l’elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è costituito dalla subordinazione, intesa, come innanzi detto, quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento alle direttive dallo stesso impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa; mentre, è stato pure precisato, altri elementi – come l’assenza del rischio economico, il luogo della prestazione, la forma della retribuzione e la stessa collaborazione – possono avere solo valore indicativo e non determinante, costituendo quegli elementi, ex se, solo fattori che, seppur rilevanti nella ricostruzione del rapporto, possono in astratto conciliarsi sia con l’una che con l’altra qualificazione del rapporto stesso.
Tribunale Milano, Sezione Lavoro civile Sentenza 10 settembre 2018, n. 1853
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE LAVORO
in persona del giudice dr.ssa Giulia Dossi, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa n. 6719 R.G.L. 2017, promossa da
Mo.Ad.
con i procc. domm. avv.ti To.Di. e Mi.Ma., via (…), Milano,
– ricorrente –
contro
Fo. s.r.l.
con i procc. domm. avv.ti Fr.Ta. e Fe.Pa., piazza (…), Milano,
– convenuta –
Oggetto: accertamento di rapporto di lavoro subordinato; differenze retributive; licenziamento
MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO E IN DIRITTO
Con ricorso al Tribunale di Milano, quale giudice del lavoro, depositato in cancelleria il 26 giugno 2017, Mo.Ad., premesso:
– di avere stipulato in data 20 settembre 2016 un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a tempo indeterminato con Fo. s.r.l., con il quale gli era stato conferito, a decorrere dal 23 settembre 2016, l’incarico di addetto alle consegne a domicilio basate sulla piattaforma on line per smartphone, ideata dalla convenuta per consentire lo scambio di beni attraverso una rete di operatori;
– che, indipendentemente dal contenuto del contratto, egli aveva lavorato senza soluzione di continuità dal 30 settembre 2016 al 12 gennaio 2017 (quando era rimasto vittima di un infortunio sul lavoro che lo aveva costretto ad assentarsi fino al 28 marzo 2017), svolgendo mansioni di fattorino per la consegna di pasti pronti ed altri beni di consumo;
– di avere osservato per l’intero periodo un orario di lavoro a tempo pieno, rimanendo a disposizione del datore di lavoro per otto ore al giorno – in fasce orarie variabili comunicate periodicamente – per sette giorni alla settimana;
– di avere effettuato i servizi di presa e/o consegna – assegnatigli tramite app sullo smartphone o personalmente dai referenti aziendali Fa.Ma. e Ma.Pi. – utilizzando la propria automobile, nonché un contenitore termico per i cibi e un caricabatteria portatile messi a disposizione dal datore di lavoro;
– di avere osservato gli ordini e le direttive, in merito al lavoro da svolgere e alle consegne da effettuare per ogni fascia oraria giornaliera, impartiti dalla convenuta tramite comunicazioni che transitavano per lo più via app e talora venivano riferite direttamente dai signori Ma. e Pi.;
– di essere tenuto a comunicare a questi ultimi eventuali assenze o ritardi o mancata disponibilità nelle fasce orarie di servizio, fornendo altresì idonee giustificazioni;
– che a Ma. e Pi. doveva rivolgersi anche per fruire di permessi e ferie, peraltro mai richiesti, né goduti;
– di avere percepito la retribuzione oraria concordata di Euro 7,35 lordi, che veniva maggiorata nei giorni festivi e poteva essere incrementata nei casi in cui il ricorrente eseguisse due o più consegne in un’ora;
– che la società era receduta dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa con lettera datata 21 dicembre 2016 e con decorrenza dal 31 dicembre 2016;
– che contestualmente al recesso il datore di lavoro gli aveva sottoposto per la sottoscrizione un contratto di collaborazione occasionale ex art. 2222 c.c., che, tuttavia, non era stato firmato dalle parti;
– di avere comunque continuato a lavorare per la convenuta, con le medesime modalità del periodo precedente, sino al 12 gennaio 2017, quando era rimasto vittima di un infortunio sul lavoro;
