In tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, per potere configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti che – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore.
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Eredità e successione ereditaria
Corte d’Appello Cagliari, Sezione 1 civile Sentenza 27 novembre 2018, n. 1019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI
PRIMA SEZIONE CIVILE
composta dai magistrati
Dott.ssa Maria Mura – Presidente
Dott.ssa Donatella Aru – Consigliere
Dott.ssa Emanuela Cugusi – Consigliere relatrice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 100 del Ruolo generale Affari Contenziosi Civili per l’anno 2016, promossa da:
PROVINCIA DI SARDEGNA DEI FRATI MINORI CONVENTUALI, elettivamente domiciliata in Cagliari presso lo studio dell’avv. Fi.Fo., rappresentata e difesa dall’avv. Sa.Lo. in forza di procura speciale a margine dell’atto di citazione del procedimento di primo grado;
appellante
contro
(…), elettivamente domiciliato in Cagliari, presso lo studio dell’avv. Em.Ma., che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale alle liti a margine della comparsa di costituzione e risposta in appello;
appellato
appellati contumaci
IN FATTO E IN DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 25. 5.2006, la Provincia di Sardegna dei frati Minori Conventuali convenne in giudizio (…), al fine di ottenere l’annullamento del testamento olografo redatto da (…) in data 19 marzo 2009, ai sensi dell’art. 624 c.c., allegando che lo stesso doveva ritenersi effetto del dolo esercitato nei confronti del testatore da parte del convenuto.
A fondamento della propria domanda l’attrice sostenne che:
– in data 22 marzo 2006 era deceduto in Oristano il sig. (…), ivi nato il (…), affetto da anni da una malattia polmonare;
– in data 27 marzo 2006, dinanzi al notaio Ed.Pe. e su richiesta del (…) era stato pubblicato un testamento olografo con il quale il (…) aveva lasciato i propri terreni siti in M. ai figli della cugina L., e il resto dei suoi beni (la casa di abitazione, due locali commerciali e due appartamenti siti in O., e quanto altro posseduto dal testatore, compresi i danari depositati in banca) al convenuto;
– il contenuto del predetto testamento, tuttavia, era affatto differente dal contenuto del precedente testamento olografo, steso dal de cuius il 6 settembre 2003, nel quale il (…) aveva lasciato tutti i beni da lui posseduti ai Frati F. di O., fatto salvo l’usufrutto del magazzino lasciato in favore del sig. (…) e l’usufrutto del piano piano superiore della casa di abitazione lasciato alla propria collaboratrice domestica, la sig.ra (…); con il medesimo testamento, inoltre, il (…) aveva manifestato il desiderio di essere sepolto vicino alla sorella (…) e aveva nominato esecutori testamentari Padre (…) e il nipote (…);
– era evidente, pertanto, la profonda differenza di contenuto tra i due scritti in quanto il testamento del 2003 rispecchiava la vita affettiva del testatore, essendovi menzionati, infatti, i Frati, il suo migliore amico (…), la colf sua dipendente da sedici anni e la defunta sorella (…); nel secondo testamento invece, veniva istituito erede universale (…), un soggetto totalmente estraneo alla vita affettiva del de cuius fino a pochi mesi prima della sua morte;
– in particolare, il (…) era stato legato per tutta la vita da un profondo affetto verso la propria sorella (…) con la quale aveva vissuto fino alla morte di quest’ultima, avvenuta nell’agosto del 2003; in forza di tale legame si giustificava, dunque, la sua decisione di voler lasciare tutti i propri beni ai Frati (…) di (…), ai quali la sorella era particolarmente affezionata e che si erano presi cura di lei nel momento dell’estremo bisogno determinato dalla grave malattia da cui era affetta. Il (…), pertanto, in onore della sorella da poco defunta giacché sapeva che sarebbe stato il suo desiderio, aveva deciso di stendere il testamento del 6 settembre 2003 in favore dei predetti;
