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In merito alla applicabilità del Codice del Consumo ai condomini-compratori,si ritiene che, in presenza di una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese condominiali, predisposta dal venditore-costruttore ed accettata dagli acquirenti nei singoli contratti di vendita, può sostenersi l’applicabilità delle norme del Codice del consumo, e quindi valutarsi la pattuizione alla luce del complessivo programma obbligatorio, secondo i profili del “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” e della “buona fede”, ai sensi dell’art. 33, comma 1, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (ovvero dell’art. 1469-bis c.c., ratione temporis).
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Tribunale Roma, Sezione 5 civile Sentenza 27 settembre 2018, n. 18337
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA
QUINTA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Cristina Pigozzo ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 47950/2016 decisa ex art. 281 sexies c.p.c.promossa da:
(…) Spa, in persona del l.r. pro tempore (…), rappresentata e difesa dagli avv.ti (…) e dall’Avv. (…), con procura alle liti in calce all’atto di citazione, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’Avv. (…);
ATTORE
contro
CONDOMINIO (…), in persona dell’amministratore pro tempore (…), rappresentato e difeso per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta dall’Avv. (…), elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio del difensore;
CONVENUTO
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
La società (…), già impresa costruttrice dell’edificio costituito poi nel Condominio (…) e ancora condomina per immobili invenduti, impugnava la delibera del 24.05.2016 di approvazione del bilancio consuntivo della gestione ordinaria relativo all’esercizio 2015 e relativo piano di riparto, assunta in seconda convocazione a maggioranza, con il solo voto contrario della detta società (…).
Esponeva la società di avere già impugnato due precedenti delibere: 1) la delibera del 25.03.2014 deducendone la nullità in quanto l’assemblea con detta delibera approvava a maggioranza, mediante delibera di approvazione di lettera allegata al verbale di assemblea, la modifica dell’articolo 15 del regolamento condomini, che esonerava la società attrice dalla partecipazione alle spese condominiali per gli immobili invenduti nonché approvava il bilancio consuntivo 2013 con relativo piano di riparto ed il preventivo del 2014 (RG 23354/2015); 2) la delibera del 15.04.2015 di approvazione del consuntivo 2014 e del preventivo 2015 veniva, poi, impugnata in quanto attributiva di oneri condominiali in violazione dell’art. 15 del regolamento condominiale, invalidamente modificato (R.G. 34137/2015).
Rappresentava la società che l’art. 15 del Regolamento condominiale dispone che “in deroga al disposto dell’art. 1123 c.c. e ss del c.c. la società venditrice è esonerata totalmente dal partecipare a ogni spesa condominiale per le quote riguardanti eventuali unità rimaste invendute e sino a che tali unità rimarranno vuote e comunque inutilizzate”, che la società (…) aveva approntato detto Regolamento condominiale depositandolo presso un notaio e che tale regolamento era richiamato ed approvato in ogni singolo contratto di compravendita di unità immobiliare: pertanto, deduceva la nullità della delibera impugnata in quanto contraria al Regolamento di Condominio ed ai diritti soggettivi spettanti alla società attrice: infatti la modifica a maggioranza del Regolamento condominiale del criterio di riparto delle spese, di natura pacificamente contrattuale, impingeva nel diritto unanimemente stabilito di esonero della società venditrice dalle spese fino alla cessione a terzi.
Si costituiva il Condominio, chiedendo il rigetto della domanda, sostenendo la nullità dell’art. 15 del detto Regolamento condominiale in quanto vessatorio, applicandosi al Condominio il Codice del Consumo: pertanto, le delibere impugnate ed i relativi piani di riparto sarebbero legittimi e corretti in quanto non fanno che imputare al proprietario i millesimi relativi.
Parte convenuta sosteneva, inoltre, la nullità della clausola ex art. 1355 c.c. in quanto si tratterebbe di clausole sottoposte a condizione sospensiva meramente potestativa, dipendendo dalla sola volontà della società costruttrice di vendere, esonerandosi dalle spese condominiali, essendo invece legittimo l’esonero per due anni seppure necessitante della doppia sottoscrizione per accettazione.
Sosteneva, inoltre, il Condominio che il Regolamento condominiale non risultava trascritto e che lo stesso era stato sottoposto all’acquirente solo all’atto del rogito, senza una previa conoscenza.
