Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 2 maggio 2018, n. 10408
in tema di prestazioni professionali, la parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine, sulla base della quale il professionista abbia ottenuto il decreto ingiuntivo contro il cliente, se e’ vincolante per il giudice nella fase monitoria, non lo e’ nel giudizio di opposizione, poiche’ il parere attesta la conformita’ della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova, in caso di contestazione del debitore, la effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, ne’ e’ vincolante per il giudice della cognizione in ordine alla liquidazione degli onorari. Ne consegue che la presunzione di veridicita’ da cui e’ assistita la parcella riconosciuta conforme alla tariffa non esclude ne’ inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore – ed attore in senso sostanziale – sia quanto alle prestazioni effettivamente eseguite che quanto alla misura degli importi richiesti.
Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 2 maggio 2018, n. 10408
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1036/2017 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 461/2016 del TRIBUNALE di PIACENZA, depositata il 11/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/11/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.
RITENUTO IN FATTO
1 n Tribunale di Piacenza con sentenza 11.10.2016, accogliendo l’appello proposto dal creditore avvocato (OMISSIS), contro la sentenza n. 166/2011 del Giudice di Pace di Fiorenzuola d’Arda, ha rigettato l’opposizione proposta da (OMISSIS) contro un decreto ingiuntivo per l’importo 1.692,41 a titolo di compensi professionali.
Per quanto ancora qui interessa, il Tribunale, rilevata l’insussistenza delle condizioni di cui all’articolo 113 c.p.c., per la decisione secondo equita’, ha osservato che la sentenza impugnata non consentiva di ricostruire l’iter logico argomentativo seguito dal giudice di pace nella riquantificazione degli onorari professionali; ha altresi’ osservato che nel merito era stata fornita la prova del diritto di credito azionato in sede monitoria, ritenendo che le doglianze in ordine alla esorbitanza dei compensi non coglievano nel segno, perche’ esse, non risolvendosi in efficaci contestazioni, non erano idonee a vincere la presunzione di conformita’ al tariffario vigente data dall’Ordine degli Avvocati. Sulla base di tali rilievi, il giudice di appello ha quindi ritenuto il credito del legale pienamente accertato e provato.
2 La sentenza e’ stata impugnata dalla (OMISSIS) con ricorso per cassazione sulla base di due motivi, a cui resiste con controricorso l’avvocato (OMISSIS).
3 Il relatore ha proposto il rigetto del primo motivo di ricorso per manifesta infondatezza e l’accoglimento del secondo per manifesta fondatezza e le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 Con il primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 113 e 339 c.p.c., per errata valutazione del principio del deciso secondo equita’: a dire della ricorrente il Tribunale avrebbe dovuto rilevare l’inappellabilita’ della sentenza del Giudice di Pace, non risultando la sussistenza di alcuno dei casi previsti dall’articolo 339 c.p.c., (violazione delle norme del procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie ovvero principi regolatori della materia). Altra ragione di inappellabilita’ sta nel fatto – sostiene la ricorrente – che la somma contestata ammontava a Euro 692,41, essendosi dichiarata disponibile in sede di opposizione, a versare transattivamente la somma di Euro 1.000,00.
Il motivo e’ manifestamente infondato.
Come piu’ volte affermato da questa Corte al fine di verificare se la sentenza resa dal giudice di pace sia suscettibile di appello occorre far riferimento esclusivamente alla “domanda” come formulata nell’atto introduttivo del giudizio, senza che assuma alcun rilievo la riduzione del petitum eventualmente operata dall’attore in sede di precisazione delle conclusioni, in quanto il momento determinante ai fini della individuazione della competenza e’ quello della proposizione della domanda.
Ancora, per verificare se la domanda sia, o meno, nei limiti fissati dall’articolo 113 c.p.c., perche’ la sentenza debba ritenersi emessa secondo equita’, devono utilizzarsi le regole dettate dal codice di rito per la determinazione del valore della causa (tra le varie, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11739 del 05/06/2015 Rv. 635479; Sez. 3, Sentenza n. 9432 del 11/06/2012 Rv. 622846; v. altresi’ Cass., 12 luglio 2005, n. 14586; cfr. Cass. 15 giugno 2004, n. 11258; Sez. 2, Sentenza n. 4890 del 01/03/2007 Rv. 596947).
Nel caso di specie il valore della controversia, determinato in ragione della domanda ai sensi dell’articolo 10 c.p.c., era di Euro 1.692,41, (importo corrispondente alla somma domandata dal professionista in sede monitoria) e quindi, a prescindere dalla violazione o meno dei principi regolatori della materia, la causa risultava decisa secondo diritto stante il superamento del limite della giurisdizione equitativa del giudice di pace e quindi la sentenza era sicuramente appellabile.