– sussistevano fondati motivi per ritenere che la volontà testamentaria del (…) fosse stata coartata dal (…) il quale, approfittando della limitata capacità critica del testatore e della sua particolare fragilità e suggestionabilità, lo aveva emarginato da tutti i suoi più cari affetti, attraverso veri e propri raggiri, che avevano ingenerato nel medesimo una falsa rappresentazione della realtà e che lo avevano indotto a fare testamento in favore del convenuto, come corroborato da episodi significativi che si erano verificati nel periodo antecedente la morte del (…) e che dimostravano una discontinuità nei suoi modi di agire;
– durante il mese di agosto 2005, infatti, era accaduto che, (…), amico del (…) che aveva le chiavi della sua abitazione e della sua autovettura e che si prendeva cura della sua casa, aveva sorpreso all’interno dell’abitazione il (…) mentre rovistava tra i cassetti della camera da letto e rimarcava ad alta voce che si sarebbe dovuto fare qualcosa perché il (…) facesse testamento e lasciasse qualcosa anche ai suoi amici, riferendosi al sé e al (…); qualche giorno dopo tale episodio era poi accaduto che il (…) aveva ricevuto un biglietto, recapitatogli dal convenuto, nel quale il (…) gli chiedeva di non occuparsi più della sua casa e di consegnare le chiavi e i soldi al (…);
– l’estromissione del (…) dalla vita del testatore, del quale era amico da più di quarant’anni, appariva quanto meno sospetta e si giustificava nel comportamento del (…) che, apprese le reali condizioni economiche del (…), aveva influenzato in maniera decisiva la sua percezione della realtà mostrandogli una rappresentazione dei fatti non vera; egli, infatti, aveva ingenerato dei sospetti nel (…) riferendogli che l’amico (…) era incapace di assisterlo e che gli sottraeva denaro, mettendolo così in cattiva luce e determinando la volontà del testatore di escluderlo dalla propria vita;
– sempre nello stesso periodo, d’altronde, il (…) aveva mostrato particolare interesse alla situazione patrimoniale del de cuius, avendo spesso intrapreso con (…) discorsi relativi alla detta situazione e alle intenzioni testamentarie del (…);
– inoltre, il (…) si era intromesso anche nei rapporti tra il de cuius e (…), la quale era stata fidata dipendente del (…) per sedici anni. In particolare, in data 18 marzo 2006 costui aveva tentato di screditarla agli occhi del (…) accusandola di essere andata nell’abitazione del malato esclusivamente per sottrargli uno scialle che era stato della sorella (…), e il (…), ormai suggestionato, aveva dato credito alle calunnie mosse dal (…);
– l’ingerenza del convenuto, infine, era stata particolarmente incisiva con riguardo agli aspetti inerenti le cure mediche, tanto che lo stesso aveva messo in dubbio che al (…) dovessero essere somministrate le medicine prescritte dal medico geriatra dell’Ospedale Sant.ma Trinità di Cagliari, dott. (…), per curare la grave patologia polmonare della quale il (…) era affetto; viceversa, era emerso che quest’ultimo assumeva dei farmaci, in particolare il (…) per dormire, che non solo non era stato prescritto ma era stato addirittura sconsigliato categoricamente dal geriatra;
– il (…), del resto, non si era mai occupato della salute del (…) tanto che ad accompagnare il malato a fare le visite mediche erano stati sempre i figli della cugina (…) e, inoltre, dopo la morte del (…) si era scoperto che lo stesso non stava più prendendo gli antibiotici e gli altri farmaci che gli erano stati prescritti per la cura della sua patologia;
– lo strano comportamento del (…) si era manifestato anche il giorno prima che il de cuius morisse, quando aveva impedito, fino alle ore 20.00 della medesima giornata, a (…) di parlare direttamente col (…), il cui cellulare risultava spento;
– il 22 marzo 2006, giorno in cui era avvenuta la morte del (…), alla presenza di amici e parenti, il (…) non aveva fatto altro che mettere in evidenza, vantandosene, di aver prestato assistenza al (…) per un intero anno fino a 12 ore giornaliere e di essere stato l’unica persona sulla quale il defunto aveva avuto sempre piena fiducia; inoltre, aveva fatto espressamente riferimento all’esistenza di un testamento in suo favore.
