è onere della parte, la quale deduca, ai fini dell’operatività dell’art. 1956 c.c., la violazione dei canoni di correttezza e buona fede della Banca nei riguardi del fideiussore, dimostrare che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale e che la banca abbia agito nella consapevolezza di un’irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all’interesse del fideiussore. È cioè necessario che il fideiussore che invoca la propria liberazione dia prova sia del fatto oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento quando si era già verificato un peggioramento delle condizioni economiche del debitore principale, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto, sia del requisito soggettivo della consapevolezza di tale peggioramento da parte del creditore.
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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 9 novembre 2018, n. 21602
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
XVII (già IX) SEZIONE CIVILE
in persona del giudice unico dott. Giuseppe Russo ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 71184 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014, vertente
tra
(…) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché (…), (…), (…) e (…), tutti elettivamente domiciliati in Roma alla piazza (…), presso lo studio degli Avv.ti An.Ci., Ca.Ma. e Lu.Ma. che li rappresentano e difendono in forza di procura in atti
attori
e
(…) S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma al Largo (…), presso lo studio dell’Avv. Um.Mo., che la rappresenta e difende in forza di procura in atti
convenuta
oggetto: apertura di credito in conto corrente bancario
FATTO E DIRITTO
La società (…) Srl nonché i Sigg.ri (…), (…), (…) e (…) hanno citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la (…) SpA, lamentando che quest’ultima aveva illegittimamente addebitato competenze non dovute in relazione ad un conto corrente (c/c n. (…)), sul quale si innestava un’apertura di credito, rapporti entrambi intrattenuti con la (…) Srl e garantiti dalle fideiussioni rilasciate dai Signori (…), (…), (…) e (…). Gli odierni attori, in particolare, hanno denunciato:
1) l’applicazione di interessi anatocistici ultralegali senza il rispetto del regime di pari temporaneità introdotto dal D.Lgs. n. 342 del 1999 e dalla Del.CICR del 9 febbraio 2000;
2) la modifica dei tassi di interesse operata unilateralmente dalla banca in senso sfavorevole alla società correntista senza l’approvazione di quest’ultima;
3) l’applicazione di interessi usurari in violazione della L. n. 108 del 1996 di natura oggettiva e soggettiva;
4) l’applicazione della commissione di massimo scoperto non pattuita e comunque priva di alcuna giustificazione causale;
5) l’applicazione di valute antergate e postergate in senso sfavorevole alla correntista senza una specifica pattuizione sul punto;
6) l’ingiustificato ed illegittimo recesso esercitato dalla banca senza giusta causa e senza il rispetto del termine previsto dall’art. 1845 c.c.
Gli attori hanno concluso formulando le seguenti domande così meglio precisate in sede di prima memoria ex art. 183, comma VI, c.p.c.:
“- ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità ed inefficacia delle condizioni generali del contratto di conto corrente n. (…) per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 comma 2,
– ACCERTARE E DICHIARARE: nullità della clausola contrattuale anatocistica relativa ai contratti di cui in narrativa e per l’effetto l’inefficacia della capitalizzazione trimestrale post luglio 2000 degli interessi sugli interessi unilateralmente applicata dalla banca per violazione dell’art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999,
– ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità della clausola di modifica unilaterale dei tassi d’interesse nonché delle altre condizioni contrattuali in quanto non approvate specificatamente dal cliente, secondo quanto disposto dall’art. 1341 c.c.;
– ACCERTARE E DICHIARARE: l’applicazione da parte dell’Istituto di credito di tassi di interesse usurari superando i limiti imposti dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 incorrendo nell’usura oggettiva e soggettiva come indicato nelle perizie;
– ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità ed inefficacia dell’addebito in c/c, da parte della banca delle commissioni di massimo scoperto per violazione degli artt. 1284 c. 3, 1325 e 1418 c. 2, e 1346 c.c.;
– ACCERTARE E DICHIARARE: l’illegittimità del calcolo dei c.d. giorni di valuta concretizzandosi in una modifica unilaterale ed arbitraria del saggio d’interesse per i motivi esposti in narrativa
e per l’effetto
– DICHIARARE: risolto il contratto intercorso tra le parti,
– ORDINARE: all’istituto di credito di rideterminare il “dare e avere” tra le parti mediante il ricalcolo contabile dell’intero rapporto applicando il saggio legale, senza capitalizzazione degli interessi sugli interessi, del tasso ultra legale ed usurario, della commissione di massimo scoperto e della valuta,
– CONDANNARE: la banca convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse oltre agli interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla costituzione in mora come quantificate in narrativa oltre spese di CTP salva la maggiore o minore somma accertata in corso di causa,
– CONDANNARE: l’Istituto di credito convenuto, al pagamento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che ci si riserva di quantificare,
– DICHIARARE: la liberazione dei fideiussori per un’obbligazione futura ex art. 1956 c.c.;
– CONDANNARE: la banca convenuta ex art. 96 c.p.c. qualora risultando soccombente nel presente giudizio appaia evidente che, non accettando di risolvere la controversia in mediazione, abbia resistito in giudizio con mala fede o colpa grave”.