– che, infatti, quel giorno alle ore 21.00, mentre si trovava alla guida dell’auto per effettuare una consegna, era stato tamponato da un altro veicolo;
– di avere riportato, in conseguenza dell’infortunio, un trauma distorsivo al rachide cervicale;
– di avere denunciato l’infortunio all’INAIL;
– che l’INAIL aveva certificato l’inabilità temporanea, con prognosi sino al 28 marzo 2017;
– di avere chiesto al datore di lavoro, tramite email in data 28 marzo 2017, la riattivazione dell’account al fine di riprendere l’attività lavorativa;
– di non avere ottenuto alcun riscontro dalla convenuta;
– che durante l’assenza per infortunio si era informato presso la convenuta sulle modalità di rientro in servizio e che Ma.Pi. gli aveva risposto che non avrebbe più potuto lavorare poiché aveva creato problemi con l’INAIL, in tal modo di fatto licenziandolo verbalmente;
ciò premesso, ha rassegnato le seguenti conclusioni: accertare e dichiarare la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con orario di lavoro full time di 40 ore settimanali (o con il diverso orario accertato in corso di causa) dal 23 settembre 2016 al 28 marzo 2017 o per il diverso periodo accertato in corso di causa; accertare e dichiarare il diritto del ricorrente ad essere inquadrato, alle dipendenze di Fo. S.r.l., dal 23 settembre 2016 al 28 marzo 2017 (o per il diverso periodo accertato in corso di causa), nel 6 livello CCNL Terziario o in un diverso livello anche di diverso contratto collettivo; condannare Fo. S.r.l. a corrispondere al ricorrente l’importo di Euro 6.082,35 (o il diverso importo ritenuto di giustizia) a titolo di differenze retributive e istituti contrattuali (tredicesima, quattordicesima, ferie e TFR) maturati dal 23 settembre 2016 al 28 marzo 2017; accertare e dichiarare l’inefficacia del licenziamento intimato oralmente dalla società convenuta al ricorrente con decorrenza dal 28 marzo 2017 e, per l’effetto, condannare la convenuta, ai sensi dell’art. 2 D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23, a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno sofferto, mediante pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, determinata nell’importo lordo corrispondente al netto di Euro 1.271,55 mensili ( Euro 7,35 x 173) dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione o nel diverso importo mensile ritenuto di giustizia, in ogni caso in misura non inferiore a cinque mensilità.
Il tutto con interessi e rivalutazione monetaria e con vittoria di spese e competenze di causa, da distrarsi a favore del procuratore antistatario.
Costituendosi ritualmente in giudizio, Fo. S.r.l. ha chiesto, in via preliminare, di dare atto della decadenza del ricorrente dall’impugnazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa e, per l’effetto, di rigettare le domande proposte per il periodo dal 23 settembre al 31 dicembre 2016, coperto da tale contratto; in via principale ha chiesto di rigettare integralmente il ricorso avversario, in quanto infondato in fatto e in diritto; in via subordinata, per l’ipotesi di accoglimento delle domande
avversarie, di determinare eventuali differenze retributive e/o la retribuzione mensile di riferimento ai fini risarcitori con esclusivo riferimento ai minimi tariffari del CCNL ex art. 36 della Costituzione e di detrarre dalle spettanze eventualmente dovute, tanto per la diversa qualificazione del rapporto di lavoro quanto per il licenziamento, gli importi percepiti dal ricorrente, successivamente al 12 gennaio 2017, per lo svolgimento di attività lavorativa di qualunque genere, ovvero quanto il ricorrente avrebbero potuto percepire in virtù di altra attività lavorativa nella misura accertata in corso di causa e/o ritenuta di giustizia.
Con vittoria di spese e competenze di causa.
Preliminarmente va respinta l’eccezione di decadenza formulata da Fo. S.r.l. in relazione alle domande attinenti al periodo dal 23 settembre al 31 dicembre 2016, fondata sull’omessa impugnazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa nei termini di cui all’art. 32, comma 3, lett. b) legge 4 novembre 2010 n. 183.