Si costituì in giudizio (…), il quale contestò il contenuto dell’atto di citazione in quanto “frutto di una inveritiera rappresentazione dei fatti evidentemente ispirata ad un recupero e valorizzazione morale delle figure parentali mediante il ricorso, da un lato, alla esposizione dei fatti per lo più inesistenti ( o comunque parzialmente narrati) e, dall’altro, mediante il sistematico ricorso alla denigrazione altrui”.
Il convenuto sostenne di aver intrattenuto rapporti col (…) sin dal 2001 quando si era trasferito ad Oristano unitamente alla moglie e a un amico di famiglia per aprire un’attività commerciale, sita nella via (…), che il (…) era solito frequentare; pian piano negli anni il rapporto tra i due si era rafforzato tanto che il (…) era diventato una persona di famiglia anche per i figli del convenuto, ed era facile vederli assieme a passeggio per le vie della città o durante le feste di famiglia.
Affermò, inoltre, che dal 2003, a seguito della morte della sorella (…), il (…) era caduto in uno stato di profonda prostrazione dal quale era uscito solamente grazie al sostegno di pochissimi amici e di quelli che ormai lui stesso definiva come la sua unica famiglia, ovvero i (…). Questi ultimi, infatti, lo avevano assistito in più occasioni di ricovero, prima presso la clinica del (…) di (…), per una forma patologica polmonare, poi, nell’agosto del 2005, in occasione della frattura di un femore.
Quanto al disbrigo delle questioni amministrative allegò che, a partire dal 2005, il (…) aveva potuto contare sul suo amico (…) il quale prevalentemente si occupava di riscuotere gli affitti e, proprio in una di queste occasioni, i rapporti tra i due si erano incrinati; il (…), infatti, aveva contestato al predetto di essersi appropriato di una parte del corrispettivo locatizio consegnato a quest’ultimo da un inquilino; da allora i rapporti tra i due si erano affievoliti al punto che il (…), di sua spontanea volontà aveva fatto perdere le tracce di sé per poi riapparire a distanza di molto tempo, verso la fine di marzo 2006, quando oramai il destino dell’amico malato era segnato.
Neppure era vero che il (…) non si fosse occupato della salute del de cuius, dal momento che si era, al contrario, il più delle volte occupato di accompagnare il (…) tra i vari ospedali e studi medici, mentre i nipoti (…), totalmente assenti fino a quel momento dalla vita del (…), erano ricomparsi solamente verso i primi mesi del 2006; avevano, peraltro, deciso di trasportare il malato a Cagliari, senza curarsi del viaggio a cui sarebbe stato costretto, per un consulto dal dott. (…), del quale non erano conosciuti i referti, né gli esiti, né risultava che il predetto sanitario avesse sentito la necessità di rapportarsi con i medici di fiducia del (…) per concordare eventuali modalità di intervento.
Del tutto prive di fondamento apparivano, infine, secondo il convenuto, i sospetti esternati dall’attrice in ordine alle cause della morte del (…) posto che qualsiasi sorta di maleficio era stato evidentemente escluso dall’esame autopico disposto dalla Procura della Repubblica.
Anche il compendio ereditario, dapprima sottoposto a sequestro, era stato successivamente dissequestrato e restituito al (…), quale erede istituito legittimamente.
La causa, istruita con produzioni documentali e prova per testi, è stata decisa con sentenza n. 541/2015 dal Tribunale di Oristano, il quale ha rigettato le domande formulate dall’attrice Provincia di Sardegna dei Frati Minori Conventuali, condannandola alla rifusione delle spese processuali in favore del convenuto.
In particolare, il tribunale, richiamata la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di dolo ex art. 624 c.c., ha escluso che nel caso di specie fosse stata raggiunta la prova della coartazione della volontà del de cuius tale da orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata (così Cass. n. 14011/2008), non essendo sufficienti a tal fine le allegate circostanze relative all’allontanamento del (…) dall’amico (…) e l’episodio relativo all’accusa rivolta alla collaboratrice domestica (…).
