Corte di Cassazione, Sezioni Unite penale Sentenza 23 febbraio 2018, n. 8914

“Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non puo’ essere personalmente proposto dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilita’, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione”.

 

 

Corte di Cassazione, Sezioni Unite penale Sentenza 23 febbraio 2018, n. 8914

Integrale

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente

Dott. IPPOLITO Francesco – Consigliere

Dott. CONTI Giovanni – Consigliere

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere

Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaeta – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 25/07/2017 del Tribunale di Caltanissetta;

visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente Dr. Gaetano De Amicis;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dr. Stabile Carmine, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 25 luglio 2017 il Tribunale di Caltanissetta ha rigettato, in funzione di giudice del riesame, l’appello proposto dall’imputato (OMISSIS) avverso l’ordinanza del Tribunale di Enna che rigettava la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari.

2. L’imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, deducendo il vizio di logicita’ e di omessa motivazione per vari profili.

3. Con ordinanza del 2 novembre 2017 la Quinta Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, prospettando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine all’ammissibilita’ del ricorso per cassazione proposto personalmente dall’imputato ai sensi dell’articolo 311 c.p.p..

La Sezione rimettente dubita dell’applicabilita’ del combinato disposto dei novellati articoli 571 e 613 c.p.p. nella parte in cui richiedono la necessaria sottoscrizione dell’atto di impugnazione da parte di un difensore abilitato a patrocinare dinanzi alla Corte di cassazione avverso provvedimenti emessi in materia di misure cautelari personali.

E’ privilegiata l’opzione interpretativa per la quale la regola generale della facolta’ per l’imputato di impugnare personalmente i provvedimenti, cosi’ come posta dall’articolo 571 c.p.p., comma 1, e’ stata derogata dal novellato articolo 613 c.p.p., comma 1, solo in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze o i provvedimenti con efficacia definitoria di procedimenti principali ed autonomi, non invece con riferimento alla materia de libertate, disciplinata dalla disposizione di cui all’articolo 311 c.p.p..

4. Il Primo Presidente, con decreto del 13 novembre 2017, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite e ne ha disposto la trattazione all’odierna udienza camerale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale il ricorso e’ stato rimesso alle Sezioni Unite e’ sinteticamente riassumibile nei termini di seguito indicati: “Se, a seguito delle modifiche apportate dalla L. 23 giugno 2017, n. 103 agli articoli 571 e 613 c.p.p., con cui si e’ esclusa la facolta’ dell’imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione, permanga la legittimazione di questi a – proporre personalmente ricorso in materia di misure cautelari personali, ai sensi dell’articolo 311 c.p.p.”.

2. Occorre anzitutto esaminare la ratio e la finalita’ delle modifiche normative operate su alcune disposizioni del codice di rito dalla L. 23 giugno 2017, n. 103 (cd. “riforma Orlando”), la’ dove ha diversamente regolato la disciplina del ricorso per cassazione vietando all’imputato la possibilita’ di provvedere personalmente alla sottoscrizione dell’atto.

La citata Legge, articolo 1, comma 63, ha infatti modificato l’articolo 613 c.p.p., comma 1, sopprimendo l’incipit, riferibile al solo imputato, “salvo che la parte non vi provveda personalmente”.

Parallelamente, la citata Legge, articolo 1, comma 54, ha inserito, in apertura dell’articolo 571 c.p.p., comma 1, la clausola “salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall’articolo 613, comma 1”.

Le modifiche operate dal legislatore hanno inciso sul modo e sulle formalita’ dell’esercizio del diritto di difesa dinanzi alla Corte di cassazione.

L’originaria formulazione dell’articolo 613 c.p.p., comma 1, prevedeva che il ricorso per cassazione potesse essere presentato dalla parte personalmente ovvero da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.

La novella legislativa L. n. 103 del 2017 ha invece eliminato la possibilita’ per la parte di presentare il ricorso personalmente ed ha quindi stabilito che “l’atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilita’, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione”.

Invariato rimane il secondo inciso dell’articolo 613, comma 1, secondo cui sono tali difensori a rappresentare le parti davanti alla Corte.

L’interpolazione del testo dell’articolo 613 ha comportato la necessita’ di un contestuale intervento sulla collegata disposizione di cui all’articolo 571 c.p.p., comma 1, che disciplina in via generale l’impugnazione dell’imputato, attraverso l’inserimento della citata clausola di esclusione, il cui effetto e’ quello di eliminare, nel solo caso del ricorso per cassazione, la possibilita’ per l’imputato di proporre personalmente l’impugnazione.

Permane, invece, per le impugnazioni diverse dal ricorso per cassazione, la legittimazione personale dell’imputato a proporle, essendo rimasta immutata, al riguardo, l’originaria previsione dell’articolo 571 c.p.p..

L’attuale quadro normativo trova una sua oggettiva giustificazione nell’esigenza, generalmente avvertita, di assicurare un alto livello di professionalita’ nell’impostazione e nella redazione di un atto di impugnazione, il ricorso per cassazione, introduttivo di un procedimento connotato da una particolare importanza e da un elevato tecnicismo, tipico del giudizio di legittimita’, scoraggiando al contempo la diffusa prassi dei ricorsi redatti da difensori non iscritti nell’apposito albo speciale, ma formalmente sottoscritti dai propri assistiti per eludere il contenuto precettivo dell’articolo 613, comma 1.

Emerge nitidamente dalla lettura della relazione illustrativa al disegno di legge e dagli atti del dibattito parlamentare il duplice intento, da un lato, di evitare la proposizione di ricorsi in larga parte destinati alla declaratoria di inammissibilita’ per carenza dei necessari requisiti di forma e di contenuto, in ragione della obiettiva incapacita’ del ricorrente di individuare i vizi di legittimita’ del provvedimento impugnato; dall’altro lato, di garantire maggiore efficacia ed efficienza al controllo di legittimita’ ed alla funzione nomofilattica attribuita alla Corte di cassazione, riducendo il numero delle sopravvenienze destinate a, quasi certa, declaratoria di inammissibilita’ perche’ prive dei prescritti requisiti.

3. Secondo l’ordinanza di rimessione la regola della necessaria assistenza tecnica prevista dall’articolo 613 c.p.p., comma 1, deve intendersi riferita, in ragione della collocazione di tale disposizione, al ricorso per cassazione avverso le sentenze o i provvedimenti con efficacia definitoria di procedimenti principali ed autonomi.

Logico corollario di tale assunto ermeneutico e’ quello secondo cui il ricorso proposto avverso le ordinanze emesse nell’ambito del procedimento cautelare, per sua natura incidentale e strumentale ad un successivo giudizio di merito, trova la sua specifica regolamentazione nell’articolo 311 c.p.p., il cui testo e’ rimasto immutato, continuando a contemplare la facolta’ per l’imputato di sottoscrivere personalmente il ricorso, in sintonia con la regola generale di cui all’articolo 571 c.p.p., comma 1.

