il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto.
Tribunale Latina, Sezione 1 civile Sentenza 29 gennaio 2019, n. 249
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LATINA
I SEZIONE CIVILE
in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Paola Romana Lodolini ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2396 R.G. cont. 2011
TRA
CURATELA DEL FALLIMENTO SI. S.R.L. n. 18/2012 del Tribunale di Latina, P.I. (…), in persona del curatore avv. Lu.Pi., elettivamente domiciliata in Terracina, Piazza (…), presso l’avv. Ca.Ma., dal quale è rappresentata e difesa giusta procura a margine della comparsa per la prosecuzione del processo, previa autorizzazione del G.D. del 29.5.2012
(…)ATTRICE
E
(…) SRL, C.F. (…),
elettivamente domiciliata in Latina, Via (…), presso l’avv. Gi.Ne., dal quale è rappresentata e difesa giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta
(…)
CONVENUTA
OGGETTO: domanda di risoluzione per inadempimento di contratto di compravendita di bene immobile e domanda risarcitoria
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza non definitiva n. 347, depositata il 7.2.2018, le cui statuizioni sono vincolanti per il giudice nel medesimo grado di giudizio, è stato così disposto:
“Il Tribunale, non definitivamente pronunciando, così decide:
visti gli artt. 1453, 1455 e 1458 c.c., risolve, per inadempimento della convenuta, il contratto per cui è causa, concluso tra SI. srl e (…) s.r.l. in data 26.5.2010, a rogito notaio (…) (repertorio (…); raccolta (…));
condanna la convenuta alla restituzione, in favore della curatela attrice, dell’immobile sito in Comune di (…), Via (…), meglio descritto nel contratto di compravendita, e censito in parte al Catasto dei Fabbricati del Comune di (…) al foglio (…), particella n. (…), via (…), in parte al Catasto Terreni del medesimo Comune di (…) al foglio (…), particella n. (…), libero da persone e cose;
dichiara inammissibile la domanda di condanna avanzata dalla convenuta nella memoria di replica;
rimette la causa sul ruolo istruttorio con ordinanza in pari data;
spese alla sentenza definitiva”.
Con ordinanza del 7.2.2018, è stata disposta CTU al fine di determinare il valore locatizio degli immobili per cui è causa.
Ed invero, la società attrice – e, successivamente al fallimento della stessa, la curatela fallimentare – hanno richiesto, sin dall’atto introduttivo, la condanna della convenuta al risarcimento del danno conseguente all’inadempimento, nella misura del valore locativo dell’immobile per cui è causa.
Successivamente alla pronuncia della sentenza non definita, il giudizio è proseguito per la definizione di tale domanda.
La stessa è fondata e deve pertanto essere accolta.
La risoluzione del contratto per inadempimento ha infatti effetto retroattivo tra le parti (art. 1458 c.c.), cosicché l’occupazione, da parte della (…) s.r.l., dell’immobile oggetto del contratto di compravendita risolto deve ritenersi senza titolo.
In fattispecie sostanzialmente analoghe alla presente (sotto il profilo, che in questa sede rileva, del venire meno del titolo legittimante la presa di possesso del bene oggetto del contatto risolto), la Suprema Corte ha chiarito che la restituzione del bene consente solo in parte la riparazione del pregiudizio subito, con riguardo al danno emergente, lasciando impregiudicato il diritto all’ulteriore risarcimento connesso alla mancata disponibilità dell’immobile, cioè del reddito che il contraente adempiente avrebbe potuto ricavare ove il bene fosse rimasto nella sua disponibilità (lucro cessante), determinabile con riferimento al valore locativo dell’immobile maturato nel periodo di tempo intercorrente tra la data della consegna all’acquirente e quella della sua restituzione
(cfr. Cass. n. 15185 del 29/11/2001: “A seguito della risoluzione di un preliminare di vendita immobiliare con presa di possesso anticipata del bene da parte del promissario acquirente, il promittente venditore adempiente, conseguendo con la restituzione del bene solo in parte la riparazione del pregiudizio subito, con riguardo al danno emergente, ha diritto all’ulteriore risarcimento connesso alla mancata disponibilità dell’immobile, cioè del reddito che avrebbe potuto ricavare ove il bene fosse rimasto nella sua disponibilità (lucro cessante) determinabile con riferimento al valore locativo dell’immobile maturato nel periodo di tempo intercorrente tra la data della consegna all’acquirente e quella della sua restituzione”;
negli stessi termini, Cass. n. 6586 del 17/07/1997; cfr. altresì Cass. n. 139 del 09/01/1993: “L’acquirente di un immobile in caso di risoluzione del contratto di compravendita pronunciata per sua colpa, è tenuto al risarcimento del danno per la mancata disponibilità del bene fino alla restituzione”).