Invero, quand’anche tali episodi, provati in sede testimoniale, fossero indicativi della volontà del (…) di isolare il de cuius dalla cerchia delle perone a lui care, ad avviso del giudice di prime cure non si poteva tuttavia sostenere che essi avessero determinato le convinzioni del (…) tanto da orientare la sua volontà testamentaria in senso diverso da quello realmente voluto, tanto più se si considerava che nel testamento del 2003, precedente a quello per cui era causa, al (…) e alla (…) era stato lasciato dal (…) unicamente l’usufrutto del magazzino ( in favore del (…)) e del piano superiore della casa di abitazione (in favore della (…)).
Era emerso, inoltre, dall’istruttoria, che il (…) e il (…) avevano instaurato un rapporto molto stretto, specie nell’ultimo anno di vita del de cuius; se anche l’assistenza fornita dal (…) in favore del (…) fosse stata interessata e se anche fosse stato vero che quest’ultimo sperava di essere ricompensato mediante un lascito testamentario, ciò costituiva una circostanza che, sebbene moralmente non commendevole, di per sé non integrava presupposti previsti dall’art. 624 c.c.
Il giudice ha rilevato inoltre che non era stata nemmeno allegata dall’attrice un’attività di falsificazione della realtà dei fatti posta in essere dal (…) causalmente determinante la revoca delle disposizioni testamentarie contenute nel testamento del 2003, le quali, a dire della stessa, corrispondevano alla reale volontà del de cuius, il quale aveva in tal modo voluto adeguarsi a quella che era la volontà manifestata dalla sorella (…), che a sua volta aveva lasciato i propri beni in eredità al fratello; tuttavia non risultava che il (…) avesse espresso nel corso degli ultimi anni della sua vita la volontà di confermare il proprio lascito, né che le disposizioni contenute nel primo testamento corrispondessero alla reale volontà del de cuius al momento della redazione del secondo testamento, avvenuta nel marzo del 2006.
Ciò posto, non essendo emersa nel corso del giudizio una condotta del convenuto diretta a indirizzare la volontà del (…) nel senso di cui sopra, il Tribunale ha ritenuto, che del tutto liberamente il de cuius aveva deciso, prima di morire, di modificare il proprio precedente testamento e di disporre in favore della persona che, più di ogni altra, gli era stata vicina nel suo ultimo periodo di vita.
Con atto di citazione tempestivamente notificato, la Provincia di Sardegna dei Frati Minori Conventuali ha proposto appello davanti a questa Corte avverso la predetta sentenza.
L’appellante dopo aver riportato nell’espositiva dell’atto i fatti posti a fondamento della domanda proposta in primo grado, e in particolare le vicende riguardanti le false accuse mosse dal (…) alla signora (…) e le operazioni di discredito poste in essere dal convenuto nei confronti dell’amico del de cuius, (…), con unico e articolato motivo d’appello deduce l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione del primo giudice sull’elemento psicologico dei comportamenti attivi del (…), nonché sull’esame della personalità del convenuto.
In primo luogo, con riferimento all’attività di captazione, asseritamente ascrivibile al (…), l’appellante sostiene che dalle risultanze probatorie sarebbe emerso con chiarezza come la volontà del testatore sia stata determinata da una rappresentazione di fatti non veritieri.
In particolare, la circostanza della rottura della pluriennale amicizia tra il (…) e il (…), avvenuta ad opera di quest’ultimo, sarebbe stata ritenuta inverosimile secondo i testi (…) e (…), apparendo strano e fuori da ogni logica il comportamento del (…), ben lontano dal modo di essere e dallo stile di vita dello stesso.
Tali testi, infatti, conoscevano i rapporti intercorrenti tra (…) e il (…): “la loro era un amicizia che durava da più di quarant’anni e assolutamente non sarebbe mai stata interrotta in quel modo, da un letto d’ospedale e tramite un pezzo di carta, senza nessuna ragione che fosse fondata e comprensibile”.