Nell’impostazione delineata dall’ordinanza di rimessione, quindi, si attribuisce natura di norma generale alla sola previsione dell’articolo 571 c.p.p., mentre quella contenuta nell’articolo 613 costituirebbe una deroga applicabile al solo ricorso “ordinario” per cassazione, non valevole per le residue ipotesi in cui la possibilita’ di proporre tale mezzo di impugnazione viene espressamente prevista con riferimento a subprocedimenti incidentali o del tutto autonomi rispetto a quello di merito.

Seguendo tale linea interpretativa, inoltre, non si ritiene sostenibile la tesi secondo cui il mancato adeguamento dell’articolo 311 c.p.p. alla nuova disciplina prevista per il ricorso per cassazione sia frutto di un “macroscopico difetto di coordinamento”, posto che il legislatore e’ intervenuto sul regime del ricorso per cassazione avverso le misure cautelari reali, modificando l’articolo 325 c.p.p. ed introducendo un espresso rinvio all’articolo 311 c.p.p., commi 3, 4 e 5.

Ne consegue che il legislatore ha compiuto una scelta pienamente consapevole nel non estendere alle impugnazioni cautelari il nuovo regime previsto in via ordinaria dall’articolo 613 c.p.p..

Entro tale prospettiva, la sopravvivenza della possibilita’ di ricorso personale in materia cautelare trova la sua ratio nelle peculiarita’ del relativo procedimento, che non solo incide sul diritto fondamentale della liberta’ personale, ma e’ destinato a concludersi in un arco temporale assai ristretto. L’obbligo di dotarsi di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, con i conseguenti oneri legati allo studio degli atti e alla predisposizione del ricorso, rischierebbe di determinare, dunque, un ostacolo non di poco momento all’effettivo esercizio del diritto di difesa in una materia, quella della liberta’ personale, che e’ costituzionalmente tutelata.

4. A fronte della tesi prospettata nell’ordinanza di rimessione si pone un diverso orientamento interpretativo (Sez. 6, n. 42062 del 15/09/2017, Lissandrello, cit.; Sez. 6, n. 51292 del 06/11/2017, Mihaila, non mass.), delineato con riferimento al ricorso per cassazione personalmente proposto dal destinatario di un mandato di arresto Europeo ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, articolo 22, comma 1, che consente sia alla persona interessata che al suo difensore di proporre ricorso contro i provvedimenti che decidono sulla consegna.

Richiamata la giurisprudenza formatasi nel vigore della previgente normativa, la Sesta Sezione ha osservato come l’articolo 613 c.p.p. fosse inteso come norma meramente ricognitiva della facolta’ di proposizione personale dell’impugnazione che l’articolo 571 c.p.p., comma 1, gia’ attribuiva al solo imputato.

Tale principio, infatti, era stato affermato dalla giurisprudenza al fine di escludere che parti diverse dall’imputato potessero esercitare la facolta’ di proporre personalmente l’impugnazione, proprio sul presupposto che l’articolo 571 non contemplava affatto tale possibilita’ (Sez. U, n. 19 del 21/06/2000, Adragna, Rv. 216336; Sez. U, n. 34535 del 24/09/2001, Petrantoni, Rv. 219613; Sez. U, n. 47473 del 27/09/2007, Lo Mauro, Rv. 237854).

A seguito della recente riforma legislativa, pero’, e’ integralmente mutato il rapporto fra le disposizioni di cui agli articoli 571 e 613 c.p.p., poiche’ quest’ultima, con previsione del tutto innovativa rispetto all’assetto previgente, non ha piu’ una funzione meramente ricognitiva del potere di proporre personalmente l’impugnazione, ma viene ad integrare una norma di esclusione, espressa e generalizzata, della possibilita’ di sottoscrizione personale del ricorso per cassazione da parte dell’imputato e dei soggetti a lui equiparati, cosi’ eliminando qualsiasi deroga alla regola generale che richiede la rappresentanza tecnica da parte di un difensore abilitato.

Secondo tale orientamento, dunque, il novellato articolo 613 c.p.p. deve interpretarsi come norma di carattere generale, potenzialmente applicabile a qualsivoglia ipotesi di ricorso per cassazione, con la conseguenza che devono ritenersi implicitamente abrogate tutte le disposizioni, siano esse collocate all’interno o al di fuori del codice di rito, che prevedono la facolta’ per il soggetto interessato di presentare personalmente ricorso per cassazione, poiche’ il loro contenuto e’ ormai divenuto incompatibile con il principio desumibile da siffatta lettura del combinato disposto degli articoli 571 e 613 c.p.p. (ivi comprese, quindi, le disposizioni relative ai ricorsi in materia di estradizione, di misure cautelari personali e reali, di misure di prevenzione, di esecuzione penale, di sorveglianza e via discorrendo).

Si esclude, infine, il pericolo di lesioni ai principi stabiliti dalla Costituzione ovvero dalla normativa convenzionale in tema di effettivita’ dei diritti della difesa e del contraddittorio, poiche’ la loro concreta attuazione puo’ essere diversamente modulata dal legislatore in considerazione dell’elevata complessita’ tecnica del giudizio di legittimita’, sicche’ e’ ragionevole pretendere il requisito della necessaria assistenza tecnica sin dal momento della proposizione del ricorso.

5. All’interno di tale prospettiva ermeneutica si e’ successivamente posta anche un’altra decisione di questa Corte (Sez. 5, n. 53203 del 7/11/2017, Simut, non mass.), che, muovendo dal carattere di norma generale attribuibile alla nuova disposizione di cui all’articolo 613 c.p.p., ha ritenuto l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione personalmente proposto dall’indagato in materia cautelare.

Si e’ affermato, al riguardo, che il legislatore della riforma si e’ astenuto dall’intervenire sul testo degli articoli 311 e 325 c.p.p. non gia’ “al fine di preservare un’isola di legittimazione personale dell’imputato e dell’indagato alla presentazione del ricorso in sede di legittimita’”, ma semplicemente perche’ non ha ritenuto necessario farlo in relazione alla disciplina generale del giudizio di legittimita’, le cui regole, salva la previsione di una specifica deroga, sono destinate ad operare anche con riferimento alle impugnazioni cautelari.

Analoghe argomentazioni sono state recepite, inoltre, da Sez. 1, n. 53330 del 4 ottobre 2017, Villa, non mass., che ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto personalmente dal condannato, pur se in stato di detenzione, avverso un provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza in tema di ammissione alla detenzione domiciliare, sul presupposto che le modifiche apportate agli articoli 571 e 613 c.p.p. sono applicabili in via generale, quindi anche ai procedimenti diversi da quello ordinario di cognizione.

6. La soluzione della questione sottoposta al giudizio delle Sezioni Unite non puo’ prescindere dall’assorbente rilievo preliminare della identita’ di disciplina, anche in relazione alla materia cautelare, dei casi di ricorso tipizzati dall’articolo 606 c.p.p., cosi’ come dei relativi epiloghi decisori e, prima ancora, delle cause di inammissibilita’ dell’impugnazione, laddove i profili di diversita’ attinenti alla previsione di termini piu’ ristretti per la proposizione del ricorso e la eventuale presentazione di motivi nuovi sono evidentemente giustificati da specifiche esigenze di pronta definizione dei procedimenti aventi ad oggetto lo status libertatis.