La norma invocata estende il meccanismo impugnatorio delineato dall’art. 6 legge 15 luglio 1966 n. 604 (come modificato dall’art. 32, comma 1, legge 4 novembre 2010 n. 183) “al recesso del committente nei rapporto di collaborazione coordinata e continuativa anche nella modalità a progetto”.
La decadenza opera unicamente con riguardo all’impugnazione del recesso e non concerne ulteriori e diverse domande relative al rapporto, quali, in ipotesi, domande di riqualificazione giuridica o di differenze retributive.
Nel caso di specie, l’odierno ricorrente non ha svolto alcuna domanda avverso il recesso di Fo. S.r.l. dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa, comunicato con lettera in data 21 dicembre 2016 (allegata sub doc. 7 fascicolo ricorrente).
Le domande proposte in relazione al periodo dal 23 settembre 2016 al 31 dicembre hanno ad oggetto esclusivamente la riqualificazione giuridica del rapporto (da autonomo a subordinato) e il riconoscimento delle correlative differenze retributive.
Alla luce di quanto precedentemente esposto, in relazione a tali domande non opera la decadenza di cui all’art. 32, comma 3, lett. b) legge 4 novembre 2010 n. 183, con conseguente rigetto della relativa eccezione.
Tanto premesso, nel merito le domande svolte da Mo.Ad. non possono trovare accoglimento.
La ricostruzione dei fatti, quale emerge dalla disamina della documentazione in atti e dalle risultanze dell’istruttoria orale, non consente di ritenere provata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato.
Le parti hanno sottoscritto il 20 settembre 2016 un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, attraverso il quale Mo.Ad. ha manifestato la propria disponibilità a fornire a Fo. S.r.l. collaborazione per “la consegna di beni oggetto dell’interazione” attraverso “una piattaforma online (applicazione) su smartphone, per consentire lo scambio di beni, non solo alimentari tra soggetti diversi attraverso una rete di operatori” (cfr. contratto allegato sub doc. 3 fascicolo ricorrente).
Nel contratto si stabilisce che il collaboratore provvederà a svolgere le suddette prestazioni con le seguenti modalità:
“- senza alcun obbligo di reperibilità e senza alcun obbligo di prestazione minima giornaliera, settimanale o annuale, il collaboratore, nella più ampia autonomia ed ogniqualvolta lo vorrà, si collegherà all’applicazione di cui sopra per segnalare la sua disponibilità ad effettuare un servizio;
– l’applicazione, all’occorrenza, invierà la richiesta di un servizio di ricezione e consegna che il collaboratore, a sua discrezione, valuterà se accettare alle condizioni proposte;
– l’applicazione non invierà la domanda del servizio ad un singolo operatore ma a tutti quelli che hanno dichiarato, attraverso l’applicazione, la loro disponibilità e che sono al momento nelle condizioni di completare il servizio specificato dall’applicazione;
– il collaboratore, dopo avere esplicitato la disponibilità ad eseguire il servizio, se assegnatogli, si adopererà per completare l’attività indicata dall’applicazione”.
Attraverso l’istruttoria testimoniale è stato ricostruito il modello di organizzazione dell’attività di consegna a domicilio tramite piattaforma, adottato dalla convenuta nel periodo oggetto di domanda, con particolare riguardo alle modalità di esecuzione della prestazione da parte dei fattorini – detti anche driver o glover – che effettuano il servizio in bicicletta, in motorino o in automobile.
Dalle testimonianze assunte è emerso in modo univoco che ad ogni fattorino veniva fornito dalla società un applicativo (c.d. app) da installare nello smartphone.
Attraverso tale applicativo il fattorino poteva indicare in un calendario predisposto dall’azienda i giorni e le ore in cui si rendeva disponibile a prestare attività lavorativa.
Il calendario era accessibile inizialmente una volta alla settimana e successivamente ogni tre giorni e con la stessa cadenza il fattorino poteva prenotare le fasce orarie (c.d. slot) di suo interesse.
La decisione se lavorare, in quali giorni, per quante ore e in quali fasce orarie era rimessa in via esclusiva al fattorino, che poteva anche non prenotare alcuno slot, né doveva garantire un numero minimo di ore di lavoro giornaliero o settimanale.
