Ai fini dell’esonero dall’area della fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, lett. b), l. fall. per l’individuazione dei “ricavi lordi” occorre far riferimento alle voci nn. 1 e 5 dello schema obbligatorio del conto economico previsto dall’art. 2425, lett. a), c.c., non rientrando in tale nozione, invece, le voci nn. 2, 3 e 4 dello schema medesimo. Ciò in quanto con tale espressione vanno intesi i ricavi in senso tecnico, dunque quelli per “vendite e prestazioni ” e gli “altri ricavi e proventi” dello schema obbligatorio del conto economico, ma non – in particolare – le variazioni delle rimanenze, le quali rappresentano dei costi comuni a più esercizi, che vengono sospesi, in conformità del principio di competenza economica di cui all’art. 2423 bis c.c. per essere rinviati ai successivi esercizi, in cui si conseguiranno i relativi ricavi.
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Corte d’Appello Palermo, Sezione 3 civile Sentenza 16 gennaio 2019, n. 92
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI PALERMO
La Corte di Appello di Palermo – Terza Sezione Civile riunita in Camera di Consiglio e composta dai Sigg.ri Magistrati:
1) Dott. Michele Perriera – Presidente
2) Dott. Emma De Giacomo – Consigliere
3) Dott. Giulia Maisano – Consigliere rel. est.
ha pronunziato la
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 140 del Registro Generale degli Affari Contenziosi Civili dell’anno 2018
TRA
(…) S.R.L. (p. iva (…)), in persona del legale rappresentante pro tempore R.C. (Avv. Fr.Tu.)
Reclamante
(…) (c.f. (…)) (Avv. Andrea Corsaro)
Reclamata
CURATELA DEL FALLIMENTO DI (…) S.R.L. in persona del Curatore Avv. Ma.Mi. (Avv. Ve.Pr.)
Reclamata
RAGIONI DI FATTO E DI DIRTTO DELLA DECISIONE
Contro la sentenza del Tribunale di Palermo n. 162 del 21.12.2017 che ne ha dichiarato il fallimento, (…) s.r.l. ha proposto reclamo affidato a quattro distinti motivi con i quali, deducendo preliminarmente di non aver avuto conoscenza dell’avvio della procedura prefallimentare a motivo della mancata consultazione della casella di posta elettronica ove il decreto di fissazione di udienza era stato notificato, contesta:
– la legittimazione attiva del creditore istante, (…), creditrice non della società, ma di un ex dipendente di questa, (…), con il quale il rapporto di lavoro si era interrotto a settembre 2016 prima della notifica da parte della creditrice dell’atto di pignoramento presso terzi;
– la mancata integrazione della condizione di fallibilità di cui all’art. 15 L. Fall., ovvero l’esistenza di un debito non inferiore ad Euro 30.000,00;
– l’assenza di indici rivelatori della condizione di insolvenza;
– il mancato raggiungimento della soglia di fallibilità in base ai parametri oggettivi di cui all’art. 1 L. Fall., deduzione a dimostrazione della quale depositava i bilanci del triennio (2014-2016) antecedente il deposito dell’istanza di fallimento.
Il reclamo, al quale si sono opposti tanto la curatela, tanto la creditrice istante (…), non è meritevole di accoglimento.
Con riguardo al primo motivo di impugnazione occorre rammentare che l’art. 6 L. Fall. attribuisce la legittimazione a proporre istanza di fallimento (anche) al creditore dell’imprenditore, senza indicare a quali condizioni il creditore possa definirsi tale.
La giurisprudenza di legittimità è tuttavia intervenuta in materia elaborando il principio, che rinviene in Cass. S.U. n. 1521/2013 il proprio caposaldo e può considerarsi ormai acquisito e consolidato, secondo cui per la configurabilità di un credito in capo al ricorrente non è richiesto “un definitivo accertamento in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante e la conseguente insolvenza del debitore” (Cass. n. 15346 2016 in pare motiva).
La regola cui ispirarsi nell’accertamento incidentale della legittimazione è sostanzialmente descritta da Cass. n. 5001/2016 secondo cui “il giudice della fase prefallimentare, a fronte della ragionevole contestazione del credito vantato dal ricorrente, deve procedere all’accertamento, sia pur incidentale, dello stesso”.
Il vaglio della legittimazione del creditore agente (questione destinata – anche nel caso in esame – ad intrecciarsi con quella dell’insolvenza, atteso che mentre l’inadempimento di un credito accertato in via giudiziale assume significato pregnante ai fini dell’accertamento dell’insolvenza, in presenza di un credito non titolato, “la ragionevole contestazione del credito toglie all’inadempimento del debitore il significato indicativo dell’insolvenza” (Cass. 6306/2014) per restituirgli quello concorrente di rifiuto, e non necessariamente di incapacità, di adempiere) richiede, quindi, una verifica sommaria dell’esistenza di ragioni creditorie in capo all’istante.