Analogamente al procedimento impugnatorio instaurato all’esito di un giudizio ordinario, la Corte puo’ pronunciarsi nel senso dell’inammissibilita’ ovvero del rigetto del ricorso in materia cautelare, procedendo invece all’annullamento, con o senza rinvio, del provvedimento impugnato, qualora il rapporto processuale appaia validamente instaurato e l’impugnazione meritevole di accoglimento.

Anche nell’ambito del ricorso per cassazione contro i provvedimenti cautelari, del resto, e’ inibito dedurre con i motivi nuovi una violazione di legge non dedotta nel ricorso originario (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259).

Le disposizioni relative ai procedimenti di cui agli articoli 311 e 325 c.p.p. soggiacciono, dunque, alla disciplina delle impugnazioni contenuta nel Libro 9 del codice di rito, sia con riferimento alle regole generali dettate nel Titolo 1, sia con riferimento alla disciplina, anch’essa di ordine generale, prevista nel successivo Titolo 3 per la proposizione del ricorso per cassazione.

Cio’ emerge anche dalla considerazione che il testo dell’articolo 311 non contiene alcuna indicazione riguardo ai motivi di ricorso (se non per restringere nel comma 2 l’ammissibilita’ del ricorso per saltum alla sola ipotesi della violazione di legge), evidentemente sul presupposto della loro necessaria riconducibilita’ a quelli tassativamente descritti nella norma generale dell’articolo 606 c.p.p., comma 1: diversamente opinando, infatti, si dovrebbe riconoscere, nella disciplina del ricorso ex articolo 311 c.p.p., la previsione di un vero e proprio gravame, ossia di una sorta di impugnazione “aperta” e non “a critica vincolata” (Sez. 5, n. 53203 del 7/11/2017, Simut, cit.).

6.1. Sotto altro profilo, ove si negasse lo stretto collegamento fra l’articolo 311 e le disposizioni relative alla disciplina del ricorso per cassazione (ivi compresa quella di cui all’articolo 613 c.p.p.), sarebbe giocoforza ritenere inapplicabile al giudizio di legittimita’ in tema di misure cautelari la restrizione del patrocinio ai soli difensori iscritti nell’albo speciale, contenuta solo nell’articolo 613 c.p.p., comma 1, in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 20538 del 10/05/2011, Priller, Rv. 250069; Sez. 1, n. 41333 del 11/07/2003, Mohamad Taher, Rv. 225750).

Ulteriore conferma della diretta applicabilita’ della disciplina generale, in quanto non espressamente derogata, puo’ trarsi dall’esclusione della partecipazione personale dell’indagato o dell’imputato ricorrente avverso la misura cautelare ex articolo 311 c.p.p..

A tal proposito, infatti, questa Corte ha affermato che nel giudizio di legittimita’ la partecipazione all’udienza di discussione del ricorso avverso le ordinanze emesse dal tribunale della liberta’ e’ consentita ai soli difensori dell’imputato, ma non a quest’ultimo, in tal modo ritenendo direttamente applicabile il disposto di cui all’articolo 614 c.p.p. (Sez. 6, n. 786 del 24/03/1990, Gakuba, Rv. 183858; nello stesso senso, in motivazione, Sez. U, n. 34535 del 24/09/2001, Petrantoni, Rv. 219613).

La prospettiva non muta ove si consideri il ricorso per cassazione proponibile avverso l’ordinanza che decide la convalida ex articolo 391 c.p.p., comma 4, la cui trattazione deve avvenire nelle forme previste dagli articoli 610 e 611 c.p.p., poiche’ l’articolo 391, nel regolare l’istituto della convalida, si limita a prevedere la possibilita’ del ricorso senza alcun richiamo alle forme da osservare, donde l’applicabilita’ della disciplina generale stabilita dalle norme succitate, e non di quella fissata dall’articolo 311 c.p.p. per le misure cautelari (Sez. 1, n. 1396 del 23/03/1994, Spangher, Rv. 197213).

Peraltro, la natura generale della disciplina prevista per il ricorso per cassazione e la sua conseguente applica bilita’ anche in relazione ad ipotesi diverse da quella dell’ordinaria impugnazione avverso le sentenze di merito sono state riconosciute nella giurisprudenza di legittimita’ formatasi con riguardo alla procedura di consegna basata sul mandato di arresto Europeo, che ha ritenuto applicabile al ricorso per cassazione previsto dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, articolo 22, la disposizione dell’articolo 609 c.p.p. che limita la cognizione della Corte di cassazione ai motivi proposti e alle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo, nonche’ a quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello (Sez. 6, n. 47071 del 4/12/2009, Lefter, Rv. 245456; Sez. 6, n. 24540 del 4/06/2015, Antov, Rv. 264171).

6.2. La stessa formulazione letterale della disposizione contenuta nell’articolo 571 c.p.p., comma 1, attribuisce valenza generale al nuovo regime normativo previsto per la proponibilita’ del ricorso per cassazione dall’articolo 613 c.p.p., comma 1, quale norma di riferimento ivi espressamente richiamata per strutturare una clausola di salvaguardia volta ad esplicitare la diversita’ di disciplina che il legislatore ha inteso rimarcare a fronte dell’immutata facolta’ dell’imputato di proporre tutti gli altri mezzi di impugnazione personalmente o servendosi di un procuratore speciale.

La clausola di esclusione fondata sul richiamo all’articolo 613 c.p.p., comma 1, letta in maniera coordinata con l’attuale previsione dell’intero articolo 571, comma 1, che vi richiama un solo mezzo di impugnazione (il ricorso per cassazione) per differenziarne le peculiarita’ di regolamentazione da tutti gli altri che l’imputato ha facolta’ di proporre, diviene, a seguito dell’interpolazione in tal modo operata dal legislatore, essa stessa norma generale, come tale applicabile a qualsivoglia ipotesi di ricorso per cassazione.

E’ infatti il principio di tassativita’, con la disposizione di cui all’articolo 568 c.p.p., comma 1, a governare la materia delle impugnazioni attraverso l’individuazione dei provvedimenti impugnabili e la determinazione dei mezzi con cui sottoporli ad impugnazione, impiegando forme la cui osservanza e’ finalizzata a garantire, a pena di inammissibilita’ nell’ipotesi prevista dall’articolo 613 c.p.p., comma 1, la corretta instaurazione del relativo procedimento.