Neppure la società era tenuta ad assicurare al fattorino un numero minimo di ore di lavoro: nel calendario, consultabile attraverso la app e in cui il fattorino poteva inserire le proprie disponibilità, comparivano, infatti, solo gli slot preventivamente selezionati dalla convenuta.
Le circostanze suindicate sono state concordemente riferite dai testi Ah.Sh. ed altri (che lavorarono come fattorini per la convenuta rispettivamente dall’inizio del 2016 a febbraio 2017, da maggio 2016 a novembre 2017 e da novembre 2016 ad aprile/maggio 2017) e Ma.Pi. (dipendente di Fo. s.r.l. da marzo 2016 con funzioni di responsabile dell’ufficio di Milano).
Entro un determinato lasso temporale – indicato dal teste Ah.Sh. come coincidente con il giorno dell’inserimento e dal teste Se.Ro. nelle 48 ore successive – il fattorino poteva modificare o revocare liberamente le disponibilità inserite nel calendario.
Superato questo periodo era ancora possibile effettuare modifiche; tuttavia, secondo quanto riferito dai testi Ah.Sh. e Ib.Sh., in questo caso “veniva abbassata la fedeltà; questo significava che diminuiva nel calendario la possibilità di scegliere le ore in cui lavorare” (così in particolare il teste Ah.Sh.).
Durante la fascia oraria per la quale aveva dato la propria disponibilità a lavorare, il fattorino doveva recarsi nell’area di copertura del servizio (che i testi Ah.Sh., Se.Ro. e Ib.Sh. hanno indicato come coincidente con l’area della città di Milano interna alla circonvallazione delimitata dalla linea del bus 90-91) e accedere alla piattaforma tramite app.
La app consentiva di visualizzare gli ordini di consegna, selezionarli ed accettarli; vi era anche una funzionalità di ricezione e accettazione automatica, che il fattorino poteva scegliere di attivare.
Egli non era obbligato a selezionare ed eseguire un numero minimo di consegne (cfr. sul punto in particolare la testimonianza di Se.Ro.: “nell’applicazione si poteva scegliere se ricevere automaticamente gli ordini o selezionarli dalla lista; quando si sceglieva di ricevere l’ordine automaticamente, questo veniva anche accettato automaticamente. Questa scelta si poteva fare di giorno in giorno e anche cambiare all’interno dello stesso turno. Potevo anche non selezionare nessun ordine per un intero turno (…) Non dovevo effettuare un numero minimo di ordini per turno”).
In caso di accettazione di un ordine di consegna, il fattorino “deve eseguirlo subito. Se cambia idea e non vuole eseguirlo deve scrivere alla chat di supporto chiedendo di riassegnarlo” (cfr. testimonianza di Ma.Pi.).
Il rifiuto o la mancata selezione di ordini di consegna, così come la richiesta di riassegnazione di un ordine o il mancato collegamento alla piattaforma durante le fasce orarie per le quali aveva manifestato la propria disponibilità, concorrevano a determinare l'”abbassamento della fedeltà”, da cui discendeva la restrizione, per il fattorino, delle possibilità di prenotare in futuro gli slot secondo le proprie preferenze.
Ciò emerge in particolare dalle deposizioni dei testi Ah.Sh. e Ib.Sh..
Anche il teste Se.Ro. (che pure ha dichiarato di non sapere “se ci fossero meccanismi di “abbassamento della fedeltà” in conseguenza dei quali il driver vedesse diminuito il numero di ore in cui poter lavorare e la possibilità di scegliere le fasce orarie”) ha confermato che ad ogni fattorino era assegnato un punteggio che esprimeva il livello di gradimento dello stesso, salvo imputare l’assegnazione di tale punteggio alla valutazione espressa dai clienti (“sull’applicazione risultava un punteggio relativo al driver; il punteggio dipendeva dalla valutazione del cliente”).
Il teste Ma.Pi., a sua volta, ha riferito: “il sistema assegna un punteggio a ciascun glover; non so esattamente come funzioni il meccanismo; non so se il punteggio dipenda solo dalle valutazioni dei clienti o anche dal fatto che il glover non si presenti nell’area di consegna, non accetti gli ordini, non li selezioni etc.”.
