l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento d’azienda, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’art. 2112 c.c., in capo al cessionario.
Per ulteriori approfondimenti in merito al trasferimento d’azienda, si consiglia la lettura dei ceguenti articoli:
La Cessione d’azienda o ramo d’azienda
Contratto di Affitto di azienda
Corte d’Appello Roma, Sezione Lavoro civile Sentenza 6 febbraio 2019, n. 284
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
Sezione controversie lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie
composta dai Sigg. Magistrati:
Dott.ssa Marasco Maria Rosaria – Presidente
Dott.ssa Buconi Maria Lavinia – Consigliere rel.
Dott.ssa Valente Maria Vittoria – Consigliere
all’udienza di discussione del 22.1.2019 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 4892 del Ruolo Generale per gli Affari Contenziosi dell’anno 2015 vertente
TRA
(…) S.R.L., in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in forza di procura a margine dell’atto di appello, dall’Avv. Ma.Pe.;
APPELLANTE
E
(…), rappresentato e difeso, in forza di procura a margine del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, dall’Avv. Fi.Ai.;
APPELLATO
OGGETTO: Appello avverso la sentenza n. 5953/2015 emessa dal Tribunale di Roma in data 11.6.2015
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ritualmente notificato (…) chiedeva, previa declaratoria della sussistenza di un trasferimento d’azienda intervenuto tra (…) s.r.l. e (…) s.r.l.. che venisse accertato il suo diritto alla prosecuzione del suo rapporto di lavoro alle dipendenze della (…) s.r.l. a decorrere dalla data di sospensione del rapporto di lavoro intercorso con la (…) S.r.l. e che la (…) s.r.l. venisse condannata alla ricostituzione del rapporto di lavoro, alla corresponsione delle retribuzioni dovute dalla medesima data ed alla riassegnazione delle mansioni precedentemente svolte; in subordine chiedeva al Giudice, di dichiarare costituito tra il ricorrente e (…) s.r.l. un rapporto di lavoro subordinato dalla data di cessazione del rapporto con la (…) s.r.l., con il medesimo inquadramento posseduto presso la suddetta società.
A fondamento delle domande proposte, esponeva di aver lavorato alle dipendenze della (…) spa (oggi srl) fino alla data del licenziamento collettivo operato da quest’ultima nei confronti di tutti i suoi lavoratori, alla data del 30.11.2012.
Fissata l’udienza, si è ritualmente costituita la società convenuta (…) s.r.l., chiedendo il rigetto del ricorso per infondatezza e deducendo l’insussistenza di qualsiasi trasferimento di azienda tra essa e la (…) s.r.l..
Con sentenza n. 5953/2015, il Tribunale di Roma dichiarava il diritto di (…) alla prosecuzione del suo rapporto di lavoro alle dipendenze della (…) s.r.l. a decorrere dalla data del licenziamento comminatogli da (…) S.p.a. (30.11.2012), condannava la (…) s.r.l. a ripristinare la funzionalità del rapporto di lavoro riammettendo in servizio il ricorrente ed assegnandogli l’inquadramento e le mansioni in precedenza ricoperti alle dipendenze della (…) s.p.a., condannava la (…) s.r.l. al pagamento, in solido con la (…) srl, delle retribuzioni dovute al ricorrente e maturate dal 30.11.2012 in dipendenza del pregresso rapporto di lavoro intercorso con la (…) spa, oltre interessi legali calcolati sulle singole spettanze retributive via via rivalutate secondo indici Istat dal dì del dovuto fino al soddisfo; condannava la (…) s.r.l. alla rifusione delle spese processuali in favore del ricorrente.
Avverso tale sentenza proponeva appello la (…) s.r.l. per erroneità delle statuizioni relative all’applicazione dell’art. 2112 c.c., per falsa applicazione della legge e della giurisprudenza riguardanti la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., nonché per mancanza o insufficienza di prove in ordine agli elementi relativi alla fattispecie del trasferimento di azienda; chiedeva pertanto che in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza impugnata venissero rigettate le domande proposte da (…) nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Si costituiva l’appellato, il quale contestava la fondatezza del gravame e ne chiedeva il rigetto.
All’udienza del 22.1.2019 la causa è stata discussa e decisa come da dispositivo, di cui è stata data lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo giudice nella sentenza impugnata ha innanzitutto richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini dell’accertamento della sussistenza di una fattispecie di trasferimento d’azienda, la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ. postula che il complesso organizzato dei beni dell’impresa, nella sua identità obiettiva, sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa (ha in particolare citato Cass. civ. Sez. Lavoro n. 11918/2013).
Ha dunque evidenziato che lo stesso art. 2112 c.c., anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 18 del 2001 attuativo della direttiva comunitaria n. 50 del 1998, letto in linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi in merito all’interpretazione della direttiva n. 187 del 1977 e con le esplicite indicazioni fornite dalla direttiva n. 50 del 1998, consente di ricondurre, ai fini da esso considerati, alla cessione di azienda anche il trasferimento di un ramo della stessa, purché si tratti di un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità. In presenza di tali condizioni, può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how (o, comunque, dall’utilizzo di copyright, brevetti, marchi età), realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 ss. c.c.
Ciò premesso, ha rimarcato che principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità corrispondo agli approdi cui era pervenuta la Corte di giustizia delle Comunità Europee nella sua attività di interpretazione ed applicazione delle cennate direttive comunitarie emanate in materia di trasferimento d’azienda; ha in particolare richiamato la decisione della Corte di giustizia n. 51/00 del 24 gennaio 2002 (…), secondo cui “la direttiva mira a garantire la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’entità economica, indipendentemente da un cambiamento del titolare, di modo che il criterio decisivo per stabilire se si configuri un trasferimento ai sensi di detta direttiva consiste nell’accertare se l’entità in questione abbia conservato la propria identità”, precisando che “La nozione di entità si richiama quindi ad un complesso organizzato di persone e di elementi che consentono l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo (ha inoltre richiamato sul punto anche la sentenza 11 marzo 1997, causa c-13/95, S., punto 13).
Ha dunque rilevato che sulla base di tali presupposti la Corte di giustizia, nella medesima decisione, ha affermato che “Per poter determinare se sussistano le caratteristiche di un trasferimento di un’entità economica, dev’essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, tra le quali rientrano, in particolare, il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, come gli edifici e i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività.
Il giudice di prime cure nella sentenza impugnata ha tuttavia affermato che tali elementi costituiscono soltanto aspetti parziali della valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere considerati isolatamente”; ha inoltre evidenziato che tali concetti sono stati ulteriormente specificati, dalla medesima decisone della Corte che, richiamando sue precedenti decisioni (sentenze 14 aprile 1994, causa C-392/92, S. (Racc. pag. I-1311), 11 marzo 1997, S., già citata, e 10 dicembre 1998, cause riunite C-127/96, C-229/96 e C-74/97, H.V. e a.), ha precisato che “l’importanza da attribuire rispettivamente ai singoli criteri attinenti alla sussistenza di un trasferimento ai sensi della direttiva varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata, o addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa, nello stabilimento o nella parte di stabilimento in questione.
Ha dunque richiamato le conclusioni della Corte, secondo cui “… in determinati settori in cui l’attività si fonda essenzialmente sulla mano d’opera, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un’attività comune può corrispondere ad un’entità economica. Una siffatta entità può conservare quindi la sua identità al di là del trasferimento quando il nuovo imprenditore non si limiti a proseguire l’attività stessa, ma riassuma anche una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale specificamente destinato dal predecessore a tali compiti (sentenza (…), citata, punto 21)”.
Tanto premesso, ha ritenuto che nella fattispecie dedotta in giudizio ricorressero i presupposti individuati dai richiamati orientamenti giurisprudenziali per ritenere sussistente la fattispecie del trasferimento di azienda ai fini dell’applicazione dell’art. 2112. c.c.e rappresentati, in primo luogo, dall’incontestata circostanza che la (…) spa svolgeva attività analoga a quella della (…) s.r.l., che tale ultima società aveva riassunto, in momenti diversi ma circoscritti nel tempo, la maggior parte dei dipendenti della prima, fatta eccezione per lo stesso (…) e i due signori (…) (ha sul punto richiamato le deposizioni dei testi escussi in giudizio), continuando altresì a svolgere l’attività di resa e di diffusione dei prodotti editoriali commercializzati nei medesimi locali in cui la svolgeva la (…) srl (anche su questo punto ha richiamato le deposizioni dei testi escussi).
Ha altresì ritenuto che tale ultima circostanza risulti confermata dai contratti stipulati dalla (…) s.r.l. per la fornitura di servizi e prodotti necessari alla propria attività, in quanto i suddetti contratti prevedono che tale fornitura debba essere svolta proprio presso i locali anzidetti (via (…)).
Il giudice di prime cure ha inoltre considerato particolarmente significativo il fatto che il contratto di affitto stipulato dalla (…) s.r.l. per l’utilizzo dei locali di Via (…), dove la medesima società aveva continuato a svolgere la suddetta attività di resa, sia stato concluso con una società, la (…) srl, che ha due soci su tre ((…) e (…)) che corrispondono agli stessi soci unici della (…) srl, e che ha la sede legale (via L. maggiore 17 in Ti.) nello stesso luogo in cui sono domiciliati i soci anzidetti, per come può ricavarsi dalle visure camerali di entrambi tali società prodotte in giudizio.
Ha inoltre evidenziato che la quasi totalità dei lavoratori passati dalle dipendenze di una società all’altra, (senza alcuna interruzione, per quanto ha riferito di sé il teste (…)) è stata impiegata nella medesima attività svolta in precedenza dalla prima; ha pertanto ritenuto che fossero dotati del know how necessario a svolgerla, e che l’impiego di nuovi macchinari da parte della resistente sia dipeso da un cambio di metodo di lavoro svolto però sempre presso i medesimi locali (ha sul punto richiamato le dichiarazioni rese dal teste (…).
Alla luce di tali considerazioni ha dunque ritenuto che vi sia stato il trasferimento da un’impresa all’altra della medesima entità economica nel senso espresso dalla giurisprudenza innanzi richiamata, con conseguente configurarsi della fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. ed applicabilità delle disposizioni imperative di legge inerenti tale fattispecie.
Né ha ritenuto che possa addivenirsi a diverse conclusioni sulla base della circostanza che la (…) spa ha licenziato l'(…), eesendo tale recesso nullo per violazione dell’art. 2112 c.c., secondo cui in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario ed il lavoratore conserva i diritti che da tale rapporto derivano, per l’attuazione dei quali cedente e cessionario restano obbligati in solido.
Il primo giudice nella sentenza impugnata ha comunque evidenziato che tale licenziamento è stato già annullato, sia pure per diversi motivi, dal Tribunale di Tivoli con ordinanza prodotta in corso di causa, e che, in considerazione dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità assolutamente consolidato, “l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento d’azienda, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’art. 2112 c.c., in capo al cessionario” (ha sul punto richiamato Cass. 8 febbraio 2011, n. 3047 e Cass. 12 aprile 2010 n. 8641).
Alla luce di tutto quanto evidenziato, ha accolto la domanda di accertamento della sussistenza del diritto dell'(…) alla prosecuzione del suo rapporto di lavoro alle dipendenze della (…) s.r.l. a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro con la (…) s.p.a. (30.11.2012) ed ha condannato la (…) s.r.l. a ripristinare l’effettività del rapporto di lavoro anzidetto, riammettendolo in servizio e riassegnandogli l’inquadramento a lui attribuito al momento della cessazione anzidetta; ha inoltre condannato la (…) s.r.l. alla corresponsione delle retribuzioni a lui dovute al ricorrente dalla medesima data anzidetta, maggiorate di interessi legali calcolati sulle singole spettanze retributive via via rivalutate secondo indici Istat dalla data di loro maturazione fino al soddisfo.
Ha comunque pronunciato la condanna a carico della la (…) s.r.l. in solido con la (…) srl ex art. 2112 c.c., detratte le somme eventualmente percepite dal ricorrente a titolo risarcitorio per effetto della citata ordinanza del Tribunale di Tivoli ed ha condannato la la (…) s.r.l. al pagamento delle spese di lite.
Con il primo motivo di appello, la (…) s.r.l. ha censurato la gravata sentenza per erroneità delle statuizioni relative all’applicazione dell’art. 2112 c.c. e per falsa applicazione della legge e della giurisprudenza riguardanti la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c..
In particolare, la società appellante, dopo avere evidenziato che l'(…) ha impugnato innanzi al Tribunale di Tivoli il licenziamento intimatogli da (…) s.r.l. e che nel presente giudizio ha chiesto il riconoscimento del rapporto di lavoro con la (…) s.r.l., ha dedotto che se vi fosse effettivamente stata una cessione di azienda, l'(…) avrebbe dovuto impugnare la suddetta cessione, convenendo in giudizio entrambe le società, al fine di chiedere la prosecuzione del rapporto con la cessionaria.
La società appellante ha in proposito lamentato il richiamo parziale, da parte del primo giudice, della sentenza n. 8641/2010 della Suprema Corte; ha in particolare evidenziato che secondo tale pronuncia il mutamento di titolarità dell’azienda non interferisce con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, i quali continuano a tutti gli effetti con il cessionario, che subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al primo; ha dunque rimarcato che secondo la stessa pronuncia la natura precaria dell’effetto estintivo del licenziamento intimato prima del trasferimento dell’azienda e l’ipotetico ripristino, in caso di suo annullamento, del rapporto di lavoro tra le parti originarie, determina la legittimazione passiva del cessionario rispetto all’impugnativa di quel licenziamento.
La società appellante ha inoltre lamentato l’omessa considerazione, da parte del primo giudice, della circostanza che nel giudizio di accertamento della cessione il soggetto legittimato è il cedente; in particolare ha evidenziato che, pur essendo escluso il litisconsorzio necessario, il ricorso si propone necessariamente nei confronti della cedente e facoltativamente nei confronti della cessionaria (ha sul punto richiamato Cass. n. 8066/2011).
Ha comunque lamentato la contraddittorietà della sentenza impugnata, la quale contiene una pronuncia di condanna in solido della la (…) s.r.l. e della (…) s.r.l..
Osserva innanzitutto la Corte che in caso di trasferimento dell’azienda, la ratio cui si ispira il primo comma dell’art.2112 c.c., nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art.47 c.3 L. n. 428 del 1990, facendo ricadere unicamente sull’ultimo acquirente gli effetti derivanti dal riconoscimento della pregressa anzianità del lavoratore, implicitamente esclude che rispetto alle pretese da questi al riguardo azionate si possa ipotizzare un litisconsorzio necessario dei datori di lavoro succedutisi per effetto dell’uno o più trasferimenti nella titolarità del rapporto, ritenuto continuo in virtù del principio dell’infrazionabilità dell’anzianità, e consente invece che nei confronti dell’ultimo acquirente si possano accertare qual mezzo al fine, nonché quale logico presupposto delle questioni principali, tutte le vicende traslative che si fossero eventualmente verificate in precedenza, nonché il carattere fittizio dei licenziamenti intimati dai precedenti datori di lavoro in violazione del principio suddetto (Cass. S.L. n. 9806 del 1998).
Secondo tale pronuncia, il cessionario è legittimato passivo nelle cause di accertamento di illegittimità della cessione, né sussiste in tali controversie un litisconsorzio necessario con il cedente.
Il giudice di legittimità ha inoltre affermato che il trasferimento di un ramo di azienda da una società all’altra configura una successione a titolo particolare nei rapporti preesistenti la quale, sul piano processuale, determina una prosecuzione del processo in corso tra le parti originarie, ai sensi dell’art. 111 c.p.c.; ha inoltre affermato che non sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra cedente ed acquirente, in quanto il vincolo di solidarietà per i crediti del lavoratore, che l’art. 2112 c.c. pone a carico del cedente, non dà luogo a litisconsorzio necessario; tuttavia, poiché la sentenza pronunciata contro il cedente spiega sempre i suoi effetti contro il successore a titolo particolare, l’art.111, c.4, c.p.c. dispone che la sentenza può essere impugnata anche dal successore (Cass. S.L. n. 25952 del 2005).
Ciò premesso, evidenzia la Corte con sentenza n. 8641/2010, la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui il mutamento di titolarità dell’azienda non interferisce con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, i quali continuano a tutti gli effetti con il cessionario, che subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al primo, nonché il principio secondo cui l’effetto estintivo del licenziamento intimato prima del trasferimento dell’azienda e l’ipotetico ripristino, in caso di suo annullamento, del rapporto di lavoro tra le parti originarie, determina la legittimazione passiva anche del cessionario rispetto all’impugnativa di quel licenziamento.
Ciò premesso, evidenzia la Corte che la società appellante non ha comunque censurato i passaggi motivazionali della gravata sentenza che hanno riportato le statuizioni di Cass. n. 3047/2011, secondo cui “l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento d’azienda, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’art. 2112 c.c., in capo al cessionario”.
Ritiene inoltre la Corte che la società appellante non ricaverebbe alcun concreto vantaggio dalla riforma della statuizione relativa alla condanna in solido della (…) s.r.l. e del la (…) s.r.l. al pagamento delle retribuzioni dovute all'(…) dal 30.11.2012, maggiorate di interessi legali calcolati sulle singole spettanze retributive via via rivalutate secondo indici Istat dalla data di loro maturazione fino al soddisfo.
Ritiene pertanto la Corte che la società appellante non abbia interesse ad impugnare tale statuizione.
Per tali ragioni il primo motivo di appello è infondato.
Con il secondo motivo di appello, la (…) s.r.l. ha censurato la gravata sentenza per per mancanza o insufficienza di prove in ordine agli elementi relativi alla fattispecie del trasferimento di azienda, evidenziando innanzitutto società appellante che la (…) s.r.l. non ha utilizzato gli stessi beni utilizzati dalla (…) s.r.l. (ha in particolare dedotto di avere stipulato un contratto di locazione con la C. di C.F. s.a.s.ed uno con la (…) s.r.l., avente ad oggetto solo una parte del capannone in quanto nella restante parte era presente un macchinario oggetto di pignoramento).
La società appellante ha inoltre rimarcato che i dipendenti della (…) s.r.l avevano iniziato a lavorare con altri macchinari, in quanto era cambiato il metodo di lavoro (come riferito dal teste (…)), che erano stati acquistati nuovi macchinari e un nuovo software, per come emerso dall’istruttoria testimioniale e documentale e che non vi era stata alcuna cessione dei contratti con gli editori, né alcun trasferimento della clientela idoneo a configuarare un trasferimento di azienda.
La società appellante ha comunque sostenuto che la successione di due aziende nella evasione di ordini non può essere di per sé sola considerata idonea a comprovare una cessione di azienda, non potendo essere considerata la clientela alla stregua di un bene aziendale (ha sul punto richiamato Cass. n. 9361/2014).
Ha dunque evidenziato di non avere assunto una parte dei dipendenti della (…) s.r.l. ed ha sostenuto che rimane esclusa dal concetto di “trasferimento di azienda” l’ipotesi di scissione parziale, che sussiste quando la società non abbia ceduto tutto il patrimonio, ma solo parte dei propri beni mobili ed immobili; ha comunque escluso che nella fattispecie dedotta in giudizio sia stata trasferita un’entità economica inalterata.
Orbene, è innanzitutto pacifico tra le parti che la (…) spa svolgeva attività analoga a quella svolta dalla (…) s.r.l. e che la clientela della (…) s.r.l. coincideva con la precedente clientela della (…) spa.
Ciò premesso, osserva la Corte che la società appellante non ha censurato i passaggi motivazionali della sentenza impugnata riguardanti i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità e dalla giurisprudenza comunitaria sugli elementi costitutivi della cessione di ramo di azienda.
Rileva altresì la Corte che ai fini della qualificazione della fattispecie ai sensi dell’art. 2112 c.c., il primo giudice ha ritenuto irrilevante la mancanza di un atto formale di cessione tra la (…) s.r.l. e la (…) s.r.l.; ha inoltre evidenziato in fatto che la (…) s.r.l. ha riassunto, in momenti diversi ma circoscritti nel tempo, la maggior parte dei dipendenti della prima (sono stati infatti esclusi lo stesso (…) e altri due soli dipendenti, i signori (…)); tali passaggi motivazionali non sono stato specificamente censurati dalla società appellante.
La medesima società si è infatti limitata a ribadire nell’atto di appello l’insussistenza di un atto formale di cessione e la circostanza che non tutti i dipendenti della (…) s.r.l. sono stati assunti dalla (…) s.r.l., ma non si è in alcun modo confrontata con le argomentazioni svolte dal primo giudice su tali questioni.
Il primo giudice nella gravata sentenza ha inoltre evidenziato che due soci su tre della (…) s.r.l. ((…) e Pellegrini) corrispondono ai soci unici della (…) s.r.l., la quale ha sede legale nello stesso luogo in cui sono domiciliati i suddetti soci (Via (…)); anche tale passaggio motivazionale non è stato censurato.
La circostanza che il contratto di locazione con la (…) s.r.l., risulti l’utilizzo di una sola parte del capannone in quanto nella restante parte era presente un macchinario oggetto di pignoramento non vale comunque ad escludere che la (…) s.r.l. abbia utilizzato gli stessi locali precedentemente utilizzati dalla (…) s.r.l.
Nella sentenza di primo grado il giudice adito ha poi affermato che la quasi totalità dei lavoratori passati dalle dipendenze di una società all’altra senza soluzioni di continuità è stata impiegata nella medesima attività svolta in precedenza dalla prima; per tali ragioni ha ritenuto che fossero dotati del know how necessario a svolgerla, e che l’impiego di nuovi macchinari da parte della resistente sia dipeso da un cambio di metodo di lavoro svolto però sempre presso i medesimi locali (ha sul punto richiamato le dichiarazioni rese dal teste (…)).
Alla luce di tutto quanto fin qui evidenziato, deve ritenersi che la (…) spa svolgeva attività analoga a quella svolta dalla (…) s.r.l. e che la clientela della (…) s.r.l. coincideva con la precedente clientela della (…) spa.
Deve inoltre ritenersi provato che la (…) s.r.l. ha riassunto, in momenti diversi ma circoscritti nel tempo, la maggior parte dei dipendenti della prima (sono stati infatti esclusi lo stesso (…) e altri due soli dipendenti, i signori (…)), che la quasi totalità dei lavoratori passati dalle dipendenze di una società all’altra senza soluzioni di continuità è stata impiegata nella medesima attività svolta in precedenza dalla prima, che la (…) s.r.l. ha utilizzato gli stessi locali precedentemente utilizzati dalla (…) s.r.l. (tranne una parte che non poteva uitilizzare per la presenza di un macchinario pignorato).
Orbene, ritiene la Corte che risulta trasferito dalla (…) s.r.l. alla (…) s.r.l. un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività, che si presentavano prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che hanno conservato nel trasferimento la loro identità: la (…) s.r.l. senza soluzioni di continuità ha infatti svolto la stessa attività in precedenza espletata dalla (…) spa utilizzando gli stessi locali precedentemente utilizzati dalla (…) s.r.l. e la quasi totalità dei lavoratori passati dalle dipendenze di una società all’altra senza soluzioni di continuità, nei confronti della medesima clientela.
In questo contesto, la circostanza, riferita dal teste (…), che la (…) s.r.l. abbia acquistato nuovi macchinari e che abbia utilizzato altro software rispetto a quello utilizzato dalla (…) spa non è idonea ad escludere il trasferimento di un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività, che si presentavano prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che hanno conservato nel trasferimento la loro identità, tanto più che il mancato passaggio del macchinario contenuto nel capannone non è riconducibile alla volontà delle parti, ma a cause di forza maggiore (il pignoramento del medesimo).
Per tali ragioni anche il secondo motivo di appello è infondato.
L’appello va pertanto rigettato.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Va dato atto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 c.1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della società appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
La Corte rigetta l’appello;
Condanna la società appellante al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 3307,00, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, IVA e CPA, in favore dell’appellato;
Dà atto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 13 c.1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della società appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
Così deciso in Roma il 22 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2019.