Analoghe esigenze di tassativita’ sono state considerate dal legislatore con la previsione dettata nell’articolo 568 c.p.p., comma 2, che rende sempre assoggettabili al ricorso per cassazione, pur in difetto di un’esplicita indicazione legislativa, sia le sentenze – con le sole eccezioni di quelle che possono dar luogo ad un confitto ai sensi dell’articolo 28 c.p.p. – che i provvedimenti de libertate, quando non siano altrimenti impugnabili, cosi’ accomunando ai fini dell’accesso al giudizio di legittimita’ ben determinate tipologie di provvedimenti a contenuto decisorio, senza distinguerne, tuttavia, gli effetti in relazione ai modelli procedimentali – siano essi di natura incidentale ovvero a cognizione ordinaria che ne hanno determinato l’adozione.

L’articolo 613 c.p.p., comma 1, presenta, a seguito dell’intervento di riforma operato dal legislatore, una formulazione generale ed onnicomprensiva, incentrata sull’atto di ricorso e sulle specifiche connotazioni che lo stesso deve avere ai fini della rituale instaurazione del giudizio di legittimita’, cosi’ accentrando all’interno di un’unica previsione la disciplina delle varie ipotesi di ricorso per cassazione disseminate nell’ordinamento, senza individuare alcuno specifico provvedimento che ne possa costituire l’oggetto e senza operare alcuna distinzione fra le parti private titolari del relativo diritto di impugnazione (imputato, indagato, persona interessata, ecc.), laddove nel vigore del precedente assetto normativo si distingueva fra le stesse individuando comunemente nell’imputato il solo soggetto processuale abilitato a proporre personalmente l’impugnazione di legittimita’ (Sez. U, n. 24 del 16/12/1998, dep. 1999, Messina, Rv. 212077; Sez. U, n. 19 del 21/06/2000, Adragna, Rv. 216336; Sez. U, n. 34535 del 27/06/2001, Petrantoni, Rv. 219615).

Il riconoscimento del diritto di impugnazione dei provvedimenti cautelari all’imputato o all’indagato, pertanto, non esclude, ma presuppone anch’esso, il rispetto delle regole generali dettate per l’esercizio dello ius postulandi in sede di legittimita’ dall’articolo 613 c.p.p., comma 1.

Una diversa soluzione, del resto, rischierebbe di produrre effetti quanto meno disomogenei, ove si considerino le implicazioni sottese al possibile innesto di un procedimento cautelare personale all’interno del processo di merito, con la figura dell’imputato detenuto che, da un lato, avrebbe la facolta’ di proporre personalmente ricorso avverso i provvedimenti de libertate, dall’altro lato non potrebbe impugnare con lo stesso mezzo la decisione di condanna se non con l’ausilio di un difensore abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione, unicamente per ragioni legate alle diverse tipologie di procedimento (incidentale ovvero ordinario) che hanno determinato i rispettivi esiti decisori.

Non puo’ condividersi, in definitiva, la soluzione prospettata nell’ordinanza di rimessione, li’ dove si attribuisce natura di norma generale alla sola previsione dell’articolo 571 c.p.p., confinando l’ambito di applicazione della connessa disposizione di cui all’articolo 613 c.p.p. al solo ricorso “ordinario” per cassazione, sull’erroneo presupposto della sua pretesa inidoneita’ a disciplinare tutte le ipotesi in cui tale mezzo di impugnazione viene utilizzato con riferimento ad atti propri di procedimenti incidentali, come quello cautelare, ovvero di procedimenti di natura del tutto autonoma rispetto a quello di merito.

7. Le disposizioni contenute nel Titolo 3 del Libro 9 del codice di rito – ivi compreso, dunque, il novellato articolo 613 c.p.p. – fissano le regole generali idonee a disciplinare qualsivoglia ipotesi di ricorso per cassazione e sono applicabili, in quanto tali, non solo alle impugnazioni avverso le sentenze di merito, ma anche a tutte le diverse ed eterogenee previsioni speciali che, in relazione a specifici modelli procedimentali (siano essi di natura cautelare, esecutiva, estradizionale o di prevenzione), consentono di proporre ricorso per cassazione avverso i relativi provvedimenti.

Nel sistema e’ infatti rinvenibile una vasta platea di fattispecie per le quali il legislatore ammette il controllo di legittimita’ a seguito della proposizione di un ricorso per cassazione.

Al riguardo basti evidenziare, senza alcuna pretesa di completezza, come all’interno del codice di rito il ricorso per cassazione sia previsto, oltre che dall’articolo 607, quale mezzo di impugnazione proponibile avverso le sentenze di merito, dalle seguenti disposizioni: a) articolo 127, commi 7 ed 8 (relativamente ai provvedimenti assunti in camera di consiglio); b) articoli 311 e 325 (in materia cautelare, personale e reale); c) articolo 391, comma 4 (avverso l’ordinanza di convalida dell’arresto o del fermo); d) articolo 428, anteriormente alla modifica apportata dalla L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 40, (contro la sentenza di non luogo a procedere); e) articolo 437 (contro l’ordinanza che rigetta la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere); f) articolo 448, comma 2-bis (in tema di patteggiamento); g) articolo 464 quater, comma 7 (relativamente all’ordinanza di messa alla prova); h) articolo 666, comma 6 (contro le ordinanze del giudice dell’esecuzione); i) articolo 696 novies (introdotto dal Decreto Legislativo n. 3 ottobre 2017, n. 149, articolo 3, comma 1, lettera a), relativamente alle decisioni in tema di riconoscimento ed esecuzione di provvedimenti emessi dalle autorita’ giudiziarie di altri Stati membri dell’Unione Europea); l) articoli 706 e 719 (contro sentenze e provvedimenti cautelari in materia di estradizione); m) articolo 734, comma 3 (relativamente alle decisioni in tema di riconoscimento degli effetti delle sentenze penali straniere); n) articolo 743, comma 2 (in materia di esecuzione all’estero di sentenze penali italiane).

Analoghe considerazioni giustificano il motivo per cui il legislatore (L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 40) ha interpolato il testo dell’articolo 428 aggiungendovi il nuovo comma 3-bis, ove prende in considerazione la proponibilita’ del ricorso per cassazione dell’imputato avverso la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado di appello, senza avvertire la necessita’ di un espresso richiamo, poiche’ anche in questo caso ritenuto evidentemente superfluo, all’articolo 571 c.p.p., comma 1 e all’articolo 613 c.p.p., comma 1.

Altrettanto ampio e’ il panorama delle ipotesi di ricorso per cassazione previsto dalla legislazione speciale, poiche’, oltre alla L. n. 69 del 2005, articolo 22 in tema di mandato di arresto Europeo, il ricorso e’ previsto, ad es., in tema di: a) riconoscimento ed esecuzione di una sentenza di condanna definitiva emessa dalle autorita’ giudiziarie di uno Stato membro dell’Unione Europea (Decreto Legislativo 7 settembre 2010, n. 161, articolo 12, comma 10); b) riconoscimento dell’ordine Europeo di indagine avente ad oggetto il sequestro a fini di prova (Decreto Legislativo 21 giugno 2017, n. 108, articolo 13, comma 7); c) misure di prevenzione (Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 10, comma 3, come modificato dalla L. 17 ottobre 2017, n. 161, articolo 3, comma 1, lettera d)); d) reati di competenza del giudice di pace (Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274, articolo 37); e) reclamo in materia di ordinamento penitenziario (L. 26 giugno 1975, n. 354, articolo 35 bis, comma 4 bis, e articolo 69).