Così ricostruite le modalità di esecuzione della prestazione, può ritenersi accertato che anche il ricorrente abbia operato secondo le modalità descritte, considerato che esse erano applicate in modo generalizzato a tutti i fattorini e che i testi Ah.Sh. e Ib.Sh. le hanno espressamente riferite anche al ricorrente (cfr. testimonianza di Ah.Sh.: “il ricorrente faceva il driver come me; facevamo spesso gli stessi turni; lavorava secondo le mia stesse modalità”; testimonianza di Ib.Sh.: “il ricorrente utilizzava l’auto, io la bici. (…) A lui venivano assegnati gli ordini “speciali” (ad esempio portare 20 pizze); per il resto il nostro lavoro funzionava nello stesso modo”).
E’ poi incontestato in causa – e confermato dai testi escussi – che per effettuare le consegne il ricorrente utilizzasse la propria automobile (cfr. in particolare testimonianza di Ib.Sh.: “i mezzi erano di nostra proprietà”).
Quanto al compenso, il contratto di collaborazione coordinata e continuativa concluso tra le parti così dispone: “il collaboratore verrà informato dell’entità del compenso per ogni lavoro prima dell’accettazione dello stesso. La remunerazione sarà composta da una base fissa più una parte variabile a seconda del tempo impiegato e dei chilometri percorsi. Potrebbero esserci compensi aggiuntivi a seconda della particolare complessità del lavoro o di altri criteri”.
In assenza di emergenze probatorie di diverso segno deve ritenersi che i compensi erogati a Mo.Ad. (cfr. docc. 5, 6 e 20 fascicolo ricorrente) siano stati determinati sulla base dei criteri indicati in contratto, il che sembra trovare conferma anche nei prospetti riepilogativi allegati in atti dallo stesso ricorrente (cfr. doc. 4 del relativo fascicolo).
Dal quadro fattuale sopra delineato emerge in primo luogo che, nei limiti degli slot messi a disposizione dalla convenuta, il ricorrente era libero di decidere se e quando lavorare: in fase di prenotazione degli slot, infatti, egli non aveva vincoli di sorta nella determinazione dell’an, del quando e del quantum della prestazione.
Tale elemento rappresenta un fattore essenziale dell’autonomia organizzativa, che si traduce nella libertà di stabilire la quantità e la collocazione temporale della prestazione lavorativa, i giorni di lavoro e quelli di riposo e il loro numero.
Si tratta, ad avviso di questo giudice, di un elemento incompatibile con il vincolo della subordinazione.
Come noto, secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, l’elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione della prestazione lavorativa.
In particolare, “mentre la subordinazione implica l’inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l’oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell’attività (opus): ex multis, Cass. nn. 12926/1999; 5464/1997; 2690/1994; e, più di recente, Cass. n. 4770/2003; 5645/2009, secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato oppure autonomo, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere accertato o escluso mediante il ricorso agli elementi che il giudice deve concretamente individuare dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dalle modalità di svolgimento del rapporto (cfr. pure, tra le molte, Cass. nn. 1717/2009, 1153/2013).
In subordine, l’elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è costituito dalla subordinazione, intesa, come innanzi detto, quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento alle direttive dallo stesso impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa; mentre, è stato pure precisato, altri elementi – come l’assenza del rischio economico, il luogo della prestazione, la forma della retribuzione e la stessa collaborazione – possono avere solo valore indicativo e non determinante (v. Cass. n. 7171/2003), costituendo quegli elementi, ex se, solo fattori che, seppur rilevanti nella ricostruzione del rapporto, possono in astratto conciliarsi sia con l’una che con l’altra qualificazione del rapporto stesso (fra le altre – e già da epoca risalente – Cass. nn. 7796/1993; 4131/1984)” (così, tra le più recenti, Cass. 14 giugno 2018, n. 15631).
