in tema di compravendita immobiliare, la mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica, che, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 18, comma 2 deve essere allegato per la conclusione del contratto definitivo o in sede di richiesta giudiziale di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, comporta la nullita’ degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento di immobili, nullita’ avente carattere assoluto e, quindi, rilevabile d’ufficio e deducibile da chiunque vi abbia interesse. Pertanto, la mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica, che non costituisce un presupposto della pretesa azionata, bensi’ una condizione dell’azione, giustifica la sua acquisizione, anche officiosa, in forza dei poteri del giudice di cui all’articolo 213 c.p.c., sottraendosi al principio dispositivo proprio del processo civile e sia l’allegazione che la documentazione della sua esistenza, si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attivita’ di deduzione e produzione delle parti e possono quindi avvenire anche nel corso del giudizio di appello, purche’ prima della relativa decisione.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 26 settembre 2018, n. 22990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12074-2014 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI RUVO DI PUGLIA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS) SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1864/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 23/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/06/2018 dal Consigliere LORENZO ORILIA.
RITENUTO IN FATTO
1 La Corte d’Appello di Bari con sentenza 23.12.2013 ha respinto il gravame proposto da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la decisione di primo grado (Tribunale di Trani sez. dist. Ruvo di Puglia) che, in accoglimento della domanda formulata ex articolo 2932 c.c. da (OMISSIS), promissario acquirente, di un fondo, aveva trasferito l’immobile a costui e ad altri cinque soggetti da lui indicati in citazione, rigettando la riconvenzionale di risoluzione di diritto del preliminare di vendita spiegata dai convenuti – promittenti venditori ( (OMISSIS)- (OMISSIS)), nonche’ la domanda di manleva proposta da costoro contro i terzi chiamati in causa Comune di Ruvo di Puglia e (OMISSIS) spa.
Per giungere a tale conclusione, la Corte territoriale ha osservato, per quanto oggi rileva:
– che rettamente il primo giudice aveva ravvisato la rinunzia tacita degli appellanti ad avvalersi della risoluzione per effetto dello spirare del termine essenziale del 23.4.1999;
– che il ritardo nel rispetto del termine fissato per la stipula del definitivo era addebitabile ai promittenti venditori che non avevano curato gli adempimenti catastali;
– che i promittenti venditori, neppure dopo la ricezione di due bonifici da Lire 100.000.000 ciascuno si erano presentati dal notaio per stipulare l’atto definitivo;
– che la censura avente ad oggetto il rigetto della domanda di manleva spiegata dai convenuti contro i terzi chiamati era inammissibile per difetto di specificita’.
2 Contro tale sentenza i promittenti venditori (OMISSIS)- (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sette censure, a cui resiste solo il Comune di Ruvo di Puglia con controricorso, mentre il (OMISSIS) e l’ (OMISSIS) spa non hanno svolto difese in questa sede.
I ricorrenti hanno depositato una memoria in prossimita’ dell’adunanza camerale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1-2 Col primo motivo si deduce ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione falsa applicazione dell’articolo 1457 c.c., articoli 1362 c.c. e ss e articolo 2932 c.c. criticandosi la Corte d’Appello per avere ravvisato nel comportamento dei promittenti venditori una rinunzia tacita al termine essenziale.
Col secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione delle stesse norme, rimproverandoli alla Corte di merito di non aver considerato che i promittenti venditori non avevano compiuto nessun atto tale da poter essere interpretato come indice di rinunzia tacita al termine essenziale, non potendo assumere valore il comportamento tenuto dal solo promissario acquirente.
Le prime due censure, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione al tema della rinunzia al temine essenziale, sono prive di fondamento e in parte anche inammissibili.
Sono senz’altro inammissibili per difetto di specificita’ nella parte in cui solo formalmente (mediante semplice menzione in rubrica) si deduce la violazione degli articoli 1362 c.c. e ss, perche’ nel corpo dei motivi il tema delle regole di interpretazione del contratto non e’ minimamente affrontato, a dispetto dei principi costantemente elaborati da questa Corte in materia di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale (v. tra le tante, Sez. 1 -, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017 Rv. 646063; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012 Rv. 624346).
Per il resto, le doglianze sono infondate.
Sempre secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la previsione di un termine essenziale per l’adempimento del contratto, essendo posta nell’interesse di uno o di entrambi i contraenti, non preclude alla parte interessata di rinunciare, seppur tacitamente, ad avvalersene, anche dopo la scadenza del termine, cosi’ rinunciando altresi’ alla dichiarazione di risoluzione contrattuale (v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 16880 del 05/07/2013 Rv. 627084; Sez. 2, Sentenza n. 8881 del 03/07/2000 Rv. 538188; Sez. 2, Sentenza n. 1881 del 19/03/1984 (Rv. 433953; Sez. 1, Sentenza n. 855 del 11/03/1976 Rv. 379524).