A fronte delle numerose, e fra loro assai diversificate, ipotesi di ricorso per cassazione, cui corrisponde una grande varieta’ sia dei provvedimenti avverso i quali siffatta impugnazione puo’ essere proposta, sia dei soggetti in tal senso legittimati, v’e’ un dato che tutte le accomuna: l’attribuzione della relativa potesta’ di cognizione ad un unico organo giurisdizionale, dinanzi al quale il processo segue regole costanti ed uniformi, la cui peculiarita’ dipende dalla natura stessa del giudizio di legittimita’.

E’ dunque la loro attribuzione alla Corte di cassazione, quale supremo organo di nomofilachia, ad esercitare una forza di attrazione unificante per la trattazione di tutte le ipotesi, siano esse codicistiche o extracodicistiche, di ricorso previste dall’ordinamento, imponendone, di conseguenza, l’applicazione di una disciplina omogenea ed unitaria.

Del tutto diverso e’ invece il regime valevole per le ipotesi di appello, rispetto alle quali l’organo giudiziario competente muta a seconda del tipo di procedimento, essendo la relativa sfera di cognizione attribuita al tribunale della liberta’, al tribunale ordinario ovvero, nel caso di impugnazione delle sentenze del giudice ordinario, alla corte d’appello; in tali casi, pertanto, il mezzo di impugnazione non risente della specificita’ dell’ambito di cognizione attribuito al giudice chiamato a pronunciarsi in sede di appello, trattandosi in ogni caso di giudici competenti per il merito.

8. Dalla disamina del variegato complesso delle richiamate disposizioni normative, che continuano a prevedere, nonostante l’intervenuta modifica dell’articolo 613, comma 1, cit., la possibilita’ per l’imputato o i soggetti ad esso legislativamente equiparati di proporre personalmente il ricorso per cassazione, non puo’ trarsi, tuttavia, la conseguenza che se ne fa discendere con riferimento ad un preteso effetto di tacita abrogazione determinato dalla incompatibilita’ di quelle norme con la generalizzata applicabilita’ del divieto di proposizione personale del ricorso (Sez. 6, n. 42062 del 15/09/2017, Lissandrello, cit.).

Si tratta di una conclusione che non puo’ essere condivisa, assumendo invece un rilievo decisivo, sotto tale specifico profilo, le implicazioni sottese alla tradizionale distinzione individuata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza fra la legittimazione a proporre il ricorso e le sue effettive modalita’ di proposizione, attenendo il primo concetto alla titolarita’ sostanziale del diritto all’impugnazione, il secondo al profilo dinamico del suo concreto esercizio.

La titolarita’ del diritto ad impugnare esprime, infatti, una situazione di astratta e potenziale connessione tra la qualifica soggettiva ricoperta dall’interessato e l’attivita’ processuale da porre in essere, traducendosi nell’attribuzione della legittimazione ad esercitare un atto di impulso da cui scaturisce una determinata sequenza procedimentale.

Del tutto diverso, invece, il profilo della rappresentanza tecnica, intesa come capacita’ di chiedere in giudizio (jus postulandi) ovvero come potere di sollecitare una risposta del giudice presentandogli direttamente atti, istanze e deduzioni nell’interesse delle parti: attivita’ processuale, questa, che nel giudizio di legittimita’ l’articolo 613 c.p.p., comma 1 riserva esclusivamente al difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.

E’ il difensore a rappresentare la parte e a comparire in udienza davanti al Giudice di legittimita’ (articolo 614 c.p.p., comma 2).

La parte, infatti, non puo’ esercitare questi poteri personalmente, ma soltanto per mezzo del suo difensore, ossia avvalendosi di uno strumento tecnico che puo’ operare davanti alla Corte in quanto e’ la stessa legge che gli conferisce l’esercizio di quei medesimi poteri che in astratto gia’ sono e restano della parte.

Al principio di tassativita’ dei mezzi di impugnazione (articolo 568 c.p.p., comma 3), che governa anche tali profili della materia stabilendo che la legge individua non solo quali siano i provvedimenti impugnabili, ma anche i soggetti ai quali spetta l’esercizio di tale potere, si ricollega la successiva disposizione di cui all’articolo 571, che si occupa della legittimazione ad impugnare dell’imputato e del suo difensore, attribuendo a quest’ultimo una titolarita’ autonoma e parallela rispetto a quella dell’imputato.

8.1. In relazione a tali profili di ordine sistematico la Corte si e’ pronunciata affermando, riguardo all’ammissibilita’ del ricorso per cassazione proposto dal difensore d’ufficio nell’interesse dell’imputato latitante, che quando propone l’impugnazione “il difensore esercita un potere proprio, in qualche misura autonomo dal potere d’impugnazione dell’imputato, tanto che il suo potere si aggiunge a quello del difensore eventualmente nominato dall’imputato allo specifico fine dell’impugnazione” (cosi’, in motivazione, Sez. U, n. 24486 del 10/07/2006, Lepido, Rv. 233919).

In una successiva pronuncia la Corte e’ tornata ad esaminare i rapporti tra l’impugnazione proposta dal difensore e quella avanzata personalmente dall’imputato, affermando che, in virtu’ del principio di unicita’ del diritto di impugnazione, anche nell’ipotesi in cui il difensore stesso risulti normativamente legittimato (per cosi’ dire, jure proprio) a proporre personalmente l’atto di impugnazione, e’ l’imputato che ne subisce gli effetti, continuando ad essere la parte del giudizio di impugnazione (v., in motivazione, Sez. U, n. 6026, del 31/01/2008, Huzuneanu, Rv. 238472).

Anche se proposta dal difensore, dunque, l’impugnazione – come recita la stessa rubrica dell’articolo 571 c.p.p. – continua ad essere l’impugnazione “dell’imputato”, sicche’ e’ del tutto agevole rinvenire, all’interno di tale cornice normativa, la ratio della regola in forza della quale e’ solo quest’ultimo (ex articolo 571 c.p.p., comma 4) a poter togliere effetto all’impugnazione proposta dal difensore, nei modi previsti per la rinuncia, e non viceversa.

Siffatta disposizione ha il compito di individuare i soggetti legittimati all’impugnazione, stabilendo per il solo imputato la concorrente legittimazione del suo difensore, senza spingersi a disciplinare anche le modalita’ concrete con le quali puo’ essere esercitato il diritto a proporre l’impugnazione.

8.2. Ulteriore conferma di tale impostazione ricostruttiva del sistema puo’ ricavarsi dal fatto che le modifiche apportate dalla L. n. 103 del 2017 non hanno investito in senso restrittivo la legittimazione ad impugnare dell’imputato, lasciando invariato il testo dell’articolo 607 c.p.p., che continua a prevedere la possibilita’ per quest’ultimo di ricorrere per cassazione nei confronti della sentenza di condanna o di proscioglimento, nonche’ contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le spese processuali.