Si è costituita in giudizio la (…) S.p.A., la quale in via pregiudiziale ha eccepito la nullità dell’atto di citazione ex art. 164 c.p.c. per indeterminatezza del petitum e della causa petendi nonché il difetto di interesse ad agire di parte attrice attesa la pendenza del rapporto contrattuale.
Nel merito ha contestato la fondatezza delle pretese avversarie eccependo, tra l’altro, la decadenza ai sensi degli artt. 1832 c.c. e 119 TUB per mancata impugnazione degli estratti conto trasmessi nel corso del rapporto. Ha concluso chiedendo di respingere le domande attrici o, in subordine, di dichiarare la compensazione tra le reciproche poste creditorie.
La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione di documenti e all’udienza del 3/05/2018 è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per le repliche.
Anzitutto va respinta l’eccezione pregiudiziale di nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza delle domande. La nullità per carenza dei requisiti di cui all’art. 163, nn. 3 e 4 c.p.c. postula la totale omissione dei fatti posti a fondamento della domanda e l’assoluta incertezza del bene della vita di cui si domanda il riconoscimento.
Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta, le domande proposte dagli attori sono sufficientemente determinate sia nel petitum (costituito dalle richieste di accertamento delle nullità riferite al contratto di conto corrente precisamente individuato e dalle conseguenti richieste restitutorie e risarcitorie) che nella causa petendi (integrata dalla asserita pattuizione ed applicazione di interessi e competenze contra legem) ponendo, in tal modo, la parte convenuta nella condizione di formulare in via immediata ed esauriente le proprie difese (cfr. Cass. 4.06.2001 n. 7507), come in effetti è avvenuto.
La genericità delle allegazioni difensive costituisce un vizio di esposizione non tale da impedire l’identificazione dei diritti azionati, ma che al più può rilevare ai fini dell’accoglimento nel merito delle domande proposte, come sarà di seguito precisato.
Sempre in via pregiudiziale va affermata la sussistenza dell’interesse ad agire degli attori, infondatamente negata dalla banca convenuta. Ed invero non può essere negato l’interesse della società correntista e dei suoi garanti, anche in costanza del rapporto di conto corrente, ad esperire azioni finalizzate ad accertare le invalidità contrattuali dedotte in giudizio e a verificare la legittimità delle competenze applicate dalla banca al conto corrente in esame.
Venendo al merito si deve premettere che, nei giudizi promossi dal “cliente” (correntista nel caso di specie) per far valere la nullità di clausole contrattuali o l’illegittimità degli addebiti, in vista della ripetizione di somme richieste dalla Banca in applicazione delle clausole nulle o, comunque, in forza di prassi illegittime, grava senz’altro sulla parte attrice innanzitutto l’onere di allegare in maniera specifica i fatti posti alla base della domanda e, in secondo luogo, l’onere di fornire la relativa prova.
Sotto quest’ultimo profilo, in ossequio alle regole generali in tema di onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., il correntista che intenda far valere il carattere indebito di talune poste passive – assumendo che le stesse siano il portato dell’applicazione di interessi o altre competenze fondate su clausole nulle o addirittura prive di previsione negoziale – ha lo specifico onere di produrre non solo il contratto costituente il titolo del rapporto dedotto in lite, ma anche gli estratti conto periodici dalla data di avvio del rapporto, al fine di verificare sia il contenuto delle clausole contrattuali asseritamente nulle, sia l’effettiva applicazione delle poste indicate come indebite.
Tale regime probatorio deve ritenersi applicabile non soltanto alle azioni di ripetizione di indebito promosse dal cliente (cfr. ex multis, Cass., 14 maggio 2012, n. 7501), ma anche alle azioni di accertamento negativo (Cass. civ. sez. I, 7 maggio 2015, n. 9201).
Né, in senso contrario, potrebbe invocarsi una qualche difficoltà del correntista di disporre della documentazione relativa ai contratti sottoscritti e, in particolare, alle movimentazioni ed annotazioni effettuate in conto corrente.