Nel caso di specie, il giudice di merito, ha ravvisato una rinunzia tacita da parte dei promittenti venditori ad avvalersi del termine essenziale per la stipula del contratto definitivo di vendita immobiliare, evidenziando (v. pag. 5 sentenza impugnata) il comportamento degli (OMISSIS)- (OMISSIS), i quali successivamente alla scadenza del termine essenziale (fissata per il 23.4.1999), avevano “accettato” ulteriori acconti di consistente entita’ in riferimento al preliminare de quo (Lire 100.000.000 con bonifico del 20.7.1999 e Lire 100.000.000 con bonifico del 20.9.1999).
Trattasi, come e’ evidente, di una conclusione in linea con la giurisprudenza di questa Corte (la cui applicabilita’ al caso in esame, contrariamente a quanto si assume in ricorso a pag. 27, non richiede certamente la perfetta identita’ delle situazioni di fatto sottoposte ai giudici di merito).
Inoltre, la soluzione a cui e’ pervenuta la Corte barese poggia su un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (qui non censurabile, ormai neppure sotto il profilo motivazionale, stante la nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e dunque si rivela priva di consistenza la critica dei ricorrenti, tendente in sostanza ad una alternativa interpretazione di dati fattuali sul comportamento concludente delle parti, che la Corte d’Appello ha valutato anche con taglio critico del tutto plausibile, laddove ha superato anche le obiezioni degli appellanti sulla provenienza dei bonifici (v. ancora pag. 5).
3 Col terzo motivo i ricorrenti deducono violazione degli articoli 2644 e 2659 c.c., della Legge Notarile (n. 89 del 1913), articolo 51, comma 1, n. 6 nonche’ violazione della L. n. 52 del 1985, criticando l’affermazione della Corte d’Appello sulla necessita’ dell’esatta individuazione catastale dell’ immobile ai fini della stipula dell’atto di trasferimento.
Il motivo e’ inammissibile perche’ introduce per la prima volta questioni di diritto che non risulta abbiano mai formato oggetto di dibattito in sede di appello, benche’ gia’ il primo giudice avesse a chiare lettere affermato, sulla scorta delle dichiarazioni dei notai, l’impossibilita’ di procedere alla stipula dell’atto stante l’irregolarita’ catastale e la conseguente impossibilita’ di ottenere il certificato di destinazione urbanistica (v. pag. 17 ricorso ove e’ riportato il relativo passaggio della sentenza di primo grado).
Al riguardo, va richiamato il principio, frequentemente affermato da questa Corte, secondo cui qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, e’ onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificita’ del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018 Rv. 649332; Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013 Rv. 627975; Sez. 3, Sentenza n. 3664 del 21/02/2006 Rv. 587516).
4 Col quarto motivo si denunzia invece la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 1175 e 1375 c.c. nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo (contenuto del contratto preliminare), criticandosi la Corte d’Appello per avere ritenuto che, in applicazione del principio di correttezza e buona fede, spettasse ai venditori di curare l’accatastamento e per avere ravvisato una sorta di culpa in eligendo con riferimento al notaio da incaricare per la stipula.
Il motivo e’ infondato perche’ si risolve in una critica sull’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla individuazione della parte tenuta a provvedere alla regolarizzazione della situazione catastale; e’ invece privo di specificita’ nella parte in cui si sofferma sul tema della culpa in eligendo, che non risulta trattato in sentenza.
5 Col quinto motivo, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c. rimproverando alla Corte territoriale di avere ritenuto priva di specificita’ la censura riguardante il rigetto della domanda di manleva spiegata contro il Comune di Ruvo di Puglia e l’ (OMISSIS).
Tale motivo e’ infondato perche’ non coglie la chiara ratio giustificativa della inammissibilita’ della doglianza contro il rigetto della domanda di manleva: mancanza di una puntuale critica alla sentenza di primo grado che – si badi bene – aveva ancorato l’inadempimento dei convenuti non gia’ all’esistenza di problemi di irregolarita’ catastale, ma al periodo successivo a tale regolarizzazione, “allorquando la situazione era stata regolarizzata e ciononostante i convenuti si sono rifiutati da addivenire alla stipula” (v. ricorso pagg. 11 e ss ove e’ trascritta la sentenza di primo grado, che affronta la domanda di manleva nella parte finale).
Si rivela allora sterile l’insistenza dei ricorrenti nel sottolineare i problemi di ordine catastale e le relative responsabilita’, perche’ – lo si ripete – non era stata questa tematica a sorreggere la ratio decidendi del Tribunale sul rigetto della domanda di manleva spiegata dai convenuti contro i terzi.
6 Col sesto motivo, si denunzia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio (mancata nomina dei definitivi acquirenti e mancata partecipazione al giudizio), nonche’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2932 c.c. e articolo 354 c.p.c. e la violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omesso esame di una domanda od eccezione.