Quanto alla prova della ricorrenza di tale danno, deve osservarsi quanto segue.
La prevalente e costante giurisprudenza di legittimità ha per lungo tempo affermato che il danno da occupazione senza titolo di un immobile debba ritenersi n re ipsa, discendendo dalla perdita di disponibilità del bene e dalla perdita dell’utilità normalmente ricavabile da un bene fruttifero (salva la prova che il proprietario si fosse disinteressato del bene) e che il relativo risarcimento ben potesse essere parametrato al valore locativo dell’immobile
(cfr. Cass. n. 9137 del 16/04/2013: “In caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, il danno subito dal proprietario è “in re ipsa”, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla sua natura normalmente fruttifera. La liquidazione del danno ben può essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cosiddetto danno figurativo, qual è il valore locativo del bene usurpato”;
Cass. n. 20823 del 15/10/2015: “Il danno da occupazione illegittima di un immobile è “in re ipsa”, attesa la temporanea perdita delle utilità normalmente conseguibili dal proprietario nell’esercizio delle facoltà di godimento e disponibilità del bene; questa presunzione “iuris tantum” è superata ove si accerti che il proprietario medesimo si è intenzionalmente disinteressato dell’immobile”;
Cass. n. 16670 del 09/08/2016: “Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario è “in re ipsa”, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile, sicché costituisce una presunzione “iuris tantum” e la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al cd. danno figurativo, quale il valore locativo del bene usurpato”;
Cass. n. 20545 del 06/08/2018: “Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario è “in re ipsa”, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile”;
Cass. n. 21239 del 28/08/2018: “Nel caso di ritardata consegna di un bene immobile al nuovo proprietario, il danno subito da quest’ultimo è “in re ipsa”, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile”).
A tale orientamento, anche recentemente ribadito dalla Suprema Corte (come emerge dalle pronunce innanzi citate) si contrappone un orientamento più rigoroso, anch’esso recente, secondo il quale nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno – conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost.;
ne consegue che il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto (Cass. n. 13071 del 25/05/2018; cfr. altresì, nello stesso senso, Cass. n. 31233 del 04/12/2018).
Orbene, premesso che non sussiste contestazione in ordine alla circostanza che l’immobile sia rimasto nella disponibilità della società convenuta, ritiene il Tribunale che, nel caso in esame, la domanda risarcitoria avanzata dapprima dalla società attrice e, successivamente, dalla curatela fallimentare, sia fondata anche ove si voglia aderire al più rigoroso orientamento da ultimo citato.
Ed invero, posto che nella fattispecie per cui è causa non potrebbe essere direttamente dimostrato alcun intento, da parte dell’attrice, di mettere a frutto l’immobile attraverso la stipula di un contratto di locazione (intenzione del tutto incompatibile con l’alienazione del bene, avvenuta con il contratto di compravendita dichiarato risolto con la sentenza non definitiva n. 347/2018), deve in ogni caso ritenersi che la stessa vendita del bene, oggetto del contratto per cui è causa, costituisca circostanza tale da comprovare l’intenzione, in capo alla proprietaria, di trarre utilità dal medesimo.
