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si ritiene, infatti, che debba escludersi che la previsione di un piano di ammortamento con rata costante e rimborso graduale del capitale implichi l’applicazione di interessi anatocistici, giacché gli interessi sul capitale in un dato periodo non si sommano al capitale: al contrario, gli interessi di periodo sono calcolati sul solo capitale residuo e alla scadenza della rata non vengono capitalizzati, ma sono pagati in quota interessi con la rata di rimborso del mutuo.
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Tribunale Roma, Sezione 12 civile Sentenza 14 settembre 2018, n. 17355
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE DODICESIMA CIVILE
in persona del giudice Laura Centofanti ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 61355 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014, trattenuta in decisione sulle conclusioni formulate all’udienza del 10 maggio 2018
TRA
(…), nata a R., il (…), rappresentata e difesa dagli Avv. An.Ci., Ca.Ma. e Lu.Ma., elettivamente domiciliata presso lo studio di questi ultimi in Roma, Piazza (…);
– attrice –
E
(…) società cooperativa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. An.De., elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo, in Roma, Viale (…);
– convenuta –
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione, ritualmente notificato, (…) conveniva in giudizio la società Cooperativa (…) dinanzi al Tribunale di Roma, per sentir “Nel merito: accertare e dichiarare la nullità ed inefficacia delle clausole del contratto di mutuo rep. N. 24271 del 14/10/2005 che stabiliscono la corresponsione di interessi a tasso usurario e, di conseguenza, accertare e dichiarare la gratuità del contratto ora detto ex art. 1815 c.c.; rideterminare il dare e avere tra le parti in costanza del rapporto dedotto in narrativa; condannare la banca convenuta a restituire alla parte attrice tutte le somme puntualmente corrisposte in eccesso da queste ultime, nella misura indicata nella perizia, o nella diversa misura che sarà determinata in corso di causa, previa, all’occorrenza, compensazione legale o giudiziale tra quanto eventualmente dovuto alle parti attrici dalla banca; condannare la Banca a risarcire i danni patrimoniali da essa subiti a seguito delle somme addebitate illecitamente alla stessa da parte della banca convenuta, nella misura che sarà provata in corso di causa o liquidata in via equitativa dal Giudice; accertare e dichiarare la liberazione della datrice di ipoteca sig.ra (…) per un’obbligazione futura secondo quanto disposto dall’art. 1956 c.c. … In ogni caso, con vittoria di spese…”.
Premetteva l’attrice di avere sottoscritto con la (…) (attualmente (…)), con atto pubblico del 14 ottobre 2005, il contratto di mutuo ipotecario a tasso variabile, per il valore nozionale di Euro 600.000 e che a garanzia della restituzione del finanziamento era stata iscritta ipoteca sull’immobile di sua proprietà, sito in R., Loc. M, L. G. L. P. n. 25.
Sosteneva che nel corso del rapporto il tasso di interesse applicato dalla banca avesse subito plurime variazioni e che lo stesso avesse superato il limite legale previsto dalla normativa anti – usura, circostanza quest’ultima appurata all’esito di un’indagine economico contabile commissionata ad esperto del settore.
Chiedeva, pertanto, che fosse accertata la nullità delle clausole contrattuali con le quali era stata pattuita la misura degli interessi e conseguentemente, in applicazione del disposto dell’art. 1815 secondo comma c.c., fosse dichiarata la gratuità del mutuo.
Chiedeva, altresì, che accertato il suo diritto di ripetere le somme già corrisposte in eccesso nei confronti dell’Istituto di credito, fosse disposta compensazione tra il suo debito residuo nei confronti della Banca e il debito restitutorio di quest’ultima nei suoi confronti.
Infine, formulava domanda risarcitoria, chiedendo l’integrale ristoro del pregiudizio subito in conseguenza della condotta illecita perpetrata dall’Istituto di credito nei suoi confronti.
Si costituiva la parte convenuta, negando che al momento della stipulazione del contratto fosse stata convenuta la corresponsione da parte della mutuataria nei confronti della Banca di interessi da computarsi secondo tassi superiori alle soglie stabilite dalla normativa anti – usura e concludendo nei seguenti termini: “… respingere la domanda siccome generica, infondata in fatto e in diritto, non provata. Vinte le spese di giudizio”.
Nel corso del giudizio era esperito il tentativo obbligatorio di mediazione, ex art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010. Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c., l’attrice deduceva ulteriormente l’invalidità della clausola di salvaguardia convenuta in contratto, l’effetto anatocistico derivato dalla predisposizione di piano di ammortamento del mutuo secondo il criterio c.d. “alla francese”; l’inefficacia e la nullità delle clausole vessatorie abusive ed ingannevoli convenute nel contratto.
