Corte CostituzionaleOrdinanza 12 gennaio 2018, n. 3
la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Bari deve quindi essere dichiarata manifestamente infondata per la disomogeneità del tertium comparationis, individuato erroneamente dal giudice rimettente nel delitto previsto dall’art. 609-bis cod. pen., attenuato per la minore gravità del caso.
Integrale
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-quater, secondo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Bari sull’istanza proposta da L. I., con ordinanza del 15 giugno 2016, iscritta al n. 194 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2017 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che, con ordinanza del 15 giugno 2016 (r.o. n. 194 del 2016), il Tribunale di sorveglianza di Bari ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-quater, secondo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui «non equipara al delitto previsto dall’art. 609 bis del codice penale, attenuato ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, quello di cui all’art. 609 quinquies cp, ritenuto dal giudice di sorveglianza, alla luce della pena inflitta dal giudice della cognizione, di minore gravità»;
che il giudice a quo premette di essere stato investito delle richieste di applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale o di «detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 ter, comma uno lettera c) o comma uno bis, L. 354.1975» e, inoltre, di «differimento dell’esecuzione della pena per gravi motivi di salute, ai sensi dell’art. 147, primo comma, numero due, cp», presentate le prime il 22 aprile 2013 e l’ultima il 6 novembre 2014, da una persona condannata alla pena di sei mesi di reclusione, per un delitto di corruzione di minorenne commesso il 10 ottobre 2004;
che secondo il Tribunale rimettente il condannato, in base agli atti del fascicolo, risulta affetto da «disturbo ansioso generalizzato, depressione nevrotica, disturbi di personalità non specificati, ritardo mentale moderato», costituenti infermità psichiche che non consentirebbero il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 147, primo comma, numero 2), cod. pen., come non lo consentirebbe la dedotta condizione di obesità;
che, in considerazione del fatto che l’ultimo reato commesso dal condannato risale al 2007, della durata modesta della pena, dell’assenza di procedimenti penali pendenti presso la Procura della Repubblica di Foggia, della presa in carico del condannato da parte della famiglia e del parere favorevole espresso dall’assistente sociale, «nulla osterebbe» all’applicazione di una misura alternativa al carcere, eventualmente con la previsione dell’obbligo di frequentare con costanza il Centro di salute mentale territorialmente competente, al fine di avviare un «percorso di osservazione e terapeutico»;
che l’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge n. 354 del 1975 consentirebbe l’applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare sanitaria nei confronti delle persone condannate per il delitto di cui all’art. 609-quinquies cod. pen., solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui all’art. 80, quarto comma, della stessa legge;
che la detenzione domiciliare generica non potrebbe essere applicata in quanto il delitto di corruzione di minorenne rientrerebbe «nell’elencazione di cui all’art. 4 bis L. 354.1975»;
che non vi sarebbe la possibilità di superare la condizione prevista dall’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge n. 354 del 1975;
che per il delitto di violenza sessuale attenuata a norma dell’ultimo comma dell’art. 609-bis cod. pen. il legislatore però non richiede la preventiva osservazione scientifica della personalità;
che nel caso in esame, a prescindere dalla valutazione in concreto di quale reato sia più offensivo, la pena di sei mesi di reclusione inflitta per la corruzione di minorenne sarebbe di gran lunga inferiore a quella minima applicabile per la violenza sessuale attenuata «(anni uno mesi otto, partendo da anni cinque e con la riduzione massima di due terzi)»;
che, considerati i limiti edittali fissati dal legislatore, il fatto di cui si tratta sarebbe di gran lunga meno allarmante e pericoloso di una violenza sessuale attenuata per la «minore gravità», ma solo per il primo sarebbe necessaria l’osservazione collegiale della personalità per almeno un anno;
