in tema di diffamazione a mezzo stampa, sussiste l’esimente del diritto di critica, quando le espressioni utilizzate, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, consistano in un’argomentazione che espliciti e ragioni di un giudizio negativo, collegato a fatti specifici, senza risolversi nell’aggressione, gratuita, alla sfera morale altrui.
La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.
Corte di Cassazione, Sezione 5 penale Sentenza 8 marzo 2019, n. 10286
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMU Giacomo – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto L. – Consigliere
Dott. CATENA Rossella – Consigliere
Dott. CALASELICE Barba – rel. Consigliere
Dott. MOROSINI E. M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 2/03/2017 della Corte di appello di Cagliari sezione di Sassari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa Barbara Calaselice;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Seccia D., che ha concluso chiedendo dichiarasi l’inammissibilita’;
udito il difensore dell’imputato, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Cagliari, sezione Sassari, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Tempio Pausania, ha assolto (OMISSIS) dal reato di diffamazione relativamente al termine buffoni, ritenuto scriminato dal diritto di critica, rideterminando la pena in euro 400 di multa per la residua imputazione, revocando le statuizioni civilistiche, limitatamente al fatto per il quale era stata pronunciata assoluzione, con conferma, nel resto, dell’appellata sentenza.
2. Avverso l’indicata pronuncia ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo nei motivi di seguito riassunti, quattro vizi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia erronea applicazione della legge penale, in relazione alla validita’ della querela sporta dal Sindaco del Comune di (OMISSIS).
Si assume che, con l’atto di appello, si era dedotto che la querela viene sporta nell’interesse del (OMISSIS) per la sua qualita’ di sindaco, evidentemente per tutelare l’onorabilita’ dell’ufficio di cui questi era titolare, non in proprio anche se la querela non contiene alcun riferimento ad offese alla reputazione del (OMISSIS) in quanto sindaco, offese all’amministrazione o al Comune.
Si assume che la frase che costituisce offesa non riguarderebbe il sindaco, in quanto si risolve in una denigrazione offensiva nei confronti della persona.
Di qui l’eccepita improcedibilita’ anche per quanto concerne le denunce di (OMISSIS) e (OMISSIS) che non possono spiegare effetti anche a tutela della reputazione del privato cittadino (OMISSIS).
2.2. Con il secondo motivo si deduce inosservanza dell’articolo 21 Cost. e dell’articolo 595 c.p., nonche’ difetto di motivazione.
Si assume che la frase dell’assessore non viene inserita, nella motivazione, nel contesto in cui viene pronunciata. Si tratta di satira (come si ricava dall’incipit… tutto il mondo sa) di un’affermazione iperbolica, tutt’altro che gratuita, che esprime un giudizio negativo ma allo stesso tempo ironico e grottesco, tale da essere scriminato ai sensi dell’articolo 51 c.p., come esercizio del diritto di satira, tenuto conto che risponde ad un intervento del Sindaco su (OMISSIS) anch’esso ironico e paradossale.
2.3. Il terzo motivo deduce erronea applicazione dell’articolo 337 c.p.p. e vizio di motivazione, sotto il profilo del travisamento, circa la dedotta mancanza di indicazione del soggetto autenticante, sulla procura in calce alla querela, per mancata indicazione di nome e cognome dell’autenticante. cio’ in palese violazione dell’articolo 337 c.p.p., comma 1.
2.4. Il quarto motivo deduce vizio di motivazione, del tutto carente sotto il profilo della determinazione della pena, indicata come congrua ma fissata, tenuto conto dei limiti edittali (la multa e’ fino ad euro 1032), in una misura pari quasi alla meta’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo ed il secondo motivo sono manifestamente infondati.
2.1. La sentenza di secondo grado motiva, con ragionamento non manifestamente illogico, dunque non censurabile da questa Corte di legittimita’, come la frase ritenuta offensiva, contenuta nel comunicato intitolato “(OMISSIS)”, debba essere considerata gratuita espressione lesiva della sfera personale del destinatario.
Essa non appare manifestazione di un mero attacco politico rivolto al (OMISSIS), come dedotto, ma si sostanzia nella divulgazione di una circostanza, riguardante la vita privata della parte lesa, esposta, con diffusione on line e distribuendo il comunicato attraverso la consegna di volantini, superando il parametro della continenza.
Sul punto la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte regolatrice, secondo i quali, in ordine al requisito della continenza, in tema di diffamazione a mezzo stampa, sussiste l’esimente del diritto di critica, quando le espressioni utilizzate, pur se veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira, consistano in un’argomentazione che espliciti e ragioni di un giudizio negativo, collegato a fatti specifici, senza risolversi nell’aggressione, gratuita, alla sfera morale altrui. (Sez. 1, n. 5695 del 05/11/2014, Rv. 262531; Sez 5, n. 13735 del 7/03/2006, Rv. 233986)).
La critica, se contenuta nell’ambito della tematica attinente al fatto dal quale ha tratto spunto, in quanto espressione di giudizi di valore dell’agente, puo’ anche essere aspra, pungente e utilizzare l’arma del sarcasmo. T
uttavia si reputano, pacificamente, punibili le espressioni gratuite, in quanto non necessarie, inutilmente volgari, umilianti o dileggianti.
Cio’ che, infatti, rileva e determina l’abuso del diritto non e’ la maggiore o minore aggressivita’ dell’espressione o l’asprezza dei toni, ma la gratuita’ delle aggressioni, non pertinenti ai temi apparentemente in discussione.
Nel caso di specie, le espressioni pronunciate dal ricorrente nel comunicato, rappresentano, secondo la motivazione coerente e non manifestamente illogica della Corte territoriale, un’aggressione gratuita alla sfera personale della parte lesa, riportando una circostanza riguardante esclusivamente la vita privata del (OMISSIS), nemmeno pertinente rispetto al tema in discussione, come descritto dal ricorrente nell’impugnazione.
Del resto si e’ pacificamente sostenuto da questa Corte di legittimita’ che, per l’operativita’ della scriminante del diritto di critica, le espressioni usate devono essere tali da non trasmodare in un’aggressione verbale e, comunque, limitarsi ad espressioni aspre e appellativi forti, ma prive di potenzialita’ di insulto, in quanto inserite in un contesto dialettico, di legittima critica (Sez. 5, n. 4853 del 18/11/2016 – dep. 2017, Fava, Rv. 269093).
Ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto, dunque, del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gratuiti nel senso sopra prospettato.
Neppure puo’ ravvisarsi l’esimente del diritto di critica nella forma satirica qualora essa, ancorche’ a sfondo scherzoso e ironico, sia fondata su dati storicamente falsi. Si tratta di esimente sussistente quando l’autore presenti in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicita’, finalizzata alla dissacrazione delle persone, una situazione e un personaggio, senza proporsi alcuna funzione informativa. Non ricorre, invece, la suddetta esimente quando si diano informazioni che, ancorche’ presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino non corrispondenti al vero (Sez. 5, n. 3676 del 27/10/2010 – dep. 2011, Padellaro).
Cio’ posto si osserva che, nella specie, il giudice di appello, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, conforme agli indirizzi ermeneutici sopra esposti, ha notato che l’espressione utilizzata non puo’ essere collocata nell’ambito di una contesto dialettico ma, anzi, si sostanzia in una circostanza del tutto estranea al tema trattato, in quanto attinente alla sfera privata del (OMISSIS), espressione di denigrazione, in quanto ha avuto ad oggetto la divulgazione della notizia che, in alcune ore della giornata, il primo cittadino del Comune in questione, non sarebbe capace di assolvere al suo ruolo, perche’ non in possesso di lucide facolta’ mentali. Sicche’ l’espressione gratuita ha, senza dubbio, travalicato i limiti della continenza verbale e, comunque, l’ambito del legittimo diritto di critica e satira, nei confronti dell’operato della parte lesa, in quanto idonea a ledere la dignita’ morale ed intellettuale del destinatario.
2.2. Il terzo motivo e’ manifestamente infondato. Si deduce un vizio che attiene alle formalita’ della querela che, per il ricorrente, sarebbe carente della indicazione del soggetto autenticante, sulla procura in calce, con violazione dell’articolo 337 c.p.p., comma 1.
Sul punto si osserva che e’ principio pacificamente affermato da questa Corte quello secondo il quale la formalita’ della querela, riguardante l’autenticazione della firma del querelante da parte di un avvocato, puo’ reputarsi valida nel caso in cui questi sia nominato difensore della parte offesa, a norma dell’articolo 101 c.p.p., comma 1 e articolo 96 c.p.p., comma 2, ovvero si possa desumere la volonta’ di conferirgli mandato, dallo svolgimento di concrete attivita’ difensive nel giudizio o da altre dichiarazioni rese nell’atto di querela (come l’elezione di domicilio presso il difensore che ha autenticato la sottoscrizione). Nella specie l’avv. (OMISSIS) e’ stato nominato difensore di fiducia, nonche’ destinatario di mandato al deposito della querela, risultando, peraltro, debitamente identificato all’atto del materiale deposito dell’atto (cfr. Sez. 2, n. 9187 del 2/02/2017, Corneli, Rv. 269436; Sez. 6, n. 13813 del 26/03/2015, Recce, Rv. 262966 – 01).
2.3. Il quarto motivo e’ inammissibile in quanto censura l’esercizio del potere discrezionale dei giudici di merito, relativo alla determinazione dell’entita’ della pena, esercitato senza incorrere in arbitri ma dando conto, con motivazione sufficiente, sebbene succinta, della scelta operata quanto alla misura della pena, tenuto conto che la stessa non si discosta in modo consistente dal minimo edittale, risultando inferiore ad un terzo della pena massima irrogabile (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153; Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278, quest’ultima nel senso che la determinazione della misura della pena, tra il minimo e il massimo edittale, rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’articolo 133 c.p.. Anzi, non e’ reputata neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulti contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale).
3. Segue alla pronuncia, la condanna del ricorrente alle spese processuali, nonche’ al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, somma che si ritiene determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processali e della somma di euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.