Cio’ sta a significare che l’imputato mantiene la titolarita’ del diritto di ricorrere in cassazione in via del tutto autonoma rispetto al proprio difensore, pur essendo solo quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 613, comma 1, cit., il soggetto legittimato alla proposizione dell’atto di impugnazione.

Nell’assetto normativo delineatosi a seguito della novella legislativa n. 103 del 2017 l’articolo 607 c.p.p. continua a svolgere la specifica funzione di delimitare non tanto l’ambito soggettivo del mezzo di impugnazione, quanto quello oggettivo, con la conseguente individuazione dei provvedimenti suscettibili di ricorso per cassazione da parte dell’imputato.

Completamente diversa, invece, deve ritenersi la funzione attribuita dal legislatore all’articolo 613 c.p.p., che non disciplina affatto la legittimazione all’impugnazione, ma unicamente le forme e le modalita’ soggettive di proposizione del ricorso, imponendo la sottoscrizione dell’atto introduttivo, delle memorie e dei motivi nuovi da parte di un difensore iscritto nell’apposito albo speciale della Corte.

Da tale esito ricostruttivo del sistema discendono due fondamentali conseguenze: a) per un verso, l’articolo 571 c.p.p. esclude espressamente, attraverso il formale richiamo all’articolo 613 c.p.p., che l’imputato possa proporre personalmente il ricorso per cassazione; b) per altro verso, e’ quest’ultima norma a disciplinare le modalita’ ed i requisiti soggettivi per la redazione e la sottoscrizione del ricorso, ferma restando l’autonoma legittimazione alla proposizione dell’impugnazione da parte del difensore, che continua a trovare la propria fonte nell’articolo 571 c.p.p., comma 3.

Valorizzando il tradizionale canone dogmatico incentrato sulla esigenza di mantenere una precisa linea di distinzione tra il profilo della legittimazione all’impugnazione e quello attinente alle concrete modalita’ di esercizio di tale diritto, deve pertanto ritenersi che la modifica dell’articolo 613 c.p.p. non ha determinato la tacita abrogazione di tutte le previsioni normative che contemplano il ricorso per cassazione dell’imputato, dovendo tali disposizioni essere correttamente inquadrate quali specifiche fonti di attribuzione della mera legittimazione soggettiva all’impugnazione.

Il principio della rappresentanza tecnica nel giudizio di legittimita’ opera, in definitiva, con riferimento a tutte le ipotesi, codicistiche ed extra-codicistiche, di ricorso per cassazione proponibile dall’imputato o da altri soggetti processuali ad esso equiparati.

Entro tale prospettiva ermeneutica, del resto, si e’ mossa questa Corte allorquando ha dovuto pronunciarsi sugli aspetti relativi all’ammissibilita’ del ricorso in cassazione proposto dall’avvocato iscritto nell’albo speciale, nominato quale sostituto dal difensore dell’imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista, fornendo indicazioni rilevanti anche ai fini che qui interessano.

Al riguardo, infatti, le Sezioni unite hanno distinto i profili della legittimazione ad impugnare, riconosciuta in capo al difensore dell’imputato, e delle modalita’ di esercizio della stessa, ritenendo ammissibile il ricorso in cassazione proposto da avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell’imputato non abilitato (Sez. U, n. 40517 del 28/04/2016, Taysir, Rv. 267627).

Il fondamento di tale esito interpretativo e’ stato individuato nel fatto che il difensore dell’imputato e’ titolare, in proprio, di un autonomo diritto di impugnazione che non puo’ personalmente esercitare se non iscritto nell’albo speciale; tuttavia la sussistenza in capo al difensore di un autonomo diritto di impugnazione rende ammissibile il ricorso per cassazione proposto da un avvocato iscritto nell’albo speciale, nominato quale sostituto dal difensore di ufficio dell’imputato non cassazionista, in applicazione delle regole stabilite dall’articolo 102 c.p.p., commi 1 e 2.

8.3. Non vi sono plausibili ragioni, sia di ordine strutturale che funzionale, per ritenere che il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto (articolo 625-bis c.p.p.) debba essere escluso dall’ambito di applicazione del nuovo requisito soggettivo di legittimazione imposto, in via generale, dall’articolo 613 c.p.p., comma 1, per la proposizione del ricorso in cassazione.

Il carattere di impugnazione straordinaria, indissolubilmente legato alla potenziale rimozione dello stigma di inoppugnabilita’ dei provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione (v., in motivazione, Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile), presuppone sempre e comunque l’esperibilita’ del mezzo attraverso la forma vincolata di un atto di ricorso avente ad oggetto la richiesta di correzione di un errore, materiale o di fatto, entro un termine perentorio tassativamente stabilito dalla legge (centottanta giorni dal deposito) proprio a tutela della certezza e definitivita’ delle situazioni giuridiche soggettive accertate per effetto di un giudicato di condanna.

Le ragioni che hanno determinato il legislatore ad accrescere le garanzie di un razionale ed equilibrato esercizio della funzione di nomofilachia riservata alla Corte di cassazione mediante la selezione delle capacita’ tecniche dei soggetti legittimati alla proposizione dell’atto di ricorso (articolo 613, comma 1, cit.) devono ritenersi quindi sussistenti anche con riferimento all’istituto del ricorso straordinario.

Siffatte ragioni, anzi, trovano nella eccezionalita’ di tale mezzo di impugnazione un’ancor piu’ forte giustificazione legata alla naturale difficolta’, per una persona sfornita di specifiche cognizioni tecniche, di distinguere con precisione gli stretti confini che delimitano l’oggetto dei motivi per i quali esso puo’ essere proposto (mera divergenza tra la volonta’ del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica nel provvedimento; dimensione meramente percettiva dell’errore di fatto causato da un equivoco o da una svista in cui la Corte sia incorsa, con l’irrilevanza di qualsiasi implicazione valutativa dei fatti sui quali la Corte e’ chiamata a pronunciare), da quelli invece legati a supposti errori di giudizio e di interpretazione, ovvero ad errori, pur percettivi, e a travisamenti del fatto nei quali sia incorso il giudizio di merito, che sono del tutto estranei all’ambito di applicazione dell’istituto e che, semmai, avrebbero dovuto esser fatti valere con le forme e nei limiti propri delle impugnazioni ordinarie (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280).

Con le modifiche apportate all’articolo 625-bis c.p.p., comma 3, il legislatore (L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 68) ha inteso ridurre, al contempo, il rischio che un abusivo utilizzo di tale mezzo straordinario di impugnazione ne stravolga la naturale funzione di valvola di chiusura del sistema, prevedendo, con una semplificazione chiaramente ispirata all’esigenza di ridurre l’inutile spreco di tempi e costi delle attivita’ processuali, che la stessa Corte di cassazione, “d’ufficio, in ogni momento e senza formalita’”, rilevi a tutela del condannato la presenza di un errore materiale, ovvero provveda direttamente alla correzione, senza dover attendere la sollecitazione delle parti e con esiti identici a quelli derivanti dall’accoglimento della loro eventuale iniziativa, entro il termine di novanta giorni dalla deliberazione, qualora si tratti di un errore di fatto.

