nel caso di ammortamento alla francese come quello previsto nel caso di specie, a fronte di un capitale preso a prestito all’epoca iniziale, il debitore deve corrispondere rate di importo costante costituite da una quota – interessi decrescente e da una quota – capitale crescente. Ne consegue che anche nel metodo di capitalizzazione alla francese gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti. Il piano di ammortamento alla francese non comporta, quindi, un’illecita capitalizzazione composta degli interessi, ma soltanto una diversa costruzione delle rate costanti in cui la quota degli interessi e quella di capitale variano al solo fine di privilegiare nel tempo la restituzione degli interessi rispetto al capitale, in ossequio al principio previsto dall’art. 1194 c.c.

Per approfondire la tematica degli interessi usurari e del superamento del tasso soglia si consiglia la lettura del seguente articolo: Interessi usurari pattuiti nei contatti di mutuo

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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 7 novembre 2018, n. 21351

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

DICIASETTESIMA (GIA’ IX) SEZIONE CIVILE

in persona del giudice unico dott. Giuseppe Russo ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 80824 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2014, vertente

tra

(…) e (…), elettivamente domiciliati in Roma alla via(…), presso lo studio dell’Avv. Gi.De., che li rappresenta e difende in forza di procura in atti

attori

ed

(…) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla via (…), presso lo studio dell’Avv. Da.Lo., che la rappresenta e difende in forza di procura in atti

convenuta

oggetto: mutuo bancario

FATTO E DIRITTO

I sigg.ri (…) e (…) hanno citato in giudizio davanti al Tribunale di Roma la banca (…) SpA per denunciare l’illegittima pattuizione ed applicazione di interessi usurari al contratto di mutuo da loro stipulato in data 21/6/2002 con la banca convenuta e per affermare la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale di quest’ultima, la quale, in forza del citato titolo contrattuale viziato da usura, aveva promosso un’azione esecutiva pignorando l’abitazione dei due mutuatari e provocandone la vendita all’incanto ad un prezzo irrisorio rispetto al valore effettivo, così cagionando ai due attori consistenti danni anche di natura non patrimoniale specificamente indicati come danno biologico, danno esistenziale e danno morale.

I due mutuatari hanno chiesto, quindi, che, previo accertamento della pattuizione ed applicazione di interessi usurari, fosse dichiarata la gratuità ex art. 1815 c.c. del contratto di mutuo e che (…) SpA fosse condannata a restituire tutte le somme indebitamente percepite da compensare, eventualmente, con il debito residuo, oltre al risarcimento dei conseguenti danni patrimoniali e non patrimoniali anche ex artt. 2043 c.c. e 185 c.p.; gli attori hanno chiesto inoltre di ordinare alla banca convenuta di effettuare la corretta segnalazione del mutuo in oggetto alla (…).

Si è costituita in giudizio (…) SpA che ha contestato tutte le domande avversarie chiedendone il rigetto integrale.

La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione di documenti e, all’udienza del 18/04/2018, è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per le repliche.

Le domande proposte dagli attori sono infondate.

E’ provato per tabulas che in data 21/06/2002 i sigg.ri (…) ed (…) hanno stipulato con la R.B. SpA (ora (…) SpA) un contratto di mutuo ipotecario per l’importo di Euro 78.000,00 (all. 1 del fascicolo di parte attrice).

Gli attori allegano la natura usuraria del contratto, sostenendo che, ai fini della verifica dell’usurarietà, sia doveroso considerare tutti i costi connessi all’erogazione del credito e, dunque, sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori dovendo entrambi i tassi essere all’uopo ponderati unitamente a tutti gli ulteriori oneri posti a carico della parte mutuataria.

La censura è tuttavia troppo generica per essere correttamente valutata, dal momento che parte attrice si è limitata ad ipotizzare la violazione dei precetti della L. n. 108 del 1996, richiamando i principi espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia di usura senza, tuttavia, offrire elementi da cui inferire la effettiva incidenza di quanto lamentato sul rapporto in concreto intrattenuto con la banca convenuta.

I due mutuatari hanno indicato i tassi di interessi previsti dal contratto ed il tasso soglia alla data della stipulazione, lasciando intendere che la sommatoria tra il tasso degli interessi corrispettivi (pari al 3,50%) ed il tasso degli interessi moratori (pari al 5,50%) comporterebbe il superamento del tasso soglia (pari all’8,34).

La tesi di parte attrice, che trae fondamento nel totale travisamento del dictum di alcune sentenze della Corte di Cassazione e in particolare della pronuncia n. 350/2013, tuttavia, non può essere condivisa.

