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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 31 gennaio 2018, n. 2333
costituiscono “vizi della cosa locata, agli effetti dell’articolo 1578 c.c. (la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell’articolo 1575 c.c., ma altera l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sulla idoneita’ all’uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del corrispettivo, ma non la esperibilita’ dell’azione di esatto adempimento) quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l’integrita’ in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestansi successivamente alla conclusione del contratto di locazione” – ha “escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino una mera infiltrazione, nel qual caso diviene operante l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell’articolo 1576 c.c., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale”.
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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 31 gennaio 2018, n. 2333
Integrale
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI AMATO Sergio – Presidente
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4078/2016 proposto da:
(OMISSIS), considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 299/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 17/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/09/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, n. 299/15, del 17 luglio 2015, che – in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da (OMISSIS) e in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Fermo n. 477/14 del 26 gennaio 2014 – ha condannato l’odierna ricorrente a pagare alla (OMISSIS) la somma di Euro 8.800,00, oltre interessi legali dal 24 maggio 2012, nonche’ alla refusione delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
2. Riferisce, in punto di fatto, la ricorrente di aver condotto in locazione, ad uso commerciale, un immobile di proprieta’ della (OMISSIS) interessato, il 15 febbraio 2012, da ingenti infiltrazioni d’acqua, originate da fenomeni meterorici, che avrebbero danneggiato in modo irreparabile la merce presente in un locale adibito a magazzino. Tale evenienza avrebbe costretto la (OMISSIS) a sospendere la propria attivita’ commerciale e, con essa, il pagamento dei canoni di locazione a far data dal febbraio 2012 fino al dicembre dello stesso anno.
Convenuta in giudizio dalla (OMISSIS) innanzi al Tribunale di Fermo, perche’ fosse convalidato lo sfratto per morosita’ intimatole in ragione del mancato pagamento dei canoni di locazione, la (OMISSIS) riferisce di aver proposto nel giudizio di merito – incardinatosi dopo che il giudice adito aveva pronunciato, a norma dell’articolo 665 c.p.c., ordinanza provvisoria di rilascio del bene locato – domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento (o, in alternativa, di riduzione del canone), lamentando, appunto, i danni conseguenti alle infiltrazioni d’acqua verificatesi nell’immobile condotto in locazione.
Il giudice di prime cure, in accoglimento della domanda riconvenzionale della (OMISSIS), condannava la (OMISSIS) al risarcimento del danno che liquidava – sebbene lo stesso fosse stato stimato in Euro 27.654,00 – nella minore somma di Euro 18.854,00, calcolata al netto dei canoni che confermava dovuti dalla prima alla seconda per l’importo di Euro 8.800,00.
Proposto gravame principale dalla (OMISSIS) ed incidentale dalla (OMISSIS), la Corte marchigiana accoglieva il primo, sul duplice presupposto, da un lato, che dalla disamina della ctu espletata in primo grado dovesse concludersi per l’insussistenza della prova del fatto che la causa dell’allagamento fosse da attribuire al locatore (essendosi, in particolare, “ipotizzata la penetrazione dell’acqua da locale attiguo per infiltrazioni dal sovrastante terrazzo”), nonche’, dall’altro, che non potesse ritenersi integrata la prova del danno alla merce subito dalla (OMISSIS) (in assenza di certezza circa la quantita’, qualita’ e la marca dei capi di abbigliamento presenti nel locale).
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), sulla base di tre motivi.
3.1. Con il primo motivo viene dedotta “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2051, 1578 e 2055 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, e cio’, in particolare, “per avere la Corte di Appello di Ancona escluso la responsabilita’ del locatore sulla base della circostanza che la penetrazione dell’acqua sia provenuta da locale attiguo a quello condotto in locazione“.
Nel premettere che la sentenza impugnata ha comunque riconosciuto la presenza delle infiltrazioni nel locale, la ricorrente reputa che le stesse quale vizio della cosa locata ai sensi dell’articolo 1578 c.c., comma 2, della quale e’ tenuto a rispondere il locatore, sempre che non provi di averlo ignorato lo senza colpa.
D’altra parte, poi, la giurisprudenza di legittimita’ ipotizza anche una responsabilita’ del locatore ai sensi dell’articolo 2051 c.c., in relazione ai danni arrecati dalle strutture murarie e dagli impianti in esse inglobati, irrilevante essendo, infine, la circostanza che alla loro produzione possano aver contribuito altre cause, e cio’ giusta il disposto dell’articolo 2055 c.c..
