La sanzione pecuniaria prevista per la inosservanza del divieto di assunzione di lavoratori subordinati senza il tramite dell’ufficio di collocamento va posta a carico dell’amministratore dell’ente che con la sua condotta ha determinato l’illecito, in quanto tale condotta, esigendo per sua natura il dolo o la colpa, e’ addebitabile solo a una persona fisica, salva la responsabilità solidale meramente patrimoniale dell’ente rappresentato, solidarieta’ che, non dipendendo da un’obbligazione unitaria, non determina il litisconsorzio necessario fra il legale rappresentante e l’ente. Ne consegue che ove l’opposizione sia stata proposta dalla persona fisica nella qualita’ di rappresentante “pro tempore” dell’ente, quest’ultimo non ha legittimazione a impugnare la sentenza neanche qualora sia una nuova persona fisica a rappresentarlo, giacche’ il precedente rappresentante conserva la propria legittimazione, che spetta esclusivamente a chi abbia assunto qualita’ di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata.
Corte di Cassazione, Sezione 6 L civile Ordinanza 28 settembre 2018, n. 23663
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere
Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere
Dott. SPENA Francesca – Consigliere
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 731-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO n. 23, presso lo studio dell’avvocato SANTE FORESTA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis:
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1077/2016 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO, depositata il 25/06/2016:
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/06/2018 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.
RILEVATO
che, con sentenza del 25 giugno 2016, la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della decisione del primo giudice, rigettava l’opposizione proposta da (OMISSIS) – in proprio e nella qualita’ di socio accomandatario della (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) s.a.s. – alla l’ordinanza-ingiunzione emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Crotone n. 10904 del 27 settembre 2010 con la quale, sulla scorta del verbale di illecito amministrativo del 10 novembre 2009 e del successivo rapporto n. 14212 del 3 dicembre 2009 era stata irrogata la sanzione di Euro 21.150,00 per violazione delle disposizioni di cui al Decreto Legge n. 12 del 2002, articolo 3 conv. in L. n. 73 del 2002 come modificato dal Decreto Legge n. 223 del 2006, articolo 36 bis, comma 7 lettera a) conv. in L. n. 248 del 2006 essendo stata accertata la presenza, presso la struttura agrituristica “(OMISSIS)” nell’agosto 2009, di due cittadine straniere non regolarizzate in quanto tali e non assunte regolarmente ed intente ad effettuare lavori di pulizia nel detto agriturismo;
che ad avviso della Corte territoriale e per quello ancora di rilievo in questa sede: l’appello proposto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – DTL di Crotone non era tardivo in quanto, essendo stata la causa trattata in primo grado dal giudice del lavoro e con il rito del lavoro, per il principio di ultrattivita’ del rito, benche’ il gravame avrebbe dovuto essere proposto con ricorso depositato, a pena di decadenza, nei termini di cui all’articolo 434 c.p.c., comma 2, (o dell’articolo 327 c.p.c., comma 1, in caso di mancata notifica della sentenza), per il principio di conservazione degli atti processuali, anche il gravame proposto con un atto di citazione ad udienza fissa purche’ dotato di tutti i requisiti richiesti dal ricorso e purche’ depositato nei detti termini – come accaduto nel caso in esame in cui la sentenza impugnata era stata pubblicata il 25 luglio 2013 e l’atto di appello depositato il 27 dicembre 2013 poteva essere considerato idoneo ad introdurre il giudizio di appello; che dalle risultanze del verbale del 10 novembre 2009 era stata rilevata la presenza di tre lavoratrici – (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – la prima regolarmente assunta e le altre due occupate alle dipendenze dell’azienda senza aver sottoscritto alcun contratto di lavoro e prive del permesso di soggiorno; che, per mero ed evidente errore materiale, nella parte relativa alla notificazione dell’illecito amministrativo, oltre a (OMISSIS) era stata indicata come irregolare la (OMISSIS) in luogo della (OMISSIS) e lo stesso errore aveva riguardato l’ordinanza ingiunzione opposta; che detto errore rimaneva del tutto irrilevante stante la sua evidenza; che dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) e dalle lavoratrici nell’immediatezza dei fatti poteva ritenersi provato – diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice – la fondatezza della contestazione di cui al detto verbale;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso i( (OMISSIS) in proprio affidato a cinque motivi cui resiste con controricorso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