Ed infatti, il titolare di un rapporto di conto corrente, quale parte contraente, non può non avere la disponibilità dei documenti contrattuali e contabili, anche alla luce delle previsioni contenute nel D.Lgs. n. 385 del 1993 (Testo Unico Bancario) che impongono alla banca la consegna di una copia del contratto al cliente (art. 117 primo comma TUB) e la trasmissione di comunicazioni periodiche in merito allo svolgimento del rapporto (art. 119 TUB) e, con specifico riferimento ai rapporti in conto corrente, la trasmissione di estratti riportanti tutte le annotazioni eseguite sul conto corrente nel periodo di riferimento e le condizioni in concreto applicate.
A maggior presidio dei principi di trasparenza e di corretta informazione il legislatore accorda al cliente un ulteriore strumento per ottenere dalla banca la documentazione relativa ai rapporti intrattenuti ed alle operazioni poste in essere.
Si tratta della misura contemplata dall’art. 119, ultimo comma, TUB che, nel testo vigente, prevede in particolare quanto segue: “il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno il diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni”.
In un contesto di tal tipo, si deve presumere che il “cliente – attore” sia già in possesso della documentazione contrattuale e contabile relativa ai rapporti intrattenuti con la banca e, ove lo stesso espressamente deduca di non averla mai ricevuta o di averla persa, ha uno specifico strumento per procurarsela prima di agire in giudizio, facendo ricorso alla richiesta stragiudiziale di cui all’art. 119 T.U.B. ovvero chiedendo l’emissione di un decreto ingiuntivo avente ad oggetto la consegna di documentazione determinata laddove l’istanza ex 119 T.U.B. sia rimasta inevasa. Ne consegue che il cliente-attore, in tanto può avvalersi del rimedio di cui all’art. 210 c.p.c., in quanto deduca e dimostri di essersi tempestivamente attivato per ottenere, ex art. 119 TUB, la consegna della documentazione bancaria necessaria per gli accertamenti richiesti e di non aver ottenuto fattivo riscontro.
Tanto premesso, passando all’esame della fattispecie concreta, va innanzitutto rilevato che gli odierni attori hanno formulato le proprie deduzioni e richieste in termini del tutto vaghi e generici, sostenendo che la banca convenuta avrebbe applicato interessi passivi contra legem ed altre competenze illegittime per tutta la durata del rapporto di conto corrente oggetto di causa.
Ed invero, nell’atto di citazione risultano richiamati diffusamente principi espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza senza, tuttavia, offrire elementi da cui inferire la effettiva incidenza di quanto lamentato sui rapporti in concreto intrattenuti con la banca convenuta.
Anche sotto il profilo probatorio gli attori si sono sottratti all’onere sugli stessi gravanti, non avendo prodotto né i contratti (di conto corrente e di apertura di credito), né tutti gli estratti conto completi relativi al conto corrente dedotto in giudizio. Ed invero con la seconda memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. gli attori hanno depositato soltanto alcuni estratti conto ed alcuni riassunti scalari del tutto incompleti e frammentari che, quindi, non consentono di verificare le condizioni economiche originariamente pattuite, né di ricostruire lo svolgimento dell’intero rapporto dall’accensione del conto corrente.
Al riguardo è bene ribadire quanto statuito con l’ordinanza istruttoria del 25/2/2016 circa l’inammissibilità dell’istanza di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c., in quanto tesa ad invertire l’onere probatorio gravante sugli attori, i quali, non avendo dedotto lo smarrimento dei documenti richiesti, né il rifiuto della banca al rilascio di altre copie, avrebbero potuto di propria iniziativa acquisire la documentazione in questione prima dell’introduzione del giudizio (cfr. Cass. 10.01.2003 n. 149 e Cass. 6.10.2005 n. 19475), dovendosi sul punto rilevare che la lettera raccomandata contenente la richiesta ex art. 119 TUB non risulta corredata dalla prova né della spedizione, né tanto meno della ricezione da parte della banca convenuta (cfr. doc. 4 del fascicolo di parte attrice).
Emerge, quindi, che l’atto introduttivo è stato redatto in assenza del supporto documentale necessario a suffragare la fondatezza delle affermazioni ivi contenute.
Ciò rende già di per sé dubbio ed inattendibile quanto dedotto da parte attrice, non essendo chiaro sulla base di quale documentazione la parte attrice assuma la difformità degli interessi e delle altre competenze applicate rispetto a quelli pattuiti e sulla base di quale documentazione la parte attrice eccepisca la nullità di alcune clausole contrattuali, non avendo tuttavia a disposizione i relativi contratti.