Integrava, pertanto, le conclusioni nei termini che seguono: “Nel merito: accertare e dichiarare la nullità ed inefficacia delle condizioni generali del contratto di mutuo per i motivi esposti in narrativa; accertare e dichiarare l’anatocismo praticato sia nel periodo di ammortamento determinato dall’applicazione della c.d. “formula alla francese” sia sugli interessi prodotti dalla rata scaduta in violazione dell’art. 1283 c.c.; accertare e dichiarare la nullità ed inefficacia delle condizioni generali di contratto di mutuo per violazione degli artt. 1283, 1284, 1418 comma 2, 1322, 1346, 2697, e 1815 c.c.; accertare e dichiarare la vessatorietà delle clausole contrattuali che hanno determinato un effettivo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di mutuo per i motivi esposti in narrativa; accertare e dichiarare l’applicazione da parte dell’Istituto di credito di tassi di interesse usurari superando i limiti imposti dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 incorrendo nell’usura oggettiva come indicato nelle perizie e dimostrato in narrativa; …accertare l’illegittimità della risoluzione del contratto di mutuo ipotecario e per l’effetto: condannare la banca convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse oltre agli interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla costituzione in mora, oltre spese di CTP salva la maggiore o minore somma accertata in corso di causa, previa eccezione di compensazione tra quanto illegittimamente corrisposto alla banca convenuta e l’eventuale maggior somma; …condannare la banca convenuta ex art. 96 c.p.c. qualora risultando soccombente nel presente giudizio appaia evidente che, non accettando di risolvere la controversia in mediazione, abbia resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. Condannare il convenuto al pagamento delle spese del giudizio di cui ci si dichiara antistatari”.
Con la memoria depositata ai sensi dell’art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c., anche la parte convenuta integrava le proprie conclusioni nei seguenti termini: “In via del tutto subordinata e salvo gravame voglia il Tribunale ricondurre nei limiti del tasso soglia gli interessi di mora ed, in estremo grado, sancire la nullità della sola clausola che riguarda gli interessi di mora, ferma restando la liceità e la validità degli interessi corrispettivi, statuendo di conseguenza sulla domanda dell’attrice. Vinte le spese di giudizio”.
Il giudizio era istruito mediante acquisizione dei documenti prodotti dalle parti; queste ultime precisavano le conclusioni all’udienza del 10 maggio 2018, nella quale la causa era trattenuta in decisione e depositavano le comparse conclusionali e le memorie di replica nei termini assegnati.
Le domande formulate dalla parte attrice nei confronti della convenuta sono infondate e non meritano, pertanto, accoglimento.
Nell’atto introduttivo del giudizio la parte attrice si è limitata a dedurre del tutto genericamente la presunta usurarietà de tassi di interesse convenuti nel contratto di mutuo intercorso con la convenuta, senza neppure allegare la misura di essi, né la misura del tasso soglia, in ipotesi superato.
Tale lacuna assertiva non sarebbe stata neppure superabile – quand’anche ciò fosse stato ritenuto ammissibile – mediante l’esame dell’elaborato tecnico menzionato in citazione, redatto da esperto del settore incaricato dalla parte, essendo stato prodotto in allegato alla citazione soltanto per estratto, non contenente alcuna specificazione dei dati sopra indicati.
Soltanto all’udienza di trattazione la parte attrice ha prodotto copia integrale dell’elaborato tecnico menzionato: dall’esame di esso, è dato desumere che l’attrice ha assunto l’usurarietà dei tassi convenuti considerando la somma dei tassi rispettivamente previsti per il computo degli interessi corrispettivi e per gli interessi moratori e confrontando tale ammontare con il tasso soglia individuato nella misura del 5,73%.
Pur prescindendo da ogni valutazione circa l’erroneità del metodo utilizzato dalla parte attrice al fine di operare la verifica del rispetto della soglia usuraria, in quanto implicante la sommatoria del tasso previsto per gli interessi moratori e per quelli corrispettivi, giacché il confronto avrebbe dovuto essere operato distintamente per ciascuna categoria di interessi, data la diversa natura e funzione degli stessi e atteso che essi sono computati su basi di calcolo differenti (il tasso corrispettivo si applica, infatti, al capitale residuo al fine di determinare la quota di interessi della rata di ammortamento, mentre il tasso di mora si calcola sulla singola rata, nel caso in cui questa non sia pagata alla scadenza), va rilevato che, nel caso di specie, difetta comunque del tutto la prova della misura del tasso soglia vigente al momento della stipulazione del contratto di mutuo.
La parte attrice ha infatti indicato un dato divergente da quello indicato dalla convenuta, non assolvendo all’onere di fornire prova della misura del tasso vigente, mediante produzione in atti il decreto ministeriale con il quale essa era stata statuita nel periodo di riferimento.