che e’ stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 380 bis c.p.c. in cui si aderisce alla proposta del relatore e si insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso di deduce violazione dell’articolo 2909 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) in quanto la Corte territoriale non aveva rilevato che l’opposizione avverso l’ordinanza -ingiunzione era stata proposta tanto dal (OMISSIS) in proprio che nella sua qualita’ di socio accomandatario e legale rappresentante della (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) mentre l’appello del Ministero era stato proposto solo nei confronti del (OMISSIS) e non anche della societa’ con la conseguenza che, essendo passata in giudicato la sentenza di primo grado di accoglimento dell’opposizione nei confronti dell’obbligato principale, l’accertata illegittimita’ della sanzione non poteva che estendere i suoi effetti anche nei confronti del semplice coobbligato;
– con il secondo motivo viene dedotta violazione dell’articolo 102 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per non avere la Corte di appello disposto la integrazione del contraddittorio nei confronti della societa’ pur in presenza di un litisconsorzio necessario;
– con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 327 e 348 c.p.c., L. n. 689 del 1981, articoli 22 e 22 bis (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) essendo avvenuta la notifica dell’atto di appello ben oltre i sei mesi dalla pubblicazione della sentenza appellata e dovendosi applicare il rito ordinario alla luce del principio di diritto affermato nella decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 2907/2014;
– con il quarto motivo viene dedotta violazione dell’articolo 112 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere la Corte di appello erroneamente omesso di tenere conto che l’amministrazione non poteva legittimamente addurre l’esistenza di un supposto errore materiale, non corretto in sede di autotutela, contenuto solo nella ordinanza-ingiunzione opposta in cui era stata irrogata la sanzione per aver assunto “a nero” alle dipendenze della societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) e non anche nei confronti di (OMISSIS) finendo con ampliare l’oggetto del giudizio, limitato solo alla opposizione alla predetta ordinanza-ingiunzione per come formulata, e violando anche il principio secondo cui il giudice dell’opposizione a sanzione amministrativa ben puo’, anzi deve annullare l’ordinanza laddove pure risultassero presenti vizi di natura formale che, nella specie, sono stati ritenuti impropriamente sanati;
– con il quinto motivo si denuncia violazione dell’articolo 116 c.p.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) avendo la Corte territoriale: errato nella valutazione delle prove raccolte attribuendo valore preminente a dichiarazioni rese agli ispettori da soggetti che non comprendevano la lingua italiana, sentiti senza l’ausilio di un interprete; attribuito rilevanza alle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) non utilizzabili “contra se” potendo i fatti di cui e’ causa in astratto configurare l’esistenza di un reato; fondato la decisione sulla mera trascrizione del verbale ispettivo in difetto della produzione del documento stesso; non considerato il contenuto delle sentenza irrevocabili del Giudice di Pace, il decreto di espulsione ed i verbali di elezione di domicilio dai quali risultava che le tre lavoratrici non parlassero l’italiano e che prestavano servizio non alle dipendenze della societa’, bensi’ presso i coniugi (OMISSIS); errato nell’attribuire valore di prova al verbale ispettivo sul quale era stata poi emessa l’ordinanza-ingiunzione opposta;