Deve pertanto ritenersi che, ove l’immobile fosse rimasto di proprietà della società attrice, quest’ultima lo avrebbe locato a terzi, al fine di ottenerne un corrispettivo.
Tali conclusioni sono avvalorate dalla stessa natura industriale dell’immobile, come tale destinato ad essere utilizzato a fini produttivi e di sfruttamento commerciale, con conseguente rapido decremento di valore in caso di inutilizzo.
Non vi sono ragioni per ipotizzare che le utilità che la società proprietaria avrebbe tratto dalla locazione dell’immobile sarebbero state inferiori a quelle ritraibili dal canone di mercato, atteso che non è stato contestato, da parte della convenuta, che la compravendita del bene sia avvenuta ad un prezzo congruo rispetto a quello di mercato (circostanza dalla quale si desume la volontà, in capo alla proprietaria, di trarre dal bene utilità corrispondenti all’effettivo valore dello stesso).
L’affermazione, fatta propria dalla società convenuta negli scritti conclusivi, secondo la quale l’immobile sarebbe stato dalla stessa acquistato già locato dalla precedente proprietaria, ad un canone sensibilmente inferiore a quello indicato dal CTU (Euro 50.000,00 annui, oltre iva), appare priva di riscontri probatori.
La stessa, infatti, non è stata suffragata dal tempestivo deposito del contratto di locazione e del subentro nello stesso, né dalla prova di alcun pagamento in favore della società compratrice e, in precedenza, di quella venditrice, da parte della (…) (asserita conduttrice); non trova riscontro nel contratto di compravendita (nel quale non si fa alcuna menzione dello stato di eventuale occupazione o locazione dell’immobile), e si fonda esclusivamente sulla deposizione del teste (…).
Dalla lettura della consulenza tecnica di ufficio emerge che un contratto di locazione tra la SI. srl e la (…) srl è stato consegnato dal legale rappresentante di quest’ultima (che non è parte del giudizio) al CTU nominato nel presente procedimento, ed allegato dall’ausiliario alla perizia (allegato 13).
L’acquisizione documentale effettuata dal CTU deve ritenersi inammissibile, in quanto successiva alla scadenza delle preclusioni istruttorie, ed avente ad oggetto un documento del cui deposito erano onerate le parti.
Deve aggiungersi che il suddetto contratto reca data certa dell’11.2.2011 (data della registrazione, non potendo essere tenuta in considerazione la data del 10.4.2010, apposta sul documento, per mancanza di requisiti di certezza), ed è pertanto successivo alla compravendita, cosicché non potrebbe neppure costituire prova della prospettazione della convenuta (peraltro svolta solo negli scritti conclusivi) in ordine all’acquisto, da parte sua, di un immobile già locato dalla SI. srl al momento della compravendita.
In assenza di riscontri documentali, che avrebbero dovuto essere tempestivamente forniti, la deposizione del teste (…) appare del tutto inidonea a dimostrare l’assunto della società convenuta in ordine alla conclusione di un contratto di locazione relativo all’immobile per cui è causa, ed alle relative condizioni economiche, asseritamente inferiori al canone di mercato, come calcolato dal CTU.
Ne discende che – come reiteratamente affermato dalla Suprema Corte nelle pronunce innanzi citate – il valore locativo può assurgere ad utile parametro per calcolare il danno conseguente all’indisponibilità dell’immobile, in ragione della detenzione effettuatane dalla società acquirente.
Tuttavia, tenuto conto dell’incertezza in ordine alla effettiva possibilità di locazione al prezzo di mercato, per tutto il periodo in considerazione, il danno effettivamente patito deve essere ridotto rispetto al valore locativo, in una percentuale che – avuto riguardo alle note difficoltà di collocazione sul mercato di beni immobili, anche a titolo di locazione, tanto più per immobili delle dimensioni, destinazione e valore di quello per cui è causa, e tenuto conto del rilevante valore locativo stimato dal CTU – appare congruo indicare nel 20% (apparendo ragionevole ritenere che il bene avrebbe trovato utile collocazione sul mercato degli affitti per l’80% del periodo in cui l’attrice è stata privata della relativa disponibilità).
