il solvens non può ripetere dall’accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.
Corte d’Appello Roma, Sezione Lavoro civile Sentenza 11 gennaio 2019, n. 39
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA
II Collegio
La Corte nelle persone dei seguenti magistrati:
Dott. Giovani Cannella – Presidente
Dott. Stefano Scarafoni – Consigliere
Dott. Maria Pia Di Stefano – Consigliere rel.
all’udienza dell’8.1.2019
nella causa civile ex art. 392 c.p.c. iscritta al n. r.g. 4704/2016:
da
INPS parte domiciliata in VIA (…) ROMA rappresentata dall’avv. PO.LU. e avv. LA.EL. ((…)) VIA (…) 00196 ROMA; avv. PI.SA. ((…)) VIA (…) 00196 ROMA; AVVOCATURA INPS ((…)) INDIRIZZO TELEMATICO
Parte ricorrente in riassunzione
contro
(…) parte domiciliata in VIALE (…) 00197 R. rappresentata dall’avv. GR.RO. e avv. D’A.AN. ((…)) V.LE (…) 00195 ROMA
Parte convenuta in riassunzione
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Oggetto: giudizio di rinvio ex sentenza della Corte di Cassazione n. 5572 del 2016.
FATTO E DIRITTO
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 27.11.2008 – 7.12.2009, riformava la statuizione di primo grado che aveva respinto, per nullità della procura alle liti, l’opposizione proposta dall’INPS avverso il decreto ingiuntivo emesso per il pagamento della somma di Euro 40.362,85 in favore di (…) a titolo di compensi professionali da questo maturati negli anni 2000, 2001 e 2002 (anno in cui cessava dal servizio) quale avvocato dipendente dell’INPS per l’attività svolta presso l’Avvocatura dell’istituto ai sensi dell’art. 4 del D.M. 2 novembre 1999 (decreto Cartolarizzazione, che prevede una trattenuta dell’Inps fino al 2% degli importi riscossi dalla cessionaria SCCI) e della Delib. dell’ente n. 89 del 2002 (distribuzione della trattenuta del 2% tra ciascun avvocato dell’istituto).
L’INPS aveva sostenuto innanzi alla Corte d’Appello, oltre alla validità della procura alle liti, la tesi secondo cui il decreto sulla Cartolarizzazione, i contratti di cessione con SCCI e la Delib. n. 89 del 2002 prevedevano che il 2% delle somme riscosse dai contribuenti non era da considerarsi onorario di diretta spettanza degli avvocati dell’Istituto ma un rimborso del complesso degli oneri e delle spese da questo sostenute per il recupero delle somme presso i contribuenti, come tale di competenza dell’Inps.
L’Istituto aveva inoltre formulato domanda di restituzione di quanto pagato al professionista in esecuzione del decreto ingiuntivo e produceva in proposito una lettera che indicava l’importo di Euro 40.362,85 lordi, asseritamente corrisposto al (…) in busta paga (doc. B del fascicolo di parte appellante).
La Corte territoriale statuiva che l’INPS non avrebbe dovuto corrispondere al (…) il 2% delle somme riscosse dal concessionario, stante il carattere di terzietà dell’Avvocatura rispetto ai contratti di cessione che tale compenso prevedevano e rilevando che gli Accordi del 2005 confermavano la volontà di ritenere il 2% un rimborso forfetario sul quale il singolo avvocato non vantava alcun diritto.
La Corte dichiarava tuttavia la nullità della domanda restitutoria dell’INPS trattandosi di “domanda genericamente formulata e in ogni caso assolutamente nulla per omessa specifica documentazione attestante l’effettiva ricezione, da parte del professionista, della somma di cui si discute, presupposto indefettibile per far luogo alla richiesta pronuncia di ripetizione”.
Avverso la pronuncia della Corte territoriale ricorreva per cassazione il (…) reclamando la fondatezza della propria pretesa nel merito, mentre l’INPS proponeva ricorso incidentale sulla reiezione della domanda di restituzione.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 5572/16, respingeva il ricorso principale del (…) e, in accoglimento di quello incidentale dell’Istituto, dichiarava che la domanda restitutoria non poteva considerarsi nulla, essendo stata formulata in modo specifico e risultando supportata da documentazione (missiva dell’ente di cui al doc. B) che non ne precludeva l’esame nel merito.
Cassava pertanto la sentenza impugnata rinviando a questa Corte per l’esame di tale domanda, osservando in particolare che il giudice di appello non aveva tenuto conto sia della predetta missiva, in cui si dà atto che il pagamento sarebbe stato corrisposto con la retribuzione del mese di gennaio, sia del contegno processuale del (…), che a fronte di siffatta puntuale allegazione, non l’aveva specificamente contestata: “…deve pertanto ritenersi fondata la censura sollevata dall’INPS sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, consistente nella mancata considerazione da parte del giudice di detti elementi di fatto, rilevanti ai fini della decisione per la loro incidenza causale sotto il profilo dell’idoneità ad orientare la decisione”.
L’Inps, nel riassumere il giudizio, rilevava come la domanda restitutoria, oltre a non essere generica, era anche adeguatamente documentata e chiedeva condannarsi il (…) alla restituzione delle somme già corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado sulla base del documento all. B al fascicolo di appello, ossia la lettera del 6 dicembre 2005 con cui l’INPS comunicava all’avvocato di avere disposto il pagamento in suo favore di dette somme.
Il (…) si costituiva richiamando le pregresse difese.
Osserva la Corte:
Con il ricorso di appello l’INPS ha chiesto la restituzione di quanto pagato al (…) come da doc. B: trattasi della lettera datata 6.12.2005 in cui l’INPS dà atto di avere disposto il versamento in favore dell’avvocato delle quote del 2% sui crediti ceduti e riscossi da SCCI, pari ad “Euro 40.362,85 al lordo delle ritenute di legge”.
Manca tuttavia il riscontro documentale dell’effettiva corresponsione di tale importo, che il (…) contesta decisamente di avere percepito, sostenendo di avere ricevuto in pagamento il solo importo di Euro 19.582,10 portato dall’assegno circolare 27.3.2006 (che produceva in copia), dichiarandosi disponibile alla sua restituzione.
Il tenore della missiva 6.12.2005, sulla quale la Suprema Corte ha richiamato l’attenzione del presente giudice di rinvio nell’esame della domanda restitutoria, non consente di ritenere provata la effettiva erogazione della somma lorda di 40.362,85 ivi indicata, limitandosi l’Inps a comunicare di averne deliberato il pagamento, che sarebbe stato inserito nella mensilità del gennaio 2006: “…è stato disposto il versamento, in suo favore della somma di Euro 40.362,85. Le comunico che il suddetto importo, al lordo delle ritenute di legge, sarà messo in pagamento con la retribuzione del mese di gennaio 2006. Successivamente si provvederà al calcolo e alla corresponsione degli accessori liquidati in sentenza”.
La firma per ricevuta apposta dal (…) in calce a tale comunicazione non vale certamente a comprovare l’effettività del pagamento; né tale efficacia probatoria può attribuirsi al cedolino del gennaio 2006 (dove peraltro le competenze professionali per cui è causa vengono liquidate nell’importo netto di Euro 28.299,28), che l’INPS ha prodotto soltanto nel presente giudizio di rinvio e che il (…) ha prontamente contestato di avere mai ricevuto.
Del resto non emerge dagli atti a quale diverso titolo nel marzo 2006, a soli due mesi di distanza dal rilascio di detto cedolino, l’INPS si determinava ad emettere in favore del (…) l’assegno circolare di Euro 19.582,10, unico riscontro documentale del pagamento dei compensi in questione.
D’altro canto si osservi che pochi giorni prima dell’emissione di detto assegno l’INPS, a fronte del ricalcolo del TFR precedentemente operato (il 15.1.2005) e da cui derivava un credito in suo favore di Euro 8.722,17, riconosceva con nota del 21.3.2006 che il (…) aveva “restituito allo scrivente nel corso del 2006 la somma di Euro 8.722,17” (doc. prodotto all’udienza del 5.6.2018): l’importo di Euro 19.582,10, di cui all’assegno circolare 27.3.2006, costituisce proprio la differenza tra il netto dell’importo richiesto in restituzione (Euro 28.299,28 pari ad Euro 40.362,85 lordi che l’INPS pretende di ripetere) e la somma di Euro 8.722,17 portata in compensazione dallo stesso istituto; con la conseguenza che tale ultimo importo è stato introitato dall’ente mediante compensazione e che il pagamento della stessa somma, in aggiunta a quella dell’assegno, comporterebbe una ingiusta duplicazione di quel pagamento.
Va comunque osservato che mai potrebbe accedersi alla tesi dell’INPS di vedersi restituire la somma al lordo, poiché secondo i più recenti insegnamenti giurisprudenziali la disciplina di cui al D.P.R. n. 602 del 1973 prevede che sia il soggetto che ha effettuato il versamento a presentare istanza di rimborso, e non solo in caso di errore materiale ma anche di duplicazione od inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, cosicché non appare modificabile il già affermato principio per cui il solvens non può ripetere dall’accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (V. Cass. Civ. Sez. L. n. 19735 del 25 luglio 2018).
Pertanto il decreto ingiuntivo opposto va revocato, mentre il (…) dovrà restituire all’INPS l’importo di Euro 19.582,10, così sanando l’indebito maturato in favore dell’istituto a titolo di onorari non dovuti, oltre agli interessi legali dal giorno del pagamento (27.3.2006) al saldo.
Le spese di tutti i gradi, tenuto conto del complessivo esito della lite, posso essere compensate in ragione di un terzo, e per il resto poste a carico del (…) nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, giudicando in sede di rinvio, nei limiti del devoluto, revoca il decreto ingiuntivo n. 4244/03 emesso dal Tribunale di Roma il 22.9.2003 e condanna (…) a restituire all’INPS la somma di Euro 19.582,10 percepita in esecuzione del medesimo decreto ingiuntivo, oltre interessi dal 27.3.2006 al saldo;
compensa in ragione di un terzo le spese di tutti i gradi di giudizio, che pone per il resto a carico di (…) e che liquida per l’intero in Euro 2.120,00 per il primo grado, Euro 2.500,00 per l’appello, Euro 2.300,00 per il giudizio di legittimità ed Euro 3.307,00 per il presente giudizio di rinvio, oltre al 15% a titolo di spese forfetarie, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma l’8 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2019.