Valutate le deduzioni difensive delle parti non può dubitarsi del diritto di credito di (…), nei termini di seguito meglio specificati.
Costei, per vero, è creditrice non direttamente della società fallenda, ma di un dipendente di questa, (…). Per recuperare il proprio credito ha attivato la procedura di esecuzione presso terzi agendo nei confronti del datore di lavoro del proprio debitore, onde ottenere in pagamento una quota degli emolumenti a costui destinati.
Consta documentalmente il pedissequo adempimento da parte del creditore agente di tutti i passaggi procedurali dettati dagli artt. 543 e ss. c.p.c. e, per contro, l’inerzia del terzo pignorato, il quale non ha reso la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. né a seguito della notifica dell’atto di pignoramento, né dopo la notifica dell’ordinanza di cui all’art. 548 comma I c.p.c. Simile contegno ha prodotto gli effetti pure indicati dall’art. 548 comma I c.p.c. a tenore del quale “Quando all’udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un’udienza successiva. L’ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553”. Infine, (…) S.r.l. non si è neppure avvalsa della facoltà, riconosciuta al terzo pignorato dal secondo comma dell’art. 548 c.p.c., di proporre impugnazione, nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617 c.p.c., avverso l’ordinanza di assegnazione dei crediti.
Il giudizio incidentale di accertamento dell’obbligo del terzo si è dunque definito in termini favorevoli per il creditore esecutante, il quale, è opportuno rammentarlo, “pur perseguendo lo scopo di ottenere dal terzo debitore l’adempimento che costui doveva all’escusso, agisce non già in nome e per conto di quest’ultimo – come chi esercita l’azione surrogatoria – né chiede di sostituirsi nella posizione di (originario) creditore di quest’ultimo, bensì agisce iure proprio e nei limiti del proprio interesse” (Cassazione civile, sez. III, 12/04/2017, n. 9364).
La peculiare formazione del titolo che consente a (…) di agire, a tutela di un interesse proprio, nei confronti della fallenda in quanto prescinde da un accertamento pieno non preclude che ad esso possa procedersi, naturalmente in via incidentale, in questa sede.
La disamina della linea difensiva spiegata da (…) S.r.l. non consente, tuttavia di pervenire a risultati differenti a quelli cui aveva condotto l’accertamento ex art. 548 c.p.c.
La reclamante infatti:
– ha dedotto, che il rapporto di lavoro con (…) si è interrotto prima della notifica dell’atto pignoramento, ma dell’allegazione non ha fornito dimostrazione alcuna. Per contro, la curatela reclamata ha rilevato dalla visura camerale della società la permanenza ancora nell’anno 2017 dell’indicazione del dipendente (…) nella carica di responsabile amministrativo della società;
– non ha neppure dedotto, e dunque tanto meno comprovato, di aver soddisfatto ogni ragione di credito che il dipendente vantava alla cessazione del rapporto di lavoro.
Se, dunque, sulla scorta delle argomentazioni che precedono deve affermarsi la legittimazione ad agire del creditore istante, sembra tuttavia ragionevole ritenere, in accoglimento di quanto sostenuto dalla reclamante, che l’importo di tale credito, necessariamente parametrato all’ammontare degli emolumenti da corrispondersi al dipendente e legato alla permanenza in essere del rapporto di lavoro subordinato, risulti inferiore rispetto a quello per il quale il terzo creditore ha intrapreso la procedura esecutiva presso terzi.
Il ridimensionamento non incide, tuttavia, sul rispetto della soglia di cui all’art. 15 ultimo comma L.Fall., atteso che alle ragioni creditorie vantate da (…) deve essere sommato il debito che la società ha accumulato nei confronti dell’erario, debito che concorre alla quantificazione dell’esposizione debitoria complessiva.