Del resto, la mancata disponibilità del contratto di conto corrente e di apertura di credito e di tutti gli estratti conto prima dell’instaurazione del giudizio rende impossibile verificare se ed in che termini siano stati previsti interessi, spese e commissione di massimo scoperto e, dunque, se sussistano eventuali nullità per difetto di pattuizione scritta del tasso di interesse, per illegittima determinazione della commissione di massimo scoperto o dei giorni di valuta, al cui accertamento chiaramente tende la domanda attrice di declaratoria di nullità parziale dei contratti.
La genericità delle allegazioni, unitamente alle omissioni documentali di cui si è già detto, finisce con il rendere l’azione proposta meramente “esplorativa”, limitata ad un elenco generale ed astratto di invalidità e nullità contrattuali, la cui fondatezza è rimessa alla scontata adesione del giudicante ad orientamenti giurisprudenziali, che tuttavia non esonerano la parte dall’onere di allegare e provare in concreto i fatti costitutivi della propria pretesa.
Le gravi lacune difensive fin qui evidenziate sotto il profilo assertivo e probatorio non possono essere colmate con la consulenza tecnica d’ufficio che la parte attrice ha sollecitato.
Ed infatti è appena il caso di osservare che la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso stretto, ma rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità o l’opportunità ai fini della decisione, nonché l’ambito di estensione.
Essa può essere disposta solo per valutare fatti di cui sia già pacifica la dimostrazione e non può essere funzionale a soddisfare finalità esclusivamente esplorative: essa non può valere ad eludere l’onere di allegazione e di prova incombente sulle parti processuali per la dimostrazione dei fatti posti a base delle pretese azionate, specie in un sistema processuale, come è il nostro, caratterizzato da preclusioni istruttorie.
Ne consegue l’inammissibilità della consulenza tecnica richiesta dalle attrici perché tesa a supplire l’onere di allegazione e della prova su di loro gravante ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati e neanche tempestivamente dedotti (cfr. Cass. 26/02/2003 n. 2887).
Ma, al di là delle gravi carenze assertive e probatorie sopra censurate, si deve comunque rilevare l’infondatezza degli assunti difensivi di parte attrice.
Quanto alla presunta applicazione di interessi anatocistici contra legem è sufficiente osservare che, per quanto ammesso dalla stessa parte attrice, il rapporto di conto corrente oggetto di causa è stato acceso in data successiva all’entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000 che, in attuazione della nuova disciplina contenuta nell’art. 120 TUB così come modificato dall’art. 25 del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, ha consentito la capitalizzazione degli interessi sia pure improntata ad un criterio di simmetria.
Le critiche allo ius variandi, che la banca convenuta avrebbe esercitato in maniera illegittima, non possono essere prese in considerazione, non essendo state accompagnate dalla specifica indicazioni delle presunte modificazioni peggiorative.
Le censure relative all’applicazione di interessi usurari sono troppo generiche per essere correttamente valutate, dal momento che parte attrice si è limitata ad ipotizzare la violazione dei precetti della L. n. 108 del 1996 senza alcuna specifica deduzione e allegazione nei termini stabiliti (come era suo preciso onere) in ordine ai modi, ai tempi e alla misura del superamento dei c.d. tassi – soglia. Nell’atto introduttivo sono stati richiamati i principi espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia di usura senza, tuttavia, offrire elementi da cui inferire la effettiva incidenza di quanto lamentato sul rapporto in concreto intrattenuto con la banca convenuta.
Né tanto meno possono ritenersi attendibili le risultanze della perizia prodotta con la seconda memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c., in quanto la stessa è fondata su formule matematiche non corrette che disattendono le istruzioni della Banca d’Italia ed includono la commissione di massimo scoperto tra le voci di costo che compongono il TEG anche per il periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, introdotto con la legge di conversione n. 2 del 2009, così addivenendo ad un confronto di dati tra di loro disomogenei (cfr. in tal senso Cass. 22/06/2016 n. 12965).
Analoghe considerazioni valgono per l’allegata applicazione di interessi “soggettivamente” usurari. Sul punto parte attrice non ha indicato alcun elemento da cui poter evincere la sproporzione tra gli interessi pattuiti e applicati, né la situazione di difficoltà economica o finanziaria in cui la (…) srl avrebbe versato al momento della dazione o della pattuizione.
Per quanto concerne la commissione di massimo scoperto si deve anzitutto rilevare che, non avendo gli attori prodotto il contratto, non è dato sapere se detta commissione fosse stata espressamente pattuita.
