la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della “causa debendi”, da cui deriva una semplice “relevatio ab onere probandi” che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento.
Tribunale Milano, Sezione 7 civile Sentenza 20 marzo 2019, n. 2696
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
Sezione Settima Civile
In funzione di giudice unico nella persona del dott. STEFANIA NOVELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da:
(…) SPA ((…)) e (…) SPA ((…)), rappresentata e difese dall’avv. BO.AN., presso lo studio del quale a MILANO, CORSO (…), ha eletto domicilio, come da delega agli atti;
-attori opponenti-
CONTRO
(…) SRL ((…)), (…) SRL ((…)) e (…) SRL ((…)), rappresentate e difese dall’avv. CR.PA. e dall’avv. AL.MO., elettivamente domiciliate presso lo studio dell’avv. FE.MA., in MILANO, VIA (…), come da delega agli atti;
-convenuti opposti-
CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con atti di citazione in opposizione, regolarmente notificati, (…) SPA e (…) SPA hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 3434/2016, emesso a favore di (…) SRL, (…) SRL e (…) SRL B.D.I..
Quali motivi di opposizione, in entrambi gli atti di citazione, hanno dedotto:
a) il difetto di legittimazione passiva della (…) SPA, non avendo quest’ultima sottoscritto il contratto del 18.06.2004;
b) che le società ricorrenti rinunciarono, con i contratti sottoscritti in data 1.12.2009 (cfr. art. 4), ad ogni azione nei confronti di (…) SPA;
c) l’insussistenza di un riconoscimento di debito, atteso che le e-mail, risalenti al 2005 e 2006, provengono dal dipendente della (…) – R.F. – con allegate delle tabelle contenenti la ricostruzione di tutti gli importi corrisposti dal clienti finali alla (…)/(…);
d) la mancanza della prova del credito, ossia della dimostrazione dell’anticipazione dei diritti erariali dei quali chiedono la ripetizione alle società ingiunte;
d) non competevano, in ogni caso, alle società ricorrenti, odierne opposte, i diritti erariali pagati dai clienti finali alla (…)/(…) per il riutilizzo commerciale delle informazioni ipotecarie e catastali acquisite, come previsto dalla L. n. 311 del 2004;
e) la prescrizione dei diritti fatti valere in quanto è decorso il termini di cinque anni, ex art. 2948 c.c.;
f) l’inapplicabilità degli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002. Per i motivi esposti, le opponenti, nei diversi giudizi azionati hanno presentato, in via preliminare, istanza ex art. 649 c.p.c. e, nel merito, hanno chiesto la revoca del decreto ingiuntivo.
Previa instaurazione del contraddittorio a seguito di istanze ex art. 649 c.p.c. proposte da entrambi gli opponenti, il Giudice dell’epoca ha sospeso la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo.
(…) SRL, (…) SRL B.D.I., (…) SRL, costituitasi in entrambi i giudizi, hanno chiesto la conferma del decreto ingiuntivo, opponendosi alle domande degli attori, in quanto: a) (…) sottoscrisse il contratto, impegnandosi ex art. 1381 c.c. per il fatto del terzo (…) e quest’ultima, non solo diede esecuzione all’accordo, ma sottoscrisse l’appendice e l’accordo tariffario “a conferma delle intese precedentemente raggiunte”; il disconoscimento effettuato da (…) all’udienza del 19/04/2016 fissata per l’udienza ex art. 649 c.p.c. è tardivo; b) i crediti oggetto del procedimento monitorio ineriscono ai compensi spettanti alle opposte, per le prestazioni rese e non riguardano i diritti erariali.
Esaminate le memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., è stata disposta la riunione delle cause RG 14183/2016 e RG 1418/72016, pendenti dinanzi al medesimo giudicante.
La causa, istruita mediante escussione testimoniale ed acquisizione dei documenti prodotti, è stata rinviata per precisazione delle conclusioni dinanzi all’odierno giudicante e trattenuta in decisione, all’esito dello spirare dei termini ex art. 190 c.p.c. considerato che il codice di rito non prevede un sindacato preventivo del giudice istruttore in ordine alla rilevanza delle prove documentali offerte dalle parti – a differenza di quanto previsto per le prove costituende – essendo rimessa alla fase decisoria ogni valutazione del giudice circa la rilevanza delle prove precostituite.
