La configurabilità di una vendita di cosa futura, anziché di un appalto, ove le parti abbiano considerato l’attività produttiva come mero strumento per ottenere il bene da trasferire, va riconosciuta non soltanto quando detto impianto configuri un prodotto strettamente di serie del venditore, ma anche quando, pur rientrando nella sua normale attività e non richiedendo modifiche della sua organizzazione imprenditoriale, debba presentare caratteristiche e qualità specifiche, con riguardo al compratore, ed espressamente promesse dal venditore medesimo (sì da giustificare, in caso di mancanza, la risoluzione a norma dell’art. 1497 c.c.).
Tribunale Forlì, Sezione Lavoro civile Sentenza 13 marzo 2019, n. 88
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI FORLÌ
LAVORO E PREVIDENZA
Sentenza con motivazione contestuale
Il giudice del lavoro, dott. Luca Mascini, pronunciando nella causa n. 842/2012 R.G.A.C. promossa
DA
(…) s.p.a. (avv. Da.Fr.)
CONTRO
I.N.P.S., anche quale mandatario di (…) s.p.a. (avv. Re.Ve. e An.Ci.)
NONCHÉ
(…) (contumace)
avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo;
FATTO E DIRITTO
1. Parte ricorrente chiede accertarsi l’insussistenza dell’obbligo di pagare le somme che l’I.N.P.S. richiede in ragione della propria qualità di committente dell’appalto (asseritamente) intercorso con (…) di (…) e ciò in ragione di irregolarità contributive commesse da quest’ultima, direttamente impegnata con i propri dipendenti nello svolgimento della prestazione.
Eccepisce:
a) l’improcedibilità della procedura monitoria per mancato esaurimento dei rimedi preprocessuali di cui all’art. 443 c.p.c.;
b) la nullità del decreto ingiuntivo opposto per omessa proposizione del ricorso monitorio anche nei confronti dell’asserito appaltatore;
c) l’insussistenza della propria responsabilità solidale, non essendo intercorsa con (…) alcun rapporto di appalto ma un mera compravendita;
d) l’omessa indicazione dei criteri di determinazione di contributi e sanzioni;
e) la decadenza dalla possibilità di far valere la responsabilità solidale per decorso del biennio dalla cessazione dell’appalto;
f) la necessità di escutere preventivamente il patrimonio dell’asserita appaltatrice.
1.1. La terza chiamata in causa non si è costituita e va dichiarata contumace.
2. Le seguenti eccezioni preliminari vanno disattese.
Ed invero:
a) è da ritenere provato – per mancata contestazione alla prima udienza e nel foglio di deduzioni autorizzate delle deduzioni svolte sul punto dall’I.N.P.S. – il dato che l’iniziativa monitoria sia stata assunta una volta decorso il termine di definizione del ricorso amministrativo (90 giorni), formandosi silenzio rigetto; è il caso di osservare poi, riprendendo per identità di ratio quanto affermato dalla Corte Costituzionale in punto di applicabilità in materia di opposizione a decreto ingiuntivo degli artt. 410 e ss c.p.c., che non avrebbe senso pretendere che in una fase pregiurisdizionale si instauri quel contraddittorio che non è richiesto per l’emissione del provvedimento giurisdizionale; i vizi eventuali della procedura monitoria non incidono sulla regolarità del giudizio di opposizione, posto che “l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza delle pretese fatte valere dall’ingiungente opposto e delle eccezioni e difese dell’opponente e non già stabilire se l’ingiunzione sia stata o no legittimamente emessa (salvo che ai fini esecutivi o per le spese della fase monitoria); pertanto, la eventuale insussistenza delle condizioni per l’emissione del decreto ingiuntivo (tranne che per ragioni di competenza) non può essere d’ostacolo al giudizio di merito che s’instaura con l’opposizione”;
b) la particolare struttura del processo monitorio, che si svolge e si conclude con l’emissione del decreto ingiuntivo inaudita altera parte, cioè senza alcun contraddittorio con l’intimato, non consente di configurare il dovere del giudice di ordinare la integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario.
3. Nel resto, in applicazione del criterio decisionale della ragione più liquida, si nota che la fondatezza della domanda deriva dalla effettiva possibilità di qualificare in termini di vendita i contratti intercorsi tra l’opponente e la ditta fornitrice dei divani.
Precisamente, le risultanze istruttorie danno conto del fatto che interesse dell’opponente fosse soltanto quello di poter disporre di divani da vendere alla clientela, ovverosia quello di ottenere il bene finale da consegnare, trattandosi, tra l’altro, di beni prodotti in serie.