In ogni caso, contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice, la commissione di massimo scoperto non è priva di causa, in quanto costituisce, in definitiva, il corrispettivo per la prestazione della banca consistente nel tenere a disposizione del cliente una certa giacenza liquida per potergli permettere in qualsiasi momento l’intero utilizzo del fido.
L’autonomia contrattuale riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c. consente alle stesse di convenire il pagamento di una simile commissione, posto che la stessa è volta a remunerare un onere effettivamente gravante sulla banca e quindi sia meritevole di tutela giuridica. Del resto l’art. 2 – bis del D.L. n. 185 del 2008 – introdotto dalla Legge di conversione n. 2/2009 – disciplinando la materia delle commissioni di massimo scoperto, pure omettendo ogni definizione più puntuale delle stesse, ha effettuato una ricognizione dell’esistente con l’effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa (in tal senso si è espressa anche Cass. 22/06/2016 n. 12965 cit.).
Parimenti generica ed infondata risulta anche la contestazione in ordine ai giorni di valuta. Essa prescinde del tutto sia dalle disposizioni negoziali, di cui assume apoditticamente la nullità, sia dalla disciplina legislativa, contenuta nel D.L. n. 78 del 1 luglio 2009, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, e poi nell’art. 120 T.U., come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che non impone affatto la generalizzata ed automatica coincidenza della valuta con la data di esecuzione dell’operazione.
Del tutto priva di fondamento è la successiva doglianza concernente una presunta responsabilità della banca per aver esercitato il recesso dai rapporti contrattuali in modo illegittimo e arbitrario senza preavviso, né giusta causa, in violazione dei principi di correttezza e buona fede.
La tesi è contraddetta dallo stesso atto di citazione nelle cui premesse in fatto si afferma che il rapporto di conto corrente è ancora in essere. Del resto, non risulta in alcun modo provato che la banca abbia interrotto il predetto rapporto contrattuale, né tanto meno che ciò sia avvenuto in maniera repentina ed immotivata.
Per quanto fin qui esposto vanno respinte le domande di nullità contrattuale proposte dagli attori e le conseguenti richieste volte alla rideterminazione del saldo e alla ripetizione di somme di cui non è stata in alcun modo provata la natura indebita.
Stessa sorte spetta alla richiesta risarcitoria, essendo stata esclusa l’applicazione di competenze illegittime o comunque la sussistenza di condotte illecite della banca convenuta.
Da ultimo va disattesa anche la domanda volta ad accertare l’intervenuta liberazione di (…) dalla garanzia fideiussoria ai sensi dell’art. 1956 c.c.
Sul punto è bene premettere che è onere della parte, la quale deduca, ai fini dell’operatività dell’art. 1956 c.c., la violazione dei canoni di correttezza e buona fede della Banca nei riguardi del fideiussore, dimostrare che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale e che la banca abbia agito nella consapevolezza di un’irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all’interesse del fideiussore. È cioè necessario che il fideiussore che invoca la propria liberazione dia prova sia del fatto oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento quando si era già verificato un peggioramento delle condizioni economiche del debitore principale, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto, sia del requisito soggettivo della consapevolezza di tale peggioramento da parte del creditore (cfr. tra le tante Cass. n. 2524/2006 e Cass. n. 10870/2005).
Nel caso in esame non è dimostrato il peggioramento delle condizioni economiche e patrimoniali della debitrice principale al momento della concessione dell’ultima linea di credito, peggioramento che, naturalmente, non può ricavarsi dalla semplice esposizione debitoria dell’obbligato principale, ben potendo questa trovare diverse giustificazioni (come l’adozione, da parte di un operatore economico in salute, di una strategia imprenditoriale fondata sulla concessione di finanziamenti da parte degli istituti di credito). Parimenti non vi è prova della consapevolezza di siffatto peggioramento da parte della banca convenuta.
Attesa l’infondatezza di tutte le domande attoree va respinta la richiesta di condanna della convenuta al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. e rimane assorbita ogni altra questione ivi compresa la domanda di compensazione proposta da (…) S.p.A. in via meramente subordinata.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte dalla società (…) s.r.l., (…), (…), (…) e (…), nei confronti di (…) S.p.a., ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:
– respinge tutte le domande proposte dagli attori;
– condanna la (…) s.r.l., (…), (…), (…) e (…), in solido tra loro, a rifondere alla banca convenuta le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 9.275,00 per compensi professionali, oltre agli accessori nella misura di legge.
Così deciso in Roma il 25 settembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2018.