la condotta del trasportato salito a bordo dell’autovettura del conducente in stato di ebbrezza, costituisca quantomeno una concausa dell’evento dannoso i cui effetti non possono rimanere a carico del solo danneggiante.
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Tribunale Rovigo, civile Sentenza 30 gennaio 2019, n. 75
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO
Il Tribunale di Rovigo in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Barbara Vicario, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 2724 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2011
TRA
(…), (…), (…), (…) E (…), rapp.ti e difesi dagli avv.ti Nu.Gr. ed elettivamente domiciliati presso lo studio della stessa in Rovigo, Via (…) come da procura a margine dell’atto di citazione
ATTORI
E
(…) E (…)
CONVENUTI CONTUMACI
NONCHÈ
(…) S.P.A (ora (…) s.c. p.a.) in persona del legale rappresentante p.t., rapp.ta e difesa dagli avv.ti Em.Du. e Vi.Du., presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Badia Polesine, Via (…)
CONVENUTA
OGGETTO: responsabilità extracontrattuale
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
La presente sentenza viene redatta tenendo conto del disposto di cui al n. 4) dell’art. 132, 2 comma c.p.c. (è stato soppresso il riferimento allo “svolgimento del processo” stabilendosi che la sentenza deve contenere solo “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”), come sostituito ex art. 45, 17 comma L. 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 4 luglio 2009.
Gli attori citavano in giudizio (…) e (…) e la società (…) s.p.a. (ora (…) s.c. p.a.) chiedendo, previo accertamento della responsabilità esclusiva di (…), nella sua veste di conducente, per la causazione del sinistro stradale verificatosi in data 5.12.2007, il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
In particolare, gli attori deducevano: che in data 5.12.2007 (…) era a bordo, in qualità di trasportato, dell’autovettura Peugeot 806 (TG (…)) di proprietà di (…) allorché il conducente del veicolo, (…), perdeva il controllo dell’auto che usciva dalla sede stradale; che l’incideva avveniva per esclusiva responsabilità del conducente (…) che guidava in stato di ebbrezza; che in seguito al predetto sinistro (…) subiva gravissime lesioni personali che comportavano una invalidità nella misura del 70-75% ed una invalidità temporanea di 377 giorni e al 75% di altri 150 giorni, danni di cui chiedevano il ristoro decurtati gli acconti già ricevuti dalla assicurazione pari ad Euro 600.000.
Si costituiva in giudizio la società (…) s.p.a. resistendo alle pretese avanzate dagli attori e rilevando di aver già corrisposto la complessiva somma di Euro 600.000 a favore di (…), e la somma di Euro 60.000 a favore dei genitori dello stesso ((…) e (…)). In particolare, la compagnia evidenziava il carattere esaustivo di tali somme, alla luce del concorso della vittima (…) nella determinazione del danno per effetto del mancato uso delle cinture di sicurezza e per essere lo stesso salito sul veicolo condotto dal (…) nonostante lo stato di ebbrezza di quest’ultimo.
I convenuti (…) e (…), benché ritualmente citati, non si costituivano in giudizio, così che all’udienza del 17.9.2014, veniva dichiarata la loro contumacia.
Concessi i termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c., la causa è stata istruita mediante l’espletamento di C.T.U. medico legale sulla persona di (…) e con prove testimoniali. Quindi è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Va in primo luogo dichiarata la contumacia di (…) e (…) citati e non costituitisi in giudizio.
Oggetto del presente giudizio sono le domande di risarcimento dei danni conseguenti alle lesioni da sinistro stradale subiti da (…) nonché dal padre, dalla madre e dai due fratelli, introdotte nei confronti del proprietario e del conducente del veicolo sul quale viaggiava l’attore e della rispettiva compagnia di assicurazione.
In via preliminare pare opportuno ribadire, in merito alle ulteriori istanze istruttorie avanzate dagli attori nel corso del giudizio e reiterate in sede di precisazione del conclusioni, la loro inammissibilità o irrilevanza ai fini del giudizio, richiamando integralmente le motivazioni di cui all’ordinanza del 6.11.2015.
Risulta dagli atti ed è incontestato che in occasione del sinistro occorso in data 5.12.2007 l’attore era trasportato, sulla autovettura Peugeot 806 targata (…) alle ore 24,00 condotta da (…) che si trovata in stato di ebbrezza (rilevata alcoolemia di 2,38 g/L). In conseguenza del sinistro l’attore riportava gravissime lesioni e veniva ricoverato presso l’ospedale civico di Rovigo (cfr doc. in atti verbali ricovero).
La compagnia assicuratrice convenuta eccepisce, tuttavia, un concorso di colpa dell’attore ex art. 1227 c.c., da tenersi in conto nella liquidazione del risarcimento.
In diritto, l’art. 2054, comma 1, c.c. attribuisce al conducente di un veicolo senza guida di rotaie la responsabilità dei danni cagionati dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e il comma 3 dell’articolo citato prevede la responsabilità solidale del proprietario dei veicolo, se non prova che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà.
Orbene, considerato che (…) ha agito nei riguardi di (…) adducendo la sua qualità di proprietario, si ritiene, già solo per questo, di potere riconoscere la responsabilità di quest’ultimo nella provocazione dell’incidente per cui è causa, ai sensi dell’art. 2054, comma 3, c.c. citato.
Infatti, rammentato che la disposizione da ultimo richiamata ascrive al conducente la responsabilità dei danni cagionati dalla circolazione del veicolo e che il proprietario è solidalmente responsabile se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, preme osservare che nel caso in esame alcuna prova contraria è stata offerta.
Risulta, pertanto, provata anche la responsabilità di (…).
Nondimeno deve tenersi conto che la compagnia convenuta non ha contestato l’effettivo verificarsi del sinistro, né ha contestato che lo stesso sia stato determinato dalla condotta di guida del (…), ma si è limitata a contestare all’attore una responsabilità quantomeno concorrente nella causazione dei danni da esso riportati per aver omesso l’uso delle cinture di sicurezza e per essersi esposto ad una situazione di pericolo, avendo accettato di salire a bordo di un’autovettura il cui conducente si trovava in evidente stato di ebbrezza.
Sicché sotto tali specifici profili dovrà essere esaminata la domanda, al fine di accertare la sussistenza o meno di profili di colpa, e la loro eventuale misura, in capo all’attore.
E’ necessario, a questo punto, verificare se abbia o meno rilevanza la questione del mancato utilizzo della cintura di sicurezza da parte del (…), che la convenuta (…) ha lamentato e, quindi, verificare se si possa configurare il concorso colposo del danneggiato ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., alla luce del principio secondo cui “in materia di responsabilità civile, in caso di mancata adozione delle cinture di sicurezza parte di un passeggero, …, di un veicolo coinvolto in un incidente stradale, verificandosi un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento, è legittima la riduzione proporzionale del risarcimento del danno in favore dei congiunti della vittima” (Cass., sez. III, sent. n. 18177 del 28 agosto 2007).
Sul punto, si osserva che non vi sono elementi certi per sostenere che l’attore non indossasse la cintura al momento dell’incidente anche alla luce anche delle risultanze delle prova testimoniale (cfr le dichiarazioni dei testi (…) (“le cinture erano sganciate, ma non posso dire se al momento del sinistro le avesse o no”) e (…) (“quando siamo intervenuti il ragazzo era molto grave, nella circostanza sono rimasto con il faro e ho fatto luce ai sanitari che lo stavano stabilizzando e curando e ho visto che era appoggiato sulla cappotta senza le cinture di sicurezza”), né può configurarsi per il trasportato una presunzione di responsabilità, come quella prevista per i conducenti, che debba essere vinta dal medesimo trasportato, fornendo la prova di essersi conformato a tutte le regole previste per il trasporto.
Non si ritiene di dovere ridurre ulteriormente il danno in conseguenza dello stato di ebbrezza del conducente (che è circostanza provata).
La questione giuridica concernente la configurabilità o meno di una cooperazione colposa in capo al danneggiato, trasportato su un’autovettura condotta da un ubriaco, ha dato luogo a numerosi e contrastanti orientamenti sia nella giurisprudenza di merito che in quella di legittimità.
Il prevalente orientamento della Corte di Cassazione esclude “la configurabilità del concorso colposo del danneggiato nel caso di mera accettazione del trasporto, da parte del medesimo, su un’autovettura condotta da un ubriaco”. E’ stato infatti precisato, in seno all’indirizzo giurisprudenziale prevalente, che “per ritenere, che il danneggiato concorra con suo fatto colposo a cagionare il danno è necessario che egli ponga in essere una materiale condotta, tale da incidere nella produzione del danno stesso, al cui verificarsi egli ha, così attivamente cooperato” (cfr Cass. sentenza del 07 dicembre 2005 n. 27010).
Tale prevalente indirizzo è stato disatteso, in più occasioni, dai giudici di merito i quali hanno ritenuto che “la condotta del trasportato salito a bordo dell’autovettura del conducente in stato di ebbrezza, costituisca quantomeno una concausa dell’evento dannoso i cui effetti non possono rimanere a carico del solo danneggiante” (ex. multis, Trib. Reggio Emilia, 20 gennaio 2011, n. 737).
Sul punto si è espressa nuovamente la S.C. la quale ritiene che “Il fatto colposo posto in essere dal danneggiato, per assumere rilievo ai fini dell’articolo 1227, primo comma, c.c., deve connettersi causalmente all’evento dannoso, non potendo quest’ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante, e non potendosi pertanto connettere direttamente la condotta colposa del danneggiato con il danno da lui patito” (Cass. sentenza n. 1295 del 19.01.2017);
“Il primo comma dell’art. 1227 cod. civ. concerne il concorso colposo del danneggiato, configurabile solamente in caso di cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante (Nell’affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la configurabilità di un concorso colposo del danneggiato nella mera accettazione, da parte del medesimo, del trasporto su autovettura con alla guida conducente in evidente stato di ebbrezza, non assurgendo tale condotta a comportamento materiale di cooperazione incidente nella determinazione dell’evento dannoso (Cfr. Sez. 3, Sentenza n. 27010 del 07/12/2005).
Secondo tale ultimo indirizzo interpretativo, condiviso da questo giudicante, non c’è, infatti, in tali casi un “concorso di colpa” del terzo trasportato, il quale, certo, non ha alcuna responsabilità nel sinistro stradale, anche se l’evento si è verificato per esclusiva responsabilità del conducente ubriaco. Appare, pertanto, doversi ritenere che l’incidente ed i danni conseguenti vadano ascritti, in via esclusiva, alla responsabilità del (…), per aver tenuto una condotta di guida inadeguata, tale da non consentirgli di mantenere in regolare marcia il veicolo condotto, provocandone l’uscita di strada e le lesioni subite dall’attore, non rinvenendosi di contro alcuna prova in ordine a comportamenti negligenti o imprudenti assunti da quest’ultimo rilevanti anche ai sensi di cui all’art. 1227 c.c.
Deve, quindi, riconoscersi a (…) l’intero danno dallo stessa patito.
Quanto alla quantificazione dei danni riguardanti (…) si rileva quanto segue.
Danni non patrimoniali
Dalla espletata C.T.U. medico legale, le cui conclusioni si fanno proprie perché esaurienti sotto profilo logico-tecnico e frutto di indagini accurate e tecnicamente corrette è emerso che l’attore, in seguito al sinistro del 4.12.2007, ha riportato “una contusione cranio-facciale con multiple fratture interessanti il massiccio facciale, la teca cranica e la sinfisi mandibolare e con danno assonale diffuso (multipli spandimenti emorragici encefalici; distorsione cervicodorsale con frattura dell’apofisi trasversa destra di C6, avulsione della radice C8 di destra, poliradicolopatia branchiale medio-inferiore destra e frattura di processo trasverso di una vertebra dorsale media; contusione toracica con multiple fratture costali a destra, frattura pluriframmentaria della scapola destra, frattura del manubrio sternale, contusioni polmonari bilaterali (emopneumotorace destro); confusione addominale con multiple lesività contusive epatiche e spleniche; frattura della diafisi omerale all’arto superiore destro; frattura della diafisi femorale all’arto inferiore destro; frattura al femore sinistro a livello sovracondiloideo; frattura della tibia sinistra”, ed è stata riconosciuta la natura traumatica di tali lesioni, causalmente rapportabili al sinistro denunciato nell’atto di citazione. Il ctu è pervenuto alle seguenti conclusioni riconoscendo:
-inabilità temporanea assoluta di giorni 379;
– inabilità temporanea parziale, al 75%, di giorni 60;
– postumi permanenti nella misura del 70%.
Quanto ai riflessi dei postumi sul panorama delle attività di carattere non lavorativo, ha rilevato la ctu che: “non emerge la circostanza che prima del fatto che qui interessa il danneggiato fosse impegnato in occupazioni particolari o comunque diverse da quelle che caratterizzano la normale attività esistenziale di qualsiasi persona. Il tasso percentuale sopra indicato va quindi considerato comprensivo della limitazione di tutte le attività che il ricorrente svolgeva prima del 4.12.2007”.
Quanto alla incidenza delle lesioni sulla capacità lavorativa, il C.T.U., ha evidenziato che “al momento del traumatismo il danneggiato non svolgeva alcuna attività di lavoro. In precedenza aveva svolto solo attività professionali saltuarie nell’ambito di occupazioni ad impronta essenzialmente manuale dato che non era (come non è tuttora) in possesso di specifici titoli di studio. L’incostante e breve esperienza plurima lavorativa non aveva neppure condotto all’acquisizione di particolari competenze” e che “le lesioni subito da (…) gli precludono qualsiasi possibilità di svolgere attività che richiedono particolari impegni fisici come quelle di tipo operaio. Sul piano teorico potrebbe essere possibile un impiego in attività sedentarie come quelle di portinaio e di custode, con la precisazione che anche queste occupazioni verrebbero svolte con notevoli limiti, partendo da quelli relativi alla capacità di accesso al luogo di lavoro e di rientro al domicilio”.
Sulla base di tali conclusioni spetta pertanto al danneggiato (…) il risarcimento del danno non patrimoniale complessivamente inteso in relazione sia alla lesione dell’integrità psicofisica temporanea e permanente tutelata dall’art. 32 Cost. sia alla sofferenza soggettiva cagionata dal reato di lesioni colpose astrattamente ravvisabile nel caso di specie, liquidate in via equitativa e, trattandosi di lesioni macropermanenti, facendo uso, quanto alla componente della lesione all’integrità psicofisica del sistema tabellare milanese aggiornato allo stato attuale.
Infatti, in ordine alla determinazione del quantum, questo Tribunale aderisce all’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza per cui, in assenza di precisi riferimenti normativi, si ravvisa un oggettivo parametro di valutazione nei valori tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano (sul primato del sistema meneghino si veda, da ultimo, Cass. Civ. n. 20292/2012; Cass. Civ. n. 193762012).
Quanto ai danni non patrimoniali meritevoli di risarcimento, alla luce dei recenti arresti delle Sezioni Unite della Suprema Corte (vd., tra l’altro, Cass. Civ., Sez. Un., 11.11.2008, N. 26972), è il caso di premettere che:
– il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica;
– la norma di riferimento (art. 2059 c.c.) è norma di rinvio, che rimanda alle leggi, che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale (vd. art. 185 c.p., vd. i casi previsti da leggi ordinarie);
– al di fuori dei casi espressamente determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione;
– va ricondotto nell’ambito dell’art. 2059 c.c. anche il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.), c.d. danno biologico;
– nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, il c.d. danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma tra i possibili pregiudizi non patrimoniali descrive un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva anche transeunte;
– lo stesso è a dirsi per il c.d. danno esistenziale, categoria, che, al pari dell’altra, ha funzione descrittiva, descrivendo, in particolare, il pregiudizio alla vita di relazione;
– il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che il pregiudizio deve essere interamente ristorato, ma si devono evitare duplicazioni;
– determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, tanto più ove questo venga liquidato in percentuale del primo;
– lo stesso è a dirsi per il cumulo del danno morale e di quello esistenziale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato;
– la riduzione della capacità lavorativa generica, non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia, in quanto lesione di un’attitudine o di un modo d’essere del soggetto, in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico, idonea a giustificare una liquidazione personalizzata del danno alla persona rispetto alle indicazioni tabellari c.d. standard. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, la capacità lavorativa generica rileva quale parametro “areddituale”, ossia come elemento che attiene alla qualità ed alla integrità della salute umana rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico (in tal senso, tra le altre, Cass., 22 febbraio 2002 n. 2589; Cass., 25 agosto 2014, n. 18161; Cass., 6 agosto 2004, n. 15187).
Nella specie, la documentazione medica versata in atti e la consulenza medico – legale predisposta dal perito d’ufficio danno adeguatamente conto della ricorrenza di un danno biologico causalmente riconducibile al sinistro per cui è causa.
Si ritiene di non procedere ad un aumento a titolo di personalizzazione del danno.
A tale proposito, ritiene il Giudicante come la personalizzazione sia questione prima di tutto di allegazione e di valutazione di merito, più che di valutazione tecnica demandata al CTU medico-legale.
Difatti, sul tema, è stato enunciato il principio per cui le circostanze di fatto che giustificano la personalizzazione integrano un “fatto costitutivo” della pretesa, sicché devono essere allegate in modo circostanziato già nell’atto introduttivo del giudizio e non possono risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Cass. Civ., Sez. 3, N. 24471 del 18/11/2014).
Il punto fondamentale è che il grado di invalidità permanente espresso da un “baréme” medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima, restando preclusa la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, quali il danno alla vita di relazione e alla vita sessuale, il danno estetico e il danno esistenziale; solo in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione (Cass. Civ., Sez. 3, N. 23778 del 07/11/2014).
Nel caso di specie, non v’è allegazione né prova di circostanze specifiche ed eccezionali che rendano il danno patito in concreto più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi analoghi, rilevandosi che, appunto non sono state compiutamente né allegate, né provate circostanze specifiche di danno maggiore e che tale onere non può consistere in un mero richiamo all’utilizzo di presunzioni, valevole altrimenti per ogni caso di sinistro come quello oggetto di causa e divenendo, altrimenti, il potere discrezionale del Giudice del merito sul punto troppo ampio e trasformando, nella sostanza, la personalizzazione, in un’applicazione senza limiti del potere equitativo del giudice, con elevato rischio di duplicazione dei danni da risarcire.
Sicché, facendo riferimento alle tabelle milanesi, considerando l’età dell’attore al momento del sinistro (20 anni), ai fini della liquidazione del danno biologico, il danno non patrimoniale complessivamente patito dall’attore va quantificato in Euro 769.070,37 (Euro 727,518,37 danno biologico da lesione permanente, Euro 37.142,00 danno biologico da invalidità temporanea totale, Euro 4.410 danno biologico da invalidità temporanea parziale).
Al creditore di una obbligazione di valore spetta anche il risarcimento del danno ulteriore causato dal ritardato adempimento; nel caso in esame gli interessi sono stati espressamente richiesti.
La base del calcolo è costituito non dal credito in moneta attuale (cfr Cass., sezioni unite 17.12.1995 n. 1712) ma dal credito originario via via rivalutato anno per anno.
Al momento del deposito della sentenza l’obbligazione di valore si trasforma in obbligazione di valuta e produce, altresì, interessi legali fino al pagamento.
Pertanto, gli importi sopra indicati, liquidati all’attualità vanno devalutati alla data del sinistro (5.1.2007) e successivamente rivalutati.
Da tali somme (espresse in termini monetari devalutati al momento del sinistro) devono essere detratti, proporzionalmente, gli acconti già corrisposti in sede stragiudiziale dall’Assicurazione convenuta, pari ad Euro 600.000 (circostanza allegata e non contestata dalle parti).
Sul punto la Cassazione ha affermato che la liquidazione del danno extracontrattuale che deve essere effettuata con riferimento alla data della sentenza, quando deve tener conto degli acconti versati anteriormente dal danneggiante o dal responsabile civile, deve essere compiuta sottraendo questi importi in maniera che i termini del calcolo siano omogenei (cfr Cass ,.12926 del 2018).
Il metodo che risulta a tal fine di più agevole applicazione nel caso di specie consiste nel devalutare al momento del sinistro gli importi riconosciuti dalla Compagnia assicuratrice. Operata poi la sottrazione di tali somme al risarcimento quantificato come sopra, anch’esso devalutato al momento del sinistro, si perviene ai seguenti valori: 675.215,43 (credito risarcitorio di Euro 769.070,37 devalutato fino al momento del sinistro); acconto di Euro 571,428,57 (somma di Euro 600000 corrisposta dall’Assicurazione devalutata dal momento del pagamento (2010) fino al momento del sinistro. La differenza tra i due importi devalutati consentono di pervenire al seguente valore: 103.786,86.
Tale importo poi deve essere successivamente rivalutato in base all’indice foi elaborato dall’istat, fino alla data della presente sentenza, con applicazione di anno in anno degli interessi maturati al tasso legale; si perviene cosi alla somma di euro 135.749,67.
Danni patrimoniali
Nessun riscontro, invece, può essere dato alla spesa domanda di risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante per riduzione della capacità lavorativa specifica (sottoposto di regola a un rigoroso onere probatorio) asseritamente subito dall’attore, la cui riscontrata invalidità permanente (dalla ctu non emerge che ciò configuri una invalidità lavorativa specifica) non è in grado di incidere sfavorevolmente sul tipo di attività lavorativa dallo stesso svolta; sul punto, peraltro, nessuna specifica attività probatoria è stata coltivata dalla difesa dell’attore.
Risulta dalla ctu, infatti, che (…) al momento del sinistro non aveva alcun lavoro, difettando così sia il presupposto fondamentale della richiesta risarcitoria, il lavoro perso, sia, per l’effetto, l’addentellato economico di riferimento.
Infatti, la Corte di Cassazione, con orientamento costante (tra le tante, Cass., 27 aprile 2010, n. 10074; Cass., 15 luglio 2011, n. 15674; Cass., 5 febbraio 2013, n. 2644; Cass., 12 febbraio 2013, n. 3290), ha enunciato il principio per cui l’accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta automaticamente l’obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità di guadagno derivante dalla diminuzione della predetta capacità e, quindi, di produzione di reddito, occorrendo, invece, ai fini della risarcibilità di un siffatto danno patrimoniale, la concreta dimostrazione, anche tramite presunzioni, che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico.
Nel caso di specie (a parte le risultanze della ctu medico legale nella quale non si fa riferimento ad una percentuale di incapacità lavorativa specifica), il rigetto della pretesa di questa voce di danno ruota sulla assenza di prova circa il reddito percepito antecedentemente al sinistro e circa la allegazione di attività lavorative specifiche dell’attore e una sua riduzione effettiva dopo l’incidente.
In effetti, “la riduzione della cosiddetta capacità lavorativa specifica non costituisce danno in sé (danno-evento) ma rappresenta invece una causa del danno da riduzione del reddito (danno-conseguenza), per cui, una volta provata la riduzione della capacità di lavoro, non può ritenersi automaticamente e meccanicisticamente provata l’esistenza d’un danno patrimoniale, ove il danneggiato non dimostri concretamente, anche per mezzo di presunzioni semplici, l’esistenza d’una conseguente riduzione della capacità di guadagno” (v. Cass Sez. III 21.4.1999 n.3961, Cass. Sez. III 3.5.1999 n.4385).
Né tale presunzione potrebbe essere fondata sugli esiti della Commissione per la invalidità civile (doc. 11 allegato in atti) che ha riconosciuto una riduzione della capacità del lavoro del 100 per cento, trattandosi di riduzione della capacità lavorativa generica.
Ne consegue che, nella fattispecie, l’incidenza dei postumi sull’espletamento dell’attività lavorativa deve essere considerata non sotto l’aspetto patrimoniale (capacità futura di produzione di reddito) ma in relazione alla maggiore difficoltà – valutata in termini di usura delle condizioni psicofisiche – che il soggetto incontra nel mantenere lo stesso livello quali – quantitativo di lavoro antecedente al sinistro.
Tale ulteriore compromissione della sfera psicofisica, quindi, deve trovare un adeguato ristoro solo quale componente del danno biologico, inteso quale menomazione della complessiva integrità psico-fisica della persona, in sé e per sé considerata e già compresa nella liquidazione del danno non patrimoniale.
Spetta invece all’attore il rimborso delle spese sostenute per finalità terapeutiche documentate e ritenute congrue; in tal senso il consulente ha dato atto della produzione di documentazione relativa alle spese per l’importo di Euro 224,48 per necessità diagnostico terapeutica e di Euro 2.880,00 per prestazione medico legale, somme tuttavia non soggette a rivalutazione, in quanto debiti di valuta.
Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, in favore di (…) va pertanto riconosciuta la complessiva somma di Euro 138.854.15 (di cui Euro 135.749,67 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 3.104,48 a titolo di danno patrimoniale).
Su tali somme saranno dovuti gli interessi legali dalla data della sentenza al pagamento.
Quanto alla domanda risarcitoria avanzata dai genitori (…) e (…) nonché dai fratelli dell’attore (…) e (…), valgono le seguenti considerazioni.
Con riguardo alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio, va rilevato che, tale danno, costituisce pur sempre un danno-conseguenza, e in quanto tale deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai considerarsi in re ipsa.
In proposito, si osserva che nella giurisprudenza della Suprema Corte (avallato anche dalle Sezioni Unite – Cass. S.U. 1 luglio 2002 n. 9556) ha trovato affermazione il principio secondo cui “ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare relazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso” (Cass. 26 febbraio 2003 n. 2888; Cass. 31 maggio 2003 n. 8827 secondo cui “non sussiste alcun ostacolo alla risarcibilità del danno non patrimoniale in favore dei prossimi congiunti del soggetto che sia sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti” Cass., 23 aprile 1998, n. 4186).
Si è infatti ritenuto che la struttura della norma che prevede il danno morale (art. 2059 c.c.) non sia di ostacolo all’applicazione anche a tale ambito dei principi elaborati a proposito dei cosiddetti “danni riflessi”.
In modo più specifico e con riferimento anche alla prova del danno in discorso, si è posto in evidenza che il problema del paventato allargamento a dismisura del risarcimento del danno morale deve essere risolto sul piano probatorio, esigendo la prova rigorosa del danno stesso, evitando il disinvolto ricorso alle presunzioni e considerando le peculiarità del caso (Cass., 23 aprile 1998, n. 4186, cit., i cui rilievi sono stati poi condivisi dalle sezioni unite: Cass. sez. un., 22 maggio 2002, n. 9556; cfr. anche Cass., 31 maggio 2003 n. 8827).
Nel caso di specie, ad avviso di questo giudice, non ricorrono le condizioni per il riconoscimento in capo ai fratelli (…) e (…) di tale voce di danno quale conseguenza direttamente riconducibile al fatto dannoso e relativa alle lesioni riportate dal fratello tenuto conto dell’estrema genericità delle circostanze allegate negli atti difensivi e dell’assenza di prova dei danni invocati (alla luce dell’inammissibilità dei capitoli di prova articolati, come già rilevato con ordinanza nel corso del giudizio).
Con riguardo invece alla posizione della madre (…), parte attrice ha dedotto e allegato la sofferenza interiore per le gravi lesioni subite all’esito del sinistro stradale dal figlio convivente che l’ha indotta ad abbandonare il lavoro al fine di dedicarsi esclusivamente alla cura del medesimo, bisognevole di assistenza in ragione della gravità delle lesioni psicofisiche riportate in conseguenza del sinistro.
Tuttavia, va rilevato che l’assicurazione ha corrisposto al padre e alla madre la somma di Euro 60.000 per cui tale danno si può già ritenere ristorato dal predetto acconto versato. D’altronde non risulta provato un danno ulteriore (depressione o malattia clinicamente valutabile) distinto e ulteriore rispetto al danno morale unitariamente considerato.
Nessuna diversa voce di danno patrimoniale può essere riconosciuta (es. spese di viaggio ecc) in assenza di prova di una stretta causalità con il sinistro occorso a (…).
Non può essere riconosciuto il danno patrimoniale da lucro cessante a favore della madre (…). L’esigua produzione documentale (limitata alla certificazione del compenso conseguito dalla stessa per l’ anno 2008) è del tutto inidonea a consentire un giudizio fondato in ordine alla sussistenza del nesso di causalità tra le lesioni subite da (…) e le lamentate occasioni di guadagno.
Visto il parziale rigetto della domanda e la assoluta sproporzione tra il danno allegato e richiesto da parte attrice, si ritiene equo disporre la compensazione per il 50% (percento) delle spese di lite e la condanna della parte convenuta al pagamento del restante 50 % a favore delle parti attrici, spese che liquida complessivamente in euro 21.488 (facendo applicazione dei parametri ex D.M. n. 55 del 2014 e relativamente al decisum ex art. 5 comma 2 del predetto D.M., considerando le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale e con aumento del 60% per il numero delle parti).
In tal senso, va disposta la condanna delle parti convenute, in solido, al pagamento in favore di parte attrice dell’importo complessivo di euro di Euro 10.744 per compensi, oltre i.v.a., c.a.p. e rimborso forfettario al 15%(percento).
Le spese di ctu seguono invece la soccombenza e si pongono a carico della compagnia convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Rovigo, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa, respinta ed assorbita, così provvede:
dichiara la contumacia di (…) e (…);
accerta la responsabilità esclusiva di (…), conducente del veicolo di proprietà di (…), nella causazione del sinistro per cui è causa;
per l’effetto e, detratti gli acconti già percepiti, dichiara tenuti i convenuti, in solido, a corrispondere in favore di (…) la somma di euro 135.749,67, oltre interessi al saggio legale dal dì della sentenza al saldo;
dichiara tenuti e condanna tutti i convenuti, in solido tra loro, a corrispondere in favore di (…) la somma di Euro 3.104,48, oltre interessi al saggio legale dal dì della sentenza al saldo;
rigetta le ulteriori domande di risarcimento degli attori;
condanna altresì i convenuti, in solido, alla refusione delle spese di lite sostenute da parte attrice, che liquida in Euro 10.744 per compenso professionale, oltre Iva, CPA e rimborso forfettario al 15%(percento), compensa tra le parti il restante 50%,
pone definitivamente le spese di CTU a carico di parte convenuta, con diritto di parte attrice alla ripetizione nei suoi confronti di quanto eventualmente a tale titolo anticipato;
Così deciso in Rovigo il 27 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2019.