Con il secondo motivo, la ricorrente si duole di “difetto di motivazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c.”, e cio’ “per avere la Corte di Appello omesso di valutare le prove raccolte in corso di istruttoria in punto di “prova del danno””, in particolare disattendendo – sul presupposto che il suo espletamento era avvenuto a distanza di tempo dai fatti, donde la ritenuta inattendibilita’ della stima del danno alla merce custodita nel locale compiuta dal consulente – le risultanze della ctu espletata in primo grado, che pure avevano quantificato l’entita’ del pregiudizio subito.
Il terzo motivo, infine, ipotizza “violazione e falsa applicazione degli articoli 1576 e 1577 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, e cio’ con riferimento all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui risulta “incontestato dalla conduttrice il pagamento della somma di Euro 8.800,00 corrispondente ai canoni dovuti dalla data di messa in mora”. Evidenzia, al riguardo, la ricorrente come il mancato pagamento dei canoni non possa configurarsi come un inadempimento contrattuale, bensi’ come una legittima sospensione della propria prestazione – in applicazione del principio inadempienti non est adimplendum – per il mancato utilizzo dell’immobile e, soprattutto, per la perdita di quasi tutta la merce, con conseguente impossibilita’ di proseguire la propria attivita’ commerciale fino alla data di riconsegna dell’immobile locato.
4. Ha proposto controricorso la (OMISSIS), per resistere all’avversaria impugnazione, della quale ha – innanzitutto – eccepito l’improcedibilita’, ex articolo 369 c.p.c., per non avere la ricorrente depositato il decreto di concessione del gratuito patrocinio, pur avendo affermato di essere stata ammessa al relativo beneficio.
Viene eccepita, poi, l’inammissibilita’ di ognuno dei tre motivi di ricorso, e, segnatamente, del primo e del terzo, perche’ la loro proposizione non sarebbe accompagnata da alcuna affermazione in diritto, svolgendo la ricorrente considerazioni solo in fatto, mentre attraverso il secondo motivo essa pretenderebbe di censurare l’omesso esame di elementi istruttori, che non integra il vizio di cui al novellato testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Nel merito, peraltro, contesta la fondatezza dei motivi di ricorso, evidenziando in particolare – quanto all’ultimo – che al momento della denuncia delle infiltrazioni la conduttrice era gia’ morosa nel pagamento dei canoni, e dunque impossibilita a valersi dell’articolo 1460 c.c..
5. Il ricorrente ha presentato memoria, insistendo nelle proprie conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. In limine va disattesa la preliminare eccezione di improcedibilita’ del ricorso, risultando agli atti il decreto di ammissione della (OMISSIS) al gratuito patrocinio e non prescrivendo l’articolo 369 c.p.c. – come osserva la stessa ricorrente nella propria memoria ex articolo 378 c.p.c. – alcun onere di “indicazione” di tale documento nel ricorso, bensi’ di semplice deposito unitamente allo stesso.
7. Il ricorso va rigettato.
7.1. Il primo motivo non e’ fondato.
Nel suo scrutinio, peraltro, appare necessaria una precisazione preliminare, tesa ad evidenziare come lo stesso possa essere ritualmente esaminato solo con riferimento alla dedotta violazione dell’articolo 1578 c.c..
Occorre, infatti, rammentare che l’odierna ricorrente ha agito in sede di merito – in via riconvenzionale – al fine di conseguire la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento (o, in alternativa, per la ottenere la riduzione del canone), lamentando, sotto questo profilo, i danni conseguenti alle infiltrazioni d’acqua verificatesi nell’immobile di cui era conduttrice. Ne consegue, pertanto, che l’evocazione – operata nell’odierna impugnazione degli articoli 2051 e 2055 c.c., e’ estranea all’originario thema disputandum, donde la necessita’ che il primo motivo di ricorso sia circoscritto alla lamentata violazione dell’articolo 1578 c.c., dovendo ritenersi inammissibile nella parte in cui prospetta questioni nuove (da ultimo, Cass. Sez. 1, sent. 25 ottobre 2017, n. 25319, Rv. 64579101).