Ed invero la Corte di Cassazione, nella citata sentenza n. 350/2013, non ha mai affermato la necessità di sommare il valore del tasso corrispettivo e del tasso moratorio ai fini del raffronto alle soglie di usura.

Viene, infatti, in rilievo la differente funzione assolta dagli interessi corrispettivi e da quelli moratori, gli uni costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere della somma capitale in conformità con il piano di rimborso graduale, gli altri rappresentando la liquidazione anticipata e forfetaria del danno causato al mutuante dall’inadempimento o dal ritardato adempimento del mutuatario.

Le due categorie di interessi si differenziano poi anche in punto di disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori, dissimilmente da quelli corrispettivi, sono dovuti dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, così come previsto dall’art. 1224, c. 1 c.c. Siffatte differenze si appalesano nel momento in cui il debitore divenga moroso: in simile circostanza il tasso di interesse di mora non si aggiunge a quello corrispettivo, ma si sostituisce a quest’ultimo.

L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporta, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito ed alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi siano imputati a capitale.

Una volta acclarata l’inconsistenza giuridica della tesi della sommatoria tra interessi corrispettivi ed interessi di mora, tornando alla fattispecie in esame, deve escludersi che siano stati pattuiti interessi usurari.

Ed infatti nel mutuo oggetto di causa tanto l’interesse corrispettivo quanto l’interesse di mora pari, al momento della conclusione del contratto, rispettivamente al 3,50% ed al 5,50%, singolarmente considerati, non superano il tasso soglia anti-usura del 8,34% rilevato con riferimento all’epoca della stipulazione.

L’usura non può essere fatta derivare neanche da una valutazione complessiva dell’interesse moratorio con le altre voci di spesa collegate alla stipulazione del contratto, come infondatamente sostenuto dagli attori.

Ritiene, infatti, il giudicante che tale operazione sia logicamente e giuridicamente errata. Ed invero la pretesa di determinare un Tasso Effettivo di Mora (che gli attori nella seconda memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. indicano con l’acronimo “TEMO”), è del tutto inattendibile, dal momento che tale nozione muove dal presupposto di sommare spese e oneri agli interessi moratori, effettuando una analogia con il concetto di TEGM, senza tenere conto che quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendo escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all’interesse moratorio, che invece dipende non dall’erogazione del credito, quanto piuttosto dall’inadempimento del debitore.

Quindi, sulla base delle prospettazioni difensive contenute nell’atto di citazione e meglio precisate con la prima memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c., deve escludersi che siano stati pattuiti interessi usurari.

L’erroneità delle impostazioni difensive sopra esaminate e la carenza probatoria in ordine all’applicazione di interessi contra legem non possono essere ovviate con la consulenza tecnica d’ufficio che viene sollecitata da parte attrice.

Ed infatti è appena il caso di osservare che la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso stretto, ma rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità o l’opportunità ai fini della decisione, nonché l’ambito di estensione.

Essa può essere disposta solo per valutare fatti di cui sia già pacifica la dimostrazione e non può essere funzionale a soddisfare finalità esclusivamente esplorative: essa non può valere ad eludere l’onere di allegazione e di prova incombente sulle parti processuali per la dimostrazione dei fatti posti a base delle pretese azionate, specie in un sistema processuale, come è il nostro, caratterizzato da preclusioni istruttorie.

Ne consegue l’inammissibilità della consulenza tecnica richiesta dagli attori perché tesa a supplire l’onere di allegazione e della prova su di loro gravante ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati e neanche tempestivamente dedotti (cfr. Cass. 26/02/2003 n. 2887).

Né si può tener conto delle nuove allegazioni difensive introdotte per la prima volta dagli attori con la comparsa conclusionale ben oltre il termine di decadenza previsto dalla legge e quando ormai il contraddittorio era esaurito in palese violazione del diritto di difesa avversario.

In particolare non possono essere prese in considerazione le nuove difese circa la rilevanza della commissione di estinzione anticipata e di altre spese accessorie al contratto di mutuo menzionate per la prima volta nella comparsa conclusionale.

Il problema non appare superabile sulla base della considerazione che la nullità delle clausole che prevedono un tasso d’interesse usurario sarebbe rilevabile anche d’ufficio. Ed infatti, la rilevabilità d’ufficio presuppone pur sempre la tempestiva allegazione degli elementi di fatto da cui la nullità deriverebbe, dovendo la pronuncia di nullità basarsi sul medesimo quadro di riferimento concretamente delineato dalle allegazioni delle parti, e non su fatti nuovi, implicanti un diverso tema di indagine e di decisione.