Nel caso attualmente in esame difetta l’assoggettamento del ricorrente al potere direttivo, organizzativo e disciplinare della convenuta: il fatto che Mo.Ad. potesse discrezionalmente decidere, di settimana in settimana, in quali giorni e in quali orari lavorare – ed anche di non lavorare affatto – esclude in radice la configurabilità di un simile vincolo.
Tra l’altro, secondo quanto emerge dalle risultanze istruttorie, le decisioni assunte dal prestatore in questa fase (inerenti, esemplificativamente, al numero di slot prenotati, alla relativa fascia oraria, all’eventuale mancata prenotazione di slot per un certo lasso di tempo etc.) non avevano incidenza sul punteggio relativo al livello di gradimento dello stesso, né attivavano il meccanismo definito da alcuni testi come “abbassamento della fedeltà”, da cui dipendeva la possibilità in futuro di prenotare gli slot secondo le proprie preferenze.
Si trattava, dunque, di decisioni assunte in piena autonomia, senza alcuna imposizione unilaterale da parte della convenuta.
La ritenuta incompatibilità tra la descritta autonomia del prestatore nel determinare quantità e tempi della propria attività lavorativa e il vincolo della subordinazione non può ritenersi superata dal fatto che, una volta manifestata la disponibilità a prestare attività in una determinata fascia oraria, le modalità della prestazione fossero standardizzate in base a regole prefissate dalla società (quali l’immediata esecuzione delle consegne nel minor tempo possibile) e neppure dal fatto che il mancato o ridotto svolgimento di attività nelle fasce orarie di dichiarata disponibilità (per mancato accesso alla piattaforma o per rifiuto di effettuare una o più consegne) incidesse negativamente sul livello di gradimento del prestatore, con le conseguenze già viste in termini di limitazione delle future possibilità di scelta nella prenotazione degli slot.
Le circostanze evidenziate, infatti, non paiono qualificanti ai fini della subordinazione, non traducendosi nell’espressione del potere conformativo sul contenuto e le modalità della prestazione.
A tale riguardo si osserva, sotto un primo profilo, come anche nel rapporto di lavoro autonomo il committente impartisca istruzioni in ordine al contenuto e agli obiettivi dell’incarico affidato e fissi standard quali/quantitativi delle prestazioni concordate, verificando il rispetto degli stessi da parte del prestatore.
Da altro punto di vista, il descritto sistema di attribuzione di punteggi, espressione del gradimento correlato al grado di affidabilità del prestatore, non pare assimilabile all’esercizio del potere disciplinare, poiché tale sistema non dà luogo all’applicazione di sanzioni afflittive, limitative dei diritti del prestatore, ma solo ad una rimodulazione delle modalità di coordinamento in funzione dell’interesse del committente ad una più efficiente gestione dell’attività, che non mette comunque in discussione la libertà del prestatore di scegliere giorni e orari di lavoro, sia pure in un ventaglio di possibilità più limitato.
In altri termini, anche nelle fasi successive a quella di prenotazione degli slot ed in particolare nella fase di vera e propria esecuzione della prestazione, non si ravvisa subordinazione in senso tecnico, ossia soggezione del prestatore a ordini puntuali e direttive specifiche, nonché al penetrante potere di controllo e sanzionatorio della società.
Ciò non solo perché il prestatore non ha l’obbligo di accedere alla piattaforma, ma anche perché, ad accesso avvenuto, non è obbligato ad accettare le consegne segnalate dalla app e l’eventuale rifiuto non determina l’applicazione di una sanzione, nel senso chiarito, e neppure la risoluzione o sospensione del rapporto, ma unicamente la riduzione delle future possibilità di scegliere giorni e orari in cui prestare attività.
Gli elementi di fatto sopra evidenziati escludono la configurabilità dell’eterodirezione della prestazione lavorativa.
Né la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sembra potersi desumere da quelli che vengono comunemente definiti indici sussidiari della subordinazione e che la prevalente giurisprudenza individua nella continuità del rapporto, nello stabile ed organico inserimento del lavoratore nel ciclo produttivo dell’azienda, nell’assenza di rischio in capo al prestatore, nell’osservanza di un determinato orario, nel compenso fisso e predeterminato.