Orbene, cosi’ delimitato, il primo motivo e’ – come detto infondato, attesa l’impossibilita’ di ravvisare nel caso di specie un’ipotesi di vizio della cosa locata, rilevante ai fini ad agli effetti della norma suddetta. Difatti, questa Corte – sul presupposto che costituiscono “vizi della cosa locata, agli effetti dell’articolo 1578 c.c. (la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell’articolo 1575 c.c., ma altera l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sulla idoneita’ all’uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del corrispettivo, ma non la esperibilita’ dell’azione di esatto adempimento) quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l’integrita’ in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestansi successivamente alla conclusione del contratto di locazione” – ha “escluso che possano essere ricompresi tra i vizi predetti quei guasti o deterioramenti dovuti alla naturale usura o quegli accadimenti che determinino una mera infiltrazione, nel qual caso diviene operante l’obbligo del locatore di provvedere alle necessarie riparazioni ai sensi dell’articolo 1576 c.c., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale” (cosi’ Cass. Sez. 3, sent. 15 maggio 2007, n. 596463-01; nel medesimo senso gia’ Cass. Sez. 3, sent. 18 aprile 2001, n. 5682, Rv. 54600601).
7.2. Il secondo motivo, del pari, non puo’ essere accolto.
In disparte i suoi possibili profili di inammissibilita’, visto che lo stesso – sebbene formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – reca, poi, un poco comprensibile rifermento alla violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. (quasi a voler evocare il vizio di cui al precedente n. 3), esso risulta non fondato.
Non coglie nel segno, in primo luogo, la censura della sentenza impugnata per aver disatteso le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.
Difatti, se e’ vero che “il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che puo’ essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, detta evenienza e’, tuttavia, ipotizzabile solo quando la sentenza impugnata – diversamente da quanto accaduto nel caso in esame – manchi di indicare le ragioni per cui abbia ritenuto erronei i rilievi del consulente, “ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici utilizzati per addivenire alla decisione contrastante con essi” (Cass. Sez. 3, sent. 7 luglio 2016, n. 13922, Rv. 640530).
Nella presente fattispecie, infatti, la Corte marchigiana ha affermato, da un lato, “che gli unici segni di infiltrazione” – salvo quelli del bagno, dove comunque non era risposta merce – sono stati “rilevati sopra il battiscopa della parete divisoria con la proprieta’ attigua” (di talche’ su tali basi si e’ “ipotizzata la penetrazione dell’acqua da locale attiguo per infiltrazioni dal sovrastante terrazzo”), nonche’, dall’altro, che non potesse ritenersi integrata la prova del danno alla merce subito dalla (OMISSIS), in assenza di certezza circa la quantita’, qualita’ e la marca dei capi di abbigliamento presenti nel locale ed asseritamente danneggiati.
Quanto, poi, alla censura relativa alla omessa valutazione della prova del danno come violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., e’ sufficiente richiamarsi al principio secondo cui, nel giudizio di legittimita’, “una questione di violazione o di falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorche’ si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass. Sez. 6-Lav., ord. 27 dicembre 2016, n. 27000, Rv. 642299-01).
7.3. Infine, pure il terzo motivo non e’ fondato.
Difatti, la Corte di Appello – una volta escluso che l’odierna ricorrente avesse diritto alla risoluzione del contratto per inadempimento della (OMISSIS) – non avrebbe potuto certo disporre la compensazione tra un (inesistente) credito risarcitorio della conduttrice e quello, spettante invece alla locatrice, relativo al pagamento dei canoni di locazione scaduti e non corrisposti, non risultando, pertanto, affetta da alcun errore la decisione di confermare la “condanna al pagamento della somma di Euro 8.800,00 corrispondente ai canoni dovuti con gli interessi legali dalla data di messa in mora”, gia’ disposta dal primo giudice, rispettivamente, a carico della (OMISSIS) e a favore della (OMISSIS).
8. Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della parte ricorrente come da dispositivo e sono liquidate ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.
Peraltro, essendo stato il ricorrente in cassazione ammesso al patrocinio a spese dello Stato, lo stesso non risulta tenuto, malgrado il rigetto dell’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater (Cass. Sez. Lav., sent. 2 settembre 2014, n. 18523, Rv. 632638-01).
Va disposto, infine, il non luogo a provvedere sull’istanza del difensore della stessa per la liquidazione del compenso, perche’, “secondo la disciplina di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’articolo 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. n. 25 del 2005, articolo 3, al giudice di rinvio oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione ovvero, nel caso di cassazione e decisione sul merito, a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito” (da ultimo, Cass. Sez. Lav., sent. 5 giugno 2017, n. 13935, in motivazione; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, ord. 13 maggio 2009, n. 11028, Rv. 608343-01; Cass. Sez. 1, ord. 12 novembre 2010, n. 23007, Rv. 614529-01).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando (OMISSIS) a rifondere ad (OMISSIS) le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.600,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Motivazione semplificata.