Si richiama sul punto l’orientamento della Corte di legittimità secondo il quale “In tema di tasso di riferimento degli interessi, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di decreti ministeriali determinativi del suddetto tasso, allorché essi non risultino acquisiti agli atti del giudizio di merito, in quanto – fermo restando che la loro produzione non può avvenire per la prima volta nel giudizio di legittimità, in forza del divieto di cui al primo comma dell’art. 372 cod. proc. civ. – la loro natura di atti amministrativi rende inapplicabile il principio “jura novit curia”, di cui all’art. 113 cod. proc. civ., che va coordinato con l’art. 1 delle disp. prel. al cod. civ., il quale non comprende detti atti nelle fonti del diritto” (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 8742 del 26/06/2001).
Ne deriva che non possa neppure essere valutata nel merito la doglianza dell’attrice in ordine alla usurarietà dei tassi, non essendo possibile pervenire all’accertamento del dato di riferimento presupposto per l’effettuazione del confronto.
Resta, quindi, assorbita la questione della validità della clausola di salvaguardia convenuta in contratto.
Quanto alle ulteriori allegazioni dell’attrice circa la presunta invalidità delle clausole contrattuali convenute con l’Istituto di credito, esposte soltanto nella memoria 183 co. 6 n. 1 c.p.c., sulle quali la parte ha fondato la proposizione di domande nuove, la parte convenuta ha eccepito la tardività di esse, sul presupposto che l’attrice avesse la facoltà di precisare le domande già svolte non già di ampliare il thema decidendum estendendolo a profili non dedotti in precedenza.
Per quanto le domande proposte nella memoria 183 co. 6 n. 1 c.p.c. fossero indubbiamente tardive in rito, le doglianze dell’attrice debbono comunque essere esaminate nel merito, avendo ad oggetto questioni di nullità del contratto, per loro natura rilevabili anche d’ufficio.
In ordine al presunto effetto anatocistico che sarebbe derivato nel computo degli interessi nel contratto di mutuo dalla previsione di un piano di ammortamento del finanziamento secondo il metodo cd. “alla francese”, si ritiene lo stesso infondato, dato che l’anatocismo si configura quando siano computati interessi sugli interessi scaduti e considerato che nessuna capitalizzazione di interessi si verifica nell’ipotesi in questione.
In conformità all’orientamento prevalente della giurisprudenza di merito, si ritiene, infatti, che debba escludersi che la previsione di un piano di ammortamento con rata costante e rimborso graduale del capitale implichi l’applicazione di interessi anatocistici, giacché gli interessi sul capitale in un dato periodo non si sommano al capitale: al contrario, gli interessi di periodo sono calcolati sul solo capitale residuo e alla scadenza della rata non vengono capitalizzati, ma sono pagati in quota interessi con la rata di rimborso del mutuo.
Né può ritenersi illegittima (in quanto determinante un effetto anatocistico vietato dall’ordinamento) la pattuizione contrattuale secondo la quale gli interessi moratori dovessero computarsi sull’intera rata scaduta comprensiva della quota di interessi: l’art. 3 della Delib. CICR del 9 febbraio 2000 (efficace dal 22.4.2000) e dettata in attuazione del testo dell’art. 120 TUB, vigente al momento di conclusione del contratto, in relazione ai finanziamenti con piano di rimborso rateale, stabiliva che “nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore, l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.
Del resto anche il testo dell’art. 120 TUB, nella versione attualmente vigente, prevede l’applicabilità degli interessi di mora non solo sulla sorte capitale ma anche sugli interessi maturati divenuti esigibili.
Infine, non può neppure essere esaminata nel merito, la dedotta invalidità delle clausole che “hanno determinato un effettivo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” tra le parti, data l’assoluta genericità della doglianza neppure riferita a singole clausole del contratto oggetto di causa, bensì evocata in relazione al contenuto tipico “di numerosi contratti bancari”.
Per tali ragioni le domande proposte dalla parte attrice debbono essere respinte.
In ragione della soccombenza, l’attrice è condannata al pagamento delle spese del procedimento in favore della parte convenuta; queste ultime si liquidano complessivamente in Euro 6.500 per compensi professionali (Euro 2.000 per la fase di studio, Euro 1.500 per la fase introduttiva, Euro 1.000 per la fase istruttoria, Euro 2.000 per la fase decisoria), oltre spese forfetarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così decide:
– respinge le domande proposte dalla parte attrice;
– condanna la parte attrice al pagamento nei confronti della convenuta delle spese del procedimento, che liquida in complessivi Euro 6.500 per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma il 10 settembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 14 settembre 2018.