Il limite posto dalla norma – con la ratio di riservare l’apertura della più complessa ed incisiva tra le procedure concorsuali alle fattispecie capaci di determinare un effettivo turbamento dell’ordinario funzionamento del mercato, esentando o indirizzando verso soluzioni alternative le crisi di modeste dimensioni oggettive (Cass. civ., sez. I, 25/06/2018, n. 16683) – deve invero essere verificato con riferimento non al solo credito del soggetto ricorrente, ma alla luce di tutti gli elementi emersi nel corso dell’istruttoria prefallimentare (“Per accertare il superamento della condizione ostativa alla dichiarazione di fallimento prevista dall’art. 15, comma 9, l. fall., non deve aversi riguardo al solo credito vantato dalla parte istante per la dichiarazione di fallimento, ma alla prova, comunque acquisita nel corso dell’istruttoria prefallimentare, dell’esistenza di una esposizione debitoria complessiva superiore ad euro trentamila” Cass. civ. sez. VI, 14/11/2017, n.26926; “Ai fini del computo del limite minimo di fallibilità previsto dall’art. 15, comma 9, l.fall., deve aversi riguardo non solo al credito vantato dalla parte istante per la dichiarazione di fallimento, ma anche ai debiti non pagati emersi nel corso dell’istruttoria prefallimentare, pur se risultanti dall’elenco degli assegni protestati, che documentano altrettanti debiti scaduti del cui pagamento spetta al debitore fornire la prova” Cass. civ., sez. VI, 18/03/2016, n. 5377) acclarati alla data della decisione sull’istanza e non al momento della sua proposizione. (“L’articolo 15, ultimo comma, della legge fallimentare, prevede che non si faccia luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti della istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila. Ai fini del computo di questo limite minimo di fallibilità si deve avere riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti della istruttoria prefallimentare non già alla data della proposizione della istanza di fallimento, ma a quella in cui il tribunale decide sulla stessa” Cass. civ. sez. I, 25/06/2018, n. 16683).
Nella vicenda in esame, al termine dell’istruttoria condotta dal Tribunale è rimasta accertata un’esposizione debitoria della società verso (…) s.p.a. per cartelle già notificate pari ad Euro 191.143,25. La produzione documentale curata dalla reclamante, segnatamente la situazione patrimoniale al 31.12.2017, non solo conferma l’effettività delle pretese dell’ente delegato alla riscossione per conto dell’erario e degli enti previdenziali, ma amplia ulteriormente il novero dei debiti, annoverando debiti verso fornitori per Euro 104.304,97.
Sempre dalla documentazione contabile depositata dal (…) s.r.l., segnatamente dai bilanci societari, “base documentale imprescindibile” secondo Cass. civ., 18/06/2018 n. 16067, emerge inoltre il superamento dei limiti dimensionali delineati dall’art. 1 L. fall. per l’assoggettamento al fallimento:
– attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo, nei tre esercizi antecedenti il deposito dell’istanza di fallimento, non superiore ad Euro 300.000,00
(In tema di requisiti di fallibilità, la consistenza dell’attivo patrimoniale, di cui all’art. 1, comma 2, lett. a), l.fall., nel testo modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007 , deve desumersi dall’art. 2424 c.c. e ricomprende le immobilizzazioni, l’attivo circolante, le attività finanziarie non costituenti immobilizzazioni, i ratei e i risconti, come documentati dai bilanci degli ultimi tre esercizi anteriori alla proposizione della domanda di fallimento, sicché è irrilevante il momento dell’acquisto del cespite da parte dell’imprenditore” Cass. civ., 05/09/2018, n. 21647);
– ricavi lordi di ammontare complessivo annuo, sempre nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento, non superiore ad Euro 200.000,00
(“Ai fini dell’esonero dall’area della fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, lett. b), l. fall. per l’individuazione dei “ricavi lordi” occorre far riferimento alle voci nn. 1 e 5 dello schema obbligatorio del conto economico previsto dall’art. 2425, lett. a), c.c., non rientrando in tale nozione, invece, le voci nn. 2, 3 e 4 dello schema medesimo. Ciò in quanto con tale espressione vanno intesi i ricavi in senso tecnico, dunque quelli per “vendite e prestazioni ” e gli “altri ricavi e proventi” dello schema obbligatorio del conto economico, ma non – in particolare – le variazioni delle rimanenze, le quali rappresentano dei costi comuni a più esercizi, che vengono sospesi, in conformità del principio di competenza economica di cui all’art. 2423 bis c.c. per essere rinviati ai successivi esercizi, in cui si conseguiranno i relativi ricavi” Cass. civ., 19/04/2016, n.7742);
– debiti, anche non scaduti, di ammontare non superiore ad Euro 500.000,00 alla data della dichiarazione di fallimento (L’accertamento del requisito di fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, lett. c), l. fall., va compiuto procedendo alla valutazione dell’esposizione complessiva dell’imprenditore, nella quale deve tenersi conto non solo dei debiti già sorti e appostati al passivo del bilancio, ma anche di quelli ulteriori, contestati in tutto o in parte, e ancora sub iudice.
Tale circostanza, infatti non ne impedisce di per sé sola l’inclusione nel computo dell’indebitamento – rilevante quale dato dimensionale dell’impresa per stabilirne l’assoggettabilità al fallimento – in quanto attiene a un dato oggettivo che non dipende dall’opinione del debitore al riguardo e, al pari di ogni altro presupposto della dichiarazione di fallimento, non si sottrae alla valutazione del giudice chiamato a decidere dell’apertura della procedura concorsuale. Cass. civ., 12/01/2017 , n. 601; Il requisito di fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, lett. c) l. fall., costituito da un indebitamento complessivo almeno pari ad Euro 500.000, deve essere valutato, stando al tenore letterale della norma, confrontato con quello delle lettere a) e b) dello stesso comma, solo con riferimento al momento della dichiarazione di fallimento, non anche con riferimento al periodo di tempo corrispondente ai tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento Cassazione civile, 08/02/2018, n. 3158).
