ai fini della sussistenza del presupposto dell’insolvenza, l’ordinamento italiano non distingue tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della natura civile o commerciale di essi, in quanto non consente limitazioni della garanzia patrimoniale in funzione della causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del debitore al fallimento; solo l’alterita’ soggettiva (ad esempio, in caso di impresa gestita tramite una societa’ di capitale unipersonale) introduce un criterio diverso di imputazione dei rapporti obbligatori, in base al principio dell’autonomia patrimoniale perfetta.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17717/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l., e per essa quale mandataria (OMISSIS) s.p.a., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio del Dott. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale per Notaio Dott. (OMISSIS) di (OMISSIS) – Rep. n. (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
Fallimento n. (OMISSIS) di (OMISSIS), (OMISSIS) S.r.l.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1084/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 22/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/11/2018 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – Il Tribunale di Bologna dichiarava il fallimento di (OMISSIS), titolare dell’impresa individuale omonima, la quale non era comparsa all’udienza prefallimentare, ritenendo non potersi distinguere, in caso di impresa individuale, tra debiti personali e debiti dell’impresa e rilevando, altresi’, che, con riferimento alla predetta (OMISSIS), risultavano essere superati i limiti dimensionali cui alla L. Fall., articolo 1.
2. – Veniva proposto reclamo che la Corte di appello respingeva con sentenza del 22 giugno 2016.
3. – (OMISSIS) propone ricorso per cassazione facendo valere tre motivi di impugnazione; resiste con controricorso la creditrice istante (OMISSIS) s.r.l., mentre la curatela, intimata, non ha svolto difese. (OMISSIS) s.r.l., qualificatasi cessionaria del credito vantato da (OMISSIS), ha fatto pervenire memoria in cui ha dichiarato di rinunciare al controricorso. La ricorrente ha depositato memoria
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – L’intervento di (OMISSIS) nel presente giudizio di legittimita’, in cui ha depositato controricorso la societa’ che ha ceduto il credito che la debitrice dichiarata fallita non ha soddisfatto, deve ritenersi inammissibile (Cass. 23 marzo 2016, n. 5759; Cass. 11 maggio 2010, n. 11375; Cass. 4 maggio 2007, n. 10215).
2. – Il primo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione della L. Fall., articolo 15 e articolo 159 c.p.c., nonche’ la nullita’ della sentenza reclamata. Ricorda la ricorrente che la Corte di merito aveva respinto la propria censura fondata sull’inefficacia ed invalidita’ della notificazione a mezzo PEC del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione di udienza, ritenendo irrilevante il fatto che essa istante avesse mancato di aprire e leggere il messaggio di posta elettronica che le era stato inoltrato.
Rileva la ricorrente che il cit. articolo 15, pur prevedendo che la notificazione degli atti sopra indicati debba attuarsi per via telematica, prescrive che ove, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulti possibile o non abbia esito positivo, essa debba eseguirsi personalmente, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1229 del 1959, articolo 107.
Muovendo dall’obbligo, da parte dell’ufficio, di disporre la comparizione dell’imprenditore in camera di consiglio per l’esercizio del diritto di difesa, l’istante deduce che il semplice recapito del messaggio era in se’ inidoneo a garantire l’effettiva conoscenza degli atti da notificare: sicche’ avrebbe errato la Corte di Bologna nel ritenere irrilevante l’apertura e lettura, da parte della fallenda, della comunicazione in parola.
Il motivo e’ palesemente infondato.
Questa Corte ha affermato che in tema di notificazione a mezzo di posta elettronica certificata, la trasmissione del documento informatico si intende perfezionata quando la stessa sia avvenuta in conformita’ alle disposizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 68 del 2005, il cui articolo 6 stabilisce che il gestore della PEC utilizzata dal destinatario deve fornire al mittente, presso il suo indirizzo elettronico, la c.d. ricevuta di avvenuta consegna (RAC), che costituisce, quindi, il documento idoneo a dimostrare, fino a prova del contrario, che il messaggio informatico e’ pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26773).
Ha altresi’ precisato che nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella casella del destinatario, si determina, analogamente a quanto avviene per le dichiarazioni negoziali ai sensi dell’articolo 1335 c.c., una presunzione di conoscenza da parte dello stesso, il quale, pertanto, ove deduca la nullita’ della notifica, e’ tenuto a dimostrare le difficolta’ di cognizione del contenuto della comunicazione correlate all’utilizzo dello strumento telematico (Cass. 31 ottobre 2017, n. 25819).
Nella fattispecie in esame, pero’, non si fa questione di impedimenti oggettivi quanto alla percezione del contenuto del messaggio che fossero dipendenti dalla modalita’ telematica della trasmissione di esso, quanto del semplice mancato accesso, da parte della ricorrente, alla comunicazione inviatale (cfr. pag. 10 del ricorso, ove si lamenta il mancato apprezzamento del dato relativo all'”effettiva apertura e lettura da parte della debitrice del messaggio PEC, contenente ricorso e decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare”): evenienza, questa, del tutto irrilevante.
3. – Il secondo mezzo prospetta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., articolo 1, nonche’ degli articoli 2195, 1754, 2221, 2238, 2082 e 2083 c.c., oltre alla nullita’ della sentenza per carenza di motivazione e omesso esame di un fatto decisivo.
Osserva la ricorrente che sono soggetti alla procedura concorsuale coloro che non svolgano un’attivita’ inquadrabile nel paradigma giuridico dell’impresa, onde doveva escludersi che fosse fallibile il prestatore d’opera professionale e, segnatamente, il mediatore. Sotto altro riflesso, la sentenza e’ censurata avendo riguardo alla mancata valorizzazione di circostanze (quali l’entita’ dei ricavi dell’attivita’ svolta e l’assenza di debiti contratti con riferimento ad essa). Rileva inoltre la ricorrente come il requisito della organizzazione dell’attivita’ di impresa debba intendersi in termini di sistematica aggregazione di mezzi: profilo, quest’ultimo, che nella fattispecie sarebbe risultato assente.
La censura va disattesa.
La Corte distrettuale ha rilevato che (OMISSIS) aveva obiettivamente esercitato un’attivita’ imprenditoriale, risultante, oltretutto, dal registro delle imprese, ove figurava come agente immobiliare: attivita’ che ben poteva inquadrarsi ex articoli 2082 e 2195 c.c., nella prestazione di servizi inerenti l’intermediazione nella circolazione dei beni; ha osservato, in particolare, che la stessa ricorrente traeva del resto ricavi, seppur modesti, da tale attivita’, che l’iniziativa intrapresa era da considerarsi professionale, ovvero sistematica e continuativa, e che l’elemento dell’organizzazione dell’impresa era da reputarsi presente, sia pure con rudimentale e limitata predisposizione di mezzi.
Tali affermazioni, oltre a non essere ovviamente qui sindacabili nel loro nucleo fattuale, paiono coerenti con quanto richiesto per la configurazione di un’attivita’ imprenditoriale.
Elementi identificativi dell’impresa commerciale, ai sensi dell’articolo 2082 c.c. sono infatti la professionalita’ e l’organizzazione, intese come svolgimento abituale e continuo dell’attivita’ e sistematica aggregazione di mezzi materiali e immateriali, al di la’ della scarsezza dei beni predisposti, tanto piu’ quando l’attivita’ non necessiti di mezzi materiali e personali rilevanti (cfr. Cass. 6 giugno 2003, n. 9102 che, al pari di Cass. 21 agosto 2004, n. 16513, ha ravvisato natura imprenditoriale nello svolgimento dell’attivita’ di agente di commercio; nel senso che l’attivita’ del mediatore abbia pure connotazione imprenditoriale cfr. Cass. 9 marzo 1984, n. 1637).
4. – Col terzo motivo e’ dedotta la violazione o falsa applicazione della L. Fall., articoli 1 e 5, nonche’ la nullita’ della sentenza per carenza di motivazione. La censura investe l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui ai fini della apertura della procedura concorsuale non rilevava che l’esposizione debitoria fatta valere dal creditore istante fosse estranea all’attivita’ di impresa.
Osserva l’istante come tra i debiti degli imprenditori individuali, da apprezzarsi ai fini della dichiarazione di fallimento, non potessero ricomprendersi quelli personali, contratti per esigenze estranee all’esercizio dell’impresa.
Neppure tale motivo merita accoglimento.
La Corte di merito, sul punto che interessa, ha fatto corretta applicazione del principio, affermato da questa S.C., per cui ai fini della sussistenza del presupposto dell’insolvenza, l’ordinamento italiano non distingue tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della natura civile o commerciale di essi, in quanto non consente limitazioni della garanzia patrimoniale in funzione della causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del debitore al fallimento; solo l’alterita’ soggettiva (ad esempio, in caso di impresa gestita tramite una societa’ di capitale unipersonale) introduce un criterio diverso di imputazione dei rapporti obbligatori, in base al principio dell’autonomia patrimoniale perfetta (Cass. 4 giugno 2012, n. 8930).
5. – Il ricorso va dunque respinto.
6. – Tra la ricorrente e la controricorrente le spese di giudizio possono compensarsi, tenuto conto della sostanziale desistenza di (OMISSIS), che, benche’ legittimata, non ha inteso coltivare il proprio controricorso a seguito della cessione del credito posto a fondamento della domanda di fallimento. Nessuna pronuncia si impone tra l’interveniente e la ricorrente, dal momento che, con riguardo ai detti contendenti, non puo’ ravvisarsi soccombenza di una parte nei confronti dell’altra.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile l’intervento di (OMISSIS) s.r.l.; rigetta il ricorso; compensa le spese tra la ricorrente e la controricorrente; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.