che il primo ed il secondo motivo sono infondati in quanto la sentenza di primo grado risulta essere stata emessa nei confronti di (OMISSIS) senza alcuna ulteriore specificazione sicche’ correttamente l’appello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Catanzaro e’ stato proposto nei confronti di (OMISSIS). Peraltro, vale ricordare che questa Corte ha avuto di affermare il principio secondo cui “La sanzione pecuniaria prevista per la inosservanza del divieto di assunzione di lavoratori subordinati senza il tramite dell’ufficio di collocamento va posta a carico dell’amministratore dell’ente che con la sua condotta ha determinato l’illecito, in quanto tale condotta, esigendo per sua natura il dolo o la colpa, e’ addebitabile solo a una persona fisica, salva la responsabilita” solidale meramente patrimoniale dell’ente rappresentato, solidarieta’ che, non dipendendo da un’obbligazione unitaria, non determina il litisconsorzio necessario fra il legale rappresentante e l’ente. Ne consegue che ove l’opposizione sia stata proposta dalla persona fisica nella qualita’ di rappresentante “pro tempore” dell’ente, quest’ultimo non ha legittimazione a impugnare la sentenza neanche qualora sia una nuova persona fisica a rappresentarlo, giacche’ il precedente rappresentante conserva la propria legittimazione, che spetta esclusivamente a chi abbia assunto qualita’ di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata.” (Cass. n. 8291 del 3 aprile 2007; Cass. n. 15902 del 13/11/2002) ragion per cui neppure e’ fondato il rilievo di cui al primo motivo secondo cui obbligata principale sarebbe stata la societa’;
che il terzo motivo e’ infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U, sentenza n. 2907 del 10 febbraio 2014, ribadita da successive pronunce tra cui Cass. n. 5295 del 01/03/2017) secondo cui nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (quale e’ quello in questione), introdotti nella vigenza della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 23 come modificato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 26 e quindi prima dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, l’appello deve essere proposto nella forma della citazione e non gia’ con ricorso, trovando applicazione, in assenza di una specifica previsione normativa per il giudizio di secondo grado, la disciplina ordinaria di cui all’articolo 339 c.p.c. e ss.; e’ stato, inoltre, precisato che l’appello avverso sentenze in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, pronunciate ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 23 in giudizi iniziati prima dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, ove erroneamente introdotto con ricorso anziche’ con citazione, e’ suscettibile di sanatoria, a condizione che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, non trovando applicazione il diverso principio, non suscettibile di applicazione al di fuori dello specifico ambito, affermato con riguardo alla sanatoria delle impugnazioni delle deliberazioni di assemblea di condominio spiegate mediante ricorso, e senza che sia possibile rimettere in termini l’appellante, non ricorrendo i presupposti della pregressa esistenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale poi disatteso da un successivo pronunciamento. Ed infatti, nel caso in esame sono dati pacifici tra le parti: che l’opposizione e’ stata proposta prima del 6 ottobre 2001, data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011; che la sentenza di primo grado e’ stata pubblicata in data 25 luglio 2013; che l’appello e’ stato proposto con ricorso – e non con citazione – depositato in data 27 dicembre 2013 e notificato ritualmente in data 7 febbraio 2014 nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza appellata considerata la sospensione dei termini nel periodo feriale (da computare: Cass. n. 8673 del 09/04/2018; Cass. n. 12506 del 08/06/2011, tra le varie);
che, il quarto motivo e’ infondato avendo la Corte territoriale evidenziato come dal verbale conclusivo degli accertamenti del 10 novembre 2009 – richiamato nell’ingiunzione opposta – nonche’ dal verbale di primo accesso del 26 agosto 2009 presso la (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS) emergesse in modo evidente che l’ordinanza ingiunzione riguardava l’assunzione “a nero” alle dipendenze della societa’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) e non anche di (OMISSIS) e, peraltro, non e’ stato allegato che da tale errore materiale sia derivato al (OMISSIS) un pregiudizio al suo diritto di difesa ne’ e’ individuabile un non consentito allargamento del “thema decidendum”;
che il quinto motivo – nonostante i richiami a violazioni di legge contenuti nell’ intestazione – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimita’ neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione; invero, e’ stato in piu’ occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);
che, pertanto, in dissenso dalla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (legge di stabilita’ 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.