L’allegazione poi consiste nella specifica deduzione del fatto, che è riservata alla parte, non potendo il giudice procedere autonomamente alla ricerca, sia pure nell’ambito dei documenti prodotti in atti, delle ragioni che potrebbero fondare la domanda o le eccezioni pur rilevabili d’ufficio.

Al riguardo la Suprema Corte ha statuito che “il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di un atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, trovando applicazione soltanto quando la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa della parte istante, cosicché quando la parte chieda la dichiarazione di invalidità di un atto pregiudizievole, la pronuncia del giudice deve essere circoscritta alle ragioni di illegittimità denunciate dall’interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d’ufficio o tardivamente indicati” (così Cass. 13/12/2013 n. 27920).

Per le stesse ragioni deve ritenersi inammissibile la nuova domanda – introdotta anch’essa soltanto con la comparsa conclusionale – volta ad accertare la presunta applicazione di interessi anatocistici contra legem quale conseguenza del metodo di ammortamento c.d. alla francese utilizzato dalla banca.

Oltretutto l’assunto è privo di qualsiasi pregio giuridico.

Infatti, nel caso di ammortamento alla francese come quello previsto nel caso di specie, a fronte di un capitale preso a prestito all’epoca iniziale, il debitore deve corrispondere rate di importo costante costituite da una quota – interessi decrescente e da una quota – capitale crescente.

Ne consegue che anche nel metodo di capitalizzazione alla francese gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a ciascuna rata, sicché gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti.

Il piano di ammortamento alla francese non comporta, quindi, un’illecita capitalizzazione composta degli interessi, ma soltanto una diversa costruzione delle rate costanti in cui la quota degli interessi e quella di capitale variano al solo fine di privilegiare nel tempo la restituzione degli interessi rispetto al capitale, in ossequio al principio previsto dall’art. 1194 c.c.

Una volta escluse le nullità contrattuali ipotizzate dagli attori vanno respinte le domande volte alla declaratoria di gratuità del contratto di mutuo e alla ripetizione di somme di cui non è stata in alcun modo provata la natura indebita.

Stessa sorte spetta alla domanda finalizzata alla “corretta segnalazione … del presente procedimento in (…)”, non essendo stata supportata dalla prova documentale di eventuali segnalazioni pregiudizievoli a carico dei sigg.ri (…) e (…) e tantomeno della illegittimità di tali segnalazioni.

Da ultimo va respinta anche la richiesta risarcitoria avanzata dagli attori, non essendo configurabile alcuna responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della banca convenuta, che del tutto legittimamente ha promosso e dato impulso alla procedura esecutiva a carico dei due mutuatari rimasti inadempienti alle obbligazioni assunte con il contratto qui in esame.

La condotta della banca creditrice non può ritenersi contraria alle regole di correttezza e buona fede, né tanto meno al principio del neminem laedere, in quanto la vendita all’incanto dell’immobile pignorato è pienamente giustificata dall’esposizione debitoria maturata dai debitori esecutati in forza del titolo esecutivo azionato (il contratto di mutuo).

Oltretutto le contestazioni introdotte in questa sede dai sigg.ri (…) e (…) dovevano essere sollevate in sede esecutiva, allorquando è stato azionato il credito fondato sul contratto di mutuo qui dedotto in giudizio.

Ebbene dagli atti di causa non risulta che in sede di esecuzione forzata gli odierni attori abbiano mai fatto valere le proprie ragioni mediante gli strumenti processuali all’uopo predisposti dall’ordinamento, quali in particolare l’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, sicché nessuna responsabilità può essere ascritta alla banca qui convenuta neanche per la vendita del bene pignorato ad un prezzo inferiore a quello inizialmente stimato.

Le stesse considerazioni valgono per il successivo procedimento di espropriazione presso terzi promosso da (…) SpA per il soddisfacimento del residuo credito derivante dal contratto di mutuo qui impugnato. Anche il tal caso il comportamento della banca creditrice non può essere censurato, attesa la piena legittimità del titolo contrattuale azionato.

In conclusione tutte le domande formulate dagli attori vanno respinte.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (…) ed (…) nei confronti di (…) S.p.A., ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:

– respinge le domande proposte dagli attori;

– condanna (…) ed (…), in solido tra loro, a rifondere ad (…) S.p.A. le spese di lite liquidate in complessivi Euro 9.275,00 per compensi professionali, oltre agli accessori nella misura di legge.

Così deciso in Roma il 12 settembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.