La determinazione del valore locativo dell’immobile, come effettuata dal consulente di ufficio, deve essere condivisa, in quanto conseguente ad adeguate indagini e sorretta da argomentazioni prive di errori e vizi logici.
Il CTU ha altresì compiutamente risposto, nelle “controdeduzioni alle osservazioni dei consulenti tecnici di parte” (allegate alla stesura definitiva dell’elaborato), alle critiche sollevate dalla società convenuta. Anche in tal caso, le conclusioni raggiunte dal CTU meritano integrale accoglimento, per il rigore logico – argomentativo che le sorregge e la puntuale e motivata confutazione di tutte le osservazioni sollevate da parte convenuta.
Alle puntuali risposte del consulente tecnico di ufficio deve altresì essere aggiunto che l’affermazione della (…) srl – secondo la quale la valutazione del consulente di ufficio risulterebbe esorbitante sia in relazione al valore intrinseco dell’immobile, sia in relazione alla depressione del mercato immobiliare della zona, come risulterebbe dalla disamina sul web delle offerte di settore – non è stata suffragata in alcun modo (neppure dagli esiti di eventuali ricerche in rete), né la convenuta ha fornito indicazioni alternative in ordine al valore locativo, suffragate da dati oggettivi.
Da ultimo, la proposta di determinare il valore locativo sulla base di quello più basso del periodo in considerazione condurrebbe, tenuto conto della possibilità di rinnovo contrattuale, ad un risultato superiore a quello raggiunto dal consulente di ufficio (cfr. pag. 3 della risposta alle osservazioni).
Dovendo, inoltre, la liquidazione del danno essere aggiornata alla data di pronuncia della presente sentenza, il canone mensile indicato dal CTU per il secondo semestre 2018 (Euro 34.875,68) deve essere applicato fino a tutto gennaio 2019 compreso, non essendo stato dedotto alcunché in ordine alla eventuale restituzione dell’immobile alla curatela fallimentare.
Il danno risarcibile deve ritenersi decorrente dalla prima notifica della domanda giudiziale (21.4.2011), dovendosi ritenere che da tale momento la società attrice abbia manifestato la propria intenzione di recuperare e mettere a frutto il bene.
Complessivamente, pertanto, l’importo dovuto a titolo risarcitorio dalla (…) srl alla curatela attrice ammonta ad Euro 2.705.577,53 (Euro 3.137.842,26, pari al valore locativo calcolato dal CTU per il periodo 21.4.2011 – 30.6.2018, oltre Euro 244.129,76, pari al valore locativo mensile del secondo semestre 2018, indicato dal CTU in Euro 34.875,68, moltiplicato per le mensilità da luglio 2018 a gennaio 2019, per complessivi Euro 3.381.971,92, decurtati del 20%).
La convenuta deve pertanto essere condannata al pagamento di tale importo in favore della curatela attrice.
Su tale somma sono dovuti gli interessi al tasso legale a decorrere dalle singole scadenze mensili in cui sarebbero stati dovuti i corrispondenti canoni di locazione, in misura corrispondente all’80% degli importi indicati a pagina 19 della CTU (coerentemente rispetto alla percentuale del valore locativo da riconoscersi a titolo risarcitorio) mentre, in assenza di allegazioni in ordine alla sussistenza di un maggior danno subito dalla curatela attrice, non è dovuta la rivalutazione monetaria.
Tenuto conto della soccombenza della curatela attrice nel procedimento cautelare in corso di causa, e della soccombenza della società convenuta nel giudizio di merito, le spese del presente giudizio, globalmente liquidate anche relativamente al procedimento cautelare in corso di causa (nel quale la curatela è, come rilevato, rimasta soccombente), devono essere compensate per un quarto, mentre i restanti tre quarti, liquidati come in dispositivo sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto della natura e del valore della controversia al momento della domanda (ex art. 10 c.p.c.) e dell’attività difensiva svolta, seguono la prevalente soccombenza della società convenuta, con condanna della convenuta al pagamento in favore dello Stato, stante l’ammissione della curatela al patrocinio a spese dell’erario.
Quanto allo scaglione di riferimento, lo stesso deve essere individuato in quello ricompreso tra Euro 2.000.000,00 ed Euro 4.000.000,00, dovendo essere preso in considerazione il valore della controversia indicato nella domanda introduttiva, pari ad Euro 2.400.000,00, e non quello indicato nella nota spese del difensore, che non ha attinenza né con il valore dell’immobile risultante nel contratto di compravendita, né con la domanda risarcitoria, di valore indeterminabile al momento dell’introduzione del giudizio.
Quanto al giudizio di merito, l’aumento rispetto allo scaglione massimo (Euro 260.000,00 – Euro 520.000,00), ripetuto tre volte per i tre successivi scaglioni, superiori a quello ricompreso tra Euro 260.000,00 ed Euro 520.000,00 (Euro 520.000,00 – Euro 1.000.000,00; Euro 1.000.000,00 – Euro 2.000.000,00; Euro 2.000.000,00 – Euro 4.000.000,00), deve essere individuato nel 5% (ripetuto per tre volte sull’importo del compenso calcolato per lo scaglione precedente, ex art. 6 D.M. n. 55 del 2014), da ritenersi congruo atteso che l’aumento di valore rispetto allo scaglione massimo non si è tradotto in una rilevante complessità della controversia e delle difese.
Quanto, invece, al procedimento cautelare in corso di causa, tenuto conto della limitata attività difensiva e della non incidenza del valore della controversia sulla complessità delle difese, l’aumento rispetto allo scaglione massimo deve essere indicato nell’1%, anch’esso ripetuto tre volte.
I compensi per il giudizio di merito devono essere liquidati ai valori medi per tutte le fasi difensive, non sussistendo ragioni per discostarsene, e pertanto per complessivi Euro 24.758,13, mentre quelli per il giudizio cautelare in corso di causa devono essere liquidati ai valori minimi per le fasi di studio, introduttiva e decisoria, in ragione della scarsa complessità del procedimento e dell’assenza di attività istruttoria, per complessivi Euro 3.825,00; entrambi gli importi devono essere compensati per un quarto.
La divergenza tra liquidazione delle spese operata in questa sede e quella contenuta nei decreti di liquidazione del gratuito patrocinio in favore del difensore della curatela fallimentare consegue, in primo luogo, alla parziale soccombenza della curatela (che ha comportato la parziale compensazione delle spese di lite, globalmente liquidate con riferimento al giudizio di merito e a quello cautelare in corso di causa); dall’altro lato, all’adesione al principio, da ultimo affermato dalla Suprema Corte, e che il Tribunale condivide, per cui “in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del D.P.R. n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo D.P.R. n. 115 del 2002, alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l’eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità” (Cass. n. 22017 dell’11/09/2018).
Ne discende che nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente non deve essere operata la riduzione alla metà, prevista dall’art. 130 del D.P.R. n. 115 del 2002.
Le spese della CTU, liquidate con separato decreto, devono essere definitivamente poste a carico della società convenuta, pure in applicazione del principio della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così decide:
condanna la (…) s.r.l. al pagamento, in favore del Fallimento n. 18/2012 del Tribunale di Latina della società SI. SRL, della complessiva somma di Euro 2.705.577,53, oltre agli interessi al tasso e con le decorrenze indicati in motivazione;
condanna la (…) s.r.l. alla rifusione dei tre quarti delle spese di lite in favore della curatela attrice, quota che liquida in Euro 21.437,35 per compenso al difensore, oltre spese generali, iva e cpa, condannando la convenuta al pagamento della predetta somma in favore dello Stato;
compensa per il resto le spese del giudizio;
pone definitivamente le spese della CTU, liquidate con separato decreto, a carico della (…) S.r.l.
Così deciso in Latina il 28 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2019.