Cio’, a maggior ragione, ove si consideri che l’area dei provvedimenti suscettibili di impugnazione con il ricorso straordinario e’ stata di recente estesa dal legislatore (interpolando l’articolo 610 c.p.p. con l’aggiunta di un nuovo comma 5-bis, inseritovi dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 62) anche alle sentenze con le quali la Corte, senza formalita’ di procedura, dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e contro una sentenza (cd. “concordato in appello”) pronunciata a norma dell’articolo 599-bis c.p.p..

Questa Corte (Sez. U, n. 32744 del 27 luglio 2015, Zangari, Rv. 264048) si e’ occupata della problematica relativa alla legittimazione a proporre il ricorso straordinario, ponendo in rilievo l’autonomia del profilo attinente alla legittimazione ad impugnare, che e’ riferibile al solo soggetto “condannato” quale strumento eccezionale di tutela da possibili errori di fatto contenuti in una decisione di legittimita’ a lui comunque sfavorevole, rispetto alle concrete modalita’ di proposizione di un ricorso le cui peculiarita’ precludono l’applicabilita’ del disposto dell’articolo 571 c.p.p., comma 3, in quanto espressamente riferito al “difensore dell’imputato” e non al “difensore del condannato”.

Muovendo da tali premesse la Corte ha quindi affermato che e’ inammissibile, per difetto di legittimazione soggettiva, ossia di rappresentanza, il ricorso straordinario per la correzione di un errore di fatto proposto dal difensore del condannato che non sia munito di procura speciale ex articolo 122 c.p.p. per la proposizione dell’impugnazione straordinaria.

All’esigenza riconnessa al compimento di tale specifico atto – che si rende necessario solo nel caso in cui venga dedotto un mero errore materiale (Sez. 4, n. 7660 del 17/11/2005, dep. 2006, Pero, Rv. 233395) – ed e’ volto a formalizzare il conferimento della rappresentanza del titolare della legittimazione sostanziale in vista del compimento di un determinato e particolare atto processuale, ossia di un ricorso avente ad oggetto la richiesta “rescindente” di cui all’articolo 625-bis c.p.p., il legislatore ha pertanto affiancato l’ulteriore garanzia di effettivita’ della difesa contemplata in via generale dall’articolo 613 c.p.p., comma 1 e articolo 571 c.p.p., comma 1, ai fini dell’esercizio del relativo ius postulandi esclusivamente attraverso il patrocinio di un difensore le cui capacita’ tecniche risultino selezionate in virtu’ della sua iscrizione nell’albo speciale della Corte di cassazione.

8.4. Estranei all’ambito di applicazione della nuova disciplina risultante dal combinato disposto dell’articolo 571 c.p.p., comma 1 e articolo 613 c.p.p., comma 1, devono ritenersi, di contro, quei casi (ad es., il procedimento incidentale originato da una richiesta di rimessione avanzata dall’imputato ai sensi dell’articolo 45 c.p.p.) in cui la Corte di cassazione sia investita di una particolare competenza non demandatale per effetto di un ricorso.

9. Sotto altro ma connesso profilo deve escludersi, contrariamente a quanto ipotizzato nell’ordinanza di rimessione, che l’abolizione del ricorso personale dell’imputato ponga problemi di compatibilita’ con i principi stabiliti dagli articoli 13 e 24 Cost. e articolo 111 Cost., comma 7, ovvero con le previsioni dell’articolo 6, par. 3, lettera b) e c), della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui stabilisce, fra l’altro, che ogni accusato ha il diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa, nonche’ di difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta.

9.1. La necessita’ del ricorso alla rappresentanza tecnica per l’esercizio del diritto di impugnazione in cassazione costituisce, proprio in ragione delle peculiari connotazioni del giudizio di legittimita’, un’esigenza da tempo riconosciuta nella giurisprudenza della Corte costituzionale.

Gia’ sotto l’imperio del previgente codice di rito il giudice delle leggi, nel dichiarare l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 529 c.p.p., limitatamente alla parte in cui non disponeva che l’incarico per la sottoscrizione dei motivi di ricorso al difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione potesse essere conferito anche “con lettera raccomandata diretta allo stesso cancelliere”, aveva evidenziato le peculiarita’ del giudizio di legittimita’ e come le stesse fossero “piu’ che sufficienti a giustificare l’esigenza di una maggiore qualificazione culturale del difensore, attesa la delicatezza dei problemi giuridici che vanno discussi in quella sede” (Corte cost., sent. n. 588 del 12 maggio 1988).

Nella medesima prospettiva, inoltre, la Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 188 del 1980 ha osservato che alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo il cui articolo 6, n. 3, lettera c) prevede la possibilita’ di autodifesa – non puo’ attribuirsi il significato della necessarieta’ della difesa personale in ogni stato e grado. In tale occasione il giudice delle leggi ha affermato che “la Commissione stessa ha avuto occasione di affermare che il diritto all’autodifesa non e’ assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali e che nei giudizi dinanzi ai Tribunali Superiori, nulla si oppone ad una diversa disciplina purche’ emanata allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia”.

Il carattere “costituzionalmente imposto” del controllo di legalita’ dell’operato dei giudici di merito mediante il ricorso in cassazione (Corte cost., sent. n. 395 del 13 luglio 2000) non preclude, tuttavia, la discrezionalita’ del legislatore ordinario nella possibilita’ di conformare razionalmente l’esercizio di tale garanzia e di rinvenire soluzioni, quali la esclusione della legittimazione personale alla impugnazione in sede di legittimita’, volte a garantire un migliore funzionamento della Corte di cassazione ed un piu’ agevole esercizio delle funzioni di nomofilachia alla stessa attribuite.

9.2. Analogo orientamento emerge dalla elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU, secondo cui la partecipazione e la difesa personale dell’imputato, pur costituendo principi informatori del processo penale, consentono una diversa graduazione a seconda della fase processuale. Si e’ affermato, pertanto, che la CEDU, pur se riconosce – nell’articolo 6, par. 3, lettera c) – ad ogni imputato il diritto di “difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore” non precisa le condizioni di esercizio di tale diritto, lasciando agli Stati contraenti la scelta dei mezzi atti a permettere al loro sistema giudiziario di garantirlo (Corte EDU, Sez. 3, 27/4/2006, Sannino c. Italia § 48; Corte EDU, Sez. 5, 21/09/1993, Kremzow c. Austria; Corte EDU, 24/05/1991, § 52 Quaranta c. Svizzera, § 29).

La Corte EDU, pertanto, non ritiene, indefettibile il diritto alla autodifesa, ne’, tanto meno, la presentazione personale del ricorso innanzi alle giurisdizioni superiori, atteso che tale garanzia ben puo’ essere soddisfatta anche mediante la previsione della sola difesa tecnica.

