123/2014).
Va poi rilevato, anche sulla scorta della osservazione appena richiamata, come non risulti condivisibile il rilievo svolto dalla Corte territoriale a proposito della “mancanza di contestazioni”, da parte dei ricorrenti, “sotto il profilo dell’articolo 29 Reg. Consob” (sopra, nel n. 5, secondo capoverso). Al di la’ dell’effettiva suasivita’ di simile rilievo, che appare in se’ molto dubbia, sta comunque che la questione concerne le conseguenze derivante dalla violazione degli obblighi di informazione, non gia’ da quelli relativi all’eventuale adeguatezza dell’operazione. Il rilievo svolto dalla Corte territoriale si mostra, dunque, oggettivamente non pertinente.
8.- Cio’ posto, ancora va segnalato il peso, intrinsecamente determinante, dell’informazione che – secondo quanto accertato dalla stessa Corte di merito – la Cassa ha avrebbe dovuto trasmettere ai clienti investitori, ma che per contro ha omesso di fare.
Si tratta, in effetti, di un’informazione primaria, e cioe’ relativa alla stessa definizione di base del prodotto di cui all’investimento: trattasi – specifica appunto la Corte – di un’operazione tra soli investitori istituzionali (grey market), che fa inoltre riferimento a una sorta di “vendita di cosa futura”, sostanzialmente ascrivendosi al modello dell'”acquisto a fermo”.
Il detto peso, e la conseguente incidenza determinante della violazione dell’obbligo di informazione in punto di nesso di causalita’, risulta ancor piu’ enfatizzato, del resto, dalla clausola contenuta nella contrattualistica relativa alla Circular Offering, che piu’ volte si e’ sopra richiamata.
Per la verita’, non appare importante entrare qui nel merito specifico e puntuale dell’interpretazione che va correttamente data a tale clausola. E’ sufficiente segnalare, in effetti, il messaggio di forte, straordinario – rischio che la stessa di base contiene, per rilevare che la sua comunicazione agli investitori ben puo’ rilevarsi comunque decisiva per la formazione di una decisione di investimento. Per rilevare altresi’, e in via correlata, che la Corte territoriale ha finito per violare le norme invocate dai ricorrenti nell’escludere la sussistenza del nesso di causalita’ senza tenere adeguato conto delle caratteristiche presentate dalla fattispecie in esame e, in particolare, del forte rilievo che tale comunicazione avrebbe potuto avere per la formazione della decisione degli investitori.
9.- Il terzo motivo di ricorso risulta assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi.
10.- In conclusione, vanno accolti i primi due motivi di ricorso, con assorbimento del terzo.
Di conseguenza, va cassata la sentenza impugnata e la controversia va rinviata alla Corte di Appello di Bologna, che, in diversa composizione, decidera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Bologna che, in diversa composizione, provvedera’ a decidere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.