Ribadito, sotto il profilo probatorio, l’insegnamento giurisprudenziale che addossa al fallendo l’onere di dimostrare il possesso dei limiti ostativi indicati dall’art. 1 L.F. (“L’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dall’articolo 1, comma 2, della legge fallimentare grava sul debitore, atteso che la menzionata disposizione, anche prima delle ulteriori modifiche a essa apportate dal D.Lgs. n. 169 del 2007, già poneva come regola generale l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali. Dunque, dato che il regime concorsuale riformato ha delineato la figura dell’imprenditore fallibile affidandola in via esclusiva a parametri soggettivi di tipo quantitativo, il debitore, in applicazione del principio di prossimità della prova, ha l’onere di dimostrare di essere esente dal fallimento tramite la dimostrazione del mancato superamento congiunto dei parametri dimensionali ivi prescritti” Cass. civ., 23/03/2018, n. 7372), va altresì rammentato che occorre il rispetto congiunto e non alternativo dei limiti, nel senso che è sufficiente il superamento di uno di essi anche in uno soltanto degli esercizi in considerazione perché si perda l’effetto di esonero dalla procedura concorsuale, senza che possa operarsi una media di periodo, il riferimento alla quale è stato espunto con il D.Lgs. n. 169 del 2007.
Ciò chiarito, i bilanci depositati da (…) S.r.l. mostrano ad una lettura sinottica il superamento del limite dell’attivo (computato includendo le voci menzionate da Cass. civ., 05/09/2018, n. 21647) negli esercizi 2015 (Euro 341.354,00) e 2016 (Euro 336.005,00).
Ricorrono, in ultimo, indici sintomatici della condizione di insolvenza della società.
Rammentato che “lo stato di insolvenza sottende un giudizio di inidoneità solutoria strutturale del debitore” (Cass. civ., sez. VI, 06/10/2017, n. 23437), effetto rivelatore dell’incapacità della società di far fronte con strumenti ordinari e con correntezza all’estinzione delle obbligazioni dispiegano: la rilevante entità dell’indebitamente, la pendenza di procedure esecutive, la sussistenza di protesti.
E’ appena il caso di aggiungere che lo stato passivo in via di formazione ha registrato la presentazione di istanze di ammissione di importo superiore ad Euro 500.000,00 esorbitante il complesso delle risorse attive, il cui valore (Euro 27.942,00) è risultato all’esito della stima eseguita in occasione dell’inventario fortemente ridimensionata rispetto alla stima esposta dalla reclamante (oltre Euro 100.000,00).
Il reclamo deve, dunque, essere respinto e, in accordo al canone della soccombenza, devono porsi a carico di parte reclamante le spese di lite, liquidate, in funzione dell’attribuzione alla controversia del valore indeterminabile secondo quanto indicato da Cass. Civ. 21/01/2013 n. 1346, Cass. sez. un. 24/07/2007 n. 16300, Cass. 13/06/2008 n. 16032 e tenuto conto che “In tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del D.P.R. n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo d.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130.
In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l’eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità” (Cass. civ. sez. II, 11/09/2018, n. 22017) in Euro 6.500,00 in favore di entrambi i reclamati, di cui Euro 2.200,00 per la fase di studio, Euro 1.500,00 per la fase introduttiva ed Euro 2.800,00 per la fase decisionale, oltre iva e cpa come per legge e spese forfetarie ex D.M. n. 55 del 2014, con onere di pagamento in favore dell’Erario quanto alle spese liquidate in favore della Curatela di (…) S.r.l.
P.Q.M.
La Corte, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunziando,
rigetta il reclamo proposto da (…) S.r.l. avverso la sentenza n. 162 emessa in data 21.12.2017 dal Tribunale di Palermo;
condanna la reclamante alla refusione in favore delle altre parti processuali delle spese del giudizio, liquidate in Euro 6.500,00 oltre c.p.a. ed iva come per legge e spese forfetarie ex D.M. n. 55 del 2014, così come specificato in parte motiva, con onere di pagamento in favore dell’Erario ex art. 133 D.P.R. n. 115 del 2002 delle spese liquidate in favore della Curatela di (…) s.r.l..
Si dà atto della sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 per richiedere al reclamante il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione stessa.
Così deciso in Palermo il 28 dicembre 2018.
Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2019.