Ed anche quando i beni erano richiesti in alcune varianti di forma e colore, si trattava pur sempre di soluzioni rientranti nello spettro delle varie possibilità di realizzazione della ditta, rilevando i pezzi, comunque, quali prodotti realizzati per la vendita, in via ordinaria e seriale.
Può quindi richiamarsi quanto statuito da Cass., 12.3.2018, n. 9535, per cui, in linea con quanto già affermato da Cass., S.U., n. 1196/1983, la configurabilità di una vendita di cosa futura, anziché di un appalto, ove le parti abbiano considerato l’attività produttiva come mero strumento per ottenere il bene da trasferire, va riconosciuta non soltanto quando detto impianto configuri un prodotto strettamente di serie del venditore, ma anche quando, pur rientrando nella sua normale attività e non richiedendo modifiche della sua organizzazione imprenditoriale, debba presentare caratteristiche e qualità specifiche, con riguardo al compratore, ed espressamente promesse dal venditore medesimo (sì da giustificare, in caso di mancanza, la risoluzione a norma dell’art. 1497 c.c.).
Quanto alle risultanze della prova per testi, il Libri ha dichiarato: “il cliente sceglie il divano e i rivestimenti in negozio e passa l’ordine.
Tendenzialmente si attinge alla produzione del fornitore e (…) chiede le varie declinazioni del modello.
Alcune forme sono del fornitore altre forme le propone (…).
Nel primo caso (…) chiede al fornitore di poter fruire di varianti in punto di forme e colori, come ad esempio un divano a due posti dalla forma a tre posti.
In altri casi è (…) che dà l’input, ad esempio proponendo una foto, e chiede al fornitore se vuole produrre.
A quel punto è il fornitore che pensa a fornire il prodotto finito.
Ciò valeva anche con (…)”.
È chiaro che anche nel caso in cui l’input partiva dall’opponente, l’intenzione della parti era la messa a disposizione dell’ordinante del divano prodotto in sé, assemblato o meno che fosse, venendo in rilievo un’attività riguardante pur sempre prodotti realizzati in serie.
Il teste (…) ha dichiarato, più esplicitamente e chiaramente, nel senso (della vendita) indicato nella sentenza di legittimità sopra menzionata: “noi selezionavamo i prodotti dai loro cataloghi o recandoci da loro – come avveniva con altre aziende commerciali – e veniva concordato un prezzo e si stabiliva se metterlo in collezione oppure no.
Noi guardavamo le foto e chiedevamo loro quali fossero “gli sviluppi” ovvero se fossero previste da loro stessi forme diverse e in caso positivo se ci interessavano ce le facevamo mandare.
Questi ordini riguardavano ed erano destinati ai negozi.
Ogni negozio aveva gli stessi pezzi e i modelli ordinati pertanto erano tanti quanti erano i negozi.
Erano fatti in grandi numeri. Ovviamente poi il cliente poteva fare un ordine personalizzato in base alle proprie esigenze.
Era molto difficile che ordinassimo divani non presenti nei cataloghi.
I prodotti erano marchiati come (…) una volta arrivati.
Tendenzialmente ciò accadeva anche nel 2010″.
Si consideri, infine, che:
a) nel verbale di accertamento nulla si deduce in favore della qualificabilità di tali rapporti nei termini indicati dall’I.N.P.S., facendosi questione di coinvolgimento dell’opponente nella vicenda solo sul presupposto che la ditta risultasse fornitrice di una serie di commesse;
b) le fatture prodotte dall’I.N.P.S. danno conto del trasporto di singoli componenti dei divani, il che induce ad escludere ulteriormente il dato che a rilevare fosse il lavoro della ditta in sé;
c) la presenza presso la ditta al momento dell’accesso di operai aventi specializzazione nella realizzazione dei divani si giustifica in ogni caso in relazione all’attività della ditta, la quale verosimilmente operava anche nell’interesse di altri clienti, non essendo incompatibile con lo schema di cui all’art. 1470 e ss. c.c. il dato della realizzazione di pezzi in serie per la vendita.
5. L’impossibilità di ravvisare un appalto conduce ad escludere la configurabilità di una responsabilità solidale ex art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, con accoglimento dell’opposizione e revoca del decreto opposto.
La regolamentazione delle spese tra l’opponente e l’I.N.P.S. segue la soccombenza e si provvede come in dispositivo. Nulla sulle spese con la terza chiamata, contumace (essendo assorbita la domanda di manleva).
P.Q.M.
Il giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa, così provvede:
accoglie l’opposizione e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; condanna parte opposta al pagamento delle spese di lite sostenute dall’opponente, che liquida in Euro 4.491,00 per compensi ed in Euro 18,50 per esborsi, oltre spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A.; nulla sulle spese con la terza chiamata contumace.
Così deciso in Forlì il 13 marzo 2019.
Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2019.