In ultimo che l’impugnazione (parrebbe della delibera del 25.03.2014, in quanto quella del 25.06.2016 è stata impugnata in data 5.07.2016 per affermazione della stessa parte convenuta) sarebbe tardiva attenendo a difformità dal regolamento di condominio e quindi nel termine perentorio di trenta giorni.
L’impugnativa è priva di pregio.
Non si può sottacere che la causa n. 23354/2015 di impugnativa della modifica dell’art. 15 del regolamento condominiale e dell’approvazione del bilancio consuntivo 2013 e preventivo 2014 è stata decisa da questa Sezione in data 1.08.2017 con una perspicua sentenza del Dott. (…) che non si può che condividere.
In particolare dalla lettura degli atti si evince che non si è trattato di vera e propria modifica dell’art. 15 del Regolamento condominiale in quanto nella delibera del 25.03.2014 si legge: “alcuni condomini consegnano una lettera all’amministratore circa la richiesta di modifica dell’art. 15 del regolamento condominiale (…) viene letta, allegata al presente verbale e approvata dall’assemblea condominiale a maggioranza col voto contrario della società (…)”. In tale lettera i sig.ri condomini chiedono la modifica dell’art. 15 del regolamento riguardante l’esonero da parte della società venditrice delle spese condominiali degli appartamenti rimasti vuoti e invenduti, ritenendo inaccettabile la deroga all’art. 1123 c.c., chiedendosi, pertanto, una modifica per suddividere in parti eque tutte le spese condominiali e sanare le passività”.
E’ evidente che tale approvazione non può valere a modificare l’articolato di cui all’art. 15 non prevedendo una regolamentazione sostitutiva e rimanendo una manifestazione di intenti.
Peraltro si deve ritenere che il piano di riparto fosse già stato predisposto in difformità dalla detta disposizione regolamentare essendo lo stesso stato approvato, seduta stante, senza alcuna necessità di modifica, piano di riparto che però non è allegato né alla detta delibera né a quella del 24.5.2016.
Non viene pertanto in discussione la possibilità o meno di modifica a maggiorana del regolamento condominiale, non essendosi verificata detta evenienza.
Al contrario si ha una volontaria disapplicazione della disposizione regolamentare con adozione del criterio di riparto “legale” in proporzione ai millesimi di proprietà, come attestato dalla famosa lettera dei condomini.
Come spiega la Suprema Corte “I criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possono, essere derogati, come prevede la stessa norma, e la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione può essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), o in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641).
La natura delle disposizioni contenute nell’art. 1118 c.c., comma 1, e art. 1123 c.c.non preclude, infatti, l’adozione di discipline convenzionali che differenzino tra loro gli obblighi dei partecipanti di concorrere agli oneri di gestione del condominio, attribuendo gli stessi in proporzione maggiore o minore rispetto a quella scaturente alla rispettiva quota individuale di proprietà. In assenza di limiti posti dall’art. 1123 c.c., la deroga convenzionale ai criteri codicistici di ripartizione delle spese condominiali può arrivare a dividere in quote uguali tra i condomini gli oneri generali e di manutenzione delle parti comuni, e finanche a prevedere l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime (Cass. Sez. 2, 25/03/2004, n. 5975; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6844 del 16/12/1988).
Viene, quindi, imposta, a pena di radicale nullità l’approvazione di tutti i condomini per le delibere dell’assemblea di condominio con le quali siano stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall’art. 1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento “contrattuale” (Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126). Cfr. Cassazione civile, sez. II, 04/08/2017, n. 19651).
Invero, sono affette da nullità – che può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate – le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono annullabili e, come tali, impugnabili nel termine di cui all’art. 1137, ultimo comma, c.c., le delibere con cui l’assemblea, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135 n. 2 e n. 3, c.c., determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri di cui all’art. 1123 c.c., ove la delibera non abbia compiuto alcuna determinazione in ordine ai criteri di riparto da adottare, ma si sia limitata a ripartire le spese sulla base delle tabelle millesimali nel presupposto che si trattasse, ad esempio, di spese per servizi di cui tutti i condomini usufruivano, perché relativi a beni di uso comune.
Da ciò si trae la radicale nullità (e non mera annullabilità) della delibera che disapplichi scientemente i criteri stabiliti in un precedente regolamento contrattuale, quale è quello predisposto dalla società e sottoscritto dagli acquirenti, proprio in virtù del contenuto non meramente ripetitivo della disciplina codicistica ma significativamente modificativo con esonero totale della società costruttrice per l’invenduto.