Occorre in proposito considerare che il ricorso al rilievo sintomatico degli elementi di fatto sopra indicati in tanto può considerarsi valido in quanto essi siano sussistenti tutti o in buona misura: deve, infatti, negarsi l’autonoma idoneità di ciascuno di questi elementi, considerato singolarmente, a fondare la riconduzione del rapporto al tipo contrattuale del lavoro subordinato, essendo invece necessario che essi vengano valutati globalmente come concordanti, gravi e precisi indici rivelatori dell’effettiva sussistenza del vincolo di subordinazione.
Tanto premesso, alla luce delle esaminate risultanze istruttorie non è ravvisabile nell’odierna fattispecie un numero significativo degli anzidetti indici, sufficiente ad asseverare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Gli indici riscontrabili sono essenzialmente il carattere ricorrente – e in tal senso continuativo – della prestazione e l’utilizzo di alcuni strumenti di lavoro forniti dalla società, quali applicativo informatico, contenitore termico per i cibi e caricabatteria portatile (secondo quanto allegato in ricorso e non contestato dalla convenuta).
Per converso, tuttavia, il ricorrente non era tenuto ad osservare un orario di lavoro fisso imposto dalla società, né doveva tenersi a disposizione di quest’ultima, sicché non può ritenersi che egli fosse stabilmente inserito nell’organizzazione aziendale.
Inoltre, il ricorrente utilizzava per le consegne un mezzo proprio e non percepiva un corrispettivo mensile fisso e predeterminato, ma variabile, in funzione del numero e della tipologia di consegne effettuate mese per mese e dunque correlato non al tempo di messa a disposizione delle energie lavorative, bensì ai risultati conseguiti (cfr. cedolini allegati sub doc. 5 fascicolo ricorrente).
Considerati gli elementi di fatto sopra illustrati, si ritiene che nel rapporto di lavoro intercorso tra le parti non siano ravvisabili sufficienti ed univoci indici sintomatici della subordinazione.
La domanda di qualificazione del rapporto come lavoro subordinato, svolta dal ricorrente, va pertanto respinta, con conseguente rigetto anche delle domande in punto di differenze retributive e di licenziamento, fondate sul medesimo assunto.
Per completezza – pur non essendo stata articolata in ricorso specifica domanda sul punto – si ritiene che la disciplina del lavoro subordinato non possa essere applicata al rapporto di cui è causa neppure in forza dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. 15 giugno 2015 n. 81.
La norma suindicata dispone che “a far data dal 1 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Nel rapporto intercorso tra le parti dell’odierno giudizio, le modalità di esecuzione della prestazione, per quanto precedentemente evidenziato, non possono ritenersi “organizzate dal committente con riferimento ai tempi (…) di lavoro”, poiché la scelta fondamentale in ordine ai tempi di lavoro e di riposo era rimessa all’autonomia del ricorrente, che la esercitava nel momento in cui manifestava la propria disponibilità a lavorare in determinati giorni e orari e non in altri.
Il fatto che, nel concreto svolgimento dell’attività, il ricorrente, una volta accettato di eseguire una consegna, fosse tenuto a portarla a termine nel minor tempo possibile, non vale ad integrare il parametro suindicato, non parendo configurarsi come organizzazione dei tempi di lavoro la richiesta, da parte del committente, di svolgere il lavoro entro un determinato termine.
In conclusione, difettando la fattispecie concreta dei caratteri propri della collaborazione etero – organizzata, non può estendersi ad essa la disciplina del lavoro subordinato ex art. 2 D.Lgs. 15 giugno 2015 n. 81.
In conclusione, alla luce di tutte le argomentazioni esposte le domande svolte in ricorso devono essere respinte.
La novità e complessità delle questioni trattate giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, eccezione e istanza disattesa od assorbita, così provvede:
– rigetta le domande svolte nel ricorso;
– compensa integralmente tra le parti le spese di lite;
– fissa termine di giorni sessanta per il deposito delle motivazioni.
Così deciso in Milano il 4 luglio 2018.
Depositata in Cancelleria il 10 settembre 2018.