che la disposizione censurata sarebbe «illogica ed irrazionale, perché non tiene conto della circostanza che anche altre ipotesi delittuose tra quelle di cui all’art. 4 bis, comma uno quater, primo periodo, L. 354.1975, possono essere considerate dal giudice di sorveglianza, sulla base della pena inflitta dal giudice della cognizione, di minore gravità»;
che «proprio dall’art. 4 bis, comma uno quater, primo periodo, L. 354.1975, che accomuna l’art. 609 bis cp ad altri delitti a sfondo sessuale, tra i quali, appunto, quello di cui all’art. 609 bis [recte: 609-quinquies] cp», si desumerebbe che si tratti «di situazioni assai simili fra loro, dunque perfettamente comparabili»;
che il delitto di violenza sessuale attenuata non solo non richiederebbe la preventiva osservazione scientifica della personalità di durata almeno annuale, ma non sarebbe nemmeno ostativo all’applicazione della detenzione domiciliare generica, non rientrando nell’elencazione di cui all’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975;
che l’art. 4-bis, comma 1-quater, secondo periodo, della legge n. 354 del 1975 sarebbe dunque costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non equipara al delitto di violenza sessuale attenuata quello di corruzione di minorenne, nell’ipotesi in cui, tenendo conto della pena inflitta dal giudice della cognizione, questo delitto possa essere ritenuto dal tribunale di sorveglianza di minore gravità;
che in punto di rilevanza il giudice a quo sottolinea che il divieto di cui all’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge n. 354 del 1975 non sarebbe superabile in via interpretativa, perché farebbe espresso ed inequivoco riferimento all’art. 609-quinquies cod. pen., senza alcuna eccezione;
che, inoltre, tale divieto non sarebbe superabile neanche attraverso l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalle pronunce della Corte di cassazione e della Corte costituzionale relative alla situazione del condannato che abbia già raggiunto un livello rieducativo adeguato al beneficio richiesto;
che la rimozione del divieto censurato permetterebbe di valutare nel merito le domande presentate, compresa quella di detenzione domiciliare generica, e di verificare quale sia in concreto il miglior percorso rieducativo possibile, tenendo conto che dagli atti del procedimento emerge la possibilità di disporre una misura alternativa alla detenzione;
che non inciderebbe sulla rilevanza della questione l’art. 4-bis, comma 1-quinquies, della legge n. 354 del 1975, in quanto tale comma non porrebbe un limite invalicabile alla decisione nel merito dell’istanza, ma si limiterebbe ad invitare il giudice di sorveglianza a valutare, tra l’altro, anche la partecipazione del condannato al programma di riabilitazione specifica di cui all’art. 13-bis della stessa legge, ai fini della concessione dei benefici di cui al precedente art. 4-bis, comma 1;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata;
che l’Avvocatura dello Stato ha rilevato che la questione sollevata dal giudice a quo ripropone una questione già sollevata con l’ordinanza del 23 dicembre 2014 nel corso dello stesso procedimento e dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 18 del 2016, perché il tribunale aveva prospettato due questioni «alternative, senza porle in un rapporto di subordinazione»;
che la questione sarebbe inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza, non avendo il rimettente dimostrato, con argomenti nuovi ed attuali, come una eventuale pronuncia di illegittimità della norma censurata potrebbe incidere concretamente sulle vicende oggetto del giudizio principale;
che infatti dall’ordinanza di rimessione risulterebbe che la sentenza era divenuta irrevocabile il 22 febbraio 2013, mentre le istanze per la concessione delle misure alternative erano state «presentate tra il 22.04.2013 ed il 14.05.2013» e quella relativa al differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica era stata formulata il 6 novembre 2014;
che perciò la questione risulterebbe priva di rilevanza, perché la norma censurata non sarebbe più applicabile al caso di specie;
che la questione sarebbe comunque non fondata, in quanto il giudice a quo censura il trattamento penitenziario riservato ai condannati per il delitto previsto dall’art. 609-quinquies cod. pen., che costituisce frutto di una valutazione discrezionale del legislatore e come tale sindacabile soltanto ove trasmodi nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio;
che inoltre la fattispecie dell’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen., strutturalmente diversa da quella dell’art. 609-quinquies cod. pen., sarebbe inidonea a fungere da parametro di riferimento ai sensi dell’art. 3 Cost.