Ne’ contrasta con tale conclusione la pronuncia n. 13387/2011 che la ricorrente richiama (fuori luogo), posto nel caso ivi esaminato il valore della causa, necessario per stabilire il regime impugnatorio applicabile, era stato considerato proprio con riferimento “all’importo richiesto con decreto ingiuntivo e dall’importo oggetto del decreto ingiuntivo opposto” (pari, in quel caso, a vecchie Lire 700.000) e quindi, del tutto coerentemente in quell’occasione la Corte era pervenuta alla cassazione senza rinvio e, decidendo nel merito, alla dichiarazione di inammissibilita’ dell’appello.
2 Col secondo motivo si deduce la violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare per la mancata valutazione dei fatti e degli elementi istruttori in violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., e articolo 111 Cost..
Con la censura in esame si critica sostanzialmente il passaggio con cui il giudice di appello ritiene che sia onere del cliente contestare efficacemente l’ammontare del compenso determinato in sede monitoria dimostrandone l’esorbitanza; si rileva inoltre che l’avvocato (OMISSIS) non aveva minimamente dimostrato la fondatezza e l’entita’ del proprio credito, contravvenendo ad una delle norme cardine del giudizio civile in ordine all’onere della prova; si ricorda che in tal caso deve essere il professionista a dimostrare la congruita’ tra l’attivita’ stragiudiziale espletata e la somma richiesta a titolo di onorari, non essendo sufficiente a colmare tale lacuna probatoria il riferimento al giudizio di congruita’ del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, trattandosi di un formale controllo di corrispondenza tra le voci indicate nella parcella e nella tariffa di categoria. Di conseguenza – prosegue la ricorrente essendo stata contestata l’entita’ della attivita’ svolta e l’ammontare del compenso, spettava al professionista di provare puntualmente l’attivita’ svolta, come espressamente rilevato dal giudice di pace. La ricorrente richiama poi le risultanze probatorie a sostegno della infondatezza della avversa pretesa.
Anche questa censura e’ manifestamente fondata.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, il principio in base la quale l’opposizione al decreto ingiuntivo apre un normale giudizio di cognizione in cui il ricorrente assuma la veste sostanziale di attore e l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, non soffre deroga nel caso di ingiunzione emessa per il pagamento di diritti e onorari di avvocato e procuratore sulla base di parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine professionale, con la conseguenza che anche in tale ipotesi di fronte a contestazioni dell’opponente, sia pure generiche, incombe sul professionista l’obbligo di dimostrare l’effettivita’ delle prestazioni elencate nella parcella, affinche’ il giudice possa liquidare i relativi compensi secondo tariffa (v. tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 13181 del 14/12/1992 Rv. 480007).
E’ stato altresi’ precisato che, in tema di prestazioni professionali, la parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine, sulla base della quale il professionista abbia ottenuto il decreto ingiuntivo contro il cliente, se e’ vincolante per il giudice nella fase monitoria, non lo e’ nel giudizio di opposizione, poiche’ il parere attesta la conformita’ della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova, in caso di contestazione del debitore, la effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, ne’ e’ vincolante per il giudice della cognizione in ordine alla liquidazione degli onorari. Ne consegue che la presunzione di veridicita’ da cui e’ assistita la parcella riconosciuta conforme alla tariffa non esclude ne’ inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore – ed attore in senso sostanziale – sia quanto alle prestazioni effettivamente eseguite che quanto alla misura degli importi richiesti (Sez. 2, Sentenza n. 5321 del 04/04/2003 Rv. 561888; Sez. 2, Sentenza n. 14556 del 30/07/2004 Rv. 575116).
Nel caso di specie, pero’, gia’ il primo giudice aveva accertato lo svolgimento di una attivita’ professionale da parte del professionista indicando le specifiche attivita’ poste in essere nell’interesse della cliente (v. pagg. 3 e 4 della sentenza) e il giudice di appello, a sua volta, ha rilevato che e’ stata “fornita piena prova” del diritto di credito azionato.
La mancata proposizione di un appello incidentale del cliente esonerava quindi il Tribunale dal compiere ulteriori verifiche sulla prova del conferimento dell’incarico e sulle attivita’ espletate in concreto dal professionista nell’interesse della cliente. La valutazione del giudice di merito sull’assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’avvocato, dunque, esiste e non puo’ mettersi in discussione in questa sede, non essendo consentita la rivalutazione di elementi istruttori in sede di legittimita’ (v. al riguardo Cassazione Sezioni Unite n. 8053/2014 sulla individuazione del vizio di omesso esame).
Il giudizio di congruita’ della pretesa economica azionata dal professionista rientra nell’esercizio del potere discrezionale del Tribunale e quindi la diversa determinazione del quantum non e’ qui sindacabile, non essendo dedotte violazioni di limiti tariffari e non essendo piu’ censurabile il vizio di motivazione.
Il ricorso va dunque respinto con addebito di spese alla parte soccombente e considerato che il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ stato dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.