9.3. Nella medesima prospettiva si e’ mossa questa Corte, che, intervenendo in tema di divieto dell’autodifesa anche nei confronti di soggetto professionalmente abilitato all’esercizio della stessa, ha in piu’ occasioni ribadito che il sistema processuale penale non consente l’autodifesa per una scelta discrezionale di politica giudiziaria: scelta che, in quanto finalizzata a favorire l’effettivita’ del diritto di difesa presidiato dall’articolo 24 Cost., non puo’ certamente ritenersi priva di coerenza (Sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, Querci, Rv. 256085; Sez. 1, n. 7786 del 29/01/2008, Stara, Rv. 239237).

La ragione di tali affermazioni riposa sul convincimento che l’esercizio del fondamentale diritto di difesa – per il cui utile disimpegno in ambito penale non e’ sufficiente uno standard minimo di cognizioni tecniche – non possa essere affidato all’imputato, neppure nel caso in cui questi rivesta la qualita’ di avvocato, per evitare che lo svolgimento delle delicate funzioni difensive possa essere in alcun modo inquinato o condizionato dall’inevitabile coinvolgimento emotivo. Ne’ il divieto dell’autodifesa nel processo penale si pone in contrasto con la previsione dell’articolo 6 CEDU, in quanto il diritto all’autodifesa non e’ assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia.

Al riguardo, inoltre, questa Corte ha affermato che, nel sistema del diritto processuale penale italiano, il legislatore ha delineato un modello di esercizio del diritto di difesa (e, conseguentemente, anche del diritto alla impugnazione) differenziato in relazione alle varie fasi e tipologie di processo (Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006, Passamani, non mass.; Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, Rv. 257072).

Alla richiamata esigenza di modulazione del diritto di difesa si ricollega l’affermazione del principio secondo cui “in tema di ricorso per cassazione e’ sempre necessaria la rappresentanza tecnica da parte di difensore abilitato, anche se ricorrente e’ un avvocato cassazionista, dovendosi escludere l’autodifesa tecnica e la difesa personale dell’interessato” (Sez. 2, n. 2724 del 18/01/2013, Cappa, Rv. 255083). E il principio della rappresentanza tecnica e’ pienamente compatibile con il diritto di ogni accusato di difendersi da se’, cosi’ come riconosciuto dall’articolo 6, par. 2, lettera c), CEDU, poiche’ tale norma convenzionale implica, solo nel giudizio di merito sull’accusa e non anche nel giudizio di legittimita’, l’obbligo di assicurare il diritto dell’accusato di contribuire con il difensore tecnico alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione delle relative conseguenze giuridiche.

La stessa partecipazione personale dell’imputato deve considerarsi un diritto costituzionalmente tutelato solo in quei procedimenti in cui viene trattato il merito dell’accusa penale, mentre in altri modelli procedimentali il diritto di difesa e quello al contraddittorio ben possono essere garantiti attraverso la rappresentanza dei difensori (Sez. 6, n. 22113 del 06/05/2013, Berlusconi, Rv. 255374).

L’istituzione dell’albo speciale, con riserva ai soli iscritti della facolta’ di difendere davanti alle giurisdizioni superiori, trova una sua oggettiva giustificazione proprio nell’esigenza di assicurare un alto livello di professionalita’, adeguato all’importanza e alle difficolta’ del giudizio di legittimita’ (Sez. 1, n. 1650 del 14/03/1996, Cappellazzo, Rv. 204598).

9.4. L’effettivita’ del diritto di difesa, quindi, non richiede necessariamente che le medesime modalita’ di esercizio e le correlative facolta’ siano uniformemente assicurate in ogni grado del giudizio, poiche’ tale diritto puo’ conformarsi secondo schemi normativi diversi a seconda delle caratteristiche proprie della fase di giudizio nella quale deve essere esercitato.

Ne discende che al legislatore va riconosciuta ampia discrezionalita’ nel graduare diversamente le forme e le modalita’ mediante le quali la difesa tecnica e personale viene garantita all’imputato.

La previsione dell’articolo 613 c.p.p., comma 1, proprio in ragione delle approfondite conoscenze giuridiche e dell’elevato livello di qualificazione professionale che postula l’esercizio del diritto di difesa innanzi alla Corte di cassazione, non costituisce affatto una irragionevole espressione della discrezionalita’ legislativa (Sez. 6, n. 42062 del 13/09/2017, Lissandrello, in motivazione), specie in un sistema che ammette il gratuito patrocinio a spese dello Stato (ex Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio del 2002, n. 115, articolo 74 ss.).

Ne’ puo’ ritenersi che l’esclusione della legittimazione dell’imputato a sottoscrivere personalmente il ricorso per cassazione frapponga limitazioni del pieno esercizio del diritto di impugnazione in materia cautelare, in quanto la novellata disciplina dell’articolo 613 c.p.p., comma 1, incide, come si e’ visto, sul diritto alla autodifesa dell’imputato, non gia’ sulla titolarita’ del diritto al controllo di legittimita’ della decisione di merito – che permane immutata – mentre il diritto di impugnazione puo’ essere sempre esercitato – in tempi rapidi, ma ragionevolmente compatibili con l’esercizio del diritto di difesa – mediante l’ausilio tecnico di un difensore particolarmente qualificato ed appositamente legittimato.

10. In conclusione, la questione posta dall’ordinanza di rimessione va risolta enunciando il seguente principio di diritto: “Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non puo’ essere personalmente proposto dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilita’, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione”.

11. Alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, assume rilievo preliminare ed assorbente la considerazione del fatto che il ricorso e’ stato personalmente sottoscritto dall’imputato e da lui presentato in data 31 agosto 2017 ai Carabinieri che procedevano al controllo sull’osservanza delle prescrizioni relative alla misura cautelare degli arresti domiciliari, dunque a seguito dell’entrata in vigore, avvenuta il 3 agosto 2017, delle modifiche apportate dalla L. 23 giugno 2017, n. 103.

Nel caso in esame, inoltre, sebbene il provvedimento impugnato sia stato adottato il 25 luglio 2017, e depositato nella Cancelleria del Tribunale il 27 luglio 2017, ossia in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della L. n. 103 del 2017, esso risulta essere stato notificato all’imputato in data 21 agosto 2017, nel pieno vigore della nuova normativa processuale, con la conseguenza che l’esercizio del suo diritto di impugnazione ai sensi dell’articolo 311 c.p.p., comma 1, avrebbe dovuto necessariamente essere conformato ad essa.

Ne discende la inammissibilita’ del ricorso ai sensi dell’articolo 571 c.p.p., comma 1 e articolo 613 c.p.p., comma 1, in quanto non sottoscritto da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.

12. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le conseguenziali statuizioni indicate nel dispositivo.

Non deve essere pronunciata, peraltro, la condanna del ricorrente al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, avuto riguardo alle statuizioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che, per l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale insorto a seguito dell’entrata in vigore di una legge di modifica di risalenti disposizioni normative, non sono ravvisabili ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.