Quanto alla prospettazione difensiva, da qualificarsi come eccezione riconvenzionale, di nullità della clausola regolamentare che esoneri un condomino dalla partecipazione alle spese per violazione del Codice del consumo, caso analogo è stato deciso dalla recente sentenza della Cass. 16321 del 2016 che ha posto alcuni punti fermi in merito alla discussa applicabilità in ambito condominiale della normativa di protezione del consumatore.
In particolare, assodato che il Condominio quale ente privo di personalità giuridica possa essere consumatore rispetto ad esempio a contratti assicurativi e/o di fornitura di servizi, con la possibilità di eccepire le nullità di protezione, nella detta sentenza si ribadisce che tale normativa non preclude la possibilità di derogare all’articolo 1123 c.c. con una diversa convenzione tanto in sede di regolamento condominiale quanto in sede assembleare purché all’unanimità.
In merito alla applicabilità del Codice del Consumo ai condomini-compratori, la Suprema Corte statuisce che, “in presenza di una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese condominiali, predisposta dal venditore-costruttore ed accettata dagli acquirenti nei singoli contratti di vendita, può sostenersi l’applicabilità delle norme del Codice del consumo, e quindi valutarsi la pattuizione alla luce del complessivo programma obbligatorio, secondo i profili del “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” e della “buona fede”, ai sensi dell’art. 33, comma 1, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (ovvero dell’art. 1469-bis c.c., ratione temporis)”.
Nel caso di specie non sembra ultroneo sottolineare come la gran parte delle spese (acqua, riscaldamento) fosse già prevista a effettivo consumo, per cui nell’economia dell’affare non pare del tutto ingiustificato né “abnorme privilegio” l’esonero della società costruttrice dalla partecipazione alle residue spese condominiali.
Tale applicazione presuppone, tuttavia che le parti possano rivestire i ruoli di professionista e di consumatore: ciò significa che il condomino acquirente dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva, dovendo rivestire lo status di consumatore, agisca per soddisfare esigenze di natura personale, non legate allo svolgimento dì attività a sua volta imprenditoriale o professionale.
Tuttavia, la Suprema Corte limita l’efficacia della normativa di protezione del consumatore unicamente “con riguardo a convenzioni che introducano vincoli di destinazione di natura reale incidenti in via diretta sulla consistenza della proprietà condominiale e della frazione di proprietà esclusiva oggetto dei rispettivi programmi negoziali sinallagmatici di compravendita, determinando contrattualmente le modalità di utilizzazione del bene ceduto. Solo questa tipologia di convenzioni condominiali potrebbe, infatti, rientrare nella categoria protetta dei contratti di acquisto di beni a scopo di consumo, realizzando una funzione economica unitaria rispetto alla prestazione di dare assunta dal venditore, nonché strumentale al soddisfacimento delle esigenze di consumo proprie dell’acquirente”.
Né potrebbe ritenersi l’articolo 15 del Regolamento condominiale nullo ai sensi dell’art. 1355 c.c. non configurandosi condizione meramente potestativa ma termine di efficacia. La condizione è “meramente potestativa” quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica “potestativa quando l’evento dedotto in condizione e collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato (Cass. n. 18239/2014). La vendita di un immobile è ovviamente legata anche alla necessaria presenza di un acquirente.
Alcun rilievo assume nel caso concreto la mancata trascrizione del regolamento condominiale in quanto non si è prospettata una questione di opponibilità a terzi di detto regolamento, non essendo contestato che lo stesso sia stato richiamato nei singoli contratti di compravendita.
Pertanto, si deve ritenere che non possa essere predicata la nullità o inefficacia dell’art. 15 del regolamento contrattuale nella parte in cui esonera la società costruttrice dalla partecipazione alle spese.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1) Accoglie l’impugnazione e dichiara la nullità della delibera condominiale adottata in data 24.05.2016 dal Condominio (…) di approvazione del rendiconto consuntivo 2015 e relativo piano di riparto;
2) Condanna altresì Condominio (…) a rifondere alla società (…) SPA le spese di lite, che si liquidano in Euro530 per spese ed Euro 4500 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 27 settembre 2018.