1. Secondo la prospettazione attorea, le ricorrenti rinunciarono, con l’art. 4 dei contratti dell’1.12.2009, ad ogni azione derivante dall’Acc. del 18 giugno 2004, nei confronti di (…) spa. L’art. 4 prevede che “le parti si danno atto che, alla data del 1 gennaio 2010, vengono consensualmente risolti tutti gli altri precedenti accordi sia scritti che verbali che hanno disciplinato in precedenza il rapporto di fornitura di dati e servizi informativi ipocatastali tra le stesse parti e in particolare l’accordo sottoscritto in data 18 giugno 2004 e sue successive modifiche e/o integrazioni.
Tali accordi cessano quindi di avere giuridica efficacia e tutte le obbligazioni a carico delle parti s’intendono definitivamente cessate (…)il fornitore dichiara espressamente di rinunciare ad ogni azione che sia derivante dall’accordo del 18 giugno 2004 nei confronti di (…) SPA”.
Non può accogliersi l’eccezione in punto di rinuncia preventiva all’azione nei confronti di (…), atteso che gli accordi in esame furono conclusi solo tra (…) e le opposte.
Di converso, la società (…) non rivestì la qualifica di parte del contratto e, quindi, a prescindere dalla validità della clausola, il titolo non è opponibile a quest’ultima. Difetta anche la prova di una successiva adesione al contratto da parte della (…).
Anche se la perdita di efficacia dell’accordo del 2004 risale al 1 gennaio 2010, non è stata pattuita alcuna rinuncia preventiva dei fornitori ai diritti maturati, in data anteriore, nei confronti di (…) . Infatti, l’accordo è concluso con (…), che non aveva alcun potere di rinunciare, in nome e per conto di (…), agli obblighi e diritti scaturenti dall’accordo del 2004.
2. La questione inerente alla sussistenza del titolo invocato dalle società opposte, in relazione alla rapporto processuale con (…), attiene al merito della causa e non al profilo della legittimazione.
Si rammenta, infatti, (Cass. 3, Sentenza n. 14468 del 30/05/2008 (Rv. 603170 – 01) che “La “legitimatio ad causam”, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento.
Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d’ufficio, poichè la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata.
Fondandosi, quindi, la legittimazione ad agire o a contraddire, quale condizione all’azione, sulla mera allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione intorno ad essa si delinea solo quando l’attore faccia valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneità al rapporto sostanziale controverso”.
Come è noto, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (cfr. Cass. S.U. 30.10.2001, n. 13533).
Gli attori in senso sostanziale hanno prodotto:
– il contratto del 18.06.2014 (doc. 6), pacificamente sottoscritto dalla sola (…), la quale si obbligò, ex art. 1381 c.c., per il fatto del terzo (…).
Tuttavia, gli attori in senso sostanziale hanno altresì documentato, sin dalla fase monitoria (doc. 6), che (…) sottoscrisse l’appendice all’accordo commerciale del 18.06.2004, obbligandosi, quindi, direttamente nei confronti dei fornitori.
Il disconoscimento della sottoscrizione, effettuato da (…), nell’udienza del19.04.2016, è tardivo, come eccepito dalle opposte.
Sul punto, la Suprema Corte insegna che (Sez. 3, Sentenza n. 19680 del 17/07/2008 (Rv. 604986 – 01) “L’art. 2719 cod. civ. (che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche) è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e nel silenzio della norma in merito ai modi e ai termini in cui i due suddetti disconoscimenti debbano avvenire, è applicabile ad entrambi la disciplina degli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta (tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione) se la parte comparsa non la disconosca, in modo formale, e quindi specifico e non equivoco, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione.
Alla stregua di tale principio, deve essere individuata, nell’ambito di un procedimento a contraddittorio differito quale quello che si origina da un decreto ingiuntivo, la “prima risposta” nell’atto di opposizione (e con la formulazione delle difese in seno a detto atto), atteso che, con tale opposizione, si dà inizio non ad un autonomo processo, ma ad una fase di quello già iniziato con la notificazione del ricorso e del pedissequo decreto, si da configurarsi essa stessa come “la prima risposta” del debitore, dopo che questi sia stato messo in grado di esaminare i documenti depositati in cancelleria e posti a fondamento dell’istanza (e del provvedimento) monitorio”.
