nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice, la quale è in grado di impedire ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l’esposizione debitoria, è tenuta ad avvalersi di tale possibilità, anche a tutela dell’interesse del fideiussore inconsapevole, alla stregua del principio cui si ispira l’art. 1956 cod. civ., se non vuole perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente.
Il principio subisce un’eccezione se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore.
L’applicazione del principio deve essere rapportata alle circostanze del caso concreto, tenendo presente che è onere della parte la quale deduca la violazione di questo canone dimostrare non solo che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale, rispetto a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto, ma anche che la banca abbia agito nella consapevolezza di un’irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all’interesse del fideiussore.
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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 31 gennaio 2019, n. 2280
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
Sez. diciasettesima civile
in persona del giudice unico
Dott. Vittorio Carlomagno
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al N. 6913 del ruolo contenzioso generale dell’anno 2014, trattenuta in decisione all’udienza del 27.06.18, posta in decisione alla scadenza dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.,
tra
IMMOBILIARE (…) s.r.l., P. IVA (…), rappresentata e difesa dall’avv. Fa.Co., elettivamente domiciliata presso lo studio in Roma, via (…),
OPPONENTE
e
(…) s.p.a., CF (…), rappresentata e difesa dall’avv. Fr.Cr., elettivamente domiciliata presso lo studio in Roma, viale (…),
OPPOSTA
OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo n. 25825 del 29.11.13, contratti bancari.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Il decreto ingiuntivo opposto, recante ingiunzione al pagamento di Euro 111242,42 quale saldo al 28.11.12 del conto corrente n. (…) acceso il 3.07.06, intestato alla società (…) s.r.l. è stato emesso nei confronti di tale società quale debitore principale e nei confronti di Immobiliare (…) s.r.l. quale garante in forza di fideiussione del 5.07.06 sino all’importo di Euro 250.000,00.
Immobiliare (…) s.r.l. pone a fondamento dell’opposizione il disconoscimento della sottoscrizione del proprio legale rappresentante in calce alla fideiussione, il difetto di prova del credito sia in relazione alla limitata efficacia probatoria dell’estratto conto ex art. 50 TUB, sia in relazione alla necessità di verificare la legittima applicazione di interessi ultralegali, interessi anatocistici, commissioni di massimo scoperto, spese, valute, e l’estinzione della fideiussione ex art. 1956 e 1957 c.c. Nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. ha eccepito inoltre l’invalidità della fideiussione perché estranea all’oggetto sociale della società garante.
Parte opposta, di fronte al disconoscimento della scrittura privata, ha tempestivamente proposto istanza di verificazione. Nel merito ha eccepito l’inammissibilità delle eccezioni dell’opponente sulla base del carattere autonomo della garanzia e per l’intervenuta decadenza dall’impugnativa degli estratti conto ex art. 1832 c.c., la legittimità delle condizioni applicate al rapporto di conto corrente, l’insussistenza dei presupposti dell’art. 1956 c.c., la previsione nel contratto della deroga all’art. 1957 c.c.
La causa è stata istruita con CTU grafologica. Le richieste istruttorie di parte opponente, prova per testi finalizzata alla valutazione delle genuinità delle sottoscrizioni e CTU contabile, non sono state riproposte dopo l’espletamento della CTU.
La CTU grafologica. La consulente d’ufficio, effettuate le necessarie verifiche, dopo avere confrontato le sottoscrizioni disconosciute e quelle di comparazione, fra cui il saggio grafico rilasciato durante le operazioni, ha concluso che presentano le medesime caratteristiche individualizzanti e che pertanto sono da attribuirsi alla mano della legale rappresentante della opponente.
La difesa della opponente non ha proposto controdeduzioni sul punto rispetto alle conclusioni della CTU, che risultano congruamente motivate e basate su un corretto iter logico e pertanto devono essere poste a fondamento della decisione.
La natura della garanzia prestata dalla opponente. Le eccezioni che attengono al merito del rapporto garantito non si devono considerare precluse alla garante non risultando, contrariamente a quanto affermato da parte opposta, il carattere autonomo della garanzia prestata.
Come è noto la Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che la clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale ( Sez. U, Sentenza n. 3947 del 18/02/2010).
In tale ipotesi la previsione del carattere incondizionato dell’obbligo di corrispondere l’indennizzo pari all’ammontare dell’obbligazione garantita esclude l’applicabilità della normativa sulla fideiussione alla garanzia, la quale si deve ritenere svolgere una funzione analoga a quella del deposito cauzionale.
Ma nel caso in esame il carattere autonomo della garanzia non si desume dal dato testuale, che si riferisce ripetutamente e costantemente alla figura della fideiussione, né dalla disciplina dell’escussione della garanzia (art. 7) secondo cui :
“Il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla Banca, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore…” e che è evidentemente riferita alle modalità dell’escussione ed ai tempi del pagamento da parte del fideiussore, ma non limita in alcun modo le eccezioni da questo opponibili; inoltre l’art. 9 esclude espressamente l’opponibilità da parte del fideiussore delle (sole) eccezioni relative ai tempi dell’esercizio del diritto di recesso da parte della banca.
Solo per completezza si osserva che anche qualora si ritenesse dubbia l’interpretazione del testo, dovrebbe preferirsi l’opzione per la fideiussione, per le seguenti ulteriori ragioni: perché questa, diversamente dalla garanzia autonoma, configura una fattispecie tipica, alla quale pertanto si deve presumere indirizzata la comune volontà delle parti; perché, trattandosi di contratto redatto su modulo predisposto dalla banca, opera il criterio ermeneutico di cui all’art. 1370 c.c.; perché la garante opponente nel presente giudizio non appartiene al novero dei soggetti che professionalmente svolgono l’attività di rilascio di garanzie autonome.
L’eccezione di decadenza ex art. 1832 c.c. L’eccezione di decadenza, sollevata da parte convenuta con riferimento alla mancata contestazione degli estratti conto da parte del correntista, è infondata alla luce del principio per cui:
“Nel contratto di conto corrente, l’approvazione anche tacita dell’estratto conto, ai sensi dell’art. 1832, primo comma, cod. civ., preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell’estratto conto (salva l’impugnazione per errori, omissioni e duplicazioni di carattere formale, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione), ma non impedisce di sollevare contestazioni in ordine alla validità ed all’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti ed accrediti, e cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto corrente.” (per tutte, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11749 del 18/05/2006; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10186 del 26/07/2001; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6548 del 11/05/2001).
Il quadro probatorio. Parte opponente ha eccepito l’insufficienza ai fini della prova del credito dell’estratto conto ex art. 50 D.Lgs. n. 385 del 1993 allegato al ricorso monitorio.
Infatti come è noto l’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca, di cui all’art. 50 T. U. ha efficacia probatoria nell’ambito del procedimento monitorio, mentre nel successivo procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo può assumere rilevanza esclusivamente, salvo il caso di non contestazione, come elemento indiziario (Sez. 3, Sentenza n. 9695 del 03/05/2011 , Sez. 1, Sentenza n. 6705 del 19/03/2009).
Ma parte opposta ha prodotto a seguito dell’opposizione gli estratti conto completi, oltre ai contratti di conto corrente e di apertura di credito sui quali la opponente ha mancato di prendere posizione, limitandosi a contestazioni del tutto generiche se non ipotetiche.
Anche la perizia stragiudiziale prodotta in allegato alla seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. si limita a proporre conclusioni meramente assertive, per di più basate sull’erroneo presupposto dell’assenza di regolamentazione pattizia.
Interessi superiori al tasso legale. Il contratto prodotto in atti determina direttamente i tassi di interesse applicabili, prevedendo la facoltà dell’istituto di credito di mutare le condizioni economiche mediante comunicazione scritta al correntista. Pertanto le censure sollevate con riferimento all’invalidità di presunto rinvio agli interessi usualmente applicati sulla piazza sono inconferenti.
Del tutto generica poi è la contestazione relativa all’illegittima delle successive variazioni del tasso di interesse, la quale non fa alcun riferimento né alla clausola che espressamente prevede il ius variandi né alla disciplina normativa applicabile ratione temporis. Stante la assoluta genericità della contestazione è solo il caso di ricordare che il ius variandi è stato disciplinato prima dall’ l’art. 4 comma 2 L. 17 febbraio 1992, n. 154 (disposizione dotata di ultrattività ex art. 161 comma 2 T.U.), e poi dall’art. 118 T.U. più volte modificato, dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223 convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244 , dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, dal D.Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218, dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106.
Interessi anatocistici.
Il contratto, stipulato successivamente all’entrata a regime della nuova disciplina dell’anatocismo bancario (D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, recante disposizioni integrative e correttive del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), espressamente prevede nelle condizioni generali che i rapporti di dare e di avere debbano essere chiusi con identica periodicità trimestrale, e siano produttivi di interessi, attivi o passivi da ciascuna chiusura trimestrale.
La disciplina negoziale che ne risulta è pienamente rispettosa del principio della pari periodicità di cui agli artt. 120 T.U e 2 della delibera CICR; ed è appena il caso di aggiungere che trattandosi di rapporto iniziato successivamente alla sua entrata in vigore (22.04.00) non viene in rilievo la disciplina transitoria di cui all’art. 7 della delibera stessa, relativa all’adeguamento dei rapporti già in essere. Infatti le contestazione svolta sul punto da parte attrice prescinde del tutto dalla disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 342 del 1999.
La commissione di massimo scoperto. Parte opponente contesta gli addebiti relativi a tale voce deducendo che non sia stata pattuita o che comunque essa, risolvendosi in un costo aggiuntivo legato all’erogazione del credito sia priva di causa e che la relativa clausola negoziale sia affetta da nullità.
La commissione di massimo scoperto – definita nella tecnica bancaria come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto, di norma applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni e calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento – pur non costituendo un interesse in senso tecnico, bensì una commissione, vale a dire un onere posto in relazione allo “scoperto di conto corrente”, trova giustificazione quale parziale ristoro per la minore redditività che la banca subisce dovendo tenere a disposizione risorse liquide.
Pertanto ritiene il giudicante che l’autonomia contrattuale riconosciuta alle parti dall’art. 1322 c.c. consenta alle stesse di convenire il pagamento di una simile commissione, posto che la stessa è volta a remunerare un onere effettivamente gravante sulla banca e quindi sia meritevole di tutela giuridica.
L’art. 2 comma 2 del D.L. n. 78 del 2009 poi chiaramente ne presuppone la legittimità in entrambe le forme, sia quelle di commissione di massimo scoperto in senso stretto sia di commissione di messa a disposizione di fondi, pur prevedendo alcune limitazioni a tutela della clientela, e la giurisprudenza di legittimità, allorché ha dettato i criteri per la valutazione della sua incidenza per il periodo anteriore al 1.01.10 – rilevando l’esigenza di procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso soglia usurario (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12965 del 22/06/2016) – ne ha evidentemente riconosciuto, anche in relazione a tale periodo, la legittimità.
Nessuna contestazione di carattere specifico è stata formulata sulla conformità della sua quantificazione ai criteri contrattuali.
L’eccepita applicazione di interessi superiori al tasso soglia ex L. n. 108 del 2006. A sostegno della contestazione, a formulata negli atti di parte in termini del tutto generici se non ipotetici, la opponente ha prodotto in allegato alla seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., una perizia stragiudiziale, che fa dichiaratamente riferimento ad una formula di calcolo diversa da quella applicata dalla (…), richiamata dall’art. 2 L. n. 108 del 1996 per il tramite dei decreti del Ministro del Tesoro. Ma non appare corretto confrontare i tassi soglia con dei TAEG calcolati sulla base di criteri non omogenei (ciò si rileva anche con riferimento alla commissione di massimo scoperto, che si vorrebbe includere nel tasso effettivo ma non è considerata nella determinazione dei tassi soglia). Per tali ragioni le conclusioni della perizia stragiudiziale sono inidonee a fondare sul punto la contestazione di parte opponente ed a giustificare l’ammissione di una CTU contabile rivolta alla verifica del rispetto dei tassi soglia.
Sulla necessità dell’utilizzo delle istruzioni della (…) il giudicante osserva, facendo proprio quanto affermato nella Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12965 del 22/06/2016: “posto che il TEGM viene trimestralmente fissato dal Ministero dell’Economia sulla base delle rilevazioni della (…) a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria fra la metodologia di calcolo del TEGM e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale. Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell’ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicché – se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo – il dato che se ne ricava non può che esserne in principio viziato”.
Ciò vale in particolare per la commissione di massimo scoperto, che l’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, include nel tasso effettivo globale medio solo a partire dal 1 gennaio 2010, con disposizione alla quale si deve riconoscere carattere innovativo e non interpretativo come affermato dalla recente Cass. Sez. U, Sentenza n. 16303 del 20/06/2018.
Le valute. La contestazione avanzata sul punto da parte opponente è infondata e generica; essa prescinde del tutto sia dalle disposizioni negoziali, di cui assume apoditticamente la nullità, sia dalla disciplina legislativa, contenuta nel D.L. n. 78 del 1 luglio 2009, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, e poi nell’art. 120 T.U., come modificato dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che non impone affatto la generalizzata ed automatica coincidenza della valuta con la data di esecuzione dell’operazione.
