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l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attivita’ con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attivita’ connesse di cui all’articolo 2135 c.c., comma 3, assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, gravando su chi invochi l’esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attivita’ di trasformazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e quella tipica di coltivazione ex articolo 2135, comma 1, il corrispondente onere probatorio.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7362/2015 proposto da:
(OMISSIS), quale titolare della ditta individuale agricola “(OMISSIS)”, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS), (OMISSIS) S.s.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 601/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/06/2018 dal cons. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO CHE
(OMISSIS), titolare della ditta individuale (OMISSIS), ricorre per cassazione, con tre motivi, nei confronti della sentenza della corte d’appello di Milano in data 5-2-2015, notificata l’11 successivo, che ha respinto il reclamo avverso la sentenza del tribunale di Como dichiarativa del suo fallimento;
gli intimati non hanno svolto difese.
CONSIDERATO CHE
col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 2135 c.c., il ricorrente, premessa la propria qualita’ di imprenditore agricolo, si duole dell’essere stato ritenuto assoggettabile alla disciplina del fallimento;
sostiene che l’impugnata sentenza avrebbe erroneamente escluso la connessione all’attivita’ agricola della vendita di materiali, quando invece tale attivita’ era strettamente complementare alla vendita dei prodotti florovivaistici e in ogni caso assolutamente non prevalente, come attestato dalla percentuale del fatturato all’incirca pari al 5 %;
il motivo e’ inammissibile perche’ si risolve, sotto spoglie di censura in iure, in un sindacato di fatto;
la corte d’appello ha accertato che l’attivita’ d’impresa del ricorrente, specificamente consistente “nel commercio all’ingrosso di piante, fiori e prodotti per il giardinaggio”, era stata affiancata da un’ulteriore attivita’ propriamente commerciale, quale quella di “commercio di materiali edili per giardini, piccole attrezzature per giardinaggio e vivai (..) concimi, fertilizzanti, vasellame, materiali e accessori per irrigazione”;
tale attivita’ la corte territoriale ha ritenuto non suscettibile di esser considerata connessa a quella di impresa agricola florovivaistica in base all’articolo 2135 c.c., reputando irrilevante il mero parametro di natura quantitativa ove anche a tale attivita’ commerciale fosse stata associata una quota minoritaria del volume d’affari dell’impresa;
la motivazione del giudice a quo – per quanto in parte da correggere sotto quest’ultimo profilo – non e’ inficiata dalle censure odierne;
secondo l’attuale testo dell’articolo 2135 c.c., conseguente al Decreto Legislativo n. 228 del 2001, e’ imprenditore agricolo “chi esercita una delle seguenti attivita’: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attivita’ connesse”;
l’u.c. della disposizione ha specificato la nozione di attivita’ connesse dicendo che “si intendono comunque connesse le attivita’, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonche’ le attivita’ dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attivita’ agricola esercitata, ivi comprese le attivita’ di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalita’ come definite dalla legge”;
questa Corte ha di recente chiarito che l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attivita’ con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attivita’ connesse di cui all’articolo 2135 c.c., comma 3, assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, gravando su chi invochi l’esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attivita’ di trasformazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e quella tipica di coltivazione ex articolo 2135, comma 1, il corrispondente onere probatorio (Cass. n. 16614-16);
in sostanza, l’esonero dall’assoggettamento alla procedura fallimentare dell’imprenditore agricolo non puo’ ritenersi incondizionato, venendo meno quando sia insussistente, di fatto, il collegamento funzionale con la terra intesa come fattore produttivo, o quando le attivita’ connesse di cui all’articolo 2135 assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura;
l’apprezzamento concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attivita’ commerciali e agricole e della prevalenza di queste ultime, da condurre alla luce dell’articolo 2135 c.c., comma 3 e’ rimesso al giudice di merito, restando insindacabile in sede di legittimita’ se sorretto da motivazione adeguata, immune da vizi logici; e va negata la qualita’ di impresa agricola quando non risulti la diretta cura di alcun ciclo biologico, vegetale o animale, pur se debba ritenersi superata una nozione meramente “fondiaria” dell’agricoltura, basata unicamente sulla centralita’ dell’elemento terriero (cfr. Cass. n. 24995-10);
nella concreta fattispecie il giudice del merito ha accertato che l’oggetto dell’attivita’ di (OMISSIS) era alfine commerciale, giacche’ non era identificato in “prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo”, ne’ la sua attivita’ si era distinta nella “fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attivita’ agricola esercitata”, sebbene nella generica vendita di materiali edili per giardini e piccole attrezzature di giardinaggio e accessori per irrigazione;
tale attivita’ non era connessa a quella florovivaistica a prescindere dalla corrispondenza di quota minoritaria del volume d’affari dell’impresa;
la contraria deduzione di parte ricorrente implica una critica de facto con riguardo alla prima decisiva affermazione, notoriamente inammissibile in cassazione;
col secondo motivo (OMISSIS) lamenta che sia stata violata la L. n. 3 del 2012 per effetto dell’affermazione della corte d’appello secondo cui la previa ammissione alla procedura speciale di composizione della crisi da sovraindebitamento non aveva fissato alcun accertamento sulla natura e sulla classificazione dell’attivita’ esercitata dall’imprenditore;
egli sostiene invece che il provvedimento giurisdizionale afferente avrebbe dovuto esser considerato come avente natura decisoria, anche in ordine alle condizioni soggettive della parte;
il motivo e’ manifestamente infondato;
dalla sentenza risulta che il reclamante aveva eccepito la previa ammissione alla procedura speciale di composizione della crisi da sovraindebitamento, poi sfociata in una declaratoria di improcedibilita’ per mancato accordo coi creditori: in quanto accessibile solo a imprese non assoggettabili a fallimento, tale ammissione dovevasi considerare, secondo la sua tesi, determinativa dell’implicito accertamento della detta qualita’; tale accertamento – che la corte d’appello ha invece negato – adesso si assume parificabile al giudicato, stante il rilievo che il provvedimento ammissivo avrebbe natura decisoria e definitiva;
cosi’ non e’ in quanto i provvedimenti relativi all’ammissibilita’ della proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento (o anche del piano del consumatore) non possiedono carattere decisorio, come si desume dal fatto che l’eventuale provvedimento di rigetto dell’ammissibilita’ della proposta o del piano (L. n. 3 del 2012, articolo 7, comma 1 bis e articolo 8), non precludendo nei limiti temporali previsti dall’articolo 7, comma 2, lettera b), di presentare un altro e diverso piano di ristrutturazione dei debiti, non e’ impugnabile con ricorso straordinario ex articolo 111 Cost. (v. Cass. n. 1869-16, Cass. n. 20917-17, Cass. n. 4500-18);
col terzo motivo, infine, (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 5 all. E della L. n. 2248 del 1865 e dell’articolo 111 Cost. nella parte in cui la corte del merito ha ritenuto inconferenti, oltre che disapplicabili, le certificazioni documentali finalizzate a comprovare la dedotta qualita’ di imprenditore agricolo;
il motivo e’ inammissibile poiche’ non aderente alla ratio della sentenza;
la corte d’appello ha infatti osservato che la documentazione era priva di decisivita’ non solo perche’ consistente in atti amministrativi (certificazioni e altro) disapplicabili in sede giurisdizionale, ma anche e soprattutto perche’ destinata ad avvalorare l’esercizio dell’attivita’ di floricoltura e vivaistica; fatto in se’ incontestato e tuttavia irrilevante ai fini della specifica ragione della soggezione al fallimento, identificata nel parallelo esercizio di attivita’ commerciali non connesse.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.