Sostengono i ricorrenti che la Corte d’Appello ha del tutto omesso l’esame di una censura che avrebbe chiuso in limine litis la materia del contendere, riferendosi alla posizione delle persone fisiche nominate come acquirenti nella narrativa dell’atto di citazione e denunziano la nullita’ della sentenza.
7 Col settimo ed ultimo motivo, gli (OMISSIS)- (OMISSIS) denunziano ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto de decisivo del giudizio (la tardivita’ della produzione del certificato di destinazione urbanistica avvenuta solo con la comparsa conclusionale) – Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, del combinato disposto dell’articolo 184 c.p.c. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 30 e omesso esame di una domanda od eccezione (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Rilevano che sulla tardiva produzione del certificato di destinazione urbanistica la Corte d’Appello non si e’ pronunciata, cosi’ configurandosi la nullita’ della sentenza.
Va subito rilevata l’inammissibilita’ di quest’ultimo motivo per difetto di interesse concreto ad impugnare.
L’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’articolo 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilita’ concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame, e non puo’ consistere in un mero interesse astratto ad una piu’ corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata;
sicche’ e’ inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (tra le tante, v. Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006 Rv. 589392; Sez. L, Sentenza n. 13373 del 23/05/2008 Rv. 603196; Sez. 2, Sentenza n. 15353 del 25/06/2010 Rv. 613939; Sez. 2 -, Sentenza n. 5329 del 02/03/2017 Rv. 643062, in motivazione).
Ebbene, se e’ vero che la Corte d’Appello non ha considerato la doglianza (che il ricorso riporta a pag. 48) e’ pero’ altrettanto vero che l’esame della stessa non avrebbe potuto sortire gli effetti auspicati dai ricorrenti (inammissibilita’ della produzione del certificato di destinazione urbanistica).
Infatti, in tema di compravendita immobiliare, la mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica, che, ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 18, comma 2 deve essere allegato per la conclusione del contratto definitivo o in sede di richiesta giudiziale di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, comporta la nullita’ degli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento di immobili, nullita’ avente carattere assoluto e, quindi, rilevabile d’ufficio e deducibile da chiunque vi abbia interesse. Pertanto, la mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica, che non costituisce un presupposto della pretesa azionata, bensi’ una condizione dell’azione, giustifica la sua acquisizione, anche officiosa, in forza dei poteri del giudice di cui all’articolo 213 c.p.c., sottraendosi al principio dispositivo proprio del processo civile e sia l’allegazione che la documentazione della sua esistenza, si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attivita’ di deduzione e produzione delle parti e possono quindi avvenire anche nel corso del giudizio di appello, purche’ prima della relativa decisione” (v. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 22077 del 25/10/2011 Rv. 620140, anche in motivazione, sulla scia di Sez. U, Sentenza n. 23825 del 2009; v. altresi’ Sez. 2, Sentenza n. 71 del 2011 non massimata).
Ben diverso e’ il discorso relativo all’altro motivo, il sesto, che pure denunzia la nullita’ della sentenza per omessa disamina di un motivo di appello (v. pagg. 46 e 47 ricorso), evidenziando pero’ un interesse concreto al suo esame e alla sua corretta soluzione.
Con l’atto di appello (trascritto in ricorso a pagg. 46 e 47 per la parte di rilievo) si era dedotto:
– che la nomina degli acquirenti avrebbe dovuto avvenire entro la data di stipula del contratto definitivo (23.4.1999) e non nell’atto di citazione, come di fatto avvenuto;
– che i terzi nominati non avevano mai formulato una espressa e valida dichiarazione di accettazione in forma scritta, obbligatoria per unanime giurisprudenza (Cass. n. 15164 del 29/11/2001), ne’ in altra forma;
– che i designati acquirenti non avevano partecipato al giudizio di cui erano litisconsorti necessari, producendo la sentenza di accoglimento della domanda effetti direttamente nei loro confronti, con l’ulteriore conseguenza dell’obbligo di rimessione della causa al primo giudice ex articolo 354 c.p.c., comma 1.
Ebbene, la Corte d’Appello ha completamente omesso l’esame di questa dettagliata censura, incorrendo inesorabilmente nel denunziato vizio di omessa pronunzia, sul quale neppure il controricorrente Comune di Ruvo di Puglia e’ stato in grado di prendere posizione, essendosi limitato ad affermare unicamente, attraverso una mera formula di stile, che “la doglianza sul punto e’ inammissibile ed infondata” (v. pag. 9 controricorso).
In conclusione, la sentenza va cassata in relazione al sesto motivo e il giudice di rinvio, che si individua in altra sezione della Corte d’ Appello di Bari, colmera’ la lacuna procedendo all’esame del motivo sotto i vari profili in cui si articola e, all’esito, regolera’ anche le spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
la Corte accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per spese del giudizio di legittimita’, ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari.