La nullità della fideiussione stipulata conformemente al modello ABI censurato dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005 perché ritenuto anticoncorrenziale, non può infine che considerarsi parziale e, quindi, riguardare le sole clausole indicate come contrarie alla normativa antitrust, con la conseguenza che – in applicazione del generale principio di cui all’art. 1419 cod. civ. – il contratto di garanzia non può dirsi interamente nullo, in quanto è di tutta evidenza che la banca lo avrebbe comunque concluso, qualsiasi garanzia essendo migliore della mancanza di garanzia, né l’opponente che ha prestato fideiussione ha allegato ragioni per cui l’assenza di clausole, peraltro comportanti effetti gravosi nei suoi confronti, lo avrebbero dovuto indurre a non stipulare i negozi in questione.
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Tribunale Pescara, civile Sentenza 9 gennaio 2019, n. 35
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI CIVILE
in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Federico Ria ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella controversia civile in primo grado, iscritta al n. 5437/15 R.A.C.C., vertente
TRA
Ci. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, Sig. Ci.Al. (…) ed i Sigg.ri Ci.Al.
(…) – Ci.Od. (…) – Ci.Ma. (…) rappresentati e difesi dagli Avv.ti Ce.D’A., Cl.D’A. e Gi.Bu., ed el.te dom.ti presso lo studio degli stessi sito in Pescara alla via (…), giusta procura speciale in atti;
Ci.Pa. (…) – Ci.Er. (…) rappresentati e difesi dall’Avv.to Em.Ar., el.te dom.ti presso lo studio degli stessi sito in Pescara alla via (…), giusta procura speciale in atti;
OPPONENTI
CONTRO
Bp. S.p.A., già Ba.Po. Soc. Coop. (…) rappresentata e difesa dall’Avv.to Au.La., ed el.te dom.ta presso lo studio dello stesso sito in Pescara alla via (…), giusta procura speciale in atti;
OPPOSTA
Oggetto: opposizione a d.i. n. 1504/15 in materia di rapporti bancari; conclusioni: come da relativo verbale d’udienza, da ritenersi materialmente allegato alla presente sentenza
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione in opposizione a D.I. n. 1504/2015, ritualmente notificato, gli opponenti in epigrafe indicati citavano in giudizio la BPER dinanzi codesto Ill.mo Tribunale, chiedendo nel merito in via principale il rigetto e/o la revoca del D.I. opposto perché infondato ed illegittimo; nel merito in via subordinata, accertare e dichiarare l’illegittimità e/o nullità del contratto di finanziamento per intrasparenza, indeterminatezza dei tassi di interessi applicati al finanziamento, per l’applicazione di interessi usurari e di mora illegittimi ecc., con la conseguente condanna dell’istituto di credito opposto alla riduzione e/o restituzione di quanto risultasse indebitamente percepito dalla Banca stessa per i titoli di cui sopra, all’esito di istruttoria anche per il tramite di C.T.U., con vittoria integrale di spese e competenze di giudizio.
Si costituiva in giudizio la Banca opposta con Comparsa di costituzione e risposta e con il fascicolo di parte, contestando tutto quanto sostenuto in atti dalla parte opponente e chiedendo il rigetto delle relative richieste e domande.
Successivamente, su richiesta delle parti veniva disposta la riunione dei due procedimenti (R.G. n. 5437/2015 e R.G. n. 5441/2015). All’udienza del 10.05.2016 il precedente assegnatario si riservava di decidere sulla sospensiva della provvisoria esecutività del D.I. opposto.
A scioglimento della riserva, con Ordinanza, il Giudice non sospendeva la provvisoria esecutività del D.I. opposto e disponeva la mediazione obbligatoria prevista dalla legge; la causa veniva quindi rinviata all’udienza del 15.11.2016 per il prosieguo, poi rinviata al 14.02.2017.
A tale udienza del 14.02.2017 venivano concessi i termini per il deposito di memorie ex art. 183 c.p.c. che le difese delle parti provvedevano a depositare.
Alla successiva udienza del 18.05.2017 il precedente assegnatario si riservava sull’ammissione dei mezzi istruttori richiesti dalle parti e con successiva Ordinanza ammetteva le prove orali articolate dalla controparte Ci. S.r.l., Ci.Al., Ci.Od. e Ci.Ma. e riservava per ogni altra statuizione all’esito, appunto, dell’incombente fissato per l’udienza del 18.01.2018.
All’udienza del 18.01.2018 lo scrivente, ritenendo la causa matura per la decisione, rinviava all’udienza del 26.04.2018 per la discussione orale con termine per il deposito delle comparse conclusionali sino al 27.03.2018.
L’opposizione è infondata.
Sui presupposti di concedibilità del decreto.
In tema di verifica delle condizioni di concedibilità dell’opposto decreto, va in prima battura evidenziato come, pur condividendosi l’affermazione in forza della quale, successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 385/93 è illegittimo il decreto emesso sulla base soltanto dell’estratto di saldaconto di cui all’art. 102 r.d.l. n. 375/36 e dunque in difetto dei requisiti richiesti ex art. 50 D.Lgs. cit. (Trib. Terni 30.12.1999 Vi./Mp.), la contestuale produzione di ulteriore documentazione (contratti in atti) consente di ritenere superata ogni questione in ordine all’ammissibilità della richiesta ex art. 633 c.p.c. (in tema Trib. Nuoro 11.7.2007).
Il decreto ingiuntivo emesso solo sulla base dell’estratto dei saldaconti è invalido in quanto fondato su prova scritta inidonea a documentare il titolo giustificativo del credito; ai sensi degli artt. 2709 c.c. e 364 c.p.c., infatti, costituisce prova scritta ai fini del decreto monitorio, in materia bancaria, l’estratto analitico dei conti dall’apertura della linea di credito alla attuale pretesa da parte della banca.
Il certificato di saldaconto finale, infatti, era sufficiente a legittimare l’emissione di decreto ingiuntivo solo prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 385/1993, (T.U. Leggi in materia bancaria), il quale, a norma dell’art. 50 prescrive adesso che il decreto ingiuntivo di cui all’art. 633 c.p.c. deve essere richiesto, dalla banca, esclusivamente in base all’estratto conto certificato reso conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido.
Tale norma risponde alla necessità di tutelare il correntista anche nell’eventuale giudizio susseguente al procedimento monitorio, consentendogli una contestazione consapevole delle risultanze del documento stesso.
Pertanto è da ritenersi invalido, in quanto fondato su prova scritta inidonea ai sensi dell’art. 50 TUB, il decreto ingiuntivo avente alla base il solo estratto dei saldaconti. Tribunale, Torino 28/05/2013 n. 3620 L’art. 50 TUB ha introdotto pertanto una fattispecie nuova ed autonoma rispetto a quelle considerate dal c.p.c. derogando in tal modo al generale principio della non invocabilità a proprio favore del documento redatto da una delle parti.
Tale articolo fa espresso riferimento tuttavia all’estratto conto ovvero a quel documento richiamato e disciplinato dall’art. 119 TUB oltre che dagli artt. 1853 e 1857 c.c. Il collegamento tra le due norme induce a ritenere che l’estratto conto necessario è quello relativo all’ultima scadenza, secondo la periodicità concordata tra le parti.
Nella fattispecie al vaglio peraltro si verte in ipotesi di richiesta di restituzione finanziamento e, come anticipato, oltre il cd attestato sottoscritto dal funzionario, l’istituto opposto ha provveduto anche a depositare ulteriore documentazione, quale la copia dei contratti di finanziamento e di fideiussione nonché addirittura in titolo cambiario.
In relazione alla pretesa nullità e/o inesistenza del contratto, in quanto destinato a ripianare asseriti debiti pregressi, si evidenzia quanto segue.
Il mutuo è contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna della cosa mutuata ovvero con il conseguimento della disponibilità giuridica della cosa; ne consegue che la tradito rei può essere realizzata attraverso la consegna dell’assegno (nella specie, circolare interno, intestato alla parte e con clausola di intrasferibilità) alla parte mutuataria, che abbia dichiarato di accettarlo “come denaro contante”, rilasciandone quietanza a saldo (Cassazione civile, sez. I, 03/01/2011, n. 14).
E’ pur vero poi che la traditio della somma di denaro non deve necessariamente sostanziarsi nella consegna materiale, ben potendo essere attuata anche mediante attribuzione al mutuatario della disponibilità giuridica della somma (cfr. Cass. Sez. III n. 25569/2011), ma è tuttavia necessario che il mutuante crei un titolo autonomo in favore del mutuatario che consenta allo stesso di disporre liberamente dell’importo mutuato, non solo senza la intermediazione necessaria del mutuante ma anche inviso mutuans, perché solo in questo modo la somma esce dal patrimonio del mutuante ed entra in quello del mutuatario che ne acquisisce la piena disponibilità giuridica.
La “tradito rei” può quindi essere realizzata anche attraverso l’accreditamento in conto corrente della somma mutuata, perché in tal modo il mutuante crea, con l’uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario (in tal senso,
Cass. 21 febbraio 2001, n. 2483; nonché, nella giurisprudenza di merito, Trib. Verona 10 ottobre 2003).
Nella fattispecie al vaglio peraltro, a tali considerazioni va ad aggiungersi la circostanza che la somma mutuata è andata ad estinguere il precedente debito assunto in forza di contratto di apertura credito in conto corrente.
Il collegamento negoziale, come noto, costituisce un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato attraverso una pluralità coordinata di contratti, ciascuno dei quali – sebbene avente comunque una causa autonoma – è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, si che le vicende che investono l’uno possono ripercuotersi sull’altro (Cass. 4 marzo 2010, n. 5195; cfr. altresì Cass. 26 marzo 2010, n. 7305; Cass. 10 luglio 2008, n. 18884; Cass. 5 giugno 2007, n. 13164; Cass. 20 aprile 2007, n. 9447), giova considerare come, in tema di prova di tale collegamento, occorra la ricorrenza tanto di un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi (nel senso della loro destinazione alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di un assetto economico globale ed unitario), quanto di un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in
essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (Cass. 17 maggio 2010, n. 11974; Cass. 8 ottobre 2008, n. 24792; Cass. 16 marzo 2006, n. 5851; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23470).
Ciò posto, è anzitutto indubbia, alla luce delle considerazioni sopra svolte, l’esistenza del requisito oggettivo richiesto, id est il nesso teleologico tra i contratti posti in essere. Ed invero, tale nesso si desume sia dalla circostanza che la somma complessiva data a mutuo è stata in maniera pressoché integrale destinata all’estinzione delle esposizioni debitorie degli opponenti; sia dalla simultaneità temporale delle operazioni di accredito della somma mutuata e di destinazione all’estinzione dei precedenti rapporti, nonché dalla circostanza che – per effetto delle operazioni così realizzate – tutti i citati rapporti venivano estinti, sia, infine dall’identità soggettiva dei soggetti coinvolti.
Quanto poi al requisito soggettivo del collegamento, la subordinazione del contratto di mutuo al perseguimento del fine ulteriore costituito dal ripianamento delle pregresse esposizioni debitorie, seppur non espressa dalle parti in forma scritta, emerge nondimeno in termini certi proprio dal concreto atteggiarsi dell’operazione economica concretamente posta in essere dalle parti. Invero, l’utilizzazione della provvista in via larghissimamente preponderante per la sola finalità di azzeramento dei precedenti debiti, in uno al rilievo che in tal modo il mutuatario si è visto in un sol colpo prosciugare la concreta disponibilità della somma mutuata, accettando in tal modo di non impiegarla per altre finalità, inducono a ritenere che attraverso la stipula del contratto di mutuo le parti non hanno soltanto inteso creare una provvista in favore del mutuatario, per finalità di finanziamento, ma hanno voluto altresì utilizzare detta provvista per la realizzazione di un fine ulteriore e trascendente: ovverosia, l’azzeramento delle molteplici pregresse esposizioni debitorie. In altri termini, le concrete modalità dell’operazione sopra descritta (specie tenuto conto dell’identità dei soggetti coinvolti e della coincidenza temporale delle operazioni di accredito delle somme date a mutuo e di “storno”) costituiscono indici rilevanti della volontà delle parti (non espressa, ma comunque immanente) di stipulare il riferito contratto di mutuo proprio al fine di far fronte alle pregresse esposizioni debitorie.
In definitiva, quindi, alla luce delle considerazioni sopra svolte deve ritenersi che il contratto di mutuo sia stato consapevolmente stipulato dalle parti nel quadro di una unitaria (e trascendente) operazione economica: l’estinzione delle passività derivanti dai rapporti intercorrenti tra gli opponenti ed il medesimo istituto di credito mutuante.
Anzitutto, ritiene questo giudice che non sia condivisibile la tesi propugnata in via principale da parte degli odierni opponenti, nel senso cioè della radicale nullità del contratto di mutuo in ragione della simulazione e/o comunque dell’asserita assenza della causa propria del tipo mutuo.
Al riguardo, si impone tuttavia una precisazione preliminare.
Se è vero infatti che in materia fallimentare si è spesso discusso della validità del mutuo fondiario ipotecario finalizzato all’estinzione di pregressi debiti chirografari, è altrettanto vero che le soluzioni elaborate in tale ambito (nel quale vengono in gioco tutta una serie di profili qui non pertinenti, quali ad esempio l’opponibilità dell’ipoteca alla massa fallimentare, ex art. 39, quarto comma, T.U.B.; la configurabilità di un mezzo anomalo di pagamento; l’ammissibilità conseguentemente della revocatoria fallimentare) non sono automaticamente trasferibili in un caso come quello all’attenzione di questo giudicante: non essendovi stata infatti la declaratoria di fallimento degli odierni debitori, quand’anche l’operazione realizzata si atteggiasse effettivamente nei termini di una sorta di ristrutturazione del debito implicante anche la novazione delle obbligazioni preesistenti, non ne discenderebbe certo la nullità automatica del contratto così stipulato (posto che nel nostro ordinamento non è di per sé illecito il contratto in frode ai terzi: cfr. Cass. 4 ottobre 2010, n. 20576; C. App. Brescia, 9 febbraio 1994), ma resterebbe solo da verificarsi, da un lato, se quel contratto sia stato effettivamente voluto (o non sia, piuttosto, meramente apparente e quindi simulato); nonché, dall’altro, se l’operazione sia sorretta da una propria causa e se sia o meno in qualche modo funzionalmente destinata all’elusione di norme imperative (nel qual caso risulterebbe illecita, in tutto od in parte, ex art. 1344 cod. civ.).
Ciò tanto più che la giurisprudenza di legittimità ha precisato come l’erogazione di un mutuo ipotecario non destinato a creare un’effettiva disponibilità nel mutuatario, già debitore in virtù di un rapporto
obbligatorio non assistito da garanzia reale, non integri necessariamente le fattispecie della simulazione del mutuo (con dissimulazione della concessione di una garanzia per debito preesistente) o della novazione (con la sostituzione del preesistente debito chirografario con un debito garantito), potendo anche integrare una fattispecie di “procedimento negoziale indiretto”, nel cui ambito il mutuo ipotecario viene erogato realmente e viene utilizzato per l’estinzione di un precedente debito chirografario (nel qual caso si riconosce al fallimento, sussistendone i presupposti, di impugnare tanto l’intera operazione, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, L. Fall., in quanto diretta a estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione, tanto le rimesse effettuate con la nuova provvista in quanto abbiano avuto carattere solutorio) (cfr., tra le varie in materia, Cass. 7 marzo 2007, n. 5265; Cass. 20 marzo 2003, n. 4069).
La nullità conseguente alla simulazione discenda dal fatto che il negozio stipulato non sia in realtà effettivamente voluto dai contraenti, sicché verrebbe a mancare uno dei requisiti necessari del negozio stesso: ovverosia, la volontà dei contraenti, atteso che quella formalizzata nell’accordo stipulato è meramente apparente e si scontra con la volontà effettiva diversa.
Ora, a prescindere dal fatto che nel caso di specie non vi è alcuna prova di un accordo simulatorio intercorso tra le parti, a ben vedere manca proprio la prova del carattere meramente apparente dell’operazione realizzata, sussistendo rilevanti indici in senso contrario. Proprio la destinazione
invece delle somme mutuate all’estinzione di pregresse esposizione debitorie vale a dimostrare come la volontà di entrambe le parti di concludere il contratto di mutuo effettivamente vi sia stata. Che poi quella volontà si sia formata nel quadro di un’operazione diretta alla realizzazione di uno scopo collegato (in quanto finalizzata, cioè, ad uno scopo unitario trascendente il singolo contratto di mutuo), ciò non toglie che la volontà comunque vi sia stata, il che vale ad escludere il carattere simulato del negozio, salvo solo valutarsi (come meglio si dirà in prosieguo) la legittimità dell’operazione in ragione dello scopo complessivamente realizzato.
Ugualmente infondato appare l’assunto degli opponenti in ordine alla presunta assenza della causa di finanziamento propria del contratto di mutuo.
In verità, premesso che comunque il contratto di mutuo fondiario non è un mutuo di scopo (cfr. Cass. 20 aprile 2007, n. 9511; Cass. 11 gennaio 2001, n. 317), ritiene questo giudice come il concetto di finanziamento sia idoneo a ricomprendere non solo le ipotesi classiche di versamento di una data somma con obbligo di restituzione nel tempo, ma anche quella – frequente nella prassi commerciale – di dilazione di un pagamento immediatamente esigibile. In tal caso, infatti, ferma restando la necessità della traditio rei per il perfezionamento del mutuo (come sopra già riscontrato), la situazione è pressoché analoga: a fronte di un debito sorge un obbligo restitutorio dilazionato nel tempo, sicché il finanziamento si rinviene nella dilazione del pagamento dovuto.
Peraltro, quand’anche si ritenesse una tale finalità economica estranea al tipo contrattuale proprio del mutuo, non per questo ne discenderebbe in via automatica l’illiceità del negozio per assenza di causa: una simile operazione appare infatti diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela per l’ordinamento giuridico, ex art. 1322 cod. civ., atteso che si realizza un’operazione di finanziamento con dilazione nel tempo dell’obbligo di pagamento. Ciò tanto più che la stipula di un (eventualmente anche nuovo) contratto di mutuo potrebbe risultare motivata da specifiche e concrete esigenze del debitore e non già dalla sola volontà del creditore di assicurarsi una garanzia ipotecaria sugli immobili del debitore. Si pensi – oltre che alla riscontrata possibilità di fruire di una dilazione nel pagamento di un debito che sarebbe altrimenti immediatamente esigibile – anche alla possibilità di “ristrutturare” il debito a condizioni migliori (laddove ad esempio il tasso d’interesse risultante dalla stipula del mutuo fosse più basso rispetto a quello applicabile al debito originario), il che risulta evidente in tutti i casi il mutuo sia stipulato per estinguere il debito nascente da un precedente contratto di mutuo ipotecario il quale avesse contemplato un tasso d’interesse divenuto nel tempo meno vantaggioso (ad esempio per la caduta dei tassi di mercato, laddove stipulato a tasso fisso).
In altri termini, il contratto di mutuo che sia stato stipulato al solo scopo di estinguere un precedente debito del mutuatario non può, per ciò solo, ritenersi illecito: l’illiceità potrà piuttosto configurarsi nella misura in cui quel debito preesistente sia a sua volta illecito (perché inesistente, frutto di violazione di norme imperative, ecc.) (in termini Tribunale S. Maria Capua V., sez. I 14/10/2011)
Con riferimento a tale pregressa posizione debitoria tuttavia gli opponenti lamentano in maniera del tutto generica una pretesa violazione dei tassi antiusura nonché una asserita illegittima capitalizzazione degli interessi (pg 7 opp. Ci. srl) e tale laconicità osta a qualsiasi minimo approfondimento in materia.
Premessa poi la legittimazione del fideiussore e del concedente autonoma garanzia a proporre eccezioni fondate sulla nullità anche parziale del contratto base per contrarietà a norme imperative (Cassazione civile, sez. I, 10/01/2018, n. 371), non può che inizialmente evidenziarsi come l’asserita applicazione di un tasso di interessi difforme da quello pattuito sia rimasta una sola ipotesi, oltretutto sufficientemente smentita invece dalle allegazioni contabili rese dall’istituto.
Peraltro nell’atto di opposizione Ci.Pa. più uno, gli stessi opponenti alla pg. 5 dell’atto di opposizione non si dichiaravano neanche certi che fosse stato applicato un tasso superiore rispetto a quello convenuto.
Sulla asserita usurarietà del tasso di mora.
Sulla asserita nullità dei tassi di mora per pretesa usurarietà poi occorre evidenziare quanto segue.
La prima questione che si prospetta sul punto alla scrivente attiene alla possibilità o meno di ritenere usurari non solo gli interessi corrispettivi, ma anche gli interessi moratori.
La seconda questione, che si pone solo laddove si ritenga possibile configurare usurari anche gli intessi moratori, attiene invece alle conseguenze nel caso di usurarietà dei soli interessi moratori e non anche degli interessi corrispettivi: in tal caso, infatti, ad avviso della difesa dell’istante, nessun interesse, né corrispettivo né moratorio, sarebbe dovuto; mentre ad avviso della difesa del convenuto, non sarebbero dovuti i soli interessi moratori, mentre rimarrebbero dovuti gli interessi corrispettivi, in quanto convenzionalmente fissati al di sotto della soglia d’usura.
Così impostati i termini della questione, ritiene il Giudice che il primo quesito vada risolto nel senso che anche gli interessi moratori possano essere censurati come usurari.
Sul punto, deve certamente darsi atto che la tesi dell’estraneità della normativa antiusura alla materia degli interessi moratori, può essere supportata da seri argomenti letterali e sistematici, posto che la figura tipica dell’usura è quella disegnata dall’art. 644 c.c., il cui esplicito riferimento a ciò che viene dato o promesso “in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità”, sembra circoscrivere il fenomeno
usurario alla pattuizione di interessi corrispettivi; e che una conferma di ciò può essere ricavata anche dall’art. 19 paragrafo 2 della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, il quale espressamente esclude dal calcolo del taeg eventuali penali per inadempimento.
Non peregrina, quindi, è la soluzione, seguita da una parte della giurisprudenza di merito, che ritiene di meglio armonizzare i principi dell’ordinamento e la necessità di effettuare uno scrutinio anche sull’ammontare degli interessi moratori, non già utilizzando la normativa sull’usura; ma riconducendo la previsione contrattuale di interessi moratori nell’alveo delle clausole penali, con conseguente applicazione, ove ne ricorrano gli estremi, del potere equitativo di riduzione attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c.
Ciò posto e ribadita la serietà della tesi sopra esposta, ad avviso di questo Giudice è però preferibile la diversa ricostruzione che ritiene configurabile l’usura anche con riferimento agli interessi moratori.
Sul punto, pare infatti decisivo il riferimento operato dall’art. 1 D.L. 394/2000 agli interessi “convenuti a qualunque titolo”, ciò che consente di considerare ricompresi nell’ambito della normativa antiusura anche gli interessi moratori.
È questa, d’altro canto, la posizione della giurisprudenza di legittimità, che sin dalla sentenza di Cass. n. 5286/2000 ha statuito che “non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche nelle ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori”, atteso che “il ritardo colpevole non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge” (nello stesso senso anche le successive Cass. n. 14899/2000, Cass. n. 8442/2002, Cass. n. 5324/2003, Cass. n. 10032/2004, Cass. n. 9532/2010, Cass. n. 11632/2010, Cass. n. 350/2013).
La tesi, che si è detto consolidata nella giurisprudenza di legittimità, è poi stata avallata anche dalla Corte Costituzionale, che con la pronuncia n. 29/2002 ha ritenuto “plausibile” l’assunto “secondo cui il tasso soglia riguardasse anche gli interessi moratori”.
Pertanto, a tale tesi, in ragione della sua intrinseca persuasività e comunque per un doveroso rispetto della funzione di nomofilachia della Corte di Cassazione, questo Giudice intende conformarsi, applicando il principio di diritto in base al quale il tasso soglia al di là del quale gli interessi sono considerati usurari, riguarda non solo gli interessi corrispettivi, ma anche quelli moratori.
Detto quindi che lo scrutinio sulla non usurarietà va effettuato sia sugli interessi corrispettivi, sia sugli interessi moratori, va poi chiarito che la verifica dell’eventuale superamento del tasso soglia deve essere autonomamente eseguita con riferimento a ciascuna delle due categorie di interessi, senza sommarli tra loro, come è stato invece isolatamente sostenuto in qualche pronuncia di merito e come assume l’istante.
Infatti, il riferimento operato da Cass. n. 350/2013 alla “determinazione del tasso soglia comprensivo della maggiorazione per la mora”, intende semplicemente indicare la necessità di accertare il rispetto del tasso soglia
anche in relazione agli interessi moratori, in quel caso determinati convenzionalmente nella misura di una maggiorazione del 3% degli interessi corrispettivi.
In sostanza, è necessario siano non usurari sia il tasso corrispettivo, sia il tasso moratorio (quest’ultimo non di rado calcolato con una maggiorazione rispetto al tasso corrispettivo, come nel caso analizzato dalla citata sentenza di legittimità) concretamente applicati; ma in tutta evidenza, irrilevante ai fini dello scrutinio sull’usura è la sommatoria del tasso corrispettivo e del tasso usurario, atteso che detti tassi sono dovuti in via alternativa tra loro e la sommatoria rappresenta un “non tasso” od un “tasso creativo”, in quanto percentuale relativa ad interessi mai applicati e non concretamente applicabili al mutuatario.
Accertata la possibilità di censurare come usurari anche gli interessi moratori, occorre affrontare il secondo dei problemi più sopra indicati, e cioè capire se, in caso di usurarietà dei soli interessi moratori e non anche di quelli corrispettivi, nessun interesse sia dovuto ex art. 1815 comma 2 c.c., né corrispettivo né moratorio, così come sostenuto dall’istante; ovvero se solo gli interessi moratori siano non dovuti ex art. 1815 comma 2 c.c., rimanendo invece dovuti gli interessi corrispettivi, in quanto convenzionalmente fissati al di sotto della soglia d’usura.
Tanto premesso, ritiene il Giudice che, in assenza di convincenti precedenti di legittimità sul punto (tale non apparendo, a sommesso avviso dello scrivente, l’obiter contenuto nella decisione n. 27442/18), debba essere preferita quest’ultima tesi, con la conseguenza che l’usurarietà degli interessi moratori travolge solo gli interessi moratori stessi, non anche gli interessi corrispettivi legittimamente pattuiti.
Sul punto occorre muovere dal differente inquadramento giuridico degli interessi compensativi e degli interessi moratori, avendo essi autonoma e distinta funzione: i primi rappresentano infatti il corrispettivo del mutuo, mentre i secondi assolvono ad una funzione risarcitoria, preventiva e forfettizzata, del danno da ritardo nell’adempimento.
Dalla distinzione ontologica e funzionale tra gli istituti, discende la necessità di isolare le singole clausole dal corpo del regolamento contrattuale ai fini della declaratoria di nullità, o meglio, di riconoscere che l’unico contratto di finanziamento contiene due distinti ed autonomi paradigmi negoziali destinati ad applicarsi in alternativa tra loro in presenza di differenti condizioni: l’uno fisiologico e finalizzato alla regolamentazione della restituzione rateale delle somme mutate; l’altro solo eventuale ed in ipotesi di patologia del rapporto, nel caso di inadempimento del mutuatario, evenienza al verificarsi della quale è ragionevole ritenere che diversamente si atteggi la volontà delle parti.
Da ciò discende che l’eventuale nullità della seconda pattuizione, relativa al caso di inadempimento ed alla patologia del rapporto, non pregiudica la validità della prima pattuizione, relativa alla fisiologia del rapporto.
Se dunque gli interessi corrispettivi, convenuti entro il tasso soglia, continuano ad essere dovuti nel rispetto del piano di ammortamento rateale, l’invalidità della clausola contrattuale concernente la mora, in
rigorosa applicazione della sanzione posta dal combinato disposto dagli arti 1815 comma 2 c.c. e 1419 c.c., determina la non debenza degli interessi moratori, ma solo di tali interessi, senza che ciò comporti la conversione in mutuo gratuito di un mutuo contenente interessi moratori usurari; tanto più che, ex art. 1224 comma 1 c.c., in mancanza di tasso di mora, s’applica comunque quello corrispettivo o legale.
Pertanto, gli interessi corrispettivi, ove contenuti entro il tasso soglia, continueranno ad incrementare la sorte capitale finché il rimborso rateale prosegua nel rispetto del piano di ammortamento; mentre al verificarsi dell’inadempimento, non saranno dovuti gli interessi moratori pattuiti, in quanto contenuti in una clausola nulla, ma, in ragione della decadenza dal beneficio del termine ove prevista e fatta valere, risulterà esigibile per intero ed immediatamente la sorte capitale, maggiorata dagli interessi corrispettivi ex art. 1224 comma 1 c.c.
Così facendo, la clausola che prevede gli interessi moratori, in quanto nulla, è e resta tamquam non esset; mentre viene rispettata una regola, quella degli interessi corrispettivi, che sarebbe destinata ad operare anche se la clausola nulla non fosse mai stata prevista.
Acuta Dottrina segnala che, solo così facendo, si risponde a “principi di proporzionalità e specificità nel raffronto tra illecito negoziale, pregiudizio degli interessi economici conseguenti e relativo trattamento sanzionatorio”.
Il principio di diritto che può allora essere enucleato è quello in base al quale, se il superamento del tasso soglia in concreto riguarda solo gli interessi moratori, la nullità ex art. 1815 comma 2 c.c. colpisce unicamente la clausola concernente i medesimi interessi moratori, senza intaccare l’obbligo di corresponsione degli interessi corrispettivi convenzionalmente fissati al di sotto della soglia.
Tali conclusioni, in assenza di convincente giurisprudenza di legittimità sul punto, sono coerenti con la maggioritaria giurisprudenza di merito edita, alla quale qui si intende dare continuità (cfr. Trib. Palermo 12/12/2014, Trib. Treviso 9/12/2014 e 11/4/2014, Trib. Brescia 24/11/2014, Trib. Cremona ord. 30/10/2014, Trib. Taranto ord. 17/10/2014, Trib. Venezia 15/10/2014, Trib. Roma 16/9/2014, Trib. Milano 22/5/2014 e ord. 28/1/2014, Trib. Verona 30/4/2014, Trib. Trani 10/3/2014, Trib. Napoli 28/1/2014. Contra e nel senso invocato dagli opponenti, cfr. però App. Venezia n. 342/2013, Trib. Udine 26/9/2014, Trib. Parma ord. 25/7/2014, Trib. Padova 8/5/2014 e, come sin qui esposto, Trib. Reggio Emilia IIA n. 304 del 24.2.2015 e tribunale Lecce 25.9.2015 n. 4550 Tribunale Novara 8.10.2015)
Quanto all’identificazione del tasso soglia con riferimento agli interessi di mora, occorre poi evidenziare quanto segue.
La disciplina degli interessi moratori si rinviene nell’art. 1224 c.c. che riguarda i danni nelle obbligazioni pecuniarie.
L’ultimo comma dell’articolo citato prevede quanto segue: “Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore (rispetto agli interessi moratori nella misura determinata dalla legge: n. d.e.) spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori”.
Da quanto precede risulta evidente come nella determinazione degli interessi di mora vi sia una componente risarcitoria che impedisce di trattare gli stessi nella medesima maniera degli interessi corrispettivi, che hanno diversa natura.
A ciò deve aggiungersi il fatto che gli interessi moratori risultano espressamente esclusi dalle rilevazioni della Banca d’Italia ai fini della determinazione dei tassi medi (cfr.: “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura – aggiornamento luglio 1999”, a pag. 13) Nei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 3 luglio 2013, la Banca d’Italia ha avuto modo di specificare che “l’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo” in quanto “essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela”.
Sempre nel medesimo documento, peraltro, si legge quanto segue: “In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa antiusura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2.1 punti percentuali”. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo (cfr. paragrafo 1)” (con decorrenza dal 1.1.2018 il dm 21.12.2017 indica le maggiorazioni di 1,9 per i mutui ipotecari di durata ultraquinquennale, 4,1 per le operazioni di leasing e 3,1 per il complesso degli altri prestiti).
Tali considerazioni, pur condivisibili nel loro intento di contemperare le opposte esigenze di parametrare il tasso di mora in misura diversa rispetto al tasso degli interessi corrispettivi ed al contempo stabilire un tetto massimo rispetto ad un eccessivo innalzamento del primo rispetto al secondo, incontrano tuttavia il limite consistente nel fatto che trattasi di determinazione non ufficiale, per giunta avvenuta una volta per tutte e dunque non oggetto di rilevazione periodica.
Resta tuttavia il fatto che il tasso soglia rilevato dalla Banca d’Italia si riferisce ai soli interessi corrispettivi connessi all’erogazione del credito e che il tasso di mora, pur dovendo essere contenuto in una misura ragionevole onde non divenire esso stesso usurario, risulta, secondo la normale esperienza, di entità superiore rispetto ai primi.
Ne consegue che, in assenza di un dato normativo univoco, spetta all’interprete individuare degli indicatori di normalità economica entro i quali possa escludersi che il tasso in questione sia da ritenersi usurario.
Ebbene, nonostante quanto sopra evidenziato, deve ritenersi che l’aumento del 2,1% rispetto al tasso soglia stabilito per gli interessi corrispettivi sia idoneo ad individuare un indicatore ragionevole di assenza del carattere usurario in relazione al tasso di mora (in termini Tribunale Monza, sez. I, 15/12/2015, (ud. 09/12/2015, dep.15/12/2015), n. 3083; Tribunale Livorno, 16/05/2016, (ud. 16/05/2016, dep.16/05/2016), n. 639 e Tribunale Mantova, sez. II, 20/01/2017, n. 55) Con la recente sentenza n. 16303/18, le SS.UU., in materia di cms e usura, hanno chiaramente statuito che la asimmetria tra modalità di calcolo del TEG concreto e del TEGM, per il periodo antecedente la legge nr. 2/09, contrasterebbe palesemente con il sistema dell’usura presunta come delineato dalla L. n. 108 del 1996, la quale definisce alla stessa maniera (usando le medesime parole: “commissioni”, “remunerazioni a qualsiasi titolo”, “spese, escluse quelle per imposte e tasse”) sia – all’art. 644 c.p., comma 4, – gli elementi da considerare per la determinazione del tasso in concreto applicato, sia – alla L. n. 108, art. 2, comma 1, cui rinvia l’art. 644 c.p., comma 3, primo periodo, – gli elementi da prendere in considerazione nella rilevazione trimestrale, con appositi decreti ministeriali, del TEGM e, conseguentemente, per la determinazione del tasso soglia con cui va confrontato il tasso applicato in concreto; con ciò indicando con chiarezza che gli elementi rilevanti sia agli uni che agli altri effetti sono gli stessi.
Con riferimento al periodo antecedente le disposizioni che hanno esplicitamente incluso la cms nel calcolo del TEGM, osserva la Corte come nei precedenti della Prima Sezione civile e in parte della dottrina, tuttavia, si sottolineasse la circostanza che i decreti ministeriali di cui all’art. 2, comma 1, appena richiamato, non includessero le commissioni di massimo scoperto nel computo del TEGM, e quindi del tasso soglia, sicché sarebbe illegittimo prenderle in considerazione ai fini della determinazione del tasso praticato in concreto, e ciò in considerazione di quella esigenza di simmetria di cui si è detto più sopra, per la quale tra l’uno e l’altro tasso, da porre a confronto, deve esservi omogeneità. Tale obiezione non è persuasiva, precisa la Corte. L’indicata esigenza di omogeneità, o simmetria, è indubbiamente avvertita dalla legge, la quale, come si è già osservato, disciplina la determinazione del tasso in concreto e del TEGM prendendo in considerazione i medesimi elementi, tra i quali va inclusa, per quanto pure sopra osservato, anche la commissione di massimo scoperto, quale corrispettivo della prestazione creditizia. La circostanza che i decreti ministeriali di rilevazione del TEGM non includano nel calcolo di esso anche tale commissione, rileva invece ai fini della verifica di conformità dei decreti stessi, quali provvedimenti amministrativi, alla legge di cui costituiscono applicazione, in quanto la rilevazione sarebbe stata effettuata senza tener conto di tutti i fattori che le legge impone di considerare. La mancata inclusione delle commissioni di massimo scoperto nei decreti ministeriali, in altri termini, non sarebbe idonea ad escludere che la legge imponga di tenere conto delle stesse nel calcolo così del tasso praticato in concreto come del TEGM e, quindi, del tasso soglia con il quale confrontare il primo; essa imporrebbe, semmai,
al giudice ordinario di prendere atto della illegittimità dei decreti e di disapplicarli (con conseguenti problemi quanto alla stessa configurabilità dell’usura presunta, basata sulla determinazione del tasso soglia sulla scorta delle rilevazioni dei tassi medi mediante un atto amministrativo di carattere generale).
L’ipotesi di illegittimità dei decreti sotto tale profilo, tuttavia, non avrebbe fondamento, perché – e qui è quanto interessa soprattutto evidenziare in questa sede – non è esatto che le commissioni di massimo scoperto non siano incluse nei decreti ministeriali emanati nel periodo, che qui interessa, anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, cit. Dell’ammontare medio delle CMS, espresso in termini percentuali, quei decreti danno in realtà atto, sia pure a parte (in calce alla tabella dei TEGM), seguendo le indicazioni fornite dalla Banca d’Italia nelle più volte richiamate Istruzioni come formulate sin dalla prima volta il 30 settembre 1996 e come successivamente aggiornate sino al febbraio 2006, le quali chiariscono che “la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG. Essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali” e che “il calcolo della percentuale della commissione di massimo scoperto va effettuato, per ogni singola posizione, rapportando l’importo della commissione effettivamente percepita all’ammontare del massimo scoperto sul quale è stata applicata” (l’aggiornamento successivo, effettuato nell’agosto 2009, uniformandosi al disposto del D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, cit., nel frattempo entrato in vigore, inserisce invece la CMS nel calcolo del TEGM).
La presenza di tale dato nei decreti ministeriali è sufficiente per escludere la difformità degli stessi rispetto alle previsioni di legge, perché consente la piena comparazione – tenendo conto di tutti gli elementi che la legge prevede, comprese le commissioni di massimo scoperto – tra i corrispettivi della prestazione creditizia praticati nelle fattispecie concrete e il tasso soglia: nel che si sostanzia, appunto, la funzione propria dei decreti in questione, la quale è dunque adempiuta.
La L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, stabilisce, infatti, che “il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari (…) nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione (…) sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”. La funzione dei decreti in questione è dunque essenzialmente di rilevazione dei dati necessari ai fini della determinazione del tasso soglia, in vista della comparazione, con questo, delle condizioni praticate in concreto dagli operatori.
Ebbene, anche la rilevazione dell’entità delle CMS è contenuta nei decreti emanati nel periodo precedente all’entrata in vigore del D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis. La circostanza che tale entità sia riportata a parte, e non sia inclusa nel TEGM strettamente inteso, è un dato formale non incidente sulla sostanza e sulla completezza della rilevazione prevista dalla legge, atteso che (come si è già anticipato e come ci si accinge a spiegare più puntualmente nel paragrafo che segue) viene comunque resa possibile la comparazione di precise quantità ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, secondo la ratio ispiratrice dell’istituto. Tale dato formale – è appena il caso di aggiungere – è destinato a cedere rispetto a consolidati principi di conservazione degli atti giuridici.
Orbene, l’operazione prospettata dalle SS.UU. in materia di cms ed usura per il periodo antecedente il 2009 è analoga a quella prospettata in questa sede in riferimento alla necessità di individuare un tasso soglia autonomo con riferimento all’interesse di mora sulla scorta delle rilevazioni Banca d’Italia, comunque recepite, sia pure in apposito e separato ambito, dai DM MEF.
A partire dal 21.8.1999 Banca d’Italia in particolare pubblicava delle “istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” nelle quali si determinavano le modalità di calcolo dei tassi medi e di conseguenza dei c.d. “TEG”.
Relativamente agli interessi di mora, al punto C.4 delle Istruzioni di Banca d’Italia, si legge che “…gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di un inadempimento di un obbligo…”, sono esclusi dal calcolo del TEG.
Questo non significa che gli interessi di mora non devono essere considerati ai fini della normativa sull’usura, secondo quanto ampiamente già esposto, ma esclusivamente che le soglie, riportate nei decreti ministeriali trimestrali, non tengono conto di tali oneri.
In data 3.7.2013, la Banca d’Italia provvedeva a pubblicare i “chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura”, dove era dato di leggere che “…gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG…” e successivamente che “…anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti – usura…” A tale proposito, al fine di evitare il rischio che possano essere confrontati, nei casi specifici, “…tassi disomogenei…la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti percentuali…”, richiamando quanto previsto dai D.M. del MEF datati 25.3.2003 e 30.6.2003 dove, all’art. 3 co. 4, si legge che “L’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali…”.
Con il recente D.M. del 21.12.2017, deputato proprio alla individuazione dei tassi, con separata misura il Ministero introduce una razionalizzazione dei criteri afferenti la materia. I tassi infatti vengono differenziati a seconda del tipo di operazione: diminuisce (di poco) la percentuale relativa ai soli “mutui ipotecari” (da 2,1% a 1,9%)
aumentano le aliquote previste per i “leasing” ed i c.d. “altri prestiti” (dal 2,1% a rispettivamente il3,1% ed il 4,1%).
Anche pertanto nella fattispecie al vaglio, così come accade per l’ipotesi su cui si è espressa Cass. ss.uu. cit, dell’ammontare medio degli interessi di mora, espresso in termini percentuali, quei decreti danno in realtà atto, sia pure a parte (in calce alla tabella dei TEGM), seguendo le indicazioni fornite dalla Banca d’Italia. La presenza di tale dato nei decreti ministeriali è sufficiente per escludere la difformità degli stessi rispetto alle previsioni di legge, perché consente la piena comparazione – tenendo conto di tutti gli elementi che la legge prevede, compresi gli interessi di mora – tra i corrispettivi della prestazione creditizia praticati nelle fattispecie concrete e il tasso soglia: nel che si sostanzia, appunto, la funzione propria dei decreti in questione, la quale è dunque adempiuta.
La L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, stabilisce, infatti, che “il Ministro del Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari (…) nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione (…) sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale”. La funzione dei decreti in questione è dunque essenzialmente di rilevazione dei dati necessari ai fini della determinazione del tasso soglia, in vista della comparazione, con questo, delle condizioni praticate in concreto dagli operatori.
Ebbene, anche la rilevazione dell’entità degli interessi di mora è contenuta nei decreti de quibus (ancora da ultimo nel DM 21.12.2017). La circostanza che tale entità sia riportata a parte, e non sia inclusa nel TEGM strettamente inteso, è un dato formale non incidente sulla sostanza e sulla completezza della rilevazione prevista dalla legge, atteso che viene comunque resa possibile la comparazione di precise quantità ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, secondo la ratio ispiratrice dell’istituto.
Tanto premesso, pare sommessamente allo scrivente di potersi distaccare dal contrario obiter contenuto dalla sentenza Cass, n. 27442/18.
Per valutare il superamento o meno del c.d. tasso soglia poi non devono sommarsi, come detto, tra loro gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori, né le spese contrattualmente previste ad esempio per acquisire la perizia valutativa dell’immobile, ovvero per l’istruttoria o, ancora, per l’assenso alla cancellazione o per assicurare l’immobile, o a titolo di penale e così via, trattandosi di voci aventi tutte una causa diversa e distinta dalla corrispettività e proprio per l’indicata eterogeneità teleologica puntualmente confermata dagli artt. 644 c.p. e 1815 cod. civ.
(Tribunale Monza, sez. I, 09/06/2016, (ud. 12/05/2016, dep.09/06/2016), n. 1688).
E’ noto poi che le coperture assicurative che è possibile associare ai prestiti sono di due tipi: le polizze a copertura del credito, dette anche Cpi (Cr.Pr.) e le polizze accessorie.
Le polizze a copertura del credito servono a tutelare la banca o la società finanziaria dal rischio d’insolvenza del cliente, e a garantire il titolare del prestito nel caso non fosse in grado di sostenere la rata. In altre parole, se il beneficiario del prestito non riesce a pagare la rata mensile per circostanze lavorative o personali, come la perdita dell’impiego, una malattia, un infortunio o in caso di decesso, l’assicurazione provvede a rimborsare la banca. Nel momento in cui si verificano queste situazioni, l’assicurazione Cpi interviene a rimborsare le rate per conto del cliente che si trova in momentanee difficoltà economiche, per il periodo di tempo definito nel contratto. Nei casi previsti, la Cpi può anche provvedere all’estinzione completa e anticipata del prestito.
Esistono poi delle assicurazioni accessorie, che vengono vendute in associazione alla Cpi e possono prevedere diversi tipi di copertura.
L’assicurazione sui prestiti personali è facoltativa e può essere stipulata a discrezione del cliente. In alcuni casi, però, l’istituto erogatore può esigere la stipula di una polizza a copertura del credito come condizione indispensabile per l’erogazione del prestito: questo avviene, per esempio, se l’importo richiesto è molto elevato o se il beneficiario del prestito è considerato un soggetto “a rischio” (non ha entrate mensili fisse oppure, in passato, è figurato come “cattivo pagatore”).
L’assicurazione sul prestito è obbligatoria per legge solo nel caso dei prestiti con cessione del quinto. Per questo tipo di finanziamento, in cui la rata mensile viene rimborsata tramite trattenuta di non oltre il 20% della busta paga o della pensione, è richiesta una polizza assicurativa obbligatoria contro il rischio vita e il rischio impiego (sulla non computabilità di tale spese nel calcolo Taeg vertendosi in ipotesi di sostanziale imposta o tassa si veda Trib. Torino 9.3.2016 n. 1354).
Le polizze sui prestiti possono garantire il cliente contro il rischio di essere segnalato come cattivo pagatore, nel caso in cui avesse difficoltà a onorare gli obblighi assunti con la banca. Tuttavia, è bene considerare che l’assicurazione rappresenta un onere aggiuntivo per i consumatori, che va a incidere (anche notevolmente) sul costo totale del finanziamento. Inoltre le banche hanno tutto l’interesse a includere una polizza assicurativa nel contratto di prestito, poiché propongono prodotti assicurativi appartenenti allo stesso gruppo bancario, o ricevono una provvigione dalle compagnie assicurative convenzionate per ogni assicurazione venduta.
Il pagamento della polizza Cpi può avvenire sia in un’unica soluzione, all’inizio del finanziamento, sia a rate, con una quota mensile che va a sommarsi alla rata del prestito.
Le Istruzioni della Banca d’Italia dell’agosto del 2009 specificano che al fine del calcolo dei TEG bisogna considerare, in particolare, oltre alla commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito, anche “le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore (ad es. polizze per furto e incendio sui beni concessi in leasing o in ipoteca), se la conclusione del contratto avente ad oggetto il servizio assicurativo è contestuale alla concessione del finanziamento ovvero obbligatoria per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte, indipendentemente dal fatto che la polizza venga stipulata per il tramite del finanziatore o direttamente dal cliente”.
In tale prospettiva allora si segnala Corte d’Appello di Milano n. 3283/13, per cui “la determinazione del tasso ai fini della indagine sull’usura deve essere condotta tenendo conto di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse solo quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. Ritiene la Corte che, in tale prospettiva, debba essere ricompresa, nel calcolo del tasso praticato, anche la polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo, atteso che essa è condizione necessaria per l’erogazione del credito ed attesa, altresì, la sua natura remunerativa, sia pure in via indiretta, per il mutuante”.
È pacifica la stretta non vincolatività in sede giudiziaria di quelle istruzioni.
Invero, la disciplina relativa all’usura è posta da una fonte legislativa primaria, ricavata dagli articoli 644 c.p. e 1815 c.c., che demanda alla fonte sublegislativa secondaria del Decreto Ministeriale, emanato sulla base delle rilevazioni della Banca d’Italia, solo l’individuazione del TEGM (Tasso Effettivo Globale Medio, in base al quale viene poi fissato il tasso usurario), ma non anche il diverso parametro del TAEG (Tasso Effettivo Globale Medio, in base al quale viene calcolato il costo del finanziamento).
In sostanza, la natura prescrittiva di norme tecniche autorizzate, per le rilevazioni effettuate dalla fonte sublegislativa è limitata alla sola definizione del TEGM, e quindi alla soglia di usurarietà per ciascuna operazione e per ciascun periodo trimestrale di rilevamento; mentre non rivestono la qualifica di normatività i presupposti dell’attività di rilevazione, le attività e le direttive della Banca d’Italia, anche in tema di TAEG, relativi alla segnalazione dei tassi poi utilizzati per l’emanazione dell’atto normativo secondario consacrato nel decreto ministeriale trimestrale. (Tribunale di Reggio Emilia Sezione II Civile Sentenza 3 – 9 luglio 2015, n. 976 e giurisprudenza ivi richiamata).
Quelle disposizioni, pur se rimodulate, a giudizio dello scrivente, nella direzione che a breve sarà esposta, rappresentano un efficace punto di equilibrio nell’attuazione, in combinato disposto tra loro, da un lato del principio normato dall’art. 127, comma 2, T.U.B., in cui è rinvenibile la base di un canone interpretativo improntato proprio al principio di protezione del cliente, derivante dall’immanenza (necessaria, per così dire) nel settore bancario della clausola di buona fede (si noti come anche la nullità prevista dall’art. 1815, comma 2, c.c. integri una tipica nullità di protezione) e dall’altro del principio di libera esplicazione dell’autonomia negoziale delle parti, anche costituzionalmente tutelato ex art. 41 Cost.
Nel campo delle spese assicurative, che riguardano (non la persona del debitore, ma) un bene specifico e che vanno calcolate nel conto dell’usura, le Istruzioni giungono opportunamente allora ad includere solo quelle intese a “tutelare i diritti del creditore”, in quanto relative “ad esempio” a “polizze per furto e incendio sui beni concessi in leasing o in ipoteca”. Insomma, il riferimento delle Istruzioni è polarizzato sulla protezione assicurativa dei beni che risultano gravati da specifiche garanzie reali (dominicali o di prelazione, che le stesse siano). Ed in tale ottica il requisito della contestualità, pure cumulativamente indicato come necessario da parte di quelle istruzioni, resta invece, a giudizio dello scrivente, del tutto irrilevante.
Se pertanto le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore (ad es. polizze per furto e incendio sui beni concessi in leasing o in ipoteca) integrano ex sé la tipologia della spesa collegata all’erogazione del credito, rilevante ai fini de quibus, laddove non si verta in alcuna di quelle ipotesi, la sussunzione di quella spesa nell’ambito di quelle rilevanti ai fini de quibus si avrà solo laddove quella stipula risulti obbligatoria per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte (perché appunto “collegata” a quell’operazione), indipendentemente dal fatto che la polizza venga stipulata per il tramite del finanziatore o direttamente dal cliente.
Il requisito della contestualità alla stipulazione del contratto di finanziamento pertanto, quale dato sostanzialmente “neutro” ed in verità posto in quelle statuizioni di Banca d’Italia in forma cumulativa rispetto ai primi due requisiti, non va preso allora ex sè in considerazione ai fini del calcolo del TEG, dovendosi valutare piuttosto la presenza, o meno, ai fini della verifica di configurabilità, di un “collegamento” effettivamente tale, del requisito della c.d. obbligatorietà della polizza medesima. Pur se poi risulta variamente intesa questa nozione di “obbligatorietà”: tra la condizione formalmente imposta dalla banca e la semplice induzione di fatto (decisione collegio di Collegio Roma n. 1419/2012; decisione del Collegio Roma, n. 2981/2012).
Nella fattispecie al vaglio allora, nulla peraltro risulta allegato sul punto da parte dell’istante.
Distinzione tra TEG, TAN e TAEG.
Come noto, il TAEG è stato introdotto come tasso di riferimento per le operazioni di credito al consumo. La legge 142/92, nel recepire la Direttiva 87/102/CEE in materia di credito al consumo, definisce all’art. 19 il TAEG, Tasso Annuo Effettivo Globale
Nel Testo Unico Bancario, al Capo II del Titolo VI dedicato al Credito al Consumo, all’art. 122 si riprende la definizione del TAEG e viene regolata, agli artt. 123 e 124 l’indicazione del menzionato tasso nella Pubblicità e nei Contratti.
Per oltre un decennio, in assenza della Delibera del CICR – a cui l’art. 122 del TUB demandava di stabilire le modalità di calcolo del TAEG – hanno continuato a trovare applicazione, ai sensi dell’art. 161, commi 2 e 5, del TUB, il menzionato art. 19, comma 2, L. n. 142/92 e il Decreto del Ministro del Tesoro 8 luglio 92. L’art. 2 del Decreto ministeriale prevede:
1. Il tasso annuo effettivo globale (TAEG) è il tasso che rende uguale, su base annua, la somma del valore attuale di tutti gli importi che compongono il finanziamento erogato dal creditore alla somma del valore attuale di tutte le rate di rimborso
2. Il TAEG è un indicatore sintetico e convenzionale del costo totale del credito, da determinare mediante la formula prescritta qualunque sia la metodologia impiegata per il calcolo degli interessi a carico del consumatore.
Nel marzo del 03, sulla base dei poteri attribuiti al CICR dagli arti 116/119 del T.U.B., sono state dettate le prime disposizioni in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Nelle disposizioni, rivolte alla generalità degli utenti bancari, viene introdotto – limitatamente ai mutui ed altri finanziamenti – l’ISC (Indice Sintetico di Costo), con un significato ed una metodologia di calcolo del tutto analoghi al TAEG (Tasso Annuo effettivo Globale) richiamato dalla normativa per l’aggregato più ridotto dei fruitori del credito al consumo.
Con le nuove disposizioni emanate dalla Banca d’Italia, l’ISC viene sostanzialmente abbandonato, privilegiando l’impiego del secondo termine, TAEG, esteso ad anticipazioni bancarie e aperture di credito offerte a clienti al dettaglio.
Nel calcolo del TAEG rientrano tutti gli oneri e le spese necessariamente collegate al credito. Con l’introduzione del TAEG si è apportata una maggiore trasparenza alle condizioni contrattuali, soppiantando l’usuale e tradizionale TAN, tasso annuo di interesse nominale, con un tasso più significativo ed aderente agli effettivi costi a cui va incontro il consumatore. Il TAEG, nel parificare i valori attuali degli impegni finanziari, rende più agevole i confronti e fornisce un valore sintetico completo che favorisce comportamenti razionali e consapevoli.
Il TAN (Tasso Annuale Nominale) è infatti un tasso diverso dal TAEG, di più immediato e semplice riferimento, ma parziale negli aspetti informativi, non tenendo conto né dell’eventuale capitalizzazione infrannuale, né degli altri costi che frequentemente intervengono nel finanziamento stesso.
Il TEG, diversamente dai precedenti indicatori, viene impiegato per la rilevazione dei tassi effettivi ai fini della determinazione delle soglie d’usura.
Mentre il TAEG è riferito al credito ed assolve una funzione di indicazione di costo globale, informazione da portare ex ante a conoscenza dell’utilizzatore, il TEG é, invece, il tasso effettivo globale, su base annuale, segnalato ex post dagli intermediari finanziari alla Banca d’Italia, ai fini della determinazione delle soglie d’usura previste dalla legge 108/96. Dall’aggregazione statistica dei TEG segnalati dagli intermediari, viene determinato il TEGM, Tasso Effettivo Globale Medio, per ciascuna delle categorie indicate dal Ministro dell’Economia: tale valore, aumentato della metà, viene a costituire la soglia d’usura, oltre la quale si applicano le sanzioni previste dall’art. 644 c.p.
Per il calcolo del TEG le Istruzioni predisposte dalla Banca d’Italia, successivamente all’entrata in vigore della legge 108/96, hanno previsto, in funzione della categoria di appartenenza del credito, due diverse metodologie di calcolo:
a) per le categorie: Credito personale, Credito finalizzato, Leasing, Mutui, altri finanziamenti a breve e a medio/lungo termine, la formula per il TEG è eguale a quella del TAEG.
b) per le categorie: Apertura di credito in c/c, Anticipi su crediti e sconto di portafoglio, Credito revolving e Factoring, la formula per il calcolo del TEG è diversa
A parità di costo del credito (TAEG), il TEG indicato dalla Banca d’Italia viene a risultare apprezzabilmente più basso a seconda della quota interessi e della quota di CMS e spese che lo compongono.
Nello spirito della legge 108/96, la formula del TEG assolve esclusivamente lo scopo di individuare il tasso fisiologico mediamente applicato dal sistema bancario, da impiegare, maggiorato del 50%, per fissare la soglia d’usura. A tale ambito è ristretta la funzione di rilevazione affidata dalla legge al Ministro dell’Economia, con l’ausilio della Banca d’Italia.
Più recentemente il legislatore è intervenuto due volte ad esempio sulle CMS.
Nel 2 comma dell’art. 2 bis della legge n. 2/09, senza modificare alcunché dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., si prescrive esplicitamente che la rilevazione del TEG debba tenere conto delle CMS.
Permane pertanto il divario fra il costo del credito calcolato sulla base di corretti principi finanziari (TAEG) e il costo del credito misurato con la formula del TEG.
Per riassumere pertanto: Il T.A.E.G. (Tasso Annuo Effettivo Globale) viene impiegato come tasso di riferimento per le operazioni di credito al consumo; si pone l’obiettivo di rappresentare nel modo più completo ed esatto possibile il costo di un finanziamento e fornisce un dato sul reale costo dello stesso, omnicomprensivo di tutti gli oneri. E’ un indicatore, una cifra, in grado di dichiarare il costo globale del prestito comprensivo delle spese accessorie. In sintesi, Il TAEG tiene conto dei periodi in cui vengono effettuati i rimborsi (e quindi il tasso effettivo) e considera, inoltre, le altre spese che il debitore deve sostenere obbligatoriamente oltre agli interessi, ad esempio:
spese di gestione ed incasso delle rate; spese di istruttoria della pratica;
spese per le assicurazioni o garanzie, intese ad assicurargli il rimborso totale o parziale del credito in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del consumatore, ect. ..
Dal 1 giugno 2011 il calcolo del Taeg comprende anche gli oneri fiscali (come, ad esempio, l’imposta di bollo) e l’eventuale compenso riconosciuto dal cliente ad un intermediario del credito per l’ottenimento del finanziamento. All’interno del Taeg non sono invece compresi gli eventuali oneri notarili e le assicurazioni facoltative sulla casa.
Il T.A.N. (Tasso annuo nominale) è il tasso applicato annualmente dall’istituto finanziario in percentuale sull’importo totale del finanziamento. Questo tasso è considerato “puro” perché misura gli interessi passivi da corrispondere in un anno per aver ottenuto il prestito.
Il T.A.N. si ottiene sommando il tasso di riferimento (oscillante in base alle variazioni del mercato) e lo spread (applicato dall’istituto finanziario che eroga il prestito). Nel calcolo del T.A.N. non vanno considerate le spese di istruttoria e le imposte (spese accessorie calcolate invece nel T.A.E.G.).
Il T.E.G. (Tasso Effettivo Globale) infine viene impiegato per le verifiche di usurarietà delle operazioni di credito praticate da banche ed altri intermediari finanziari; serve a determinare il tasso massimo che non può essere oltrepassato secondo quanto previsto dalla legge 108/96 contro l’usura.
Il TEG viene segnalato su base annuale, dagli intermediari finanziari alla Banca d’Italia, ai fini della determinazione delle soglie d’usura; dall’aggregazione statistica dei TEG segnalati dagli intermediari, viene determinato il Tasso Effettivo Globale Medio, per ciascuna delle categorie indicate dal Ministro del Tesoro: tale valore, aumentato della metà, viene a costituire la soglia d’usura, oltre la quale si applicano le sanzioni previste dall’art. 644 c.p.
Per valutare allora il superamento o meno del c.d. tasso soglia, utilizzando a parametro il TEG, non devono, come detto, sommarsi tra loro gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori, né le spese contrattualmente previste ad esempio per acquisire la perizia valutativa dell’immobile, ovvero per l’istruttoria o, ancora, per l’assenso alla cancellazione o per assicurare l’immobile, o a titolo di penale e così via, trattandosi di voci aventi tutte una causa diversa e distinta dalla corrispettività e proprio per l’indicata eterogeneità teleologica puntualmente confermata dagli artt. 644 c.p. e 1815 cod. civ. (Tribunale Monza, sez. I, 09/06/2016, (ud. 12/05/2016, dep.09/06/2016), n. 1688) né in questa specifica fattispecie le spese di assicurazione.
Parte attrice ha sostenuto che, nel corso del rapporto, il TEG applicato dalla banca era risultato superiore al tasso usurario fissato dalla L 108/96. Parte attrice ha in particolare specificato qual era la formula utilizzata per accertare lo sforamento. In particolare, la formula usata è quella del TAEG.
L’attore peraltro che contesti il superamento dei tassi soglia ha l’onere non solo di indicare in modo specifico in che termini sarebbe avvenuto tale superamento, ma anche e, comunque, di produrre i decreti e le rilevazioni aventi per oggetto i tassi soglia (che costituiscono un provvedimento amministrativo e non normativo, con la conseguenza che ad essi non è applicabile il principio iura novit curia). Infatti, l’art. 113, comma 1, c.p.c. va letto ed applicato con riferimento all’art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile, che non comprendono gli atti suddetti tra le fonti del diritto. La Corte di Cassazione è costante nell’affermare l’inapplicabilità del principio iura novit curia ai DM: in questo senso, si vedano Cass. 7374/ 16 (relativa proprio ai DM in materia di usura); Cass. SS.UU., 9941/09; Cass. 12476/02, in Mass. Giust. civ., 2002, 1574; Cass. 11317/03 e Cass. 8742/01 in Mass. Giust. civ., 2001, 1272, queste ultime proprio in tema di decreti ministeriali determinativi del TEGM. Negli stessi termini, anche la giurisprudenza di merito (Trib. Latina, 28 agosto 2013 in (…); Trib. Nola, 9 gennaio 2014, in (…); Trib. Ferrara, 5 dicembre 2013, in (…); Tribunale Mantova, sez. II, 12/04/2016, n. 451 e Tribunale Mantova, sez. II, 13/10/2015, n. 942, in (…); Tribunale Roma, sez. VIII, 08/06/2013, n. 12523 in Redazione (…); Tribunale Napoli, 04/11/2010 in Giurisprudenza di Merito 2011, 4, 981; Trib. Cremona, 17/1/17 in (…) e Tribunale Savona su cui più diffusamente infra).
Si deve quindi verificare qual è la formula utilizzabile per la verifica di pretesa usurarietà del tasso. Le istruzioni della Banca d’Italia hanno sicuramente valore vincolante per banche ed intermediari finanziari allorquando inviano i dati relativi alle operazioni di credito per le rilevazioni trimestrali necessarie per la determinazione del TEGM.
Si discute, invece, se tali istruzioni siano vincolanti in ordine alla valutazione del superamento del tasso soglia.
Sul punto, la giurisprudenza è divisa.
Per un certo orientamento giurisprudenziale, le Istruzioni della Banca d’Italia non sono precetti cui gli operatori finanziari devono attenersi allorquando stabiliscono il tasso di interesse di un determinato rapporto “sia perché non sono finalizzate a stabilire il TEG del singolo caso, ma a richiedere agli intermediari dati da fornire al Ministero del Tesoro per stabilire il TEGM da osservarsi per il trimestre successivo, sia perché disposizioni certo non suscettibili di derogare alla legge ed in particolare la prescrizione di cui all’art.644 c.p. in materia di componenti da considerarsi al fine della determinazione del tasso effettivo globale praticato” (Corte d’Appello di Torino, sezione I civile, sentenza 20 dicembre 2013). La Cassazione, con la sentenza 46669/11, ha sostenuto che l’unica fonte normativa è la legge e non certo la circolare della BI con la conseguenza che il rispetto di tali istruzioni non esclude la sussistenza del reato.
Ciò, però, non è sufficiente per ritenere che, nel caso di specie, si applichi non la formula elaborata dalla Banca d’Italia nelle istruzioni relative all’usura, bensì la diversa formula elaborata dal consulente della parte istante.
Del resto, sotto un primo profilo, non c’è alcuna dimostrazione del carattere scientifico delle formule indicate da parte attrice, che hanno modificato la formula elaborata dalla banca d’Italia. Sotto un secondo profilo, dal momento che il tasso praticato deve essere messo a confronto con il tasso soglia (condizionato, come visto, dal TEGM) vi è la necessità di raffrontare dati omogenei e, quindi, raccolti secondo i medesimi parametri, includendovi le medesime voci.
Il giudizio in punto di usurarietà si basa, infatti, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del contratto oggetto di contenzioso) ed un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicché – se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo – il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato.
In sostanza, l’utilizzo di metodologie e formule matematiche alternative, non potrebbe che riguardare tanto la verifica del concreto TEG contrattuale, quanto quella del TEGM: il che significa che il CTU, chiamato a verificare il rispetto della soglia anti – usura – non potrebbe limitarsi a raffrontare il TEG ricavabile mediante l’utilizzo di criteri diversi da quelli elaborati dalla Banca d’Italia, con il TEGM rilevato proprio a seguito dell’utilizzo di questi ultimi, ma dovrebbe viceversa procedere ad una sorta di nuova rilevazione del TEGM, sulla scorta dei parametri da lui ritenuti validi, per poi operare il confronto.
Sotto un terzo profilo, non si può considerare che la formula elaborata da parte attrice non è enucleabile sulla base della sola interpretazione letterale dell’art. 644 c.p. Infatti, la fonte primaria non determina i modelli matematici (la formula) da utilizzare per il computo della “media” e, ovviamente, a criteri di calcolo diversi corrispondono soluzioni diverse ovverosia “soglie” differenti. La scelta dei criteri matematici risponde ad una marcata discrezionalità tecnica, ragion per cui ammettere formule elaborate da soggetti non coinvolti nel procedimento di formazione del tasso soglia sarebbe incompatibile con il principio della riserva di legge vigente in materia penale. La Cassazione ha ripetutamente escluso che la disciplina dell’usura sia in contrasto con il principio della riserva di legge in quanto gli atti amministrativi indispensabili per connotare la fattispecie penale si limitano a “fotografare” la realtà esistente. Sotto un quarto profilo, va ricordato che la riforma del reato di usura realizzata con la L 108/96 ha inteso perseguire un evidente obbiettivo: la certezza. Ammettere la possibile proliferazione di formule matematiche diverse da quelle istituzionali significa andare contro la ratio della normativa indicata. Come riconosciuto da Corte Cost. 29/2002, la ratio della L. 108 del 1996, è quella di contrastare nella maniera più incisiva il fenomeno usurario: da un lato, rendendo più agevole l’accertamento del reato (attraverso l’individuazione di un tasso obiettivamente usurario e la trasformazione dell’approfittamento dello stato di bisogno, di difficile prova, da elemento costitutivo del reato a circostanza aggravante), e, dall’altro, inasprendo le sanzioni penali e civili connesse alla condotta illecita (artt. 1 e 4 della legge).
Sotto un quinto profilo, l’art. 644 c.p.c. è una norma penale parzialmente in bianco, posto che la concreta determinazione di un elemento costitutivo della fattispecie delittuosa è affidata ad una complessa procedura amministrativa che coinvolge il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Banca d’Italia e che culmina nella rilevazione dei tassi medi. La Legge non indica le modalità concrete della rilevazione né specifica quali formule matematiche o criteri di calcolo debbano essere utilizzati, affidando piuttosto alle suddette autorità amministrative il compito di esercitare la propria discrezionalità tecnica al fine di individuare gli oneri rilevanti e tradurre in termini matematici i metodi di rilevazione dei tassi medi per ciascun tipo di operazione. E’ sufficiente, allora, leggere l’art. 3, co. 2 del DM 24 giugno 2009 (adottato in attuazione dell’art. 2 L 108/96) secondo cui “le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, co. 4, L. 108/96 si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del TEGM ai sensi della legge sull’usura emanati dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano Cambi per concludere che nessun soggetto diverso da quello menzionato dalla disposizione che precede può elaborare autonomi criteri di calcolo. Infine, quando il legislatore si è trovato in disaccordo con la metodica di rilevazione adoperata dalla Banca d’Italia, alla quale la legge ha conferito la massima discrezionalità tecnica nella determinazione dei criteri di segnalazione dei tassi effettivi globali medi, è intervenuto specificamente, come avvenuto nel caso della commissione di massimo scoperto (si veda il DL 185/08 che ha espressamente previsto la revisione delle Istruzioni della Banca d’Italia in materia di commissione di massimo scoperto, con specifica inclusione di tale commissione nel calcolo del TEG).
Non si avrebbero comunque in questa sede neanche poteri di integrazione del precetto dell’art. 644 c.p., affidati, invece, all’Autorità amministrativa,
ma si devono applicare le disposizioni create dal legislatore; se si ritiene che la formula della Banca d’Italia è illegittima, la conclusione non può essere quella della sua sostituzione con altra formula più adeguata, in quanto una simile sostituzione si porrebbe in insanabile contrasto con la previsione dell’art. 25 Cost., bensì dovrebbe essere quella di disapplicarla tout court, con la conseguenza che la materia rimarrebbe priva di tutela penale.
Nel senso che la formula della Banca d’Italia è imprescindibile e non c’è spazio per una formula TAEG, si vedano Tribunale di Milano, 1903-2015 n. 3586 in http: (…), nonché Trib. Monza 2205/16 del 20 luglio 2016 in (…); Tribunale di Pistoia, 222/ 17 del 7 marzo 2017 in (…). Con riferimento specifico alla inutilizzabilità della formula TAEG applicata in sede di usura invocata da parte attrice, si veda Trib. Catanzaro sez. II civ., sentenza 7 febbraio 2013, in (…) secondo cui la formula TAEG (che al numeratore della formula suddetta trovano allocazione anche le imposte, escluse dal calcolo del T.E.G.) non è utilizzabile ai fini dell’usura in quanto “creata non già per verificare quale sia il tasso effettivo globale praticato dagli istituti di credito onde individuare il tasso soglia di usurarietà, ma allo scopo di indicare al consumatore che intenda accedere al credito al consumo il costo totale del credito, espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito (art. 121, comma 1, lett. m), D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385)”.
Tali conclusioni sono state recepite anche dalla stessa Corte di Cassazione la quale ha affermato (sent. 12965/16): “In definitiva, può sostenersi che quand’anche le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità (per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia, secondo le argomentazioni della giurisprudenza penalistica citata), questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l’interprete, di prescindervi, ove sia in gioco – in una unitaria dimensione afflittiva della libertà contrattuale ed economica l’applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della cd. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall’amministrazione. Ed in effetti, l’utilizzo di metodologie e formule matematiche alternative, non potrebbe che riguardare tanto la verifica del concreto TEG contrattuale, quanto quella del TEGM: il che significa che il giudice – chiamato a verificare il rispetto della soglia anti – usura – non potrebbe limitarsi a raffrontare il TEG ricavabile mediante l’utilizzo di criteri diversi da quelli elaborati dalla Banca d’Italia, con il TEGM rilevato proprio a seguito dell’utilizzo di questi ultimi, ma sarebbe tenuto a procedere ad una nuova rilevazione del TEGM, sulla scorta dei parametri così ritenuti validi, per poi operare il confronto con il TEG del rapporto dedotto in giudizio”.
Ancor più recentemente, la Cassazione (sent. 22270/16) ha affermato che “dev’essere infine ravvisato nell’esigenza di assicurare che l’accertamento del carattere usurario degli interessi, dal quale dipende l’applicazione delle sanzioni civili e penali previste al riguardo, abbia luogo attraverso la comparazione di valori tra loro omogenei. Poiché, infatti, ai fini della configurabilità della fattispecie dell’usura c.d. oggettiva, occorre verificare il superamento del tasso soglia, determinato mediante l’applicazione della maggiorazione prevista dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, al tasso effettivo globale medio trimestralmente fissato con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze in base alle rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia conformemente alle citate istruzioni, è necessario che il tasso effettivo globale applicabile al rapporto controverso, da porre a confronto con il tasso soglia, sia calcolato mediante la medesima metodologia” (nei termini sin qui esposti Tribunale Savona 02/05/2017 n. 517).
Gli assunti attorei in punto di usura, tutti smentiti dalle considerazioni sin qui esposte, non possono pertanto trovare accoglimento, anche tenuto conto del fatto che la formula adottata dal ctp di parte attrice per il calcolo del TEG è proprio diversa da quella indicata nelle istruzioni Banca d’Italia per come innanzi citate, include nel TEG anche la commissioni varie nonché le spese di assicurazione e assume a parametro di riferimento il tasso soglia non maggiorato del 2,1%.
Vanno infine completamente disattese le eccezioni relative ad una pretesa condotta fraudolenta dell’Istituto e quindi ad una asserita liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c.
Il fideiussore che chieda la liberazione della garanzia prestata invocando l’applicazione dell’art. 1956 c.c. ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioè che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (Cassazione civile, sez. I, 17/11/2016, n. 23422). Nulla risulta addotto e comprovato a cura dell’opponente con riferimento a tale profilo.
In tema di liberazione del fideiussione, l’autorizzazione di cui all’art. 1956 c.c. non è configurabile come accordo “a latere” del contratto bancario cui la garanzia accede, sicché non richiede la forma scritta “ad substantiam” e può essere ritenuta implicitamente e tacitamente concessa dal garante, in applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti, laddove emerga perfetta conoscenza, da parte sua, della situazione patrimoniale del debitore garantito. (Nella specie, la S.C. ha confermato le decisione impugnata, che aveva considerato irrilevante la mancata richiesta della suddetta autorizzazione da parte della banca, atteso che la conoscenza delle condizioni economiche doveva ritenersi comune a debitore e fideiusssore, ovvero presunta in ragione del vincolo coniugale tra essi esistente e dello stato di loro convivenza Rigetta, App. L’Aquila, 26/11/2010 Cassazione civile, sez. I, 02/03/2016, n. 4112). Si vedano in tale prospettiva i rapporti tra i fideiussori e il debitore nonché tra i primi.
La nullità della fideiussione stipulata conformemente al modello ABI censurato dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005 perché ritenuto anticoncorrenziale, non può infine che considerarsi parziale e, quindi, riguardare le sole clausole indicate come contrarie alla normativa antitrust, con la conseguenza che – in applicazione del generale principio di cui all’art. 1419 cod. civ. – il contratto di garanzia non può dirsi interamente nullo, in quanto è di tutta evidenza che la banca lo avrebbe comunque concluso, qualsiasi garanzia essendo migliore della mancanza di garanzia, né l’opponente che ha prestato fideiussione ha allegato ragioni per cui l’assenza di clausole, peraltro comportanti effetti gravosi nei suoi confronti, lo avrebbero dovuto indurre a non stipulare i negozi in questione (Tribunale Rovigo, 09 Settembre 2018. Est. Ba.).
Il richiamo infine agli effetti della decisione Commissione UE 4.12.2013 va ritenuto del tutto inconferente, attesa la non incidenza temporale tra l’accertamento eseguito da quella commissione ed il periodo di vigenza del presente contratto.
La sussistenza precedenti anche di legittimità, solo parzialmente favorevole alla prospettazione attorea in punto di usurarietà interessi di mora induce a ritenere compensate le spese di lite anche ex Corte Cost. n. 77/18.
P.Q.M.
rigetta le opposizioni e per l’effetto conferma l’opposto d. i in ogni sua parte, che dichiara definitivamente esecutivo; dichiara compensate le spese di lite.
Così deciso in Pescara il 7 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2019.