Peraltro, (…), nella memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., ha dichiarato che la sottoscrizione apposta era riferibile al legale rappresentate, rinunciando al disconoscimento spiegato. Ha, tuttavia, eccepito che il contratto non sarebbe stata sottoscritto da (…), (…) SRL e (…). L’asserita assenza di sottoscrizione è comunque priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti di queste ultime società idonei a dimostrare la volontà di avvalersi di quel contratto, concretizzantesi con la produzione in giudizio dello stesso, quale titolo fondante il credito azionato.
In ogni caso, l’assunzione di obbligazioni direttamente in capo a (…) è desumibile dai contratti sottoscritti da quest’ultima nel 2009 (doc. 8), nei quali la (…) dà atto di aver sottoscritto un accordo commerciale e di aver disdettato lo stesso.
– i contratti sottoscritti in data 1.12.2009 da (…) e le opposte (doc. 8), aventi a oggetto la fornitura a favore di (…) di visure immobiliari e delle variazioni su soggetti titolari di beni immobili.
3. Le società ricorrenti hanno prospettato la sussistenza di un riconoscimento di debito.
In termini generali, si rammenta che “la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della “causa debendi”, da cui deriva una semplice “relevatio ab onere probandi” che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20689 del 13/10/2016).
Le e-mail prodotte (docc. 9, 11, 12, 14, 17, 23, 26) rappresentano la prova, peraltro incontestata, della sussistenza di rapporti contrattuali tra le parti, ma non contengono dichiarazioni, provenienti da (…) o da (…), vincolanti in punto di quantificazione di credito residuo maturato a titolo di compensi.
Appaiono, infatti, riferibili a un dipendente di (…), il quale, non avrebbe potuto impegnare le società opponenti.
5. Le società ricorrenti hanno specificato, nella comparsa di costituzione e risposta dell’odierno giudizio di merito, che le fatture azionate nel procedimento monitorio riguardano i compensi e non i diritti erariali. Di conseguenza, i crediti prospettati da (…), (…), e (…) sarebbero causalmente riconducibili alle prestazioni rese da questi ultimi, in qualità di fornitori, a (…) e (…). Secondo la prospettazione delle parti opposte, le fatture azionate avrebbero ad oggetto i compensi c.d. maggiorati correlati all’aumento del prezzo delle visure e delle formalità (pag. 10 della comparsa di costituzione) ovvero alla quota variabile del compenso rapportato all’aumento dei costi per i diritti erariali (cfr. memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c.)
Nel ricorso ex art. 633 c.p.c., le odierni parti opponenti, tuttavia, avevano dichiarato espressamente che “inizialmente fatturarono (e ricevettero il pagamento) dei soli compensi indicati per le visure, quanto ai diritti erariali fatturarono e ricevettero i soli importi pari alla differenza tra il totale dei diritti erariali e quelli relativi alle visure da banca dati (…) che gli importi dovuti per i diritti erariali da banca dati non vennero né fatturati né pagati”.
Sono le stesse parti ricorrenti, quindi, che nel ricorso ex art. 633 c.p.c., hanno riconosciuto – elemento liberamente valutabile dal giudice come indizio – di aver ricevuto il compenso, non essedo stati pagati solo i “diritti erariali da banca dati” (cfr. considerato che la Suprema Corte, insegna (Sez. 2 – , Ordinanza n. 23634 del 28/09/2018 (Rv. 650383 – 02) che “Le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore “ad litem”, costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento. Esse, tuttavia, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., qualora l’atto sia stato sottoscritto dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza gravata che aveva negato valore confessorio alle dichiarazioni contenute nella comparsa di risposta di una parte, sottoscritta dal solo difensore e depositata in diverso giudizio).
Solo nell’odierno giudizio di merito hanno invocato un credito residuo per asseriti compensi non pagati, inerenti alla prospettato aumento dei diritti erariali ex art. 8 del contratto del 18.06.2014, L’art. 8 dell’Acc. del 18 giugno 2014 prevede che “qualora nel corso del periodo di validità del presente accordo, il valore dei diritti erariali si modifichi, anche il prezzo delle visure e delle formalità, sia nuove sia di banca dati sarà adeguato di conseguenza. Le modalità di adeguamento saranno definite entro la data di efficacia (…)”
Sennonché, le società fornitrici non hanno provato in quale modo la modifica del valore dei diritti erariali determinò il sorgere di un diritto a un compenso maggiorato, rispetto a quello già corrisposto. La mole della documentazione prodotta – e-mail prodotte e precedenti fatture emesse – non è di certo risultata idonea a sufficiente a fornire la prova del diritto di credito invocato.
