la “petitio hereditatis” ha natura di azione reale, volta a conseguire il rilascio dei beni ereditari da colui che li possegga, vantando un titolo successorio che non gli compete, ovvero senza alcun titolo, e presuppone l’accertamento della sola qualita’ ereditaria dell’attore o di diritti che a costui spettano “iure hereditatis”, qualora siano contestati dalla controparte.
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Eredità e successione ereditaria
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 15 febbraio 2019, n. 4601
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36144-2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente e ric. incidentale –
avverso la sentenza n. 2654/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 24/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2018 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) citava in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendo, previo accertamento della sua qualita’ di erede della zia (OMISSIS), la condanna dei convenuti alla restituzione di Euro 56.201,38, pari all’importo delle somme della de cuius, giacenti su libretti di deposito al portatore presso il (OMISSIS), assumendo che i medesimi si fossero impossessati di dette somme dopo la sua morte.
I convenuti si costituivano, contestando sia la qualita’ di erede del (OMISSIS), sia l’appartenenza del denaro all’asse ereditario; deducevano, inoltre, di aver incassato le somme su mandato di (OMISSIS), sorella della de cuius, cui avrebbero versato il denaro prelevato in banca.
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza dell’11.11.2014, confermava la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda.
La corte territoriale riteneva che:
– non vi fosse coincidenza tra la somma incassata presso il (OMISSIS) da (OMISSIS), pari a Lire 7.077.909 ed il versamento contante di Lire 7.000.000 in pari data;
– la sottoscrizione di titoli da parte di (OMISSIS) non erano contestuali ai prelevamenti effettuati dal conto della de cuius ma erano avvenuti due anni dopo;
– non vi era prova dell’utilizzo delle somme prelevate per le spese funerarie;
– non risultava che le somme prelevate dal conto della de cuius fossero state versate sul conto di (OMISSIS);
– la prova per testi era inammissibile, sia per le motivazioni adottate dal primo giudice, richiamate per relationem sia per l’incapacita’ a testimoniare di (OMISSIS) e (OMISSIS);
– l’attore aveva dimostrato di essere erede per rappresentazione, essendo subentrato in luogo della madre e di aver accettato l’eredita’;
– dalla documentazione acquisita dalla Procura della Repubblica risultava che dette somme facevano parte dell’asse ereditario della de cuius.
La corte territoriale rigettava l’appello incidentale proposto da (OMISSIS), con il quale egli si doleva della mancata corresponsione degli interessi dalla data dei prelevamenti e della rivalutazione monetaria, sul rilievo che, trattandosi di debito di valuta, gli interessi dovevano decorrere dalla domanda.
Per la cassazione hanno proposto ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di cinque motivi; ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale (OMISSIS) sulla base di due motivi.
In prossimita’ dell’udienza le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’articolo 2721 c.c., commi 1 e 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per non avere la corte territoriale ammesso la prova testimoniale, erroneamente ritenendo che il rapporto di mandato fra (OMISSIS) ed i convenuti dovesse essere provato per iscritto, nonostante la prova vertesse non sul contratto ma sul fatto storico ed apparisse verosimile che l’incarico fosse stato dato verbalmente, attesi i rapporti tra le parti.
Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2724 c.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, per non avere la corte territoriale ammesso la prova testimoniale, nonostante vi fosse un principio di prova scritta e nonostante l’impossibilita’ per i ricorrenti di procurarsi i documenti. Risultava per tabulas che (OMISSIS), dopo aver incassato dal conto della de cuius la somma di Lire 7.077.909 aveva versato in contanti la somma di Lire 7.000.000 in pari data sul conto di (OMISSIS); sussisterebbe pure l’impossibilita’ per i ricorrenti di procurarsi la prova scritta poiche’ la causa era stata introdotta dopo dodici anni dalla morte di (OMISSIS), quando gli istituti bancari non disponevano dei documenti poiche’ non piu’ tenuti alla loro conservazione.
Con il terzo motivo di ricorso, si allega la violazione dell’articolo 246 c.p.c., in relazione all’art.360 n.3 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto che (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero incapaci di testimoniare, avendo interesse alla partecipazione al giudizio, mentre, invece, essi avrebbero un mero interesse di fatto.
I motivi, da trattare congiuntamente, non sono fondati.
Sia il giudice di primo grado che il giudice d’appello hanno qualificato la domanda proposta dal (OMISSIS) come petitio hereditatis e, sulla base di tale qualificazione giuridica, hanno rigettato la prova testimoniale diretta a dimostrare che i convenuti avevano prelevato il denaro su incarico di (OMISSIS) e che lo avevano poi restituito a quest’ultima o utilizzato per il pagamento delle spese funerarie della de cuius.
Ritiene il collegio che la qualificazione giuridica della domanda sia errata e che si tratti di azione personale derivante da fatto illecito.
L’inquadramento della fattispecie nell’ambito della responsabilita’ extracontrattuale e, quindi, la qualificazione in diritto dei fatti da parte del giudice di legittimita’, rientra nei poteri della Corte di cassazione, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioe’ che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l’esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto se cio’ comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto” (Cass. Sez. 3, sent. 22 marzo 2007, n. 6935, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 maggio 2011, n. 10841, Cass. Sez. 6-3, sent. 14 febbraio 2014, n. 3437, Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2017, n. 18775).
Con la petitio hereditatis, l’erede chiede l’accertamento della sua qualita’ per conseguire la restituzione dei beni ereditari da chi li possiede come erede o senza titolo.
Come e’ noto e come e’ stato piu’ volte affermato da questa Corte, la “petitio hereditatis” ha natura di azione reale, volta a conseguire il rilascio dei beni ereditari da colui che li possegga, vantando un titolo successorio che non gli compete, ovvero senza alcun titolo, e presuppone l’accertamento della sola qualita’ ereditaria dell’attore o di diritti che a costui spettano “iure hereditatis”, qualora siano contestati dalla controparte (tra le tante, sentenze 1/4/2008 n. 8440; 22/7/2004 n. 13785; 15/3/2004 n. 5252; 2/8/2001 n. 10557).
Nella specie, la domanda era volta ad accertare non che i convenuti detenessero i beni a titolo ereditario e senza alcun titolo, ma la commissione di un atto illecito.
Inoltre, ove si discuta – come nella specie – della sottrazione di denaro facente parte dell’asse ereditario, l’azione volta ad ottenerne la restituzione non ha carattere reale, perche’ il denaro e’ cosa fungibile e dunque ne’ si rilascia (come gli immobili) ne’ si consegna (come le cose mobili determinate), ma si paga nella misura corrispondente.
L’azione proposta e’, pertanto, un’azione personale, e non gia’ reale, derivante da fatto illecito, in cui legittimato passivo e’ l’autore del fatto, a nulla rilevando che questi abbia agito su incarico altrui.
Poiche’ l’impossessamento del denaro e’ atto illecito, che obbliga il soggetto agente alla restituzione in favore dell’erede, l’asserita qualita’ di mandatario da parte dell’autore dell’impossessamento non lo rende immune dalla domanda ma, al contrario, estende anche al mandante la responsabilita’ dell’impossessamento illecito.
Ne consegue la totale irrilevanza dei mezzi di prova non ammessi, volti a provare che i ricorrenti avevano prelevato le somme su incarico di (OMISSIS) e, quindi, la non decisivita’ della relativa questione posta con i primi tre motivi.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in ordine all’appartenenza dei titoli alla de cuius, poiche’ non solo la nota della Procura della Repubblica aveva dato atto della titolarita’ dei medesimi solo “con ragionevole certezza”, ma la corte territoriale avrebbe omesso di considerare che, al momento dell’accensione dei titoli la (OMISSIS) era ricoverata in ospedale.
Il motivo non e’ fondato.
Si rappresenta che al presente giudizio si applica il nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., introdotto dal Decreto Legislativo 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, trattandosi di norma applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.
Nella specie la sentenza della Corte d’Appello di Venezia e’ stata depositata in data 11.11.2014.
Secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte di legittimita’, la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che prevede l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione, sicche’, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7.4.2014, n. 8053).
In questo quadro e’ da escludere che i passaggi della motivazione impugnata integrino taluna delle ipotesi di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica delle Sezioni Unite.
In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente”, che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non lascia trasparire il percorso argomentativo seguito, e’ incontrovertibile che la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito.
Nella specie, la corte territoriale, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimita’, ha motivato in ordine all’appartenenza dei titoli alla de cuius mentre la circostanza che, al momento della sottoscrizione dei titoli, la (OMISSIS) si trovasse in ospedale, non e’ decisiva per il giudizio, considerando che i certificati potevano essere emessi con delega ad un terzo o presso il domicilio del cliente.
Sul punto, l’orientamento di questa Corte e’ consolidato nel ritenere che, ove venga dedotto vizio di motivazione, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente e’ tenuto ad indicare, oltre al “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, anche sua “decisivita’” (Cass. Civ., sez. UU, del 07/04/2014, n. 8053; Cassazione civile, sez. 6, 10/08/2017, n. 19987).
Con il quinto motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nella prova della data certa dell’accettazione dell’eredita’, che la corte territoriale avrebbe erroneamente ricavato dal doc. 8, ovvero della fotocopia di un atto sostitutivo dell’atto di notorieta’, privo di efficacia probatoria e di data certa, in quanto privo di autentica da parte del pubblico ufficiale.
Il motivo e’ inammissibile.
L’accettazione dell’eredita’ ha efficacia retroattiva, ai sensi dell’articolo 459 c.c., sicche’ e’ del tutto irrilevante l’accertamento della data di accettazione dell’eredita’.
Il ricorso incidentale e’ inammissibile.
Esso non contiene l’esposizione sommaria dei fatti, necessaria per consentire alla Corte una precisa cognizione dell’origine della controversia e delle posizioni assunte dalle parti, in considerazione dell’autonomia del ricorso incidentale rispetto al ricorso principale.
Come affermato da questa Corte, nel giudizio di cassazione, l’autosufficienza del controricorso e’ assicurata, ai sensi dell’articolo 370 c.p.c., comma 2, che richiama l’articolo 366 c.p.c., comma 1, anche quando l’atto non contenga l’autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, ma si limiti a fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata ovvero alla narrazione di essi (OMISSIS)nuta nel ricorso.
Tuttavia, l’atto, quando racchiuda anche un ricorso incidentale, deve contenere, in ragione della sua autonomia rispetto al ricorso principale, l’esposizione sommaria dei fatti della causa ai sensi del combinato disposto dell’articolo 371 c.p.c., comma 3 e articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, sicche’ e’ inammissibile ove si limiti ad un mero rinvio all’esposizione contenuta nel ricorso principale e non sia possibile, nel contesto dell’impugnazione, rinvenire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalla parti, senza necessita’ di ricorso ad altre fonti (Cassazione civile, sez. 3, 21/09/2015, n. 18483; Cass. Civ., sez. 3, 08/01/2010, n. 76).
Va, pertanto, rigettato il ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
Considerata la reciproca soccombenza, le spese di lite vanno interamente compensate.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.