Parrebbe, dunque, logico ritenere che il (…) abbia influenzato in maniera profonda la capacità di percezione del de cuius, mostrando come reali fatti certamente diversi dal vero che, con attività fortemente persuasiva hanno indotto il (…) a non fidarsi più del (…).
Sostiene, inoltre, che il Tribunale avrebbe omesso di valutare altri due aspetti, non privi di rilievo, riguardanti il comportamento del (…). Quest’ultimo, infatti, da una parte aveva manifestato un chiaro interesse vero la situazione patrimoniale del de cuius, manifestando il desiderio che il (…) cambiasse il testamento in suo favore; inoltre all’udienza di escussione del teste (…), aveva fatto mettere a verbale la propria dichiarazione in cui affermava di non conoscere il predetto e di non averlo mai visto e ciò poiché, a dire dell’appellante, rappresentava un teste molto scomodo e pericoloso per la realizzazione dei suoi intenti.
L’appellante soggiunge, infine, che la volontà testamentaria espressa col primo testamento sarebbe stata reiteratamente confermata, come risulterebbe dalle “inequivoche” deposizioni di (…), (…), (…), (…) e (…).
I fatti evidenziati non rappresenterebbero, pertanto, semplici indizi ma chiari riscontri dell’intenzione del (…) di indirizzare la volontà del (…) nel senso della revoca delle disposizioni previste in favore dell’ente attore, delineandosi in tal modo con chiarezza la condotta dolosa dello stesso.
In secondo luogo, l’appellante evidenzia che, alla luce di una consolidata giurisprudenza, il dolo testamentario (captazione) impone un’indagine specificamente indirizzata non solo ai contenuti dell’atto di ultima volontà, ma anche ai suoi presupposti, alle circostanza di tempo e alle condizioni soggettive ed oggettive delle capacità fisiche e psichiche del testatore, agli antefatti, alle situazioni di dipendenza del terzo, ed ancora, prioritariamente, l’indagine deve riguardare la persona e la personalità del beneficiato.
Con riferimento a tale ultimo elemento lamenta, infatti, che il Tribunale non abbia tenuto conto del comprovato status di pregiudicato del (…) (già condannato per il reato di circonvenzione di incapace e di associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale) e della circostanza che egli non fosse nuovo a tali comportamenti “disponendo di una innegabile abilità esperienziale, tendenzialmente criminogena”, che anche in questo caso sarebbe stata utilizzata per indirizzare la volontà del de cuius.
Si è costituito (…) eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. e ai sensi dell’art. 342 c.p.c., poiché privo dei requisiti ivi indicati; eccepisce, inoltre, l’inammissibilità della domanda nuova formulata al punto n. 2 delle conclusioni di parte appellante, nell’inciso “da quantificarsi in separato giudizio”.
Nel merito contesta la fondatezza del gravame e chiede la conferma della sentenza impugnata.
L’eccezione di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., deve essere, evidentemente disattesa; lo strumento introdotto da tale norma, come chiarito dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 91/2016) costituisce un provvedimento- filtro in appello, di contenuto tipicamente decisorio e applicabile alle impugnazioni che non hanno una ragionevole probabilità di essere accolte in quanto manifestamente infondate.
Deve, tuttavia, osservarsi che la citata norma con l’inciso “fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello”, allude all’ipotesi in cui il giudice dell’appello abbia dato corso alla trattazione dell’appello in via normale e non abbia rilevato la mancanza di ragionevole probabilità dell’appello di essere accolto in limine litis all’udienza di cui all’art. 350 c.p.c., come gli impone l’art. 348 ter c.p.c. In tal caso detto inciso impone al giudice dell’appello di decidere con il procedimento di decisione normale e, dunque, con le garanzie connesse alla pronuncia della sentenza, impedendo una regressione del procedimento all’ipotesi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.”
Nel caso di specie, all’udienza di trattazione il giudizio è proseguito in modo ordinario e la causa, all’udienza del 16 marzo 2018 è stata trattenuta a decisione dal Collegio.