Occorre richiamare la normativa introdotta dalla L. n. 311 del 2004:
– l’art. 1 comma 367 statuisce che 367 statuisce che “A fini di contrasto di fenomeni di elusione fiscale e di tutela della fede pubblica, salvo quanto previsto nel comma 371, è vietata la riutilizzazione commerciale dei documenti, dei dati e delle informazioni catastali ed ipotecari, che risultino acquisiti, anche per via telematica in via diretta o mediata, dagli archivi catastali o da pubblici registri immobiliari, tenuti dagli uffici dell’Agenzia del territorio”
– l’art. 1 comma 368 . Ai sensi dei commi da 367 a 375 si ha riutilizzazione commerciale quando i predetti documenti, dati ed informazioni sono ceduti o comunque forniti a terzi, anche in copia o parzialmente o previa elaborazione nella forma o nel contenuto, dai soggetti che li hanno acquisiti, in via diretta o mediata, anche per via telematica, dagli uffici dell’Agenzia del territorio”.
La normativa in esame ha introdotto un divieto di riutilizzazione commerciale delle informazioni ipotecarie e catastali, sia se acquisiste direttamente dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate, sia se acquisite, in via mediata, attraverso i fornitori.
Le società ricorrenti non hanno allegato né provato di aver sostenuto spese maggiori per i diritti erariali, a seguito della sopravvenienza della normativa in esame. Di conseguenza, non hanno maturato un diritto alla ripetizione della somme che peraltro non hanno provato di aver versato alla PA.
Parimenti, le società opposte, in qualità di attori in senso sostanziali, non hanno provato che il credito azionato dipendesse da un’attività di aggiornamento o rielaborazione dei dati diversa e ulteriore (riferibile alle tariffe sub. doc. 34) rispetto a quella già fatturata alle società acquirenti. Peraltro, nell’accordo sub. doc. 34, è stato espressamente pattuito che “le tariffe nel seguito precisate si intendono al netto di tasse e tributi catastali dovuti”.
Dai documenti agli atti non è neppure ricavabile un accordo tra le odierne parti processuali in punto di riconoscimento, a favore di (…), (…), (…), di un ulteriore compenso (quota varibile) rapportabile ai diritti erariali da banca dati originariamente sostenuto dalle sole fornitrici.
Non risulta provato che, per gli anni 2005 – 2006, le parti si accordarono per il pagamento a favore delle opposte di una ulteriore quota di compenso solo per la messa a disposizione delle banche dati. In ogni caso, l’accordo sulla quantificazione della c.d. quota variabile di compenso – derivante dalla mera messa a disposizione delle banche dati di proprietà – non è stata provata dagli attori in senso sostanziale.
5. In conclusione, in accoglimento delle opposizioni di (…) e (…) deve essere revocato il decreto ingiuntivo.
Venendo alle spese processuali, la Suprema Corte insegna (Sez. 1, Sentenza n. 15860 del 10/07/2014 (Rv. 632117 – 01) che “Il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni. Ne consegue che la congiunta trattazione lascia integra la loro identità, tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise, mentre la liquidazione delle spese giudiziali va operata in relazione a ciascun giudizio, atteso che solo in riferimento alle singole domande è possibile accertare la soccombenza, non potendo essere coinvolti in quest’ultima soggetti che non sono parti in causa”.
Le spese processuali, di conseguenza, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, sulla scorta del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del disputatum. Nella liquidazione dei compensi si tiene conto dell’attività difensiva, sostanzialmente identica, svolta dallo stesso procuratore per entrambi gli opponenti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide:
1) accoglie le opposizioni di (…) SPA e (…) SPA;
2) revoca il decreto ingiuntivo n. 3434/2016 emesso in data 2.02.2016 dal Tribunale di Milano;
3) condanna (…) SRL, (…) SRL (…) e (…) SRL, in via solidale, alla rifusione delle spese di lite in favore di (…) SPA, che si liquidano in Euro 843,00 per spese esenti ed Euro 13.900,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA come per legge;
4) condanna (…) SRL, (…) SRL (…) e (…) SRL, in via solidale, alla rifusione delle spese di lite in favore di (…) SPA, che si liquidano in Euro 843,00 per spese esenti ed Euro 13.900,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA come per legge.
Così deciso in Milano il 19 marzo 2019.
Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2019.