l’usucapione del diritto di veduta risulta impedito, giacché un’apertura munita di inferriata, che consenta di guardare sul fondo sottostante mediante una manovra di per sé eccezionale e poco agevole per una persona di normale conformazione fisica, costituisce una luce e non una veduta, con la conseguenza che, nel caso in cui essa non sia conforme alle prescrizioni indicate nell’art. 901 cod. civ., il proprietario del fondo vicino può sempre esigerne la regolarizzazione, non potendo la mera tolleranza della sua difformità dalle prescrizioni di legge, ancorché protratta nel tempo, far sorgere, per usucapione, un diritto a mantenerla nello stato in cui si trova.

 

Corte d’Appello Potenza, civile Sentenza 18 settembre 2018, n. 589

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Potenza, sezione Civile, riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei signori Magistrati:

– dr. Cataldo C. Collazzo, Presidente est.

– dr. Michele Videtta, Consigliere

– dr.ssa Lucia Iodice, Consigliere ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio in grado di appello iscritto al n. 279/2009 RGAC, avente ad oggetto “Negatoria servitutis” e vertente tra:

BA.MI.

rappresentata e difesa dall’avv. Or.Ro. ed elettivamente, domiciliata in Villa d’Agri alla via (…) presso lo studio del medesimo

APPELLANTE

CONTRO

LO.TE.

rappresentata e difesa dall’avv. Gi.Ma.

APPELLATA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Ba.Mi. ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Potenza, Lo.Te., per sentir dichiarare l’inesistenza della servitù di veduta a vantaggio della convenuta ed a carico del fondo di sua proprietà, sito in agro del Comune di Paterno, in catasto alla particella n. (…) del Foglio n. (…).

L’attrice ha chiesto la condanna della convenuta al ripristino dello stato dei luoghi, mediante la rimozione dell’infisso in alluminio, il ridimensionamento dell’indicata apertura, secondo le previsioni dell’art. 901 c.c., e la riapposizione della rete metallica a grate e bastoni di ferro.

Si è ritualmente costituiva la convenuta, contestando la domanda e deducendo che le aperture presenti nell’immobile di sua proprietà esistono da tempo immemorabile, consentendo da sempre la veduta sul fondo confinante.

La convenuta ha inoltre spiegato domanda riconvenzionale per conseguire il risarcimento del danno, da quantificare in corso di causa, patito per effetto del taglio di un albero ad opera dell’attrice.

2. Il Tribunale di Potenza, con la sentenza impugnata, ha rigettato la domanda proposta dall’attrice, dichiarando l’esistenza di una servitù di veduta e non di luce a carico della particella n. (…), n. 94; ha accolto parzialmente la domanda riconvenzionale, condannando Ba.Mi. al risarcimento del danno provocato dalla Lo. per la sostituzione del vetro della finestra, rotto dai rami dell’albero di fico di proprietà della medesima, secondo quanto risulterà documentalmente provato da idonea fattura; compensato integralmente le spese di lite.

Il Tribunale ha affermato:

a) che nel caso di specie non è dato riscontrare alcun tipo di costituzione di servitù, né precedente, né anteriore all’inizio della contesa de qua, per cui sicuramente si tratta di servitù (di luce o di veduta) di natura apparente, in quanto presenta opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio;

b) che l’apertura di cui si controverte, secondo quanto accertato dal CTU, si trova al primo piano dell’immobile di proprietà della convenuta;

c) che non emerge il requisito previsto dall’art. 901 n. 2, ovvero che il lato inferiore della pretesa luce abbia un’altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce o aria, giacché il lato inferiore della finestra, vista dall’interno del locale che la ospita, è situato ad un’altezza evidentemente inferiore ai due metri;

d) che da tale elemento è dato concludere che già la situazione preesistente, almeno sotto questo aspetto, non faceva configurare la finestra come semplice “luce “ma come “veduta;

e) che, pur essendo la finestra munita di un’inferriata, essa era idonea a garantire la sicurezza del vicino, mentre non risulta esservi mai stata “una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati”;

f) che la domanda riconvenzionale non può trovare accoglimento, non avendo l’attrice in riconvenzionale provato in alcun modo il patito e lamentato danno, se si esclude la sola spesa sostenuta per la sostituzione del vetro della finestra rotto dai rami dell’albero.

3. Avverso detta sentenza ha proposto appello Ba.Mi.

Si è costituita Lo.Te., contestando l’appello e chiedendone il rigetto.

All’udienza del 20 marzo 2018 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo, rubricato Erronea qualificazione dell’apertura de qua come veduta, l’appellante lamenta che il Tribunale abbia svolto una superficiale indagine per stabilire la rispondenza dell’apertura in questione ai dettami dell’art. 901 c.c., non considerando la natura evidentemente “irregolare” dell’apertura modificata che, non presentando le caratteristiche proprie delle luci di cui all’art. 901, c.c., né quelle delle vedute di cui al precedente art. 900 c.c., avrebbe dovuto essere necessariamente considerata, per espressa previsione normativa (art. 902 c.c.), come luce.

La natura di luce irregolare sarebbe comprovata dagli esiti della CTU, ed in particolare:

a) che l’apertura di cui alla controversia è stata certamente oggetto di un ammodernamento strutturale rispetto alla sua originaria costituzione, essendo del tutto similare a quella presente al piano secondo dello stesso fabbricato;

b) che la caratteristiche di luce irregolare sarebbe evincibile dal corredo fotografico, ed in particolare dalla circostanza della assoluta impossibilità di esercitare attraverso di essa sia l’inspectio che, soprattutto, la prospectio, a cagione della presenza delle barre di ferro.

Dalle dichiarazioni testimoniali assunte, inoltre, l’assunto troverebbe ulteriore conferma.

5. Il motivo è fondato.

L’indagine peritale ha consentito di accertare:

a) che l’apertura di cui si controverte è stata certamente oggetto di ammodernamento strutturale (riquadratura e profilatura degli squarci laterali – livellamento del piano d’appoggio della soglia con inserimento nella muratura di blocchetti in cemento etc.) rispetto alla sua originaria costituzione,

b) che appare visibile che la zanzariera sul telaio in alluminio ora esistente ed ancorata alla vecchia ossatura in legno, ha sostituito le barre in ferro verticali strutturate come quelle esistenti nell’apertura al secondo piano,

c) che sull’intelaiatura in legname sono ancora oggi evidenti i fori che ospitavano le barre di ferro con annessa rete di protezione, attualmente rimpiazzate dal supporto in alluminio,

d) che l’attuale conformazione è certamente quella di veduta poiché sia l’infisso che la zanzariera esistenti essendo apribili permettono di affacciarsi e di guardare comodamente e in sicurezza nel fondo limitrofo dell’attrice.

Tale accertamento contrasta con quanto affermato dalla convenuta con la comparsa di costituzione e risposta di primo grado, secondo cui le aperture presenti nell’immobile della convenuta hanno sempre consentito agli occupanti di esercitare la veduta, sia diretta che laterale.

E’ risultato invece acclarato che l’apertura per cui si controverte fosse originariamente del tutto simile a quella posta al secondo piano del fabbricato, non oggetto di successiva modifica, e così descritta dal CTU: oltre all’infisso in legno sono presenti delle barre di ferro, piantate verticalmente su un telaio in legno, sulle quali è stata fissata una zanzariera.

Tale seconda apertura è inoltre chiaramente visibile nelle fotografie n. 3, 9 e 10, allegate alla relazione di CTU.

Inoltre, nell’allegato n. 6 (Prospetto lato nord), le barre di ferro riportate sull’apertura posta al secondo livello sono cinque e, considerata la larghezza di 80 cm dell’apertura, risultano poste ad una distanza di 16 cm l’una dall’altra.

La conformazione originaria dell’apertura posta al primo livello dell’edificio, inoltre, con la presenza di barre di ferro, è stata confermata dal teste Pa.Ma. nel corso dell’udienza del 15.10.2002.

Orbene, la giurisprudenza di legittimità afferma che l’apertura sul fondo del vicino, la quale non abbia caratteri di veduta o di prospetto, in quanto non consenta di affacciarsi e guardare, è considerata come luce, anche se non conforme alle prescrizioni dell’art. 901 cod. civ., sicché, nell’ipotesi di irregolarità, ai sensi dell’art. 902, secondo comma, cod. civ. il vicino ha diritto di esigere che l’apertura sia resa conforme a tali prescrizioni, anche mediante la sopraelevazione all’altezza minima interna, finalizzata ad impedire l’esercizio della veduta (Sez. 2, Sentenza n. 512 del 10/01/2013, Rv. 624492 – 01).

In modo ancor più aderente al caso concreto all’esame, si è affermato che la veduta si distingue dalla luce giacché implica, in aggiunta alla “inspectio”, la “prospectio”, ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino, sicché un’apertura munita di inferriata (nella specie, realizzata a filo con il muro perimetrale dell’edificio) che impedisca l’esercizio di tale visione mobile e globale sul fondo alieno va qualificata luce (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3924 del 29/02/2016).

Alla luce di tanto, è evidente che nel caso di specie l’originaria presenza di un’inferriata, realizzata a filo con il muro perimetrale dell’edificio, non consentisse al proprietario la “prospectio”.

Difatti, in tema di aperture sul fondo del vicino, la natura di veduta o luce (regolare o irregolare) deve essere accertata dal giudice di merito alla stregua delle caratteristiche oggettive dell’apertura stessa, rimanendo a tal fine irrilevante l’intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita; tuttavia, un’apertura munita di inferriata, tale da non consentire la “prospectio” nel fondo vicino, può configurarsi solo come luce, anche se consenta di guardare con una manovra di per sé poco agevole per una persona di normale conformazione; rispetto a tale genere di apertura, il vicino non ha diritto a chiedere la chiusura, bensì solo la regolarizzazione (Sez. 2, Sentenza n. 233 del 05/01/2011, Rv. 615692 – 01).

6. L’accoglimento del primo motivo di appello, è assorbente rispetto al secondo, rubricato Illegittima ed infondata affermazione di sussistenza di una servitù di prospetto acquisita per usucapione e rispetto al terzo, rubricato Non configurabilità dell’usucapione delle servitù di prospetto esercitate attraverso luci irregolari.

Ad ogni buon conto, l’usucapione del diritto di veduta risulta impedito, giacché un’apertura munita di inferriata, che consenta di guardare sul fondo sottostante mediante una manovra di per sé eccezionale e poco agevole per una persona di normale conformazione fisica, costituisce una luce e non una veduta, con la conseguenza che, nel caso in cui essa non sia conforme alle prescrizioni indicate nell’art. 901 cod. civ., il proprietario del fondo vicino può sempre esigerne la regolarizzazione, non potendo la mera tolleranza della sua difformità dalle prescrizioni di legge, ancorché protratta nel tempo, far sorgere, per usucapione, un diritto a mantenerla nello stato in cui si trova (Sez. 2, Sentenza n. 20200 del 19/10/2005, Rv. 584212 – 01).

7. E’ infine fondato anche il quarto motivo di appello, con il quale l’appellante censura la condanna al risarcimento del danno.

Come sostenuto dall’appellante, difatti, non è stato provato che la sostituzione del vetro sia stata fatta per iniziative e a spese della Lo.

Viceversa, dalla testimonianza resa da Pa.Ma., si evince che tale sostituzione fu fatta a spese di Ba.Mi.

Sul punto, peraltro, le considerazioni svolte da parte appellante con la comparsa conclusionale sono infondate.

Da un lato, infatti, la testimonianza di Go.Em. conta per dimostrare unicamente la rottura del vetro, ma non le spese sostenute per la sua sostituzione.

In secondo luogo, la difesa dell’appellate afferma di aver prodotto una fattura avente ad oggetto la sostituzione della lastra di vetro, che tuttavia non è dato rinvenire nel fascicolo di primo grado (nel cui indice sono elencati la memoria di costituzione, l’atto di citazione e la comparsa conclusionale).

8. La disciplina delle spese del doppio grado di giudizio è governata dal principio della soccombenza.

L’odierna parte appellata deve essere pertanto condannata al pagamento delle spese in favore di parte appellante.

Poiché non è possibile stabilire il valore della causa ai sensi dell’art. 15 c.p.c. (reddito dominicale del terreno o rendita catastale dell’immobile moltiplicato per cinquanta con riferimento al fondo servente per cause relative alle servitù), la liquidazione è effettuata in base allo scaglione fino a 26.000,00 Euro.

La liquidazione dei compensi è effettuata, per il primo grado, applicando le tariffe previste dal D.M. n. 127 del 2004 (cfr. Cass. seni. n. 2748/2016).

Per il grado di appello, essa effettuata alla stregua degli artt. 1, 2, 4 e 28 del Decr. Min Giustizia 10.3.2014 n. 55 (cfr. Corte Cost., ord. n. 261/2013), tenuto conto dei valori medi dello scaglione.

Tali valori sono diminuiti nella misura del 30%, tenuto conto delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.

P.Q.M.

la Corte di Appello, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con atto depositato il 26 giugno 2009 da BA.MI. avverso la sentenza del Tribunale di Potenza n. 399/2008, depositata il 5 maggio 2008, nei confronti di LO.TE., nel contraddittorio delle parti così provvede in riforma dell’impugnata sentenza:

a) accoglie l’appello e per l’effetto dichiara l’inesistenza di servitù di veduta a vantaggio del fondo di proprietà di Lo.Te. ed a carico del fondo di proprietà di Ba.Mi., sito in Paterno alla via (…), censito in catasto al FI. n. (…) p.lla n. (…);

b) per l’effetto condanna Lo.Te. al ripristino dello stato dei luoghi, mediante rimozione dell’infisso in alluminio anodizzato ed installazione di cinque bastoni di ferro a sull’apertura posta al primo livello del fabbricato di sua proprietà;

c) rigetta la domanda riconvenzionale proposta da Lo.Te.;

d) condanna Lo.Te. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore di Ba.Mi., che liquida per il primo grado in complessivi Euro 4.351,40 (di cui Euro 1.339,00 per diritti di procuratore ed Euro 3.012,50 per onorari di avvocato), oltre spese generali, e per il presente grado in complessivi Euro 4.793,00 (di cui Euro 340,00 per spese vive ed Euro 580,86 per spese generali) oltre IVA e CA come per legge;

e) pone a definitivo carico di Lo.Te. le spese della CTU espletata nel corso del giudizio di primo grado, già liquidate come da separato decreto.

Così deciso in Potenza il 27 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 18 settembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.