Considerato che, con ordinanza del 15 giugno 2016 (r.o. n. 194 del 2016), il Tribunale di sorveglianza di Bari ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-quater, secondo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui «non equipara al delitto previsto dall’art. 609 bis del codice penale, attenuato ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, quello di cui all’art. 609 quinquies cp, ritenuto dal giudice di sorveglianza, alla luce della pena inflitta dal giudice della cognizione, di minore gravità»;
che l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione;
che il giudice rimettente avrebbe riproposto una questione già sollevata con l’ordinanza del 23 dicembre 2014, nel corso dello stesso giudizio, questione che questa Corte aveva dichiarato inammissibile, con ordinanza n. 18 del 2016, perché prospettata, insieme con un’altra, in modo alternativo, senza porre le due questioni in un rapporto di subordinazione;
che il giudice rimettente non avrebbe dimostrato, «con argomenti nuovi e attuali» come un’eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale della norma censurata potrebbe incidere concretamente sulle vicende oggetto del giudizio principale, tenuto conto del fatto che la sentenza di condanna e le istanze di concessione di misure alternative risalivano al 2013, mentre la richiesta di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica era stata presentata nel 2014;
che quindi la questione sarebbe priva di rilevanza perché la norma censurata non sarebbe più applicabile al caso di specie;
che l’eccezione di inammissibilità non è fondata;
che il giudice rimettente ha riproposto una sola delle due questioni che erano state dichiarate inammissibili perché enunciate in modo alternativo e deve ancora pronunciarsi sulle richieste che erano state originariamente formulate dal condannato nell’udienza del 6 novembre 2014;
che la decisione su queste richieste dipende dall’applicazione della norma sospettata di illegittimità costituzionale;
che pertanto non sussiste il difetto di rilevanza dedotto dall’Avvocatura generale dello Stato;
che la questione, pur ammissibile, è manifestamente infondata;
che la prospettata equiparazione del reato previsto dall’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. a quello previsto dall’art. 609-quinquies cod. pen., quando questo sia ritenuto di minore gravità, è incongrua;
che, infatti, diversamente dal reato previsto dall’art. 609-bis, quello previsto dall’art. 609-quinquies si riferisce a un soggetto passivo «minore di anni quattordici»;
che la violenza sessuale «nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici» è prevista dall’art. 609-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., il quale, in ragione dell’età, configura una circostanza aggravante;
che dunque il confronto tra la corruzione di minorenne e la violenza sessuale avrebbe dovuto essere fatto con l’ipotesi di violenza aggravata ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen., anziché con quella dell’art. 609-bis cod. pen., alla quale, quando è attenuata per la minore gravità, si riferisce l’ultimo periodo dell’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge n. 354 del 1975;
che nell’ipotesi di violenza aggravata ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen. non è esclusa la necessità dell’osservazione scientifica della personalità per almeno un anno;
che infatti la Corte di cassazione, con giurisprudenza costante, ritiene che per le persone condannate per il delitto previsto dagli artt. 609-bis e 609-ter cod. pen. l’osservazione scientifica della personalità è necessaria anche quando alla persona è stata riconosciuta l’attenuante prevista dall’art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen. (sezione prima, 11 novembre 2010, n. 42309; sezione prima, 3 giugno 2010, n. 30497; sezione prima, 13 maggio 2010, n. 20896);
che, ancor più dell’ipotesi dell’art. 609-ter cod. pen., potrebbe essere messa a confronto con la corruzione di minorenne quella dell’art. 609-quater cod. pen., che punisce gli atti sessuali con minorenne, atti compiuti senza violenza o minaccia e al di fuori delle altre ipotesi previste dall’art. 609-bis;
che anche nel caso di atti sessuali con minorenne di minore gravità (art. 609-quater, quarto comma, cod. pen.) non è esclusa dall’art. 4-bis, comma 1-quater, della legge n. 354 del 1975 la necessità dell’osservazione scientifica della personalità per almeno un anno;
che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Bari deve quindi essere dichiarata manifestamente infondata per la disomogeneità del tertium comparationis, individuato erroneamente dal giudice rimettente nel delitto previsto dall’art. 609-bis cod. pen., attenuato per la minore gravità del caso.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1-quater, secondo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Bari, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere