Gli interessi moratori, che sono legati all’inadempimento dell’obbligazione e con la disciplina del contratto di appalto, dal momento che la mancata accettazione dell’opera da parte del committente non vale ad escludere il suo inadempimento in relazione al pagamento di quei lavori che si accertino regolaituente eseguiti e per i quali pertanto egli era tenuto al pagamento del corrispettivo. E’ vero infatti che l’articolo 1665 c.c., u.c., fa decorrere il diritto di credito dell’appaltatore dalla verifica o accettazione dell’opera, ma e’ altrettanto evidente che la mancata accettazione dell’opera da parte del committente incide sulla sua obbligazione di pagamento del corrispettivo se e nella misura in cui essa e’ giustificata, legittimando il mancato pagamento del corrispettivo in forza del principio inadimpleti non est adimplendum, ma non investe il diritto di credito dell’appaltatore per le opere effettivamente e regolarmente eseguite.
Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.
Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 6 marzo 2019, n. 6463
APPALTO PRIVATO – CORRISPETTIVO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) s.s. (OMISSIS), con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante sig. (OMISSIS), rappresentata e difesa per procura alle liti a margine del ricorso dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., con sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante rag. (OMISSIS), rappresentata e difesa per procura alle liti a margine del controricorso dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS).
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 827 della Corte di appello di Torino, depositata il 6.5.2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27.11.2018 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;
viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dott. CELESTE Alberto, che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;
sentite le difese svolte dall’Avv. (OMISSIS), per la controricorrente (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’ (OMISSIS) s.s. (OMISSIS) propose dinanzi al Tribunale di Alba opposizione ad un decreto ingiuntivo che le intimava di pagare alla s.r.l. (OMISSIS) la somma di Euro 120.266,58 a titolo di saldo del corrispettivo per la esecuzione dei lavori di appalto relativi alla demolizione di un vecchio cascinale e la edificazione di uno nuovo, deducendo che il prezzo dei lavori non era stato concordato, che i lavori non erano stati terminati, tanto che la committente si era vista costretta a pagare per la posa in opera degli infissi e delle finestre la somma di Euro 14.071,60 direttamente ad un subappaltatore, e che le opere presentavano gravi vizi e difetti.
All’esito dell’istruttoria, in cui veniva svolta consulenza tecnica d’ufficio per accertare le opere eseguite, l’esistenza dei vizi denunziati e quantificare il prezzo dei lavori, il Tribunale revoco’ il decreto ingiuntivo e condanno’ parte opponente a pagare la somma di Euro 45.107,94, oltre iva, a titolo di corrispettivo dei lavori eseguiti, oltre interessi di mora ex Decreto Legislativo n. 231 del 2002, dalla data della fattura, e compenso’ interamente le spese di lite.
Propose appello l’ (OMISSIS) censurando la sentenza impugnata, oltre che sotto il profilo della quantificazione del credito, per quanto qui interessa, per avere stabilito la decorrenza degli interessi moratori sulla somma dovuta dalla data della fattura e non dalla data della sentenza, nonostante che il credito potesse considerarsi liquido e certo solo in quest’ultimo momento; censuro’ inoltre la pronuncia di compensazione delle spese, per non avere il giudice di primo grado tenuto conto della maggiore soccombenza della controparte, che si era vista ridurre la propria pretesa di quasi due terzi.
Resistette in giudizio la societa’ (OMISSIS), che chiese il rigetto del gravame.
Con sentenza n. 827 del 6.5.2014 la Corte di appello di Torino dichiaro’ inammissibili ovvero rigetto’ le censure relative alla quantificazione del credito dell’impresa appaltatrice e quelle sulla pronuncia sulle spese; accolse invece anche se solo in parte il motivo di appello relativo alla fissazione della data di decorrenza degli interessi di mora, respingendo la tesi che essi avrebbero dovuto decorrere dalla data della sentenza, ma rilevando che, non essendo stata fornita la prova che la fattura o altra richiesta di pagamento era stata inviata alla committente, gli interessi nel caso di specie dovevano decorrere, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 4, trascorsi trenta giorni dalla data di notifica del decreto ingiuntivo, avvenuta in data 7.12.2007, tenuto conto con essa la parte obbligata aveva avuto piena cognizione della pretesa della controparte.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 7.11.2014, ricorre, affidandosi a due motivi, l’ (OMISSIS).
Resiste con controricorso, cui ha fatto seguire memoria, la societa’ (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, denunziando violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, censura la sentenza di appello per avere fatto decorrere gli interessi di mora sulla somma liquidata in favore della impresa appaltatrice dal trentesimo giorno successivo alla notifica del decreto ingiuntivo, ritenendo che a tale ultima data l’appellante avesse avuto piena cognizione della fattura, senza considerare, in punto di diritto, che l’articolo 4, lettera d), dopo avere nella prima parte disposto che gli interessi di mora decorrono dopo trenta giorni dal ricevimento della fattura, precisa che tale termine decorre “dalla data di accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data”, richiedendo quindi che per la decorrenza degli interessi maggiorati occorra che la fattura sia stata consegnata e che vi sia stata l’accettazione o la verifica dell’opera.
Nel caso di specie invece. aggiunge il ricorso, non vi era stata alcuna verifica o accettazione delle opere, atteso che. come accertato dal giudice di primo grado, a seguito dei dissidi insorti tra le parti, l’Impresa (OMISSIS) abbandono’ di fatto il cantiere a meta’ circa del mese di ottobre 2006 (rectius 2007) senza provvedere ad una consegna dell’opera”.
Ne discende, ad avviso della ricorrente, che il credito al momento del decreto ingiuntivo non era ne’ certo ne’ liquido, e che tali caratteri ha acquistato solo a seguito ed in forza della consulenza tecnica d’ufficio, la quale, dando atto della mancanza dei documenti contabili utili a tal fine, ha ricostruito la contabilita’ e quantificato la pretesa dell’appaltatore sulla base delle verifiche delle opere eseguite, con l’effetto che gli interessi avrebbero dovuto farsi decorrere dalla sentenza che ne ha fatto proprie le risultanze, essendo solo in tale momento il credito divenuto liquido e certo.
Sotto altro profilo si deduce che la maggiorazione degli interessi moratori prevista dal Decreto Legislativo n. 231 del 2002, sanziona il ritardo colpevole del debitore nell’adempimento e che tale situazione deve escludersi nel caso in cui, mancando la determinazione del corrispettivo, vi sia altresi’ incertezza sul quantum debeatur e tale incertezza sia imputabile al creditore stesso.
Il motivo non merita accoglimento.
A sostegno delle censure svolte la parte invoca l’applicazione della lettera d) secondo cui gli interessi moratori decorrono “dalla data di accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data”.
Da tale disposizione la parte fa discendere la conseguenza che, non essendoci stata nel caso di specie accettazione o verifica dell’opera ed essendo stati sia lavori che il prezzo degli stessi contestato, gli interessi debbono farsi decorrere dal momento in cui sia l’adempimento dell’appaltatore che il compenso a lui dovuto sono stati accertati in giudizio.
L’interpretazione ed applicazione della norma cosi’ suggerite non appaiono condivisibili, per la ragione che la disposizione invocata, letta in coordinamento con le ipotesi precedenti da essa previste, e in particolare con la previsione di cui alla lettera a), secondo cui gli interessi decorrono trascorsi trenta giorni dalla data di ricevimento della fattura, si occupa dell’ulteriore ipotesi in cui l’opera sia stata oggetto di verifica e di accettazione da parte del committente, stabilendo che in tale evenienza gli interessi decorrano da tale momento, se la fattura e’ inviata prima di tale data, enucleando quindi una fattispecie in cui la decorrenza degli interessi e’ posticipata rispetto all’invio della fattura. La disposizione di cui alla lettera d) non tratta espressamente il caso in cui la verifica e l’accettazione non intervengano, sicche’ tale ipotesi ricade nella regola generale, posta dalla lettera a), che fa decorrere gli interessi di mora dall’invio della fattura. La conclusione e’ che. se l’accettazione o la verifica non sono poste in essere, gli interessi decorrono comunque dalla fattura.
Nel caso di specie si assume che la mancata verifica o accettazione dell’opera e’ ascrivibile al comportamento dell’appaltatore che, lamentando la mancata corresponsione di acconti, non ha proseguito nella ultimazione dei lavori ma ha abbandonato il cantiere.
La circostanza non appare decisiva ai fini della questione in esame.
Certamente essa e’ rilevante al fine di ritenere ammesse le contestazioni svolte dal committente in ordine alla consistenza dei lavori eseguiti e alla loro conformita’ alle regole d’arte, che restano precluse dall’accettazione, ed e’ con riguardo a tale profilo che la questione e’ stata esaminata, come ricorda la stessa ricorrente, dal giudice di primo grado, a fronte dell’eccezione di decadenza sollevata dall’appaltatore.
La questione pero’, per le ragioni sopra rappresentate, non acquista autonoma rilevanza in ordine alla decorrenza degli interessi moratori in relazione agli importi che siano stati riconosciuti come dovuti all’appaltatore, tenuto conto che essi decorrono dal ricevimento della fattura, in mancanza di verifica ed accettazione, laddove previste.
Tale conclusione appare in linea con i principi in tema di interessi moratori, che sono legati all’inadempimento dell’obbligazione e con la disciplina del contratto di appalto, dal momento che la mancata accettazione dell’opera da parte del committente non vale ad escludere il suo inadempimento in relazione al pagamento di quei lavori che si accertino regolaituente eseguiti e per i quali pertanto egli era tenuto al pagamento del corrispettivo.
E’ vero infatti che l’articolo 1665 c.c., u.c., fa decorrere il diritto di credito dell’appaltatore dalla verifica o accettazione dell’opera, ma e’ altrettanto evidente che la mancata accettazione dell’opera da parte del committente incide sulla sua obbligazione di pagamento del corrispettivo se e nella misura in cui essa e’ giustificata, legittimando il mancato pagamento del corrispettivo in forza del principio inadimpleti non est adimplendum, ma non investe il diritto di credito dell’appaltatore per le opere effettivamente e regolarmente eseguite.
Nel caso di specie non e’ stata richiesta ne’ pronunciata alcuna risoluzione del contratto di appalto per inadempimento di uno dei contraenti, risultando da quanto esposto negli atti di causa che le parti hanno di fatto interrotto il rapporto, addebitandosi reciproci inadempimenti.
In ogni caso questa Corte ha affermato che, La condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, e’ volta a salvaguardare finalita’ pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonche’ interessi della
Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., lamentando che la sentenza di appello abbia rigettato le censure sollevate avverso la regolamentazione delle spese di primo grado, per averle il Tribunale compensate interamente in ragione della reciproca soccombenza delle parti, senza considerare che la soccombenza della societa’ opposta era nettamente prevalente, essendo state respinte le sue eccezioni e avendo visto la propria pretesa creditoria ridotta di quasi due terzi.
Il motivo e’ inammissibile in quanto la regolamentazione delle spese e’ censurabile nel giudizio di cassazione solo per la violazione dei principio di soccombenza, secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, non anche quando il giudice, in presenza di soccombenza reciproca – la quale e’ ravvisabile tanto nel caso in sui siano respinte o accolte le domande contrapposte delle parti, quanto nell’ipotesi in cui una o piu’ domande di una delle parti siano accolte solo in parte (Cass. n. 20888 del 2018: Cass. n. 21684 del 2013) – disponga la compensazione in tutto o in parte, traducendosi il relativo giudizio in un apprezzamento di fatto non denunziabile in sede di legittimita’.
Questa Corte ha avuto piu’ volte modo di precisare che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimita’, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalita’ fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. n. 30592 del 2017; Cass. n. 24502 del 2017; Cass. n. 2149 del 2014).
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Si da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%. Da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.