L’eccepita invalidità della fideiussione perché eccedente l’oggetto sociale.
Per costante giurisprudenza di legittimità, la capacità giuridica delle società, in mancanza di specifiche limitazione stabilite dalla legge, è generale, sicché possono porre in essere qualsiasi atto o rapporto giuridico, inclusa la donazione, ancorché esuli od ecceda od, anche, tradisca lo scopo lucrativo perseguito, dovendosi ritenere che l’oggetto sociale costituisca solamente un limite al potere deliberativo e rappresentativo degli organi societari, la cui violazione non determina la nullità dell’atto, né la sua inefficacia, ma, eventualmente, la responsabilità degli amministratori che lo hanno compiuto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18449 del 21/09/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 141 del 12/01/1978; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2224 del 03/07/1968).
L’eccepita decadenza ex art. 1957 c.c. La disposizione è stata derogata dalle parti. La deroga è valida, non avendo la disposizione carattere imperativo (per tutte Sez. 3, Sentenza n. 84 del 08/01/2010 e Sez. 1, Sentenza n. 10574 del 04/07/2003), e non richiede la doppia sottoscrizione conforme all’art. 1341 comma 2 c.c. (per tutte Sez. 3, Sentenza n. 9695 del 03/05/2011 e Sez. 3, Sentenza n. 9245 del 18/04/2007) peraltro presente nel documento prodotto in atti.
La dedotta estinzione della fideiussione ex art. 1956 c.c.
L’opposizione richiama il principio per cui se nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice, la quale è in grado di impedire ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l’esposizione debitoria, è tenuta ad avvalersi di tale possibilità, anche a tutela dell’interesse del fideiussore inconsapevole, alla stregua del principio cui si ispira l’art. 1956 cod. civ., se non vuole perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente (per tutte, Sez. 1, Sentenza n. 21730 del 22/10/2010).
Il principio subisce un’eccezione se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore (Sez. 1, Sentenza n. 3761 del 21/02/2006, Sez. 3, Sentenza n. 7587 del 05/06/2001).
L’applicazione del principio deve essere rapportata alle circostanze del caso concreto, tenendo presente che è onere della parte la quale deduca la violazione di questo canone dimostrare non solo che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale, rispetto a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto, ma anche che la banca abbia agito nella consapevolezza di un’irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all’interesse del fideiussore (Sez. 1, Sentenza n. 394 del 11/01/2006, Sez. 3, Sentenza n. 2524 del 07/02/2006, Sez. 3, Sentenza n. 10870 del 23/05/2005).
L’assenza di qualunque specifica deduzione al riguardo esonera da qualsiasi ulteriore valutazione sul punto.
In definitiva sono state accertate la riferibilità alla opponente della fideiussione e la sua persistente efficacia, mentre le contestazioni proposte nei confronti del debito principale si sono rivelate del tutto generiche o comunque non provate alla luce della documentazione contrattuale prodotta dalla banca opposta.
Alla genericità ed al difetto di prova delle contestazioni non può supplire la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio che come è noto non può essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, e deve essere negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.
Peraltro la richiesta di CTU contabile non è stata riproposta da parte attrice dopo l’espletamento della CTU grafologica e parte attrice nella comparsa conclusionale non ha riproposto alcuna contestazione relativa all’an ed al quantum del debito garantito.
La banca per parte sua ha prodotto, oltre ai contratti, gli estratti conto relativi all’intera durata del rapporto.
Al riguardo si ricorda che spetta al debitore avanzare contestazioni avverso la contabilità tenuta dall’istituto di credito e comunicata in estratto e che tale contabilità può costituire prova del saldo attivo a favore della banca qualora il debitore si limiti ad una generica affermazione di nulla dovere, o di dovere una somma inferiore, senza muovere addebiti specifici e circostanziati sulle singole poste dalle quali discende quel saldo (Sez. 1, Sentenza n. 14849 del 16/11/2000).
Pertanto l’opposizione deve essere rigettata ed il decreto ingiuntivo confermato. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, e di CTU seguono la soccombenza.
P.Q.M.
il Giudice unico, definitivamente pronunciando,
rigetta l’opposizione e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo;
condanna la opponente a rifondere alla controparte le spese di lite, che liquida in Euro 10.000,00 oltre IVA, CPA, rimborso spese generali;
pone definitivamente e per l’intero a carico di parte opponente le spese di CTU.
Così deciso in Roma il 28 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2019.