L’ammissibilità dell’appello deve essere affermata anche ai sensi dell’art. 342 c.p.c.; invero, il gravame si fonda su un unico motivo d’appello, sebbene in certi tratti non del tutto perspicuo, nel quale risultano sufficientemente individuati i motivi di censura della sentenza di primo grado, sia avuto riguardo ai capi della sentenza da sottoporre al riesame di questa Corte, alle carenze del ragionamento assunto dal giudice a quo e alle norme di legge che si assumono violate o che si richiede siano applicate, sia con riferimento alle modifiche richieste a fronte di contrarie ragioni di fatto e di diritto ritenute idonee a giustificare la doglianza.
Nel merito si osserva.
Il giudice di primo grado ha fatto corretto richiamo al costante e consolidato orientamento giurisprudenziale affermatosi in materia di dolo testamentario che trova conferma anche nella più recente sentenza della Cassazione Sez. II n. 4653/2018, nella quale si legge che:
“In tema di impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, per potere configurarne la sussistenza non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti che – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata.
La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore”.
Ciò posto, ad avviso della Corte, il tribunale ha correttamente applicato i suddetti principi disattendendo la prospettazione dei fatti sostenuta dall’attrice; non risulta in primo luogo dimostrato, infatti, che il (…) si trovasse in una condizione di salute mentale precaria, idonea cioè a subire un condizionamento nella libertà di autodeterminare il proprio giudizio, né che il convenuto abbia adottato mezzi fraudolenti idonei a trarre il testatore in inganno, suscitando in lui una falsa rappresentazione della realtà, tali non potendo certo qualificarsi le dedotte vicenda dell’allontanamento del (…) e della (…) dalla vita del de cuius.
In particolare, con riferimento alle dichiarazioni del (…) e del (…), che secondo l’appellante confermerebbero un comportamento del (…) inconsueto e del tutto estraneo al suo modo di essere, si osserva come tali testi si siano in realtà limitati a confermare la sussistenza di un rapporto di amicizia tra il (…) e il (…), fatto che risulta peraltro pacifico in causa, e a descrivere la vicenda della rottura di tale rapporto, senza tuttavia pervenire alle conclusioni che l’appellante vorrebbe loro attribuire e che appaiono, pertanto, frutto di una mera supposizione dello stesso.
Invero, mentre il (…) all’udienza del 28. 9.2009 ha precisato di non sapere nulla sui rapporti economici tra i due amici e di non essere a conoscenza delle accuse rivolte dal (…) al (…), limitandosi ad affermare che i due “erano legati da un forte legame di amicizia almeno dagli anni 50”, il (..) alla successiva udienza ha descritto minuziosamente la predetta vicenda: “il (…) era un amico fedele di (…); era in possesso delle chiavi di via (…), poiché aveva il compito di innaffiare i fiori, accendere il motore della macchina che il (…) non usava più e riscuotere gli affitti. Della revoca dell’incarico al (…) seppi dal (…). Il (…) mi aveva altresì riferito le ragioni della revoca, rappresentate dal fatto che il (…) non avrebbe più curato i fiori della casa e non si sarebbe più preoccupato di vigilare il funzionamento della macchina; inoltre si sarebbe imputata al (…) la sottrazione di somme derivanti dalla riscossione (in parte) dei canoni di locazione degli immobili di (…)”, peraltro, ha precisato che lo stesso (…) personalmente gli aveva confermato tali fatti ” dichiarandomi che il (…) era un limitato” e che “da allora non vidi più il (…) fino ai primi di marzo del 2008”; risulta, pertanto, smentita l’affermazione secondo cui il (…) avrebbe interrotto il predetto rapporto di amicizia senza alcuna fondata ragione, posto che essa si rinviene comprensibilmente nei fatti appena illustrati e, più precisamente, nel comportamento inadempiente del (…) che era venuto meno ai suoi compiti relativi alla gestione amministrativa del summenzionato immobile.
Infatti, la circostanza per cui il (…) attraverso un biglietto, recapitato dal (…) al (…), aveva chiesto a quest’ultimo di non occuparsi più della casa e di consegnare le chiavi e i soldi al (…), in tal modo troncando un’amicizia durata più di quarant’anni, non può di per sé giustificare l’illazione per cui sia stato il (…) ad influenzare in maniera determinante il (…) tanto da indurlo a non fidarsi più del (…). In ogni caso, la condotta del (…) non può considerarsi alla stregua di una attività captatoria volta a trarre in inganno il de cuius, poiché consisterebbe eventualmente in una mera influenza di natura psicologica certamente non idonea ai fini dell’annullamento del testamento per dolo, alla luce di criteri a tal fine richiesti dalla sopra richiamata giurisprudenza.
La prova della captazione non si può nemmeno dedurre unicamente dal fatto che il beneficiario abbia manifestato un interesse verso il patrimonio del de cuius, ne’ dalle altre considerazioni svolte dall’appellante circa la condotta processuale del (…), del tutto irrilevante ai fini qui in esame.
Quanto alla volontà espressa dal (…) nel testamento risalente al 2003, come correttamente osservato dal primo giudice, non risulta provato che il testatore, nell’ultimo periodo della sua vita, avesse espresso la volontà di confermare il proprio lascito in favore dei Frati, né che tale volontà sia stata mantenuta ferma nel corso degli anni; si osserva, inoltre, come le deposizioni dei testimoni (…), (…), (…), (…) e (…), diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non siano significative in tal senso.
I predetti, infatti, hanno riferito che, dopo la morte della sorella (…) avvenuta nel 2003, alla quale il (…) era particolarmente legato, il medesimo aveva manifestato l’intenzione di lasciare i propri beni ai Frati (…) in onore della defunta e che aveva ribadito tale intenzione in occasione di una messa celebrata nel 2004 per l’anniversario della morte di (…); non è stata fatta, tuttavia, alcuna menzione alla volontà testamentaria manifestata dal de cuius nel periodo successivo al detto episodio. Risulta invece dimostrato, all’esito dell’espletata istruttoria, (v. testimonianze di (…), (…) rese all’udienza del 30 giugno 2011 e quella di (…) nell’udienza del 21 giugno 2012), che il (…) e il (…) avevano instaurato un rapporto di amicizia molto stretto, intensificatosi ancor più nel 2005 quando si era aggravata la patologia polmonare del (…) e il (…) era diventato un punto di riferimento per l’amico malato.
A nulla rilevano, infine, le allegazioni dell’appellante sulla personalità del convenuto posto che, ai sensi dell’art. 624 c.c., non costituiscono elemento integrante di detta fattispecie le caratteristiche del beneficiato né i comportamenti tenuti in vicende estranee a quella in esame, dovendosi avere riguardo unicamente all’attività posta in essere nei confronti del testatore e alla sua idoneità ad incidere significativamente sul processo formativo della volontà dello stesso, circostanza questa che, tuttavia, alla luce delle precedenti osservazione, è stata esclusa.
Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve essere respinto.
Risulta evidentemente assorbita l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellato per novità della domanda formulata al punto 2 delle conclusioni di parte appellante.
In considerazione del principio della soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., l’appellante deve essere condannata alla rifusione in favore della controparte delle spese processuali del presente grado di giudizio, che si liquidano come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 e succ. mod. sulla base dello scaglione “Indeterminabile – complessità bassa”, applicando i valori medi alla fase di studio, di introduzione e decisionale.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte di Appello di Cagliari, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n. 541/2015 del Tribunale di Oristano così provvede:
1. Rigetta l’appello proposto dalla Provincia di Sardegna dei Frati Minori Conventuali e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
2. condanna l’appellante alla rifusione delle spese processuali in favore della controparte che liquida in Euro 6.615,00 a titolo di compensi di avvocato, oltre spese forfetarie, iva.
3. Dichiara che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13 D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012 per il pagamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Così deciso